“UN’IDEA DI PESSOA”; del dott. prof. Roberto Veracini

Un’idea di Pessoa

Mi sono moltiplicato per sentirmi,

per sentirmi ho dovuto sentire tutto

(Fernando Pessoa)

 

 

Pessoa aveva una faccia qualunque, sotto un cappello d’ordinanza, eppure c’erano mille facce diverse nascoste dietro quella faccia e mille nomi, uno per ogni evenienza.

Pessoa non sorrideva mai, lasciava che il tempo gli scorresse addosso, ricopiando.

Ricopiava tutto quello che sentiva come se riguardasse un altro; sentiva tutto quello che ricopiava, come se riguardasse lui soltanto.

Pessoa sembrava non vivere nessuna vita, si camuffava nel suo vestito d’ordinanza, nei baffi solitari, eppure viveva più d’ogni altro, perché ogni suo nome (finto) era vero fino in fondo, occupava tutto il suo spazio.

Pessoa era un fingitore, ma sembrava non ci fosse nessuno più vero di lui (non è forse questa l’essenza di uno scrittore?).

Pessoa fuggiva il tempo, con mille nomi diversi e una sola faccia, una faccia qualunque (e un cappello d’ordinanza e baffi solitari, non si sa se finti o veri…).

Roberto Veracini

PER WISLAWA SZYMBORSKA del dott. prof. Roberto Veracini

Per vedere l’articolo in pdf cliccare su:

Per Wislawa Szymborska

Altrimenti:

Per Wislawa Szymborska

Un appunto

La vita – è il solo modo

per coprirsi di foglie,

prendere fiato sulla sabbia,

sollevarsi sulle ali;

essere un cane,

o carezzarlo sul suo pelo caldo;

distinguere il dolore

da tutto ciò che dolore non è;

stare dentro gli eventi,

dileguarsi nelle vedute,

cercare il più piccolo errore.

Un’occasione eccezionale

per ricordare per un attimo

di che si è parlato

a luce spenta;

e almeno per una volta

inciampare in una pietra,

bagnarsi in qualche pioggia,

perdere le chiavi tra l’erba;

e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;

e persistere nel non sapere

qualcosa d’importante.

(da “Un attimo”, 2002)

La profondità della poesia di Wislawa Szymborska è tutta nella sua leggerezza, cercata, voluta, esibita…una leggerezza che non ha tempo, si nutre di attimi, corre veloce, annusa l’aria, scopre la vita nelle sue forme minime, elementari e ne fa poesia colta, ironica, sorridente. Grande poesia, insieme raffinata e popolare, che non ha paura dei sentimenti e delle ragioni, e sa cogliere – con semplicità e stupore – la realtà nel suo divenire, il particolare che illumina, l’orizzonte nascosto e inaccessibile.

Wislawa Szymborska ha scritto sulle cose minime e sui grandi fatti, sulla felicità e sulla disperazione, ma sempre con la sua impronta leggera di interprete profonda della vita, sapendo comunque che – nella vita – bisogna “almeno per una volta/inciampare in una pietra,/bagnarsi in qualche pioggia, perdere le chiavi tra l’erba;/e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;//e persistere nel non sapere/qualcosa d’importante”.

dott. Prof. Roberto Veracini

SONO TARGATO LIVORNO 1912 (CAPRONI, LA CITTA’, LA MADRE); del dott. prof. Roberto Veracini

Per leggere l’articolo in .doc cliccare su:

Sono targato Livorno 1912

Per leggerlo in .pdf:

Sono targato Livorno 1912#

 

Altrimenti leggere di seguito:

 

Sono targato Livorno 1912

(Caproni, la città, la madre)

Dott. Prof. Roberto Veracini

Tutta la sezione dei “Versi livornesi” di Giorgio Caproni (nel “Seme del piangere”, 1959) è una descrizione di Livorno attraverso la presenza essenziale, fortissima di Anna Picchi, la madre del poeta.

