“ADDIO KEFIAH, viva il fucile delle combattenti curde” e “CURDI. Quel fascino del combattente che offusca le bandiere arcobaleno”; scritti di Umberto Giovannangeli con poesia di F. Mancinelli , ‘Iniziativa’ per i Curdi a Pontedera e “Un pressante interrogativo”; a cura di Piero Pistoia e Grabriella Scarciglia

POST in via di costruzione…e forse temporaneo!

KEFIAH è un copricapo patriottico dei Palestinesi

QUALCHE IDEA DI POLITICA CULTURALE SULLA CRONACA RELATIVA AL MEDIO ORIENTE CALDO: scritti ripresi da newsletter di Ytali.com in parte rivisitati e riorganizzati; come da  e-mail ricevuta il 23 ottobre 2019.

Political Map of the Middle East And Asia Isolated On White.

Inseriamo la mappa fisica….porzione ripresa da Atlante Geografico De Agostini 2006

I confini riportati sulla carta fisica si riferiscono al 2006; data la ‘turbolenza’ di questa zona, oggi possono essere leggermente diversi e comunque in continuo cambiamento

Per leggere lo scritto di Giovannangeli, “ADDIO KEFIAH, viva…”,  cliccare sul link seguente:

COMBATTENTI CURDI

Umberto De Giovannangeli, da inviato speciale ha seguito per l’Unità gli eventi in Medio Oriente negli ultimi trent’anni. Collaboratore di Limes, è autore di diversi saggi, tra i quali “L’enigma Netanyahu”, “Hamas: pace o guerra”, “Al Qaeda e dintorni”, “L’89 arabo”, e “ Medio Oriente in fiamme”. Ha un blog sull’Huffington Post

Una poesia di Franca Mancinelli

UN COLPO DI FUCILE

un colpo di fucile
e torni a respirare. Muso a terra,
senza sangue sparso.
Cose guardate con la coda
di un occhio che frana
mentre l’altro è già sommerso, e tutto
si allontana. Gli alberi
si piegano su un fianco
perdono la voce in ogni foglia
che impara dagli uccelli
e per pochi istanti vola.

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Gli amici dei Curdi? Le montagne e la Rojava è in pianura.

Le fotografie ritraggono Viyan Antar, combattente delle YPJ, diventata simbolo dell’impegno delle donne nel Rojava e caduta in combattimento nel conflitto contro l’ISIS.

Curdi. Quel fascino del combattente che offusca le bandiere arcobaleno

Sentirsi parte di un popolo coraggioso, tradito da tutti. Condividerne le ragioni, lo spirito, il sacrificio. Ed essere disposti a pagarne il prezzo più alto: quello della vita. È la fascinazione delle nuove “Brigate internazionali” combattenti nella regione del Rojava.
scritto da UMBERTO DE GIOVANNANGELI 17 Ottobre 2019
Le bandiere della pace spariscono. Per far posto a un mito che avanza: quello del combattente. Una storia che non nasce oggi, basta tornare ai tempi del mito del “Che”, ma che oggi si ripropone nel sostegno alla lotta dei curdi siriani. Un fenomeno minoritario, si dirà. Ma comunque significativo e in crescita. Sui social, nelle piazze… Sentirsi parte di un popolo coraggioso, tradito da tutti. Condividerne le ragioni, lo spirito, il sacrificio. Ed essere disposti a pagarne il prezzo più alto: quello della vita.

È la fascinazione delle nuove “Brigate internazionali” combattenti nella regione del Rojava, a fianco dei curdi. Senza memoria non c’è futuro. Era il 18 marzo quando la notizia della morte di Lorenzo Orsetti sconvolse l’Italia intera. L’anarchico fiorentino, 33 anni, si era arruolato con le truppe curde delle Unità di protezione dei popoli (YPG), impegnate nell’offensiva nell’est della Siria con le Forze siriane democratiche (FDS) e sostenute dalla coalizione a guida statunitense.

Lorenzo era stato ucciso nel corso di una battaglia a Baghuz, ultima roccaforte dello Stato Islamico in Siria prima della capitolazione finale. Di lì a qualche giorno infatti Daesh sarebbe stato sconfitto nel paese. Alessandro, Annalisa e Chiara Orsetti, familiari di Lorenzo, hanno scritto una lettera aperta:

Lorenzo, nostro figlio e fratello, è morto il 18 marzo 2019 in Rojava combattendo a fianco dei curdi e delle forze confederate della Siria contro l’ISIS e gli ultimi resti di califfato. La sua storia, la storia di un giovane che partendo da Rifredi aveva deciso di lasciare tutto, la sua città, casa, lavoro, famiglia, amici… per sostenere il popolo curdo in questa lotta ha emozionato molte persone. Vi scriviamo per chiedervi: volete abbandonare chi ha combattuto l’ISIS? Lorenzo è stato riconosciuto come un esempio di partigiano internazionalista e antifascista, che ha scelto da che parte stare e di schierarsi concretamente andando a combattere dove c’era bisogno di lottare per sradicare il fascismo che in quelle aree si stava affermando nelle forme dell’Isis e delle forze che lo sostengono. Attraverso la sua scelta di vita e la sua morte ha fatto conoscere a tanti la realtà che si sta costruendo nel Rojava, nella zona nord-est della Siria, dove la democrazia che nasce dal basso, fondata sul rispetto delle diversità sociali e culturali, per una parità reale tra uomo e donna, sulla autogestione, sulla economia sociale si sta affermando.
Non tutti forse lo sanno, questa realtà si chiama Confederalismo Democratico ed è un laboratorio sociale che nasce dalle idee di Ocalan, leader curdo del PKK imprigionato da 25 anni nelle prigioni turche, senza il minimo rispetto dei suoi diritti e delle sue garanzie. È un esempio di coesistenza tra i popoli e quindi porta pace e sicurezza in un’area sociale così instabile e travagliata, scossa da attentati, conflitti, stragi… Ora questa realtà, costruita col sangue di oltre 11.000 curdi e 36 volontari internazionali, è minacciata e potrebbe essere distrutta. L’esercito turco e i gruppi paramilitari che Erdogan sostiene nell’area – che non sono altro che un altro modo con cui l’ISIS prova a riproporsi – si stanno preparando ad attaccare il Rojava per eliminare la rivoluzione curda e tutto quello che rappresenta. Questa aggressione militare turca si può ancora fermare, se c’è una mobilitazione generale.
Vi chiediamo: se abbiamo pianto per Lorenzo riconoscendo la bellezza del suo gesto davvero non vogliamo fare nulla per impedire questa nuova guerra? Abbiamo ancora voglia di scendere in piazza, protestare, gridare il nostro sdegno e la nostra rabbia indicando i mandanti e le colpe, mostrando la nostra voglia di un mondo più giusto e umano? Il Comune di Firenze prenderà posizione? E la Regione Toscana?
Tutto serve per fermare questa aggressione e serve ora. Lorenzo ha combattuto a Afrin nel 2018, dove sono stati migliaia i morti causati dall’invasione turca: vogliamo continuare a sostenere Erdogan, l’esercito turco e l’Isis in questa guerra ingiusta fornendo armi con le nostre fabbriche e soldi dell’Unione Europea per non aprire il corridoio balcanico ai migranti?
Molti hanno pianto per Lorenzo-Orso Tekoser combattente colpiti dalla sua morte, ma ora potrebbe morire nuovamente e con lui tanti giovani curdi e altri popoli che vivono nel Rojava. Non facciamolo morire nuovamente, facendo morire gli ideali e la causa per la quale si è sacrificato. Lorenzo ci ha mostrato che nessuna causa è così lontana e così estranea alla nostra vita e che spesso è questione di scelte.

La morte di Lorenzo Orsetti aveva profondamente emozionato migliaia di persone anche per la capacità che il giovane ebbe di esorcizzarla con una lettera-testamento pubblicata dopo il decesso:

Ciao, se state leggendo questo messaggio significa che non sono più in questo mondo. [Lorenzo Orsetti continuava con parole di speranza e coraggio piene di ironia:] Be’, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così. Non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.

E ancora:

Quindi, nonostante la mia prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole. Serkeftin. Orso, Tekoser, Lorenzo.

Di queste brigate internazionali faceva parte anche Giovanni Francesco Asperti, 53 anni, originario di Ponteranica, alle porte di Bergamo, sposato e padre di due figli (13 anni il ragazzino, 14 la ragazzina). I miliziani curdi, sul loro sito, hanno reso noto che l’uomo, conosciuto con il nome di battaglia di Hiwa Bosco, è rimasto vittima di uno “sfortunato incidente mentre era in servizio a Derik”, il 7 dicembre 2018.

Sul sito della milizia, Unità per la protezione dei popoli (YPG), si spiegava che “Hiwa Bosco” era uno delle

centinaia di rivoluzionari che si erano uniti alla lotta contro l’Isis nella regione curda di Rojava e nel nord della Siria [e], durante tutta la sua vita nella lotta di liberazione, ha dato l’esempio di una vita rivoluzionaria.

Il sito pubblica anche la foto di Asperti.

Volontari da tutta Europa si sono uniti ai curdi nella lotta contro l’Isis a partire dal 2014. ytali.com ha provato a scavare nelle storie di alcuni di loro: storie diverse, età diverse, ma una comune ricerca di senso, di sentirsi parte di una comunità cosmopolita che abbraccia la causa del più debole.

Anna di Lews, Sussex, morta sotto un bombardamento turco

In questa scelta di campo, non c’è niente di religioso, tanto meno di “jihadista”. Combattono, certo, ma non hanno il profilo dei foreign fighter che hanno ingrossato le fila dell’ISIS. Non sono animati dall’odio, non intendono imporre uno stile di vita totalizzante, non sono alla ricerca di un riscatto sociale o in fuga da una vita di stenti ed emarginazione. Niente di tutto questo è presente nella vita di Asperti. L’orizzonte è quello della libertà.

La Brigata internazionale ha combattuto con le forze speciali curde sul fronte di Raqqa, dove si era specializzata in assalti notturni. Nell’estate del 2017 contava su una decina di volontari italiani. Fra loro c’era anche Claudio Locatelli, di Curno, in provincia di Bergamo, che ha espresso il suo “dolore dovuto a ogni combattente che ha scelto la via del campo”.

Una battaglia in cui, in questi anni, sono morti al fianco dei siriani e dei curdi decine di giovani europei. Insieme a Locatelli sono infatti altri 17, comprese due donne, gli italiani considerati in forze allo YPG.

Da un mese civili e miliziani curdi sono sotto attacco della Turchia e delle milizie islamiste sue alleate, il governo turco sta cercando di cancellare chi ha combattuto Daesh e lottato per una società egualitaria e antisessista, col suo esercito, il secondo della Nato, nostro alleato.