A Livorno Caproni vive fino all’età di dieci anni: è quindi il luogo dell’infanzia – la targa della sua vita, come dice in uno scritto autobiografico, “Luoghi della mia vita e notizie della mia poesia” – e come tale acquista una dimensione unica; nei “Versi livornesi” scorrono come in un film le immagini di una città viva e popolare, le barche, il mare (“Livorno, quando lei passava,/ d’aria e di barche odorava.”), i Fossi (“La notte, lungo i Fossi,/ quanti cocomeri rossi”; “Ragazzi in pantaloni corti,/ e magri, lungo i Fossi,/ aizzandosi per nome/ giocavano, a pallone”), il porto (“La stanza dove lavorava/ tutta di porto odorava”, Corso Amedeo (“Tutto Cors’Amedeo,/ sentendola, si destava.”), Via Palestro (“Prendeva a passo svelto,/ dritta, per la Via Palestro,/ e chi di lei più viva,/ allora, in tant’aria nativa?”), il Voltone (“Sperduto sul Voltone,/ o nel buio d’un portone,/ che lacrime nel bambino/ che, debole come un cerino,/ tutto l’intero giorno/ aveva girato Livorno!”)… Ma è Annina che, pedalando incontro al vento, con la sua bicicletta azzurra, illumina ogni cosa (“Ma come s’illuminava/ la strada dove lei passava!”), crea una città, un paesaggio (“Livorno le si apriva/ tutta, vezzeggiativa:/ Livorno tutta invenzione/ nel sussurrare il suo nome”), rivela presenze nascoste, apparentemente insignificanti, quotidiane, anima la vita tutt’intorno, come un’autentica musa dell’esistenza.

Il mito popolare di Annina si fonde con il mito di Livorno, città dell’infanzia e del primo stupore, luogo ricorrente nella memoria poetica di Caproni. Ma la città vive e si nutre del personaggio-Annina, è una sua proiezione, come se fosse ad esso funzionale.

Come sempre, in Caproni, la condizione umana prevale sugli elementi pittorici, la personalità della ragazza di Livorno che “volava in bicicletta” conquista ogni spazio, ogni luogo fisico e poetico: dai Fossi al Cisternone, tutto passa attraverso la sua bicicletta in corsa, il paesaggio, le persone, le cose vivono di luce riflessa, filtrate dalla semplice, straordinaria magia della sua presenza viva e folgorante. Anna Picchi è Livorno, e la città si muove con lei, respira con lei, si rivela attraverso lei.

I “Versi livornesi” sono, per Caproni, un monumento alla madre e alla città. Livorno emana interamente dalla figura prorompente di Anna Picchi, dal suo sgonnellare fiero, dalla sua camicetta al vento: diviene quindi la città-madre, il sogno impossibile perché perduto per sempre, l’eterna nostalgia trasformata in canto.

Roberto Veracini

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE: MANICHEI ED IPERBOLI, LA MENTE NARRATIVA, FALSIFICAZIONISMO E SUA BREVE CRITICA; Tavole di verità, Fallacia nell’affermare il conseguente, Modus Tollens , Duhem e Quine; di Piero Pistoia; inserto: poesia ‘Indifferenza’ di Veracini

NBA Riccardo Fracassi è piaciuto questo post, come da mail all’Amministratore del 13-aprile-2018.

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE  di Piero Pistoia

Per leggere questi pensieri in .pdf  e quelli rivisitati cliccare in successione sui links per leggerne il contenuto; tornare poi indietro per leggere lo scritto successivo al primo link direttamente! fino al termine dell’articolo, cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

MANICHEI ED IPERBOLI3_ok di Piero Pistoia

Manichei ed Iperboli, revisione a cura di Piero Pistoia

Una revisione critica possibile del contenuto del link precedente

a cura di

Piero Pistoia

Una espansione, revisione e reinterpretazione critica, in positivo o in negativo, con successiva integrazione delle singole proposizioni del link precedente, volutamente iperboliche, attiverebbero per i comportamenti nella tribù degli umani, una serie alternativa di storie-guida alla Feyerabend (vedere, come un esempio paradigmatico di reinterpretazione, la poesia di Miloz in questo blog).
Infatti, in un Universo complesso, come affermava Egdar Morin “L’unico pensiero (argomentazione, giudizio, interpretazione), chiaro od <<oscuro>>, che viva, è quello che si mantiene alla temperatura della propria distruzione“.

Oggi, nell’era avanzata dei ‘computer’ e del ‘burocratismo’ dove la Verità appare unica,  la “Mente Narrativa“, di J. Bruner,  propria degli Umani, continua a rendere attive sempre più relazioni fra gli uomini, negoziando la sua ricerca, e più verità appaiono da dietro l’angolo. Per Bruner, come continua nella sua intervista Piero Lavatelli, nell’inserto LIBRI, la separazione fra mente e  corpo, proposta da Cartesio, al là di tutte le ubriacature ideologiche, sta perdendo forza di convinzione e si comincia a pensare che la realtà sociale non è esistente fuori da noi, ma dipende da noi, creata e negoziata da noi, “fatta della nostra carne e del nostro sangue”. Non c’è un unico “mondo reale” esterno ed indipendente da noi, dalla nostra mente, dai nostri linguaggi e dai nostri modelli simbolici con cui vengono costruiti i nostri mondi possibili. In generale, sembra una norma che, nel tempo della storia, quando le situazioni sociali (es., costituzioni di governi, guerre, migrazioni epocali…) si ‘cristallizzano’ sotto un’unica Verità (assenza di negoziazione),  si sprigioni un’esplosione di dolore e di ingiustizia nell’Universo, di cui si prende consapevolezza solo nel tempo futuro. “Abbiamo superato, da tempo, il rigido <<verificazionismo>>la nozione che il significato di qualunque cosa sia la sua unica e singola Verità. Il significato è un modo del connetterci, del negoziare, del riconciliare le nostre rispettive versioni del mondo al fine di trovare un modus vivendi nella diversità”. E ancora, L’uomo non è  “una specie di computer ad alta complessità e la società umana come un insieme di computer che operano congiuntamente a qualche programma comune chiamato <<società>>. La passata generazione ci aveva proposto il cane di Paulov, l’animale dai riflessi condizionati, come modello della natura umana. Stiamo ora scendendo più in basso, degradando il cane ad un computer? Mi sembra che dobbiamo rendere maggiore giustizia alle capacità intuitive dell’uomo, alla ricchezza del mondo delle reazioni umane, alla complessità della cultura”. Per la burocrazia è da dire con Bruner che essa è “antinarrativa per eccellenza; non c’è per essa che una Verità e tutti sono tenuti ad averne la stessa versione“, a favore di una nozione anti-soggettivistica di efficienza. Mandiamo al diavolo “lo sterile silenzio della nostra vita burocratizzata”!

Per leggere di più sugli epistemologi Feyerabend e Popper e sul mentalista americano  Bruner cercare queste parole sul nostro blog.
Inserire eventualmente qui l’ascolto della canzone di Guccini ‘Libera nos Domine’ da YouTube (rispettando naturalmente le leggi dell’editoria).

NON CI SPAVENTANO LE IDEE DA PIU’ PUNTI DI VISTA ANCHE OPPOSTI;

MA

UN  TIMORE INCOMBE: LA……

INDIFFERENZA

Poi tutto divenne uguale, né

cuore né fede né cielo

né mare, gli ultimi

uomini colpiranno duro

niente più sogni – dissero –

nel nostro futuro.

Roberto Veracini

_______________

A proposito dei limiti sui concetti popperiani di verificazione, falsificazione e corroborazione, accennati  precedentemente, cerchiamo di sintetizzarli  di seguito insieme alla Tabella di Verità della proposizione logica o implicazione “H implica Q” (ovvero H -> Q).

1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q
(H-> Q)    H        Q
(1) vera    vera vera
(2) vera   falsa vera
(3) vera   falsa falsa
(4) falsa   vera falsa
Dove H sono le ipotesi prodotte dal soggetto e Q sono le conseguenti osservazioni sperimentali e i dati dell’esperimento
Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:
Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera
In simboli: [(H->Q)UQ]->H.
Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.
Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa, MODUS TOLLENS;

in simboli: [(H->Q)U(non-Q)]->non-H.
Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-

Per anticipare brevemente la argomentazione di Duhem e Quine sul superamento dei limiti del falsificazionismo popperiano a fronte delle ipotesi H e dei dati sperimentali Q, da approfondire tramite  i riferimenti ai posts, suggeriti nello scritto precedente, MANICHEI ED IPERBOLI, cliccare sotto e poi  tornare indietro cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

FALSIFICAZIONISMO_critica in pdf

Ovvero leggere di seguito:

Per quanto riguarda il rapporto H → Q, nessun processo induttivo del positivismo sostenuto dalla logica, può portare da Q ad H (Fallacia nell’affermare il Conseguente); nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da Q, senza interventi del soggetto; nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il Modus Tollens popperiano, [(H → Q) U non-Q)] → non H], permette la falsificazione univoca (Duhem), data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non sappiamo cos’è che di fatto viene falsificato!), ecc.

Per quanto riguarda il versante dei dati sperimentali, la sicurezza di Q, il così detto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso Q non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili possono essere sostenute dallo stesso Q (Quine). (Leggere anche sul blog “La Teoria, La Realtà ed i limiti della conoscenza” del dott. Piero Pistoia).

Svariati percorsi razionali fanno attrito con il mondo!

Non c’è un solo punto da cui guardare il cosmo!

Quando ci sentiamo sicuri di un fatto è il momento di cambiare il punto di vista!

dott. Piero Pistoia

Testi consultati:

A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976

M. Pera ” Il mondo della scienza e noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

Vedere anche in questo blog “Insegnamento della Fisica“, parte IV e “Dalla “Scienza alla Narrazione” di P. Pistoia.