Così racconta all’Ansa quanto sta accadendo in Siria Gabar Carlo, nome di battaglia di un “combattente internazionalista” italiano. Gabar, come un monte del Kurdistan turco dove quarant’anni fa è cominciata la lotta di quel popolo, e Carlo per Carlo Giuliani: lui ha trent’anni, è di origini pugliesi, e la scorsa estate ha lasciato casa, lavoro e tutto il resto per unirsi come volontario combattente alle Unità di protezione del popolo, YPG, le milizie curdo-siriane in lotta contro l’ISIS e per la rivoluzione confederale del Rojava. Gabar è arrivato in Basur, Kurdistan iracheno, l’1 agosto 2017, per poi passare in Rojava due settimane dopo ed è tornato in Italia un mese fa.

Vorrei tornare dai miei compagni in Siria, ora però non è possibile. Ho portato la rivoluzione con me – dice – e voglio raccontarla per far sentire la voce di chi non ha voce.

In questo momento nelle YPG ci sono, secondo Gabar, cinque combattenti italiani, quattro uomini e una donna, sui fronti di Afrin, Deir Ez Zor e in Rojava. Gabar, invece, zaino in spalla e kalashnikov fra le braccia, era a Raqqa quando l’ex capitale dello Stato islamico è stata liberata.

Eravamo appostati di fronte all’ospedale – racconta – l’ultimo edificio nelle mani di Daesh, per trattare la liberazione dei civili ancora prigionieri.

Le forze siriane democratiche, SDF, hanno rispettato il cessate il fuoco – ricorda – gli uomini di Daesh no e dopo avere più volte mandato in fumo le trattative hanno lasciato andare gli ultimi civili, chiedendo di andare a sud, condizione che non è stata accettata. La notte fra il 13 e il 14 ottobre, l’ospedale è stato ripulito e Raqqa liberata.

Lì però si continua a morire per le mine – spiega – in strada e nelle abitazioni rimaste in piedi, dove i civili tornano e saltano in aria.

La prima volta che Gabar ha sentito parlare dei curdi era un bambino, nel 1998, quando il leader del PKK Öcalan era in Italia, lo aveva visto in tv, in uniforme militare.

Lo definivano terrorista, ma mio padre mi spiegava che era un partigiano e lottava per la liberazione del suo popolo.

Quella suggestione di bambino, anni dopo, si sarebbe trasformata in impegno concreto.

Durante l’assedio di Kobane ho capito che dovevo andare a guardare con i miei occhi la rivoluzione dei curdi, perché non riguarda solo loro.

L’obiettivo della costituzione di uno stato nazionale è stato superato da quello di confederalismo democratico, di autonomia e autogoverno dai paesi in cui i curdi vivono e convivono con altri popoli, arabi, assiri, siriani, turcomanni. Non si va lì solo per i curdi, sconfiggere i regimi è una lotta che riguarda tutti e ovunque.

Le donne, nel processo di riforma democratica, hanno un ruolo determinante.

Le unità di protezione del popolo, YPG, sono composte da uomini e donne che combattono e godono di grande autonomia, nella società e nel movimento. Nella società mediorientale, la centralità del ruolo della donna e la lotta al patriarcato sono davvero un fatto rivoluzionario.

La prima cosa che ti spiegano è che il fine della lotta è l’autodifesa del popolo, c’è un’etica alla base di ogni azione, nessuno va a combattere solo per uccidere, al primo posto c’è la sicurezza dei civili.

Fra i suoi ricordi c’è quello sul fronte di Deir Ez Zor, zona di pozzi petroliferi rimasti sotto il controllo di Daesh per giorni.

Il camioncino dei rifornimenti non poteva arrivare e scarseggiava tutto, ma quello che c’era si condivideva e con mezzo litro di tè si beveva in dieci, ora mi chiedo come fosse possibile e mi tornano in mente le parole di un compagno di Cipro, “quando tornerai a casa questo poco e questo sporco ti mancherà”, ed è vero.

Mi manca il senso di comunità, il fatto di entrare in villaggi dove i civili, disperati, ci davano tutto per sostenerci perché ti accorgi che ciascuno sente sulla propria pelle il dolore degli altri e c’è un rispetto inimmaginabile e nessun individualismo. È questo il senso della rivoluzione, di comunità e solidarietà, che ciascuno di noi porta con sé quando torna a casa.

Gabar traccia, infine, la differenza fra gli stranieri come lui che si uniscono alle YPG e i foreign fighter dell’ISIS.

Io non sono fuori legge per lo Stato italiano e le YPG non sono organizzazioni terroristiche; loro sono mossi dall’odio, sono pronti a uccidere e a morire per il risentimento, lo hanno dimostrato gli irriducibili di Raqqa, foreign fighter arroccati nell’ospedale fino alla fine e non per chissà quale principio o fede, molti di loro non hanno mai letto il Corano. Per loro combattere è uno strumento di rivalsa sociale, sono inebriati dal potere di ammazzare, stuprare, ed esaltati dalle droghe.

I volontari internazionalisti non combattono per soldi, nel modello di società e nel movimento curdo non servono per vivere, il necessario per il quotidiano ti viene dato.

Le YPG compiono operazioni di difesa e respingimento del nemico, di ricognizione e assalto per liberare porzioni di territorio; la guerra è per lo più tattica, non è azione continua, è fatta di noia e terrore.

Prima l’esperienza umanitaria, poi quella militare. A fianco dell’YPG contro l’ISIS. È la storia di Karim Franceschi, 29 anni, di Senigallia, padre italiano e madre marocchina, che ha combattuto più volte, senza aver avuto prima d’allora esperienze in campo militare. Ha imbracciato le armi nel 2015 come soldato semplice per liberare Kobane, dove si era addestrato per la prima volta, e nel 2016 come comandante, quando l’obiettivo era Raqqa, capitale del califfato nero. La sua storia di “combattente per la libertà” Karim l’ha raccontata in due libri: Il Combattente. Storia dell’italiano che ha difeso Kobane (BUR-Rizzoli) e il più recente Non morirò stanotte (Rizzoli), presentato nello spazio autogestito Arvultùra di Senigallia dove il combattente “Marcello” (era il suo nome di battaglia) ha passato diversi anni impegnato in attività culturali e solidali.

La mia esperienza militare è finita, non tornerò a combattere. Ora spetta alle popolazioni siriane e curde continuare a dare vita a quell’esperienza democratica per cui tante migliaia di persone hanno sacrificato la vita o tutti i propri averi.

In un’intervista, Karim, spiega il perché della sua scelta:

Perché guardavo questi uomini e donne che resistevano all’ISIS e mi riconoscevo nei loro valori. Nella loro causa ho trovato i valori della nostra democrazia, della Costituzione italiana, valori che ho ereditato da mio padre che è stato partigiano. Parlo dei valori della resistenza e della libertà.

I curdi, il popolo più grande al mondo senza uno stato. Repressi ma mai domi. Sono le milizie dell’YPG a essere accorse per prime a difesa dei yazidi sterminati dai nazi-islamisti dell’ISIS. Sono loro, i curdi in armi ad essersi opposti per primi all’avanzata dei miliziani di al-Baghdadi in Iraq e a condurre l’assedio alla “capitale” siriana del Califfato, Raqqa.

Nel nord della Siria, l’obiettivo è quello di “creare un sistema sociale autonomo”, come ha detto all’agenzia di stampa curda Firat Nesrin Abdullah, comandante dell’unità femminile delle YPG, che hanno portato avanti una dura lotta contro il Califfato.

Eppure, per il presidente della Turchia, restano il nemico principale, ancor più di Bashar al Assad. Un nemico da annientare, con o senza il via libera di Washington. E ciò che spaventa gli autocrati e i teocrati mediorientali non è la forza militare dei curdi (poca cosa rispetto all’esercito turco, il secondo dopo quello americano, quanto a dimensioni, in ambito Nato) ma la capacità attrattiva del modello politico e istituzionale che propugnano: un confederalismo democratico che ridefinisca in termini di autonomia (in particolare in Turchia e in Siria) gli stati centralistici ed etnocentrici. In un grande Medio Oriente segnato da una deriva integralista o da controrivoluzioni militari, il “modello curdo” va in controtendenza. Perché si ispira all’idea che più spaventa califfi, sultani, teocrati e generali: l’idea della democrazia. Un’idea per la quale vale ancora la pena battersi.

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In questa ottica, il 12-11-2019 a pag. 18 della La Nazione, abbiamo potuto leggere di una iniziativa a favore del popolo curdo da tempo travagliato e tradito, descritta nel trafiletto riportato sotto:

UN CALDO E PRESSANTE INTERROGATIVO RIVOLTO AI LETTORI DI QUESTO POST

Durante un intervento attuale della Croce Rossa Italiana insieme ad altre associazioni, come comunicato dalla televisione italiana (l’8-11-2019), è stato rimpatriato un ragazzino figlio di un genitore italiano e di una ragazza affiliata all’ISIS, uccisa in combattimento. Durante questa intervista gli ascoltatori hanno potuto scoprire che tale minore era internato in un grande campo di raccolta profughi dove erano attivi anche tre orfanotrofi con diverse centinaia di piccoli ospiti. Fu detto che l’interno di questo campo ospitava complessivamente 18000 (diciottomila) minori completamente soli in stato di forte disagio, forse con rischi probabili di diventare anche oggetti di tragici ed esecrabili eventi, per es., ora violati ora diventati ‘magazzini’ di organi per trapianti… e, nel migliore dei casi, combattenti, almeno potrebbero essere in grado di potersi difendere, all’occasione, da queste aggressioni disumane. Per non parlare della non remota possibilità che questo campo venga bombardato!

La domanda che fu rivolta dal giornalista direttamente ad un personaggio importante  della Croce Rossa, appartenente alla squadra di salvataggio, fu quella che anche noi rivolgeremo ai lettori di questo post <<Ma per gli altri 18000 minori abbandonati a se stessi, in questo attuale e drammatico teatro di battaglia fra Turchi e Curdi, come si pensa di intervenire?>>. La risposta fu ‘fumosa’.  Secondo noi dovremmo invece tentare di  procedere rapidamente prima dell’irreparabile, secondo criteri dettati dalla Globalizzazione!….. e il problema non si risolve con interventi singoli, pur meritevoli.

NOTE SUL PRINCIPIO DI MACH, PROBLEMI APERTI; APPUNTI PER UNA RICERCA DIDATTICA O PER UNA BREVE LEZIONE INTRODUTTIVA; del Dott. Piero Pistoia

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

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NOTE enucleate dall’articolo del blog “IL TAO… Principio di Mach” per renderle più visibili.