Piero Lavatelli “USIAMO LA TESTA”  intervista a J. Bruner, Inserto LIBRI

RIFLESSIONI SUL FARE POESIA, di Paolo di Stefano, Giorgio Albertazzi, Paolo Fidanzi, Piero Pistoia, Roberto Veracini ed altri; a cura di Piero Pistoia

PREMESSA

Come premessa al post proponiamo la lettura di uno scritto a nome di PAOLO DI STEFANO…dal titolo “La poesia a Scuola?…” riportato dal Corriere della sera  del 21-03-2018, nella rubrica Analisi&Commenti.

IL PIACERE DI STUDIARE
La poesia a scuola? Bisogna impararla a memoria

L’unica possibilità per amarla e capirla è leggerla, leggerla, leggerla. E continuare a leggerla e a farsela risuonare nell’orecchio a bassa o (meglio) ad alta voce
 di Paolo Di Stefano

Oggi è la Giornata mondiale della poesia e non ci si stancherà mai di ripetere che sarebbe un incomparabile servizio non alla poesia ma all’intelligenza e persino alla felicità dei ragazzi (e poi degli adulti) tornare, nella scuola, a imparare a memoria i versi dei grandi poeti. Può sembrare un paradosso parlare di felicità in relazione a uno sforzo mnemonico, ma solo chi l’ha praticato può assicurarne la riuscita, come chi ha compiuto una scarpinata in montagna può garantire sul piacere fisico e mentale che se ne ricava. Più si approfondisce la poesia e più si capisce che è inutile e spesso nocivo fare grandi discorsi sulla poesia: l’unica possibilità per amarla e capirla è leggerla, leggerla, leggerla. E continuare a leggerla e a farsela risuonare nell’orecchio a bassa o (meglio) ad alta voce.
Provate: «Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto, / ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, frusci di serpi». Farsi belli (dentro e fuori) di quei versi, di quel ritmo, di quei suoni, di quella sintassi. Assaporare incredibili connessioni di senso, improbabili giri di frase e parole finalmente estranee al lessico quotidiano, e dopo averle assaporate e masticate, ingerirle, farle proprie, farsele girare in testa, dimenticarle o pensare di averle dimenticate per vedersele o sentirsele inaspettatamente affiorare a distanza di anni dal dentista, in sala d’attesa, in dormiveglia o in coda sull’autostrada. Quando mai si pronunceranno più nella vita parole, semplici ma non usuali, come «meriggiare», «rovente», «sterpi», «schiocchi»… Quando capiterà di pensare «né più mai…» al posto del solito, trito «mai più». La poesia a memoria è un regalo musicale per la vita che la scuola dovrebbe imporsi di elargire generosamente ai suoi ragazzi. Sperando che la Giornata mondiale della poesia a scuola non celebri le schede didattiche e la parafrasi. Né più mai…

________________

In riferimento allo scritto di Paolo di Stefano, leggere anche il post “Elogio della Ragione”.

 

UNA BREVE RIFLESSIONE SULLA POESIA

di Giorgio Albertazzi

Ho chiesto spesso ai poeti perché scrivono versi, l’ho chiesto a Neruda ad Eliot, l’ho chiesto a Caldarelli, a Montale, a Gatto, a Luzi, che cos’è la poesia? Rispondono soltanto i poeti/critici o i poeti/letterati, parlando di ‘composizione’, di anapesti e spondei; i veri poeti non rispondono, si stringono nelle spalle sorridono, dicono tutt’al più una sola parola:”un ritmo…”.

Già perché il poeta è sempre selvaggio, ossessionato, ubriaco di vita e di morte; ma potrebbe essere allora semplicemente una possibile definizione romantica di “arte”, diciamo che la poesia è “insurrezione”, è connotazione di altro che la lingua di versi triti e pieni di decoro di molti decorosi poeti.

Partiamo quindi da Pound, come dice Sandburg. Perché si scrivono versi e si cantano nelle rivoluzioni e nelle ansie d’amore e di morte, che cosa sia quell’aurea che subito emana e prorompe dalla poesia autentica, quel magma, quel logos spermaticos. E dire versi con accenti giusti ed errati insieme, ma soprattutto cantare il ritmo, che viene prima del verso, eccetera.

Non è necessario capire, ma sentire sì: sentire è “provare” come diceva Benassi, il quale senza capire esprimeva il sound di “tutti i figli di Dio hanno le ali” come nessuno. E’ forse morta la poesia? E se è viva cerchiamola e cerchiamola ancora e diventeremo più belli e forse meno opachi. Niente vale di più di un verso di Penna o di Saffo in un certo momento della nostra vita.

Giorgio Albertazzi

ALCUNE BREVI RIFLESSIONI SUL FARE POESIA

di Piero Pistoia

CHE COS’E’ LA POESIA 

a cura di Paolo Fidanzi

A PROPOSITO DI POESIA

dott. Paolo Fidanzi

IL FERITO

di Roberto Veracini

(Un’idea della poesia)
Penso che tutti i poeti, finché tali, siano sempre in crisi
(E. Montale)

Il poeta è sempre ferito, si nutre della sua ferita, che non si rimargina
perché è la ferita del mondo: vive e rappresenta questa condizione fino in fondo e lo fa con gli strumenti che gli sono propri, i versi.

Per questo il poeta è anche il narciso, perché il peso di questa condizione è estremo e la ferita ha bisogno di incensi (veri o falsi) per essere sopportabile.

Ma il poeta è anche il disperato, quando la ferita si rivela insanabile e l’incenso svanisce, mostrando gli aspetti cupi e irrimediabili della realtà, la futilità delle cose e quindi dell’arte, che non basta più.

Il poeta è il sopravvissuto quando riscopre dalle macerie un segno ancora dell’esistenza e se lo porta con sé per sempre, perché tutto è ancora possibile, sempre.

Il poeta è il solitario del tempo, che riconosce e da cui è riconosciuto, ma tutto questo non appare, perché scoprire è meglio che far vedere, e il poeta vive del suo stupore e del modo in cui riesce a farlo sentire.

E comunque il poeta resta il ferito, cercato e abbandonato, osannato e deriso, e la sua ferita è il mondo, che rappresenta ma non sa capire, perché il poeta ha in sé l’orizzonte intero e il suo limite. Non necessariamente in quest’ordine.

Roberto Veracini

LA POESIA PER JOHN KEATS

La poesia dovrebbe suscitare meraviglia per un delicato e sottile eccesso e non per una singolarità, cioè colpire il lettore come una parafrasi dei suoi più alti pensieri, sembrando quasi reminescenza.

Come a dire (Piero Pistoia), la poesia risulta gradevole ad ognuno quando è conforme a ciò che abbiamo intuito o potremo intuire, non quando smentisce tutte le attese!

RIFLESSIONI SULLA POESIA: IL POETA E’ UN DEFICIENTE (COME SPESSO SI VUOL FAR CREDERE) O UN VEGGENTE (COME SPESSO, SUO MALGRADO, SI TROVA AD ESSERE)? Dott. prof. Roberto Veracini

Caro Piero, ti invio queste riflessioni sulla poesia: il poeta è un deficiente (come spesso si vuol far credere) o un veggente (come spesso, suo malgrado, si trova ad essere)?

Un abbraccio, Roberto

 I POETI GUARDANO LONTANO

(Poesia e vita)

 I poeti sono sempre fuori tempo, ma sono nel tempo più di chiunque altro.

I poeti guardano lontano, spesso sono in qualche modo “veggenti”. Pensiamo soltanto a Pierpaolo Pasolini e alla sua visione del mondo di quarant’anni fa: c’era già tutta la nostra orrenda realtà di oggi e la fine delle speranze per una società migliore (“Io non ho più speranze”, diceva in una delle sue ultime interviste).

Eppure c’è sempre qualcuno che tira fuori un sorrisetto da paziente conoscitore del mondo e sentenzia “E’ un poeta”, come fosse un povero visionario o un eterno bambino, incapace di capire la realtà; ma spesso i poeti sono molto più realisti di quanto si pensi, perché i poeti guardano più lontano…

Il poeta è forse solo “un piccolo fanciullo che piange” (come dice, provocatoriamente, il giovanissimo Sergio Corazzini nei primi anni del Novecento, utilizzando un diffuso luogo comune, nella sua “Desolazione del povero poeta sentimentale”)? Ma quel “pianto”, quel sentimento è qualcosa di universale, è il “sentimento del mondo” (secondo il poeta brasiliano Drummond de Andrade: “Ho soltanto due mani/ e il sentimento del mondo”) e quando arriva non c’è sorrisino che tenga, si entra dentro un altro mondo, si sviscerano le cose e il tempo, ci si avvicina – forse solo per un attimo – alla “verità che giace al fondo” (come scrive Umberto Saba), si scava come un minatore (secondo la metafora di un altro grandissimo poeta, Giorgio Caproni) cercando sempre quel “quid” che rivela le cose, che rende un verso universale e non soltanto (o semplicemente) il povero pianto di un bambino che soffre…La poesia è qualcosa che va inevitabilmente oltre la banalità e proprio per questo spesso si cerca di banalizzarla, di creare il luogo comune del poeta fuori dal mondo, pazzo o infantile, il poeta inutilmente affranto per i suoi problemi irrisolti.