NOTE SUL PRINCIPIO DI MACH: PROBLEMI APERTI

Appunti per una ricerca didattica o per una lezione introduttiva

A cura del dott. Piero Pistoia

Per leggere queste NOTE in pdf cliccare su:

MACH

 

PARLEREMO DI UN ESPERIMENTO DIDATTICO PER CONTROLLARE SE OGNI OGGETTO DELL’UNIVERSO POSSA AVERE LA STESSA MASSA GRAVITAZIONALE ED INERZIALE: rivisitazione, secondo il nostro intendimento, dell’esperimento condotto dall’accademico prof. Placido D’Agostino dell’università di Messina; a cura del dott. prof. Giorgio Cellai e dott. Piero Pistoia, ambedue di ruolo ordinario in fisica.

Articolo in via di costruzione….da modificare ampliare e correggere.

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA :

piero-pistoia-curriculumok (#)

 

Per leggere l’articolo in pdf cliccare sul link:

AGOSTINO_x4

Oppure continuare a leggerlo di seguito.

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PROLOGO

capire non sanno

come.

discorde in sè, si accordi…

corda d’arco e di lira,

che agli opposti si tende

in armonia.

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PREMESSA PER IL CALCOLO DELLA MASSA INERZIALE

Il concetto di massa inerziale ‘gioca’ sui palcoscenici dove si sprigionano cambiamenti di velocità fra oggetti, in particolare in teatri dove avvengono urti, quasi che gli oggetti dell’Universo posseggano intrinseche proprietà di opporsi a questi cambiamenti. Per altri ricercatori (Mach, Einstein) il concetto di inerzia acquista significati diversi. Per noi, che vogliamo studiare e quantificare questo concetto, sarà invece necessario guardare in questi ambiti, dove masse interagenti scambiano fra loro energie e velocità, onde fare le nostre osservazioni utilizzando opportuni linguaggi.  Utilizzeremo così processi che coinvolgono variazioni di quantità di moto  e di energie cinetiche.

Interessante è rivisitare, usando la mente, come in qualche modo tentava di fare Semplicio nel contraddittorio con i colleghi di dialogo (Galileo e Sagredo ovvero Salviati), precisandone alcuni aspetti, l’esperimento proposto dal prof. Placido D’Agostino, dell’Istituto di Fisica dell’Università di Messina, pubblicato nella rivista “La fisica nella scuola”, ottobre-dicembre del lontano 1982, usando una apparecchiatura  di maggiore precisione (rotaia a cuscinetto d’aria), rispetto a quelle, al tempo, secondo noi, statisticamente usate più spesso, in dotazione dei laboratori della Scuola Superiore, con utilizzo anche di un cronometro che aveva al max  la precisione solo di un centesimo di secondo, dotato di  interruttori a contatto spostabili lungo la rotaia.

Ad uno degli scriventi, cercando di riordinare alla meglio studio, tappezzato, pavimento e pareti, di miriadi di libri e riviste aperti, migliaia di fotocopie in parte spillate o incollate in enormi blocchi, fogli di appunti e di aforismi (fra cui spiccava “L’ORDINE E’ LA VIRTU’ DEI MEDIOCRI”)…, gli è capitato in mano una rivistina, aperta alla pagina 143, dove  in alto a destra appariva la scritta DIDATTICA ed a sinistra PLACIDO D’AGOSTINO Istituto di Fisica dell’Università Messina” e sotto un titolo interessante in neretto “L’urto elastico usato come verifica dell’uguaglianza fra massa gravitazionale e massa inerzia; nella pagina successiva appariva in alto in caratteri piccoli il titolo ed il numero della rivista “La fisica nella Scuola,XV, 4” e a destra una tabella con valori di misure  di grandezze con errori assoluti certamente piccoli: nulli addirittura sui rapporti fra masse gravitazionali, circa 1 millimetro sugli intervalli di spazio e sugli intervalli corrispondenti di tempo errori fino al millesimo di secondo, da destare meraviglia a fronte dei ricordi che aveva relativi a misure fatte quando era docente di Fisica e Laboratorio al biennio  dell’ITI, un Istituto Tecnico di una provincia lontana da una città media.

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Per leggere direttamente l’articolo dell’accademico P. D’Agostino in pdf, cliccare sul link:

AGOSTINO0001

(E’ consentita la riproduzione fotostatica delle pagine della rivista)

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In particolare, in una prima veloce lettura, ci ha colpito il risultato finale rappresentato dalla media delle differenze fra i rapporti  fra massa gravitazione e quelli fra massa inerziale, infatti  per questa media di tali differenze  riportata era 5.512*10^(-4), con errore assoluto sulla quarta cifra significativa, errore relativo  (0,001/5.512); percentuale 0.018% ! Su tale risultato l’autore afferma : <<Data la natura prettamente didattica e dimostrativa di questa esperienza, i risultati ottenuti si ritengono soddisfacenti>>. Comunque se  ci farà voglia proveremo a ricalcolarlo.

Chi vuol vedere come si calcola direttamente dalla scrittura di una misura il suo errore percentuale, cliccare sul link:  dagostino0001

Il dott. prof. Giorgio Cellai, docente di ruolo in fisica al Liceo Scientifico, contribuisce con una argomentazione critica sul calcolo degli errori  nell’articolo in oggetto, e sulla loro interpretazione.

Vedere di seguito il link:

Contributo Cellai OK

 

Interessante confrontare l’errore direttamente  “ricavato dalla scrittura” della misura della media delle differenze fra rapporti delle due masse, con l’argomentazione accennata da Cellai su tale valore.

ALCUNI PASSAGGI IMPLICITI DA RENDERE TRASPARENTI AL LETTORE MEDIO

Non esiste nell’articolo alcuna descrizione né disegno della apparecchiatura, né come si ponga il cronometro digitale ad alta precisione con relativi contatti mobili per on/stop; ci si limita a dire, almeno così ho capito, che si tratta di una rotaia ad aria per rendere minimi gli attriti, che saranno usate per le varie prove, come si ricava dalla tabella, 10 coppie di oggetti già tarati a corredo dell’apparecchiatura, di massa m1 e m2 variabile, i cui valori formino rapporti che cambiano da 1.2 a 5.0 (vedere tabella). Per le masse dei due oggetti si precisa che m1<m2, e che, mentre l’oggetto m1 si muove di moto rettilineo uniforme con velocità U1 nota, quello m2 è posto, ad ogni prova, fermo in un punto della rotaia tale che: <<…dopo l’urto, le due masse m1 e m2 (i due oggetti di massa m1 e m2) raggiungono (raggiungano) le estremità della rotaia nello stesso tempo>>. Credo che si voglia dire che ad ogni prova con rapporti di massa diversi il contatto-interruttore on venga attivato all’istante dell’urto, mentre, in qualche modo, il contatto stop verrebbe attivato quando i due oggetti di massa m1 con velocità -V1 e m2 con V2 maggiore, toccheranno rispettivamente, per es. l’estremo S1 a sinistra e l’altro l’estremo a destra, nello stesso istante. Ciò implicherebbe che prima di ognuna delle 10 prove con masse diverse, cambiando rapporto fra le masse. dovremmo sapere già dove poggiare sulla rotaia l’oggetto di massa2 ?

Comunque con le precedenti semplificazioni possiamo scrivere, anche noi:

S1=-V1*t  ed  S2=V2*t     e dividendo membra a membro:     S1/S2 = -V1/V2

Considerando che un segmento lungo L=230 cm rappresenti la lunghezza della rotaia orizzontale, con un verso a destra. Dopo l’urto l’oggetto m1, che proviene da sinistra, si muoverà verso sinistra rimbalzando con velocità -V1 e quello m2, verso destra con velocità V2 minore (m1<m2), e per ogni rapporto, in tutti i casi, a partire da un dato punto  segnato su L più vicino all’estremo destro, i due oggetti raggiungeranno gli estremi della rotaia nello stesso istante.

|———————–x————–*——-(L- x)—-|

—————>

t=x/V1; t=(L-x)/V2 —->x/V1=(L-x)/V2—->V2*x = V1*(L-x)—->V2*x = V1*L-V1*x

x =V1*L/(V2+V1)

Nell’esperimento, sembrerebbe che la diretta proporzionalità fra spazio e velocità e la costanza della quantità di moto scelta prima dell’urto (m1*U1), in tutte le prove, potessero essere la causa dell’uguaglianza di tutte le coppie dei tempi (da approfondire).

Per posizionare m2 è necessario misurare x in anticipo, quindi conoscere L e le due velocità V1 e V2. Si dimostrerà, come segue, che le due velocità sono funzioni delle due masse e della velocità di spinta U1, grandezze già conosciute all’inizio di ogni prova (processo discutibile, vedere dopo)

Applicando i principi della conservazione della quantità di moto e dell’energia cinetica al nostro caso di urto elastico possiamo ricavare V1 e V2 in funzione delle due velocità, della velocità iniziale e di m1 ed m2. Proviamo a risolvere prima il caso più generale con due velocità iniziali U1 e U2 (velocità iniziale di m2) fino ad un certo punto; poi, come vedremo, dalle due equazioni trovate eliminiamo U2 continuando fino al calcolo di V1 e V2 nello specifico nostro caso!

 

CASO TEORICO PIU’ GENERALE DI URTO ELASTICO NEL QUALE ANCHE U2  SIA DIVERSA DA ZERO

Ora, trattiamo in teoria il caso che, nelle stesse condizioni precedenti, anche la m2 abbia una velocità prima dell’urto, che chiamiamo U2. Otterremo poi la misura degli spazi percorsi nel caso semplificato, azzerando, nelle formule ottenute, U2=0. Il calcolo degli spazi S1 ed S2  è importante perché, in tempi uguali, S1/S2=-V1/V2 e nello studio dell’urto elastico le velocità di rimbalzo, V1 e V2, sono legate alle masse inerziali ed alle velocità iniziali.

Due oggetti di massa diversa m1 ed m2 con velocità U1 e U2 costanti prima dell’urto si scontrano lungo una triettoria rettilinea. Devo trovare V1 e V2 dopo l’urto. Si tratta di due incognite quindi dovrò usare due equazioni. Userò il teorema della conservazione della quantità di moto ed il teorema del conservazione dell’energia cinetica.

Prima equazione → m1U1+ m2U2 = m1V1+ m2V2 *

Seconda equazione → 1/2m1U1^2 + ½ m2U2^2 =1/2m1V1^2+1/2m2V2^2

Rielaboro le due equazioni: tolgo intanto ½ da ogni termine della seconda; porto i termini con m1 sulla sinistra e quelli con m2 sulla destra raccogliendo i due fattori.