No. Il poeta prende su di sè il peso del mondo,  ne fa un fardello di immagini, percezioni, nostalgie, ricordi, utopie…il poeta è sovversivo in questo, perché usa un linguaggio diverso, apparentemente poco comprensibile, perché si rivolge direttamente alle emozioni, salta un passaggio, quello cognitivo,  che può rallentare le sue intuizioni, la sua capacità di cogliere l’attimo…Una poesia è un’avventura dove si sa quando e da dove si parte, ma non quando e dove si arriva (come dice Giovanni Giudici). E’ un’avventura ai confini del mondo reale, dove proprio il confine è la zona necessaria per cercare di avvicinarci all’inconoscibile, ciò che sta dietro le cose e le rivela, sorprendentemente. Fare poesia  è vivere oltre, abitare quel confine che non pacifica, vivere ai margini di ogni retorica, di ogni banale accettazione di verità  consolidate e assolute. Quello che si trova, con la poesia, è sempre il dubbio, la sola certezza possibile,  che però permette di avvicinarci ad una ipotetica, nascosta verità forse più di qualunque altra cosa.

 

                                                                                                                                                                                                                                                                    Roberto Veracini

 

Un’isola letteraria in una scuola tecnica: dieci anni di laboratorio di scrittura creativa all’ Istituto Tecnico “Niccolini” di Volterra del prof. Roberto Veracini

Dieci anni fa avevo voglia di uscire un po’ dagli schemi rigidi della scuola (soprattutto una scuola di indirizzo tecnico), sfruttando le possibilità che la mia materia d’insegnamento (letteratura italiana) mi forniva. Ho cominciato così a coinvolgere alcuni studenti  nello studio di autori contemporanei o alla riscoperta di autori del passato, partendo dalle emozioni che questi  riuscivano a trasmettere oggi a dei ragazzi. Insomma, gli studenti – con il mio aiuto – avrebbero dovuto buttarsi nel mare infinito della scrittura, cercando di cogliere quello che gli serviva, lasciandosi prendere da quello che succedeva; e poi sarebbe arrivato il momento della loro scrittura, avrebbero scoperto il piacere di scrivere, il piacere di un’altra dimensione in cui, se necessario, naufragare…

Nel corso degli anni ho conosciuto studenti  timidi o temerari, introversi o visionari che, con sacrificio (talvolta restando a scuola più del dovuto, pur essendo spesso pendolari), hanno saputo prendersi  il loro tempo, guardarlo con altri occhi, attraversare il mondo con  la fantasia, la creatività, il sogno…

Questi ragazzi hanno lasciato un segno fondamentale nella mia storia di docente, il segno sicuramente più importante, perché ho riscoperto quella che è la parte migliore del mio lavoro : non insegnare, ma trasmettere la mia passione per la scrittura, non dare risposte, ma cercare nuove domande. E questo è, del resto, il compito di chiunque si occupi di cultura.

prof.  Roberto Veracini

I.T.C.G . Volterra

“DEVO STARE TRANQUILLO”, racconto di Roberto Veracini

Devo stare tranquillo

di Roberto Veracini

(racconto di un natale contemporaneo)

Sale sul tram, affollato di gente prenatalizia, piena di pacchi, ma senza sorrisi. Lui lo nota subito, dice buon Natale a tutti, tocca le persone, vuole attenzione…Guardali, guarda che facce, non gliene importa niente, è un momento difficile, eh? Senza babbo e senza mamma, eh? Con la mi’ sorella che è andata via, eh? M’hanno mandato in ferie, ma io cosa faccio, andrò un po’ a giro, eh? Devo stare tranquillo, eh? Se no poi il cervello non funziona, eh? E’ difficile, senza babbo e senza mamma, con la mi’ sorella che se n’è andata, col m i’ cognato malato, eh?…Avrà cinquant’anni e un berrettino da adolescente, il volto un po’ grasso e gli occhi spenti, con un sorriso tristissimo e le movenze lente, calmanti, forse…E’ un momento difficile, eh? M’hanno fatto firmare un foglio per le ferie, da domani…e io che faccio, eh? Mi metto a fare il cattivo, botte da orbi, eh? Quanti giorni sono, da oggi al 2 Gennaio, ce la posso fare, eh? Se no divento cattivo, botte da orbi, eh? …E sorride, con quel suo sorriso triste e assente, mi ha preso come punto di riferimento, in quell’ammucchiata di gente con pacchi, che lo guarda schifata, ceca di stare alla larga, ma non può più di tanto, perché non c’è altro posto, tocca sopportare il folle in ferie, abbandonato alle sue fisime, che ogni tanto dice buon Natale e poi ricomincia con il suo monologo, chiedendo attenzione, un assenso o un sorriso…Devo stare tranquillo, eh? Come ti chiami? Roberto? Devo stare tranquillo, Roberto, eh? Se no faccio il cattivo, botte da orbi, ma è meglio di no, eh? Meglio di no…Devo stare tranquillo, Roberto, eh? Tranquillo. Annuisco, gli sorrido. Tranquillo…Senza babbo e senza mamma, è dura, eh? Ma io devo stare tranquillo, eh? Quando scendi Roberto? Alla prossima? Scendiamo velocemente dal tram, ognuno con i suoi pacchi natalizi e le facce senza sorrisi. Sento ancora una voce da lontano…Buon Natale, Roberto, devo stare tranquillo? Si, tranquillo…Ciao Roberto, andrà tutto bene, eh? Tutto bene…Devo stare tranquillo, Roberto? Si, tranquillo, andrà tutto bene.

Roberto Veracini

 (Dicembre 2013)

“I SASSI MAMMELLONATI DI MONTEBUONO, Volterra, Pisa, Tuscany, Italy”: del dott. Giacomo Pettorali e del dott. Piero Pistoia, con molteplici interventi emotivi; con poesia di Roberto Veracini e uno scritto poetico di Marco Chiavistrelli; a cura di Piero Pistoia

Per vedere interamente questo post zibaldone (tranne le riflessioni estetico-letterarie-religiose da svariati punti di vista sui mammellonati e lo scritto ipotetico-didattico originale; vedere dopo), cliccare sotto:

MAMMELLONATI_post prova in pdf

Lo scritto di backgraund è il link “SASSI_MONTEBUONO (Volterra, Pi)” posto dopo gli scritti precedenti.

NB – Abbiamo dovuto modificare ed integrare, perché questo post  era stato ultimamente stravolto da fuori! Molte volte sono stati scaricati frammenti da esso, da interessati esterni!?

::::::::::::::::::::::::::::::::::::

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA :

piero-pistoia-curriculumok (#)

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

POST IN VIA DI COSTRUZIONE

POESIA DI ROBERTO VERACINI

scansione0005

FOTO DEL POGGIO DI MONTEBUONO
A destra del podere, nella macchia in alto, si vede una rottura di pendio (strapiombo di circa 70-80 metri) con parete arenacea quasi verticale dove sono inclusi mammellonati (vedere foto successiva), che termina  in un ‘percorso d’acqua’ fino al Forconale. Il fiume Cecina è coperto da una stretta striscia di cespuglieto dell’argine sinistro all’estremità inferiore della foto e scorre poco più in basso. Foto scattata da sotto le Macie, a mezza costa.

Fig.14'

FOTO DELLA PARTE ALTA DELLO STRAPIOMBO A MAMMELLONATI

CARTA GEOLOGICA DI MONTEBUONO

monte_buono_carta geol0002

 monte_buono_carta geol0001

Fig1

SE VUOI LEGGERE UNA SINTESI SUI MAMMELLONATI DI MONTEBUONO  clicca sotto:

MAMMELLONATI_sintesi4.pdf

 

montebuono_stereogramma0001

DSCN0203

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Fig.4

DSCN0066

Per visualizzare meglio le figure e foto, cliccaci sopra.

SE VUOI VEDERE LE OSSERVAZIONI AL MARGINE: clicca qui sotto

mammellonati_sagredo5.pdf       che sostituisce il file mammellonati_sagredo1.doc non corretto!

SE VUOI LEGGERE  L’ARTICOLO SUI MAMMELLONATI vers. semplificata in PDF clicca qui sotto:

MAMMELLONATI_DI_MONTEBUONO3

Il link successivo, nella nostra intenzione, tratta di una “ricostruzione” ipotetico-didattica a partire da tabula rasa relativamente allo “oggetto” in studio, cioè la prima ipotesi è che si debbano ignorare gli studi storici relativi a questo “oggetto” specifico per ricostruire ex-novo il processo.

Per noi è rilevante, per la Cultura e la Formazione Mentale nella didattica, il processo piuttosto che il raggiungimento dello obiettivo, il percorso piuttosto che la meta, perché argomentare criticamente, specialmente in ambiente complesso, oltre che aprire nuove vie fra i neuroni cerebrali, fortifica lo intuito  e la creatività.