Prima equazione → m1(U1-V1) = m2(V2-U2)

Seconda equazione → m1(U1^2-U1^2) =m2(V2^2-U2^2)

Semplifico membro a membro:

U1+V1 =U2 + V2

Con questa equazione e con quella con l’asterisco imposto un sistema a due incognite da cui ricavo le due velocità incognite del rimbalzo elastico

U1 + V1= U2 + V2

m1U1+ m2U2 = m1V1+ m2V2

CASO DELL’ ESPERIMENTO IN OGGETTO

Nel caso del nostro esperimento U2=0, per cui le due equazioni del sistema diventano:

U1 + V1= V2

m1U1 = m1V1+ m2V2

Prima sostituzione

Ricavo dalla prima: V2=U1+V1 e la sostituisco nella seconda:

m1U1 = m1V1+m2U1+m2V1 porto ora nel primo membro il termine con U1 e raccolgo a fattor comune U1 e V1 ottenendo:

U1(m1-m2) = V1(m1+m2) da cui ricavo la prima incognita V1, mentre U1, velocità iniziale di m1, era stata misurata uguale per tutti rapporti U1=(13.7+/-0.3) cm/s) prima.

V1 = (m1-m2)*U1/(m1+m2) (1)  

Seconda Sostituzione

Ricavo ora sempre dalla prima: V1=V2-U1 e la sostituisco nella seconda:

m1U1 = m1(V2-U1)+m2V2; cioè: m1U1 = m1V2-m1U1+m2V2

U1(m1+m1) = V2(m1+m2) di qui si ricava la seconda incognita V2

V2 = 2m1*U1/(m1+m2) (2)

All’inizio di ognuna delle 10 prove sembrerebbe di sapere ora piazzare l’oggetto di massa m2 in un punto della rotaia opportuno (individuato da x), avendo calcolato V1 e V2 e avendo misurato da prima U1, la velocità con cui si crea l’urto!

In effetti sorge il dubbio, anche se le due velocità sono state ricavate sul piano teorico, sulla sostenibilità di questa misura di x, perché di fatto le masse sono in questo caso le inerziali, sotto misura, per cui può essere che l’ ipotesi più plausibile (Cellai), per porre m2 in un punto della rotaia, sia procedere ‘per tentativi ed errori’, operazione praticabile sulla nostra apparecchiatura, anche se forse a maggiore entropia. A questo punto si dovrebbe ‘ripulire’ lo scritto da questo ipotetico giro vizioso, prima di proporlo al pubblico? Ma noi, nel dubbio non lo faremo! Praticamente è assente sull’articolo di prof. D’Agostino la sua opinione.

Si potrebbe anche pensare che si possa dimostrare il seguente teorema: se x funziona, allora i due tipi di massa saranno uguali. Cioè attribuendo  per ipotesi ad m1 ed m2 inerziali lo stesso valore delle masse gravitazionali corrispondenti, se i due mobili raggiungessero contemporaneamente gli estremi della rotaia, allora verrebbe confermata l’ipotesi stessa. Sarebbe da approfondire e da provare.

D’altra parte è in questa ottica che epistemologi come Antiseri, Medawar ed altri hanno accusato l’articolo scientifico di “frode”. Nel senso che l’articolo scientifico che si legge non fa riferimento al ‘travaglio’ (nel senso della maieutica socratica) della sua costruzione (come anche esemplificato, almeno nel nostro intendimento nel post di questo blog richiamabile con “strani coni”); prima di presentarlo  esso viene infatti ripulito e appianato, eliminando i vari sbagli, i ritorni e i punti interrogativi.

Comunque sbagliare e correggersi spesso sono artifici rilevanti dell’apprendimento!

Per arrivare poi alla espressione che lega il rapporto delle due masse inerziali al rapporto degli spazi (S1/S2), il percorso è banale (si fa il rapporto V1/V2 e si uguaglia a -S1/S2, ricavando poi m1/m2).

m1/m2 = 2S1/S2 + 1

Vedere i passaggi nel link:………………DAGOSTINI10001

 

EPILOGO

Comunque, nel complesso, ci è sembrato un lavoro che ha richiesto un numero esorbitante di prove sperimentali; se abbiamo ben capito almeno 500! (+ altre 10 per il calcolo delle differenze dei rapporti fra masse gravitazionali ed inerziali per fornire il risultato finale: 5.512*10^-4). Si tratta certamente di un corposo lavoro, molto impegnativo e degno di rispetto che, “costretto” in due paginette, non poteva che diventare, almeno per alcuni aspetti, implicito e forse anche po’ criptico (mancanza del disegno della apparecchiatura sperimentale, del calcolo esplicito degli errori, esplicitazione dei percorsi…), a danno della trasparenza per una lettura semplice nelle classi; ma, secondo noi, proprio per queste caratteristiche diventa stimolo alla curiosità, al dibattito ed alla argomentazione critica sui contenuti, aspetti non secondari per l’apprendimento e l’auto-aggiornamento. Non è forse vero che è proprio per questi aspetti che noi abbiamo potuto leggerlo e commentarlo, forse con più attenzione di altri, pur lontano dalla nostra epoca? In conclusione ci auguriamo allora che questa nostra rivisitazione possa servire a stimolare studenti e insegnanti di oggi a ricercare questo lontano, ma ancora rilevante ed attuale, articolo per leggerlo con attenzione (e se possibile, criticarlo) con le loro argomentazioni critiche più ‘affilate’; è così che la conoscenza diventa biologia! Noi, nel leggere questo articolo della Fisica nella Scuola, abbiamo rinverdito un ‘sacco’ di conoscenze!

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Se, in questo blog, da CERCA battiamo il tag “massa gravitazionale ed inerziale“, possiamo leggere altri quattro posts che parlano di queste rilevanti e problematiche grandezze fisiche.

 

BREVI RIFLESSIONI PERSONALI, FUORI DALLE RIGHE, SULLA ‘BUONA SCUOLA’, CONTROLLA IL CONTO ED ALTRO, dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA:

piero-pistoia-curriculumok (#)

 

IN AMBITI ‘INSEGNATIVI’, BREVI RIFLESSIONI CRITICHE E PRECISAZIONI PERSONALI FUORI DALLE RIGHE SU ‘CONTROLLA IL CONTO’, ‘DISCIPLINE E TECNO-RAGIONERIE’, ‘LA BUONA SCUOLA RIDEFINITA’  ED ALTRO
a cura dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia (vers. in divenire)

LE COMPETENZE DELLE TECNO-RAGIONERIE A FRONTE DELLE DISCIPLINE E DELLO SVILUPPO ONTOGENETICO DELLA MENTE

In particolare, comunque, i buoni scritti, sono sempre aperti a nuove congetture, a nuove argomentazioni, mai definitivi e …se falsificati anche meglio, come ci ha insegnato l’epistemologo K. Popper. Non si tratta di ‘oggetti assoluti’ appartenenti alla categoria della lectio magistralis  che, a ragione o a torto, oggi va di moda alla grande e i gruppi che la ‘sanno fare’ (spesso da sè se lo dicono!) si moltiplicano a dismisura.  Per quanto ci riguarda i nostri sono ‘oggetti in produzione’, in divenire (fieri), che procedono  su percorsi spesso tortuosi; meglio se il ‘macchinario’ per costruirli è una ‘comunità di cervelli’ in interazione, che procede ‘annusando sentieri’, scegliendo ‘percorsi’ e spesso tornando indietro. Comunità non necessariamente appartenenti alle categorie di eccellenza, spesso autoreferenti, ma solo menti ‘che non sanno’ (cioè ‘sanno di non sapere’), ma curiose di sapere e determinate ad acquisirlo in un atteggiamento di ricerca, in un trouble (‘in un travaglio’, come direbbe il grande Socrate nella sua Maieutica) di prove, tentativi ed errori, sorretti però da un einfunlung e da un background culturale più o meno rilevante onde formulare ipotesi, ‘incarnando’ la conoscenza in biologia!

Ecco, leggendo ancora della Buona Scuola, a taglio sempre più tecnologico-ragioneristico, sarebbe da riflettere più a lungo sul pensiero di Socrate relativo al responso dell’oracolo del dio di Delphi, Apollo,  alla domanda chi fosse il più grande sapiente della terra! Senza voler operare un forzato ‘transfer bruneriano’ (con transfer senza la t, come si legge nei testi di J. Bruner), vorremmo riportare però le parole di Socrate  estratte dal suo discorso nell’agorà di Atene nel 399 a.C. dopo la sua condanna a morte, che possono ‘suonare’ così <<Cittadini, svergognate e tormentate i miei figli se vi sembra che si preoccupino più dei soldi  e d’altro prima che delle virtù umane>>. Con cittadini, Socrate intendeva, politici, poeti, possessori di techné, che, con un po’ di fantasia, potrebbero corrispondere agli ideatori della Buona Scuola attiva ancora oggi!

A nostro avviso, ciò di cui parla Socrate, rivisitato oggi, con le sue virtù in riferimento all’oracolo del dio di Delphi, riguarda, forse, la ricerca, nell’attività pedagogica-educativa, di metodi (o multi-metodi) di conoscenza sul mondo naturale ed umano, focalizzati da una riflessione  storico-filosofica sulle singole discipline (strutture diciplinari), che riflettano, accompagnino e amplifichino lo sviluppo cerebrale dello studente che deve essere curato nel pensiero, nel comportamento e nei fatti (per Bruner, infatti, le strutture disciplinari riflettono le funzioni cerebrali della mente, “il logico riflette lo psicologico”). Di fatto questo processo si mantiene per buona parte del corso della vita, perché si continua infatti ad imparare per sempre, Bruner,  Montessori…, con le conseguenti modifiche cerebrali del fenotipo (nuovi collegamenti neurali fra cellule del cervello), come sembra affermare il Darwinismo Neurale del premio Nobel medico fisiologo Edelman, ed altri). Forzando le analogie, semplificando e osservando da ‘fuori’, ci piace pensare  che un buon software (un buon insegnamento-apprendimento durante la vita), possa modificare l’hardware (struttura cerebrale del fenotipo), riuscendo a creare un feedback a spirale virtuoso.

Infine, in questa ottica, se fosse vero quello che sembra afferma con forza l’accademico Emilio del Giudice, stimato fisico teorico da poco scomparso, cioè che il fenotipo sarebbe una Totalità,  un Uno, allora i vari enti che lo compongono vibrerebbero in risonanza, cioè sarebbero tutti in fase. Questo comporterebbe che una leggera modifica di fase in un certo punto (piccola zona) della struttura (per es., dove si modificano alcuni legami fra cellule cerebrali sotto l’impulso di cultura assimilata durante la vita), invierebbe messaggi, senza entrare nel merito delle ipotesi sul loro trasporto,  a tutti gli altri punti, che si attiverebbero di conseguenza, compreso quindi anche il genoma (potenzialità culturali che si trasmetteranno alle generazioni future?); forse un nuovo modo di vedere il concetto di epigenesi?  (processo di incarnazione della cultura nella biologia). Se si ipotizzasse un trasferimento attraverso onde elettromagnetiche, probabilmente tali segnali dovrebbero essere dotati di energia infinitesima o quasi, per la quasi infinita numerosità dei punti da colpire,  a meno che nei viventi fossero sufficienti anche segnali sotto l’errore per renderli operativi.

Solo gradatamente, ad un certo livello, si potrà iniziare a proporre le competenze relative alle tecno-ragionerie, inserite però armonicamente nei processi di formazione mentale (ma ciò oggi non accade quasi mai!) per creare poi i cittadini operativi del domani. Insomma, prima di tutto la formazione del cervello, seguendo tutti gli insegnamenti conosciuti della Psicologia (‘norme cerebrali’) e della Epistemologia (‘norme delle discipline’),  poi… la pratica delle carriere! Risalendo un ramo di iperbole, la Buona Scuola non è quella che si riduce alle mere visite (didattiche?), meglio se sempre più frequenti, delle fabbriche dei soldi! onde iniziare a costruire formiche ammaestrate alla loro produzione e a quella del capitale. Non è fuori luogo ricordare, a prescindere dalle motivazioni diverse, che solo ora un ministro dell’istruzione sta riflettendo criticamente sul senso dell’alternanza scuola-lavoro (intervista condotta da Gianna Fregonara riportata sul Corriere della sera, alla pagina Scuola, del 31-Agosto-2018).

Alla luce di queste argomentazioni, viene anche in mente per certi versi l’intervista sulla valutazione scolastica di Chiara Dino nel Corriere della sera  del 29-agosto-2018 dove si legge nelle risposte della docente intervistata che nell’ottica di una auspicabile collocazione professionale  quello che conta soprattutto è insegnare ai ragazzi a <<saper essere>> piuttosto che a <<saper fare>> e più avanti, sui test invalsi, si afferma che <<sono noti perché voluti da istituzioni commerciali e non educative>>

Un professore universitario durante un corso di aggiornamento ebbe a dire che non era necessario preparare gli alunni e fornire loro conoscenza come se tutti da grandi dovessero divenire ricercatori universitari. Noi non siamo mai stati d’accordo, a tutti dobbiamo fornire le basi per poterlo diventare! Lo stesso Bruner afferma che se nell’insegnare procediamo con il (o con un) metodo di un ricercatore di quella disciplina, certamente gli allievi apprenderanno nel modo migliore possibile, ottenendo un cittadino più consapevole, responsabile, pronto ai cambiamenti per adeguarsi anche alle tecno-ragionerie che fra l’altro mutano sempre più rapidamente.

Riassumendo, secondo noi, tutta la vicenda culturale che riguarda Socrate e il dio di Delphi  potrebbe così voler significare che le competenze tecnico-ragionieristiche di “politici, poeti e tecnici s.l.”, da tradurre in personaggi attuali, dovrebbero, riguardo alla maturazione ontogenetica del cervello (un processo essenziale per le ‘virtù socratiche’), avere una posizione di secondaria importanza nella nuova definizione di Buona Scuola, cosa che sembra oggi accadere sempre meno.

SULLA LEZIONE NELLA BUONA SCUOLA RIDEFINITA

In questa posizione riecheggiano le argomentazioni dell’articolo “Inventare per apprendere, apprendere per inventare” di Heinz von Foerster , riportato nel testo di Paolo Perticari (a cura di) “Il senso dell’imparare” Anabasi, 1994; di questo articolo, nel tempo, potremmo anche proporre una breve “lettura critico -interpretativa” da agganciare a quello che accade oggi.
Intanto, senza entrare nel merito, nell’ottica di questo background metodologico, potremmo riformulare quel concetto di Buona Scuola, che ultimamente andava per la maggiore, in modo che l’aggiornamento dei lavoratori, per lo più si possa configurare come auto-aggiornamento, dove le conferenze, le lezioni, i corsi dei tecnici non si richiuderebbero su se stesse, come spesso accade, ed, essenziali per le misurazioni del lavoro, sarebbero le ‘argomentazioni intorno a punti interrogativi’ e mai o quasi un confronto con un quiz ad items, dove il rispetto dei dictat dei ministeri, del Miur e dei programmi non si esaurirebbe nell’applicare protocolli ai punti interrogativi, perché nel complesso i protocolli, mai definitivi, spesso falliscono l’obbiettivo, per cui sono spesso a favore dei comunicatori e non degli alunni. C’è anche una probabilità che il protocollo possa ‘uccidere’! Se ‘muore’ il paziente, ma il protocollo è rispettato (da loro se lo dicono), nè il ‘maestro’ verrà punito , nè il suo superiore! Semplificando, il protocollo potrebbe essere considerato come una scaletta operativa, applicata ad un caso da risolvere, calibrata sullo stato dell’arte relativo a quel problema.

Proporre un evento culturale (progetto) nella speranza che abbia successo, è certamente una buona cosa, 1) se vengono attivati prima gli ‘incastri’ relativi a quell’evento, sulla frontiera del particolare ‘Mondo 3’ (Popper) degli utenti o delle classi,  ciascuno con la propria (vedere anche, per es., nel blog “Ilsillabario2013.wordpress.com”, il post ‘Epistemologia, psico-pedagogia e insegnamento della fisica nell’ottica di una nuova riforma della scuola’ a cura del dott. prof. Piero Pistoia), e 2) se verrà controllato, dopo l’evento, che qualcosa di culturale sia stato davvero ‘agganciato’! Spesso ci si limita invece semplicemente ‘a fare’ secondo legge e protocolli, perché è questo che richiede la burocrazia. Non c’è niente di nuovo sotto il sole, forse è meglio l’antico!

Ciò che davvero conta in una Buona Scuola è anche il tipo di lezione che viene fatta. E’ necessario articolare la lezione in maniera che venga condotta proprio per far sorgere dalla classe le domande legittime di Foerester, di cui gli alunni non conoscono ancora le risposte; devono sorgere interrogativi specifici che si calino nel merito e che si aggancino ai successivi passi in divenire della spiegazione ‘insegnativa’ del docente!

La lezione in costruzione deve sorgere da una interazione continua fra classe, insegnante ed alunni fra loro e sta in questa interazione multipla l’assimilazione concettuale e l’apprendimento.
La lezione-spiegazione condotta in maniera continua dall’insegnante in cattedra, magari anche al di là dei 20 minuti prescritti dalla psicologia dell’attenzione, avrà scarsa efficacia anche se condotta con tutti i crismi della logicità e della chiarezza (il vecchio ottimo insegnamento!).

Bruner parla di costruzione di una tradizione di una piccola società ( la classe), che rimarrà attiva nel ricordo e nel comportamento, non solo culturale, per tutta la vita dell’alunno.

Per l’apprendimento e l’assimilazione concettuale, il problema centrale, davvero rilevante, della comunicazione culturale in generale, non sta nella preparazione culturale specifica del comunicatore o almeno non solo in quella cioè, in ambito scolastico, nel continuo anche se qualificato aggiornamento accademico di base, d’altra parte scontato, del docente!

Ecco, invece, due importanti processi fra gli altri che favoriscono l’apprendimento:

1 – Abolire molti degli escamotages sempre più complicati che cercano di pianificare e semplificare il processo comunicativo indebolendo  l’immaginazione e la riflessione personale; l’apprendimento è personale e faticoso!

2 – Dare spazio all’arte s.l. sempre disinteressata, che attiva immaginazione e creatività, aprendo finestre per gettare uno sguardo al di là delle apparenze (per certi versi il “BEYOND THE INFORMATION GIVEN” di Bruner!)

Questo insegnamento proposto, che, a nostro intendimento, potrà costruire “IO” presenti e consapevoli in tutte le circostanze, diventerà davvero uno strumento efficace per sopravvivere nel mondo degli umani e non solo, rispondendo anche ai suggerimenti significativi e liberatori suggeriti dai sei versi seguenti di Bertolt Brecht:

Non avere paura di chiedere,
compagno! Non lasciarti influenzare, verifica tu stesso!
Quel che non sai tu stesso, non lo saprai.
Controlla il conto, sei tu che lo devi pagare.
Punta il dito su ogni voce, chiedi: e questo, perché?
Tu devi prendere il potere.

Bertolt Brecht 1993

 

Docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

 

Curriculum di PIERO PISTOIA (Traccia):

piero pistoia curriculum ok

 

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COMMENTO ALL’ARTICOLO PRECEDENTE DEL Dott. Prof. FRancesco Gherardini

04-09-2018, ore 12.55

Ho letto l’articolo, sono molto d’accordo con la vostre valutazioni.

Saluti.

Francesco

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COMMENTO ALL’ARTICOLO PRECEDENTE DEL dott. prof. Giacomo Brunetti

27/09/2018 (83) Libero Mail. Posta

Buongiorno

Ho letto con piacere e faccio i miei complimenti per le considerazioni che condivido in pieno e che vedo ben sopportate scientificamente.
Qualche parola da parte mia, meno scientifica, ma che scaturisce piuttosto dalla “pancia”.

200/400 ore di alternanza scuola/lavoro: per la maggior parte “tempo perso”!!! Forse si otterrebbero migliori risultati con un ventesimo delle ore, organizzate con grande perizia (che purtroppo manca sia alla classe dirigente che alla gran parte della classe insegnante).
Progetti… progetti…progetti: per dirla con un mio arguto amico di viaggio (pensionato ormai da 27 giorni) io proporrei il progetto: “una settimana di lezione in classe”!!
Siamo andati sulla luna (dopo lo “scandalo dello sputnik” che ha risvegliato i pedagogisti americani) con le belle lezioni frontali e con il “sano” studio. Cavallo che vince non si cambia… perché i metodi di insegnamento sì ??
Infine un po’ di organizzazione: mia figlia Amelia, 16 anni, fa il liceo in Francia, a Bordeaux. Là la scuola è iniziata il 27 settembre, ma il 7 agosto aveva già ricevuto via mail l’ ORARIO DEFINITIVO. Qui siamo ad oltre dieci giorni dall’inizio delle lezioni e stiamo viaggiando ancora ad orario ridotto con il 30/40% dei docenti (non esagero controllate pure!!!); l’orario definitivo, come ogni anno, arriverà più o meno con i regali di Natale!!!!!
Che VERGOGNA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Grazie della gentile attenzione. A presto.
G

 

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15/10/2018

COMMENTO ALL’ARTICOLO PRECEDENTE DEL dott.ssa prof.ssa Ghilli Lucia

Concordo pienamente con Voi. Voglio avere il coraggio di aggiungere al vostro ricco e magnifico intervento poche (e già conosciute) riflessioni tra le miriadi che sottolineano l’importanza della scuola e della conoscenza quando aiutano a crescere davvero.

Ghilli Lucia

Per leggere le riflessioni della dott.ssa prof.ssa Lucia Ghilli cliccare, in questo blog, sul Post <<Ancora sulla “Scuola i ieri e Scuola di oggi”: commento al margine>>, della dott.ssa prof.ssa Ghilli Lucia.

 

 

 

 

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE: MANICHEI ED IPERBOLI, LA MENTE NARRATIVA, FALSIFICAZIONISMO E SUA BREVE CRITICA; Tavole di verità, Fallacia nell’affermare il conseguente, Modus Tollens , Duhem e Quine; di Piero Pistoia; inserto: poesia ‘Indifferenza’ di Veracini

NBA Riccardo Fracassi è piaciuto questo post, come da mail all’Amministratore del 13-aprile-2018.

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE  di Piero Pistoia

Per leggere questi pensieri in .pdf  e quelli rivisitati cliccare in successione sui links per leggerne il contenuto; tornare poi indietro per leggere lo scritto successivo al primo link direttamente! fino al termine dell’articolo, cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

MANICHEI ED IPERBOLI3_ok di Piero Pistoia

Manichei ed Iperboli, revisione a cura di Piero Pistoia

Una revisione critica possibile del contenuto del link precedente

a cura di

Piero Pistoia

Una espansione, revisione e reinterpretazione critica, in positivo o in negativo, con successiva integrazione delle singole proposizioni del link precedente, volutamente iperboliche, attiverebbero per i comportamenti nella tribù degli umani, una serie alternativa di storie-guida alla Feyerabend (vedere, come un esempio paradigmatico di reinterpretazione, la poesia di Miloz in questo blog).
Infatti, in un Universo complesso, come affermava Egdar Morin “L’unico pensiero (argomentazione, giudizio, interpretazione), chiaro od <<oscuro>>, che viva, è quello che si mantiene alla temperatura della propria distruzione“.

Oggi, nell’era avanzata dei ‘computer’ e del ‘burocratismo’ dove la Verità appare unica,  la “Mente Narrativa“, di J. Bruner,  propria degli Umani, continua a rendere attive sempre più relazioni fra gli uomini, negoziando la sua ricerca, e più verità appaiono da dietro l’angolo. Per Bruner, come continua nella sua intervista Piero Lavatelli, nell’inserto LIBRI, la separazione fra mente e  corpo, proposta da Cartesio, al là di tutte le ubriacature ideologiche, sta perdendo forza di convinzione e si comincia a pensare che la realtà sociale non è esistente fuori da noi, ma dipende da noi, creata e negoziata da noi, “fatta della nostra carne e del nostro sangue”. Non c’è un unico “mondo reale” esterno ed indipendente da noi, dalla nostra mente, dai nostri linguaggi e dai nostri modelli simbolici con cui vengono costruiti i nostri mondi possibili. In generale, sembra una norma che, nel tempo della storia, quando le situazioni sociali (es., costituzioni di governi, guerre, migrazioni epocali…) si ‘cristallizzano’ sotto un’unica Verità (assenza di negoziazione),  si sprigioni un’esplosione di dolore e di ingiustizia nell’Universo, di cui si prende consapevolezza solo nel tempo futuro. “Abbiamo superato, da tempo, il rigido <<verificazionismo>>la nozione che il significato di qualunque cosa sia la sua unica e singola Verità. Il significato è un modo del connetterci, del negoziare, del riconciliare le nostre rispettive versioni del mondo al fine di trovare un modus vivendi nella diversità”. E ancora, L’uomo non è  “una specie di computer ad alta complessità e la società umana come un insieme di computer che operano congiuntamente a qualche programma comune chiamato <<società>>. La passata generazione ci aveva proposto il cane di Paulov, l’animale dai riflessi condizionati, come modello della natura umana. Stiamo ora scendendo più in basso, degradando il cane ad un computer? Mi sembra che dobbiamo rendere maggiore giustizia alle capacità intuitive dell’uomo, alla ricchezza del mondo delle reazioni umane, alla complessità della cultura”. Per la burocrazia è da dire con Bruner che essa è “antinarrativa per eccellenza; non c’è per essa che una Verità e tutti sono tenuti ad averne la stessa versione“, a favore di una nozione anti-soggettivistica di efficienza. Mandiamo al diavolo “lo sterile silenzio della nostra vita burocratizzata”!

Per leggere di più sugli epistemologi Feyerabend e Popper e sul mentalista americano  Bruner cercare queste parole sul nostro blog.
Inserire eventualmente qui l’ascolto della canzone di Guccini ‘Libera nos Domine’ da YouTube (rispettando naturalmente le leggi dell’editoria).

NON CI SPAVENTANO LE IDEE DA PIU’ PUNTI DI VISTA ANCHE OPPOSTI;

MA

UN  TIMORE INCOMBE: LA……

INDIFFERENZA

Poi tutto divenne uguale, né

cuore né fede né cielo

né mare, gli ultimi

uomini colpiranno duro

niente più sogni – dissero –

nel nostro futuro.

Roberto Veracini

_______________

A proposito dei limiti sui concetti popperiani di verificazione, falsificazione e corroborazione, accennati  precedentemente, cerchiamo di sintetizzarli  di seguito insieme alla Tabella di Verità della proposizione logica o implicazione “H implica Q” (ovvero H -> Q).

1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q
(H-> Q)    H        Q
(1) vera    vera vera
(2) vera   falsa vera
(3) vera   falsa falsa
(4) falsa   vera falsa
Dove H sono le ipotesi prodotte dal soggetto e Q sono le conseguenti osservazioni sperimentali e i dati dell’esperimento
Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:
Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera
In simboli: [(H->Q)UQ]->H.
Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.
Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa, MODUS TOLLENS;

in simboli: [(H->Q)U(non-Q)]->non-H.
Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-

Per anticipare brevemente la argomentazione di Duhem e Quine sul superamento dei limiti del falsificazionismo popperiano a fronte delle ipotesi H e dei dati sperimentali Q, da approfondire tramite  i riferimenti ai posts, suggeriti nello scritto precedente, MANICHEI ED IPERBOLI, cliccare sotto e poi  tornare indietro cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

FALSIFICAZIONISMO_critica in pdf

Ovvero leggere di seguito:

Per quanto riguarda il rapporto H → Q, nessun processo induttivo del positivismo sostenuto dalla logica, può portare da Q ad H (Fallacia nell’affermare il Conseguente); nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da Q, senza interventi del soggetto; nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il Modus Tollens popperiano, [(H → Q) U non-Q)] → non H], permette la falsificazione univoca (Duhem), data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non sappiamo cos’è che di fatto viene falsificato!), ecc.

Per quanto riguarda il versante dei dati sperimentali, la sicurezza di Q, il così detto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso Q non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili possono essere sostenute dallo stesso Q (Quine). (Leggere anche sul blog “La Teoria, La Realtà ed i limiti della conoscenza” del dott. Piero Pistoia).

Svariati percorsi razionali fanno attrito con il mondo!

Non c’è un solo punto da cui guardare il cosmo!

Quando ci sentiamo sicuri di un fatto è il momento di cambiare il punto di vista!

dott. Piero Pistoia

Testi consultati:

A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976

M. Pera ” Il mondo della scienza e noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

Vedere anche in questo blog “Insegnamento della Fisica“, parte IV e “Dalla “Scienza alla Narrazione” di P. Pistoia.

Piero Lavatelli “USIAMO LA TESTA”  intervista a J. Bruner, Inserto LIBRI

DELL’UNIVERSO: OGGETTI FISICI ED UNICORNI; pensieri fuori delle righe del dott. Piero Pistoia

WordPress ha comunicato all’Amministratore:   Girosblog  considera questo post “davvero fantastico”

Articolo in ricostruzione…

COSE” DELL’UNIVERSO

PENSIERI FUORI DALLE RIGHE

Oggetti fisici ed Unicorni

Dott. Piero Pistoia

in qualche modo, le magie s.l. colgono gli Unicorni e ambedue gli oggetti scambiano energia con la mente umana. E’ La qualità dei nodi dei due rezzagli emessi dalle due camere del cervello umano, non la forma e dimensione delle loro maglie, che ora fanno attrito con oggetti fisici ora con unicorni!

Per leggere lo scritto in PDF, cliccare sotto il link:

oggetti fisici_Unicorni0003

UNA LEZIONE IN DIVENIRE: STORIA DI BASE SUL MIOCENE, APERTA, DA AGGIORNARE, CIOE’ DA ADEGUARE, CORREGGERE, REINTERPRETARE, NEL CORSO DEL TEMPO; ZONA DI POMARANCE-VOLTERRA E DINTORNI; del dott Piero Pistoia

CURRICULUM DEL DOTT. PIERO PISTOIA al termine del post

HAIKU SUI GENERIS

COSI’ SIAMO PARTITI:

TANTO INCOSCIENTI,

SPROVVEDUTI FANCIULLI,

DA QUASI SAGGI!

P. Pistoia

“Qualunque cosa tu possa sognare di fare , incominciala subito! L’audacia ha in sé genio, potere e magia”

Johann Wolfgang Goethe

Le parti integrate nel tempo vengono aggiunte  inserite fra parentesi graffe

DALLA CARTA STRATIGRAFICA INTERNAZIONALE (ICS)

I LINKS CHE SEGUONO RIMANDANO ALLA PRIMA BOZZA DELL’ARTICOLO DA COMPLETARE CON CALMA ED AGGIUSTARE NELLE FIGURE DA INSERIRE

Le due figure al termine dell’art.  sono state riprese dalle ‘Note illustrative della carta geologica d’Italia a cura del “servizio Geologico D’Italia”; zona Pomarance; Università di Siena; Coord. Lazzarotto –  L.A.C. Firenze 2002

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P R E M E S S A

CENNI AD ALCUNI EVENTI RILEVANTI, MAGMATICI, TETTONICI E SEDIMENTARI DURANTE L’OROGENESI APPENNICA NEL MIOCENE, LUNGO LA SEGUENTE DIRETTRICE, A PARTIRE DAL RETROPAESE:   BACINO BALEARICO – L’ERCINICO SARDOCORSO – TIRRENO SETT. – TOSCANA

(Leggere la breve successiva narrazione con lo schema che segue)

MIOCENE_EVENTI_OK del dott. Piero Pistoia

La fase appenninica iniziò dopo la chiusura dell’area oceanica del Tetide (Fase Oceanica), quando i sue margini continentali Europa a N-O e Appennino a S-E iniziarono a scontrarsi (Fase Ensialica) nell’Oligocene, che portò alla formazione della catena appenninica attuale. Fra l’Oligocene superiore ed il Tortoniano superiore si attivò una sequenza di eventi con la strutturazione e l’accavallamento di diverse unità tettoniche costruendo, in sintesi, un complesso a falde:  Unità Liguri (Unità Ofiolitifere, Unità di Monteverdi-Lanciaia), Unità Austroalpine (Unità di S. Fiora, quella ad Argille e Calcari), Unità Toscane (in particolare, Unità della Falda Toscana). Sul campo si tratta di alcune successioni stratigrafiche riconosciute sovrapposte caratterizzate, in affioramento, da formazioni di facies diverse corrispondenti ad unità cronologiche uguali che sono state di conseguenza interpretate come deposte in bacini di sedimentazione distinti (per approfondire leggere, per es.,  “Elementi di Geologia” di A. Lazzarotto nel testo “La storia Naturale della Toscana Meridionale” Silvana Editoriale, 1993, o anche alcuni posts in questo blog, cercando con il nome delle Unità Tettoniche).

Terminata nell’Oligocene Superiore la chiusura per ‘collisione continentale’ del bacino ligure all’inizio del Miocene e forse a partire dal Oligocene sup. , (circa 23-25 maf), nell’area appenninica generalmente si svilupparono varie aree di ‘distensione’; si aprì il rift del ‘Bacino balearico’ i cui margini si ‘spostarono’  fino a parte del Burdigaliano, facendo ruotare in senso antiorario il Massiccio Sardo-Corso; intanto, sempre a partire dal Miocene inferiore, in corrispondenza della catena, anche l’asse di rotazione del Paleo-Appennino paleozoico ruotò in senso antiorario,  aprendo, fra la Corsica e l’Elba, il Tirreno sett. (forse non si trattò di un vero e proprio rifting) e il Bacino Corso, creando un’area di distensione nel versante occidentale dell’Appennino sett.;  questo evento distensivo venne accompagnato da magmatismo calco-alcalino nella Sardegna e Corsica allora ‘Erciniche’, e rimase attivo praticamente per tutto il Miocene ed oltre. Sempre nel primo Miocene in Toscana si strutturò il ‘core complex’ delle Alpi Apuane con riesumazione del metamorfico profondo e si configurò, ancora in fase distensiva, la ‘Serie Ridotta’. A partire dal Langhiano fino all’inizio del Tortoniano si ‘costruì’, sempre in Toscana, l’Epiligure e, successivamente, sempre in Toscana, iniziò il Neoautoctono, che perdurò fino alla fine del Pliocene.

Il core complex …

La Serie Ridotta: in alcuni luoghi della Val di Cecina (es., Campiglia, Monterotondo, Castelnuovo) la Serie Toscana si presenta con tutti i suoi termini fino al macigno; altrove, per es., appare priva di termini superiori al Calcare Cavernoso triassico, venendo  a contatto diretto con le formazioni dell’alloctono. Questa giacitura è nota appartenere alla Serie Ridotta della Toscana, che non viene più interpretata come dovuta ad erosione, ma come un denudamento tettonico detto “sostituzione di copertura”, strettamente collegato a rilevanti spinte tangenziali di laminazione in ambiente distensivo, durante le traslazioni. Ciò spiegherebbe perché spesso un “alto tettonico” della copertura può corrispondere a un “basso tettonico” nel basamento, cioè un horst nel basamento laminato dalla traslazione non necessariamente può corrispondere ad un picco topografico.

L’Epiligure viene descritto come costituito da placche di bassa estensione, di composizione per lo più  arenacea di età Miocenica medio-superiore (Langhiano – Tortoniano inferiore), ricche di micro- e macro- fossili, trasgressive sulle Liguridi e sulle Australpine interne, forse, al tempo, ancora in movimento (Baldacci F., 1967 e Decandia, 1992). Oggi sembra che siano formazioni assimilabili ad un Neoautoctono anticipato.

A partire dal Tortoniano superiore cessarono in Toscana i movimenti traslativi delle coperture e si instaurarono movimenti rigidi a componente prevalente verticale in regime distensivo. Si attivarono così faglie dirette con inclinazione intorno a 60°, con piano di faglia che in  profondità tendeva a spinarsi e le cui aperture procedevano nel tempo da ovest ad est, costruendo man mano, lungo tutta l’area della catena, fosse tettoniche allungate NO-SE, una successione in direzione appenninica di Horst e Graben (vedere figura sotto, da vari autori, 1992, ripresa da G. Gasperi “Geologia Regionale”, Pitagora editrice, Bologna).

BACINI NEOGENICI E QUATERNARI

                                                              LEGENDA

Bacini neogenici e quaternari  del versante tirrenico dell’Appennino, oggi.

Zone rigate: in generale, i bacini mio-pliocenici con depositi marini.

Zone punteggiate: i bacini plio-pleistocenici con depositi continentali

Zone bianche: in generale colline e dorsali; da notare la Dorsale Medio-Toscana: dalle Apuane attraverso il Monte pisano fino alla zona di Grosseto.

Schema di una catena ripreso dal testo di G. Gasperi “Geologia Regionale”, modif. da Boccaletti e Moratti, 1990

LEGENDA

Per studiare una sezione schematica medio-generica da SO a NE  attraverso la figura BACINI NEOGENICI E QUATERNARI precedente, osservare lo schema sopra con distinti i bacini evoluti nelle diverse condizioni strutturali.

  1. Bacini interni (es., i bacini neogenici toscani).
  2. Bacini formatisi in relazione ai sovrascorrimenti sul fronte della catena e insieme ad essa trasportati (ad es., il Pliocene Intrapenninico).
  3. Avanfossa posta fra il fronte della catena e la scarpata dell’Avampaese, la rampa di Avampaese.
  4. Avampaese sommerso.
  5. Avampaese emerso.
  6. Da notare la distensione nella catena iniziale e la compressione sul fronte.

PALEOGEOGRAFIA DELLA TOSCANA NEL MESSINIANO  (da Bossio et al., 1992, trasferita dal testo di  A. Lazzarotto “elementi di Geologia”, 1992, opera citata).

LEGENDA

1 – Aree emerse

2 – Aree sommerse dal mare messiniano.

3 – Bacini lacustri.

4 – Linee di riva marine e lacustri nel Messiniano.

5 – Linee di costa  e margini dei bacini lacustri attuali.

“Alla fine del Messiniano si verificò in Toscana un sollevamento generalizzato che determinò una quasi totale regressione marina; ad ovest della Dorsale Medio – Toscana, solo piccoli bacini ristretti rimasero occupati da acque dolci-salmastre (facies di lago-mare)” (A. Lazzarotto, 1992, op.cit.)

Probabilmente alla fine del Messiniano (subito prima della grande trasgressione del Pliocene inf.), un striscia di terra doveva collegare l’Elba al continente perché dal Monte Capanne, circa 4 maf, un fiume potesse fornire ciottoli, filoniani da magma granitico (aplite porfirica, porfido granitico), ad un conglomerato complesso che si depositava sopra banchi di gesso al tempo in Val di Cecina (Pomarance).

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CHI E’ L’AUTORE (traccia): CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

Piero Pistoia, diplomato negli anni ’50 presso il Liceo Classico Galileo Galilei di Pisa, è dottore in Scienze Geologiche con lode e, da borsista, ha lavorato e pubblicato presso l’Istituto di Geologia Nucleare di Pisa, misurando le età degli “strani” graniti associati alle ofioliti (1) e studiando i serbatoi di gas e vapori della zona di Larderello. Successivamente ha scritto almeno una cinquantina di articoli pubblicati a stampa, a taglio didattico-epistemologico, di cui circa la metà retribuiti secondo legge,  dagli editori Loescher, Torino, (rivista “La Ricerca”), La Scuola di Brescia (“Didattica delle Scienze”), a controllo accademico ed altri, affrontando svariati problemi su temi scientifici: dall’astrofisica all’informatica, dall’antropologia culturale all’evoluzione dell’uomo, dalla fisica alla matematica applicata e alla statistica (con il supporto di migliaia di linee di svariati programmi in linguaggi indirizzati: Mathemathica di Wolfram, R, SPSS…), dalla geologia applicata al Neoautoctono toscano, dall’origine dell’Appennino alla storia delle ofioliti, alle mineralizzazioni delle antiche cave in Val di Cecina (in particolare su calcedonio, opale e magnesite), qualche lezione-sintesi di epistemologia ecc..  En passant, ha scritto qualcosa anche sul rapporto Scienza e Poesia, sul perché la Poesia ‘vera’ ha vita infinita (per mere ragioni logiche o perché coglie l’archetipo evolutivo profondo dell’umanità?); ha scritto alcuni commenti a poesie riprese da antologie scolastiche e,  infine decine di ‘tentativi’ poetici senza pretese. Molti di tali lavori sono stati riportati su questo blog. (2)

NOTE

(1) L’età dei graniti delle Argille Scagliose, associati alle ofioliti, al tempo situate alla base della falda in movimento, corroborò sia l’ipotesi che esse fossero ‘strappate’ dal basamento ercinico durante i complessi  eventi che costruirono la catena appenninica, sia, indirettamente, rafforzò la teoria a falde di ricoprimento nell’orogenesi appenninica. Fu escluso così che il granito associato alle ofioliti non derivasse, almeno non in tutti i casi, da una cristallizzazione frazionata (serie di Bowen) da un magma basico od ultrabasico.

(2) Piero Pistoia ha superato concorsi abilitativi nazionali, al tempo fortemente selettivi (solo sotto il 5 per mille gli abilitati, max voto 8), e non frequentò mai i ‘famigerati’ Corsi Abilitanti voluti dai sindacati (99% gli abilitati con voti altissimi!). Superò  i concorsi per l’insegnamento, in particolare nella Scuola Superiore, per le seguenti discipline: Scienze Naturali, Chimica, Geografia, Merceologia, Agraria, FISICA e MATEMATICA. Le due ultime materie sono maiuscole per indicare che Piero Pistoia in esse, in tempi diversi, fu nominato in ruolo, scegliendo poi la FISICA, che insegnò praticamente per tutta la sua vita operativa. Pochi anni prima che l’Istituto Tecnico Industriare di Pomarance fosse aggregato al Tecnico Commerciale di Volterra, il dott. prof. Piero Pistoia fu nominato Preside Incaricato presso il detto istituto dal Provveditorato agli Studi di Pisa, ottenendo la valutazione massima.

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MIOCENE

 

 

FESTA – FOLCLORE E CULTURA SIMBOLICA; lo scritto è a nome di due autori (Pazzagli A. – P. Pistoia); il dott. Piero Pistoia ha anche ricercato e curato la rivisitazione ed il trasferimento di esso su questo blog.

FESTA_FOLCLORE   in pdf :     FESTA_FOLCLORE

 

FESTA – FOLCLORE E CULTURA SIMBOLICA
Mo. Andrea Pazzagli – dott. Piero Pistoia

RIASSUNTO

Il presente lavoro è stato occasionato dagli spettacoli “ Da maggio a maggio” che ritornano periodicamente con le primavere nelle piazze dei nostri paesi. Esso intende recuperare i concetti culturali di festa e folclore attraverso un’analisi di tipo storico e con riferimenti antropologici. Da questa analisi è emersa la possibilità di un legame della festa e del folclore con la cultura attuale. Infine si forniscono almeno ipotesi di interventi operativi.

PARTE PRIMA

MONDO DELLA RETTA E DEL CIRCOLO: LA FESTA ED I MODELLI MITICI

La società industrializzata, caratterizzata da un procedre irreversibile, condizionato essenzialmente da una tecnica, che può crescere solo su se stessa con continuità, ignora pressoché completamente i grandi cicli naturali. L’artificiale uccide o, nel migliore dei casi, nasconde la visione del Naturale (per es., il cemento e la luce elettrica si frappongono fra l’uomo e le grandi ciclicità del Cielo e della Terra). Di fronte a questo mondo della linea retta sopravvive in angoli perduti o come residuo dentro la stessa società industrializzata, il mondo del circolo, le culture della ciclicità. In queste culture esiste una profonda rispondenza fra le caratteristiche antropologiche dell’uomo, sorto da un Cosmo regolato ciclicamente e il Cosmo medesimo. Tale rispondenza si sprigiona essenzialmente in occasione della festa che nelle società arcaiche si riconnette sempre al rapporto uomo-natura sia pure mediato dal rapporto uomo-uomo, cioè dalla Cultura.

Gli studiosi di antropologia ed etnologia vedono nelle feste infatti ben altro che l’odierna contrapposizione di “ tempo libero” e “tempo di lavoro”: la festa è sospensione di attività quotidiana, immissione in un tempo sacro ed immobile, destorificazione e ritorno alle origini e quindi di coinvolgimento diretto con la matrice cosmica comune.

Il diverso rapporto istituito con la natura della festa, trasforma radicalmente anche il rapporto fra gli umani. In questo mondo capovolto (Cocchiara) tutte le regole saltano, come accade presso gli Indiani pescatori Junok, citati da Erikson: l’avaro diventa prodigo, altre volte si disconoscono completamente le regole di castità; anche i ruoli sociali consueti vengono messi in discussione, come in due feste cicliche che hanno resistito fino ad oggi: il Carnevale ed il Maggio. Nel carnevale fino all’epoca moderna si infrangono liberamente da parte dei sudditi i privilegi e le protezioni dei membri della classe dirigente; nel Maggio si eleggono un”re” ed una “regina” del maggio ed i loro poteri sono accettati nella comunità per un intero mese.

L’interpretazione della festa data dagli studiosi può ricondurre a tre posizioni di fondo:

1 – Interpretazione “irrazionale” di Eliàde, secondo la quale la festa ciclica e arcaica attinge l’essenza cosmica.

2 – Interpretazione “culturale” di Jensen e Kereny, secondo la quale nella festa si colgono le implicazioni più profonde della vita di quella comunità: chi partecipa alla festa fa esperimento, erlebnis, diretto della base comune su cui si regge il gruppo.

3 – Interpretazione “funzionalistica” che suggerisce di vedere la festa anche in relazione alla necessità di superamento di problemi psicologici nascenti dall’intersecarsi dell’attività produttiva.

 

Nonostante le diversità di questi punti di vista, essi però concordano nel riconoscere alla festa le caratteristiche di un’occasione privilegiata per riconquistare l’unità profonda fra uomo e cosmo e , di qui, fra uomo e uomo, secondo moduli mitici, differenziati certo da cultura a cultura, ma tuttavia riconducibili ad una unità di esperienza e funzione.

Sul sentimento di unità e identità di gruppo, rivissuti o riconquistati nella festa, si fonderà poi il vario mondo delle relazioni umane da quella familiari a quelle economiche, collegate al principio antropologico a valenza evolutiva della spartizione del cibo, che danno luogo, in società più evolute, a manifestazioni, a loro volta partecipi dello spirito della festa, come la “fiera”. In questo contesto si potrebbero anche situare feste come i “Palii”, es., di Siena, Arezzo, Pomarance…, il “Gioco del Ponte” di Pisa…, che pur risalendo nella loro fenomenologia apparente a fatti storici precisi (e in questo somigliano alle feste religiose della Seconda Parte), rimandano però anch’esse ad esigenze antropologiche a valenza etologica (smorzare e ridurre a gioco simbolico, i conflitti inter-gruppo per il controllo del territorio).

 

PARTE SECONDA

MONDO DELLA RETTA E MONDO DEL CIRCOLO: LA FESTA NELLE GRANDI RELIGIONI

Il mondo della retta è il mondo di oggi, però le sue origini sono lontane. Come diceva Weber il disincanto e la razionalizzazione hanno cominciato a distruggere i miti molto prima dell’età moderna. Questa teoria trova esplicita conferma proprio nel caso della festa e in particolare del rapporto fra modello mitico arcaico e modello delle grandi religioni storiche (Buddismo, Ebraismo e Cristianesimo).

Le grandi religioni storiche anzitutto abbandonano il tema della interazione uomo-cosmo e le vicende naturali per sostituire loro l’evocazione di precisi fatti storici (Natale, Pasqua…) che sollevano la storia umana a storia di salvezza e respingono il linguaggio mitico. Quindi dal mito alla ragione, dal cielo alla storia. Naturalmente questo processo è differenziato da una religione storica all’altra Nel Buddismo infatti la struttura ciclica permane anche se connotata negativamente, come catena da interrompere; nell’Ebraismo e soprattutto nel Cristianesimo gli eventi si presentano secondo una direttrice rettilinea richiamata dalla parusia futura (finale trasformazione del mondo dopo il secondo avvento). Così alcune grandi religioni dischiudono le porte al mondo della retta, cioè all’Era Moderna. Per altre, specialmente all’origine, lo stesso Cristianesimo e tutt’altro che ignaro del grande valore intrinseco della festa ciclica e compie numerosi e significativi tentativi di recupero. La stessa festa del Natale recupera la precedente festa invernale pagana del Sole invitto (già dal solstizio invernale infatti il sole risale a spirale verso il Tropico, quasi a suggerire la rinascita sua e del Cosmo); anche nella Pasqua , festa tipicamente cristiana, c’è un recupero di temi ciclici del Dio che risorge con la Natura e dell’uovo come simbolo di fecondità. Questi aspetti, con il pathos naturalistico e lo stesso pathos mistico specifico delle feste religiose, centrato sul tema della rivelazione e della salvezza, si sono andati sempre più affievolendo nel corso dei secoli; è stato perso il senso della festa, del naturalistico e del sacro. Un poeta italiano alle soglie dell’era moderna, Giacomo Leopardi esprime la crescente incapacità dell’uomo contemporaneo a sentire e vivere la festa.

PARTE TERZA

MONDO DELLA RETTA E MONDO DEL CIRCOLO: LA MORTE DELLA FESTA NEL MONDO CONTEMPORANEO E NECESSITA’ DI UN RECUPERO

Il mondo contemporaneo si caratterizza per un radicale venir meno delle radici mitiche e religiose della festa. Da un lato la festa viene ridotta a mero tempo libero contrapposta, ma insieme uguale, per l’assenza della dimensione “libertà”, al tempo di lavoro; dall’altro lato la festa, ormai svuotata del suo significato, viene ad essere inglobata nell’economia e nella produzione, attraverso l’imposizione e l’esasperazione del consumo.

Sono sorte anche nuove feste legate ad eventi particolari della storia di una nazione, di un gruppo o di una classe (ricorrenze nazionali, celebrazione della resistenza, Primo Maggio…); talora queste feste, come il caso del Primo Maggio, hanno cercato anche di assumere in sé precedenti valori e tradizioni, ma in generale si può dire che tali feste moderne, come semplice assenza di lavoro e più recentemente in quello consumistico, non sono riuscite a recuperare il modulo mitico della festa originaria.

 

Anche altre occasioni come le “fiere”, un tempo ricche di significati simbolici (occasione di incontro fra gruppi, rivolto a favorire scambi esogamici, occasione di riconferma di tradizioni alimentari o di abbigliamento…), tendono , eccetto particolari situazioni di residui di civiltà contadine o montanare, a diventare sempre più occasione per l’acquisto di merce (dalla fiera al mercato). Anche nei Palii si assiste da una discontinuità di partecipazione fra i turisti che assistono ed i cittadini coinvolti nell’evento.

In questi ultimi anni si è assistito ad una tendenza al recupero delle tradizioni, forse dovuto agli effetti atomizzanti sulla società esercitati dalla cultura sempre più simbolica, dalla specializzazione e parcellizzazione crescente del lavoro industriale, nonché dal venir meno di numerose occasioni di scambio nella vita quotidiana. Questa tendenza si è espressa in modi molto vari, talora chiaramente distorti (come l’esasperazione del tipo sportivo per le squadre locali), tal altra strumentalizzati, come nelle feste di partito, altra ancora, certo in modo più genuino, nelle feste e sagre paesane o nella costituzione di gruppi per il recupero delle tradizione folcloristiche (canto del Maggio, Bruscelli; ricerche, anche stampate, su aspetti paesani pieni di ricordi e nostalgie…), ma tuttavia non recuperanti in generale la distanza fra cultura odierna e festa. Infatti, mentre la feste nelle società arcaiche e in quelle contadine più recenti (fino a pochi decenni fa) esplicitava e confermava un mito che a sua volta sostanziava la cultura, ora viene meno proprio questo legame; la discontinuità fra folclore e cultura( o per usare la terminologia gramsciana, fra folclore e storia) rimane profonda.

A questo livello si pongono con urgenza due problemi:

1 – E’ possibile un collegamento fra folclore e cultura?
2 – Se è possibile a quali condizioni?

Alcune correnti sociologiche sostengono l’impossibilità di ritrovare un legame fra la cultura attuale ed il folclore e ritengono quindi che il fenomeno della riscoperta del folclore sia solo sintomo di una sterile nostalgia, per altro