Per leggere in pdf lo  scritto ipotetico-didattico originale, stranamente “svanito dal post” (così sembra!) ed ora, con fatica, reinserito il 25-04-2020, cliccare sul link:

SASSI MAMMELLONATI_MONTEBUONO (Volterra, PI)

N.B. – il giorno 26-04-2020 hanno iniziato a  scaricare anche quest’ultimo di nuovo!?

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

RIFLESSIONI EMOTIVO-ESTETICHE E INTERAZIONI SPIRITUALI-RELIGIOSE RELATIVE AI SASSI MAMMELLONATI DI MONTEBUONO, autori vari.

GHERARDINI_MAMMELLONATI

gherardini_mammellonati

FIDANZI_MAMMELLONATI

fidanzi_mammellonati

MARMELLI_MAMMELLONATI

marmelli_mammellonati

BRUNETTI_MAMMELLONATI

GIACOMO_BRUNETTI1

MAMMELLONATI_DI_MONTEBUONO_Susanna Trentini clicca su:

MAMMELLONATI_DI_MONTEBUONO_Susanna Trentini

STEFANIA RAGONI dirigente scolastico

stefania_ragoni in pdf

Ovvero leggere in doc:

 VEDERE” LA BELLEZZA DI UNA PIETRA E’ UN DONO

Dott.ssa Stefania Ragoni, Dirigente dell’Istituto Comprensivo di Pomarance

E’solo un sasso “. E’ un primo commento di qualcuno, forse di molti, comprensibile in un mondo in cui non tutti sono filosofi . O poeti.

Galileo, davanti a un sasso, aveva l’ardire di supporre che anche dietro quell’oggetto informe, si celassero le leggi universali della natura, svelando le quali si troverebbero i disegni di Dio. Così apriva la suggestiva terra di confine tra scienza e religione in cui anche oggi ci ritroviamo, più o meno schierati nell’uno o nell’altro campo.

Certo, è sconvolgente pensare che anche i sassi sono composti di molecole come noi, e che sono gli spazi intercellulari, i legami, a determinare, talvolta, le infinite forme di questo nostro universo, così ricco da togliere il fiato. E pensare che il sasso, questi sassi, c’erano molto prima di noi e saranno ancora lì quando di noi si sarà persa ogni traccia. Noi abbiamo il potere di forzarlo, di modificarlo, ma tra cent’anni lui sarà qui. E noi no.

E’ già stato pietra di una casa, muro di un campo o drenaggio di un oliveto e potrà esserlo ancora, cambiando sì, ma con una lentezza sconvolgente, terribile. Perché il suo tempo è un altro tempo : non è il nostro che è un soffio.

E, fra tanti, ci affascinano questi sassi di fiume, perché ritroviamo la dinamicità della vita, delle modifiche, del lento divenire che anche un sasso mostra, i segni del suo scontro quotidiano con l’altro elemento sacro: l’ acqua.

Non te lo sai spiegare, ma se ti fermi davanti a un sasso, come davanti all’acqua o al fuoco, ti perdi .

Non quesiti metafisici scaturiscono, ma il senso di una sacralità atavica che componeva di sassi i templi agli dei o i cerchi magici nei campi dove non streghe, ma antiche donne “ sagge “ cercavano la divinità dentro di loro, prima che il Cristo lo confermasse che è vero, Dio è anche dentro di noi.

E pensi che proprio una pietra il Cristo ha indicato a simbolo della Sua Chiesa : richiamandoci a un tempo infinitamente più grande del nostro, di noi cellule di Divino i cui legami sono altrettanto invisibili di quelli di un sasso, ma misteriosamente belli .

E attraverso il dono di “ vedere “ la bellezza di una pietra, scopri l’altro elemento divino del creato :

l’ unicità. Ogni sasso è di diversa bellezza, ha una sua forma, le sue esperienze, la sua storia. E’come noi : bello, unico, irripetibile.

Non so cosa abbia mosso Piero, come alcuni di noi, a raccogliere sassi, a circondare di sassi la propria casa e la propria vita .

Quello che so è che i raccoglitori di sassi sono esseri particolari.

Raccoglitori di forme dell’ armonia dell’ universo. Alla ricerca continua di risposte. Di “ quelle “.

Giugno 2006

Stefania Ragoni

VERTAX_MAMMELLONATI

vertax_mammellonati

STEFANINI_MAMMELLONATI

stefanini_mammellonati1

MChiavistrelli_AI SASSI NOSTRI FRATELLI.odt

MChiavistrelli_AI SASSI NOSTRI FRATELLI.pdf

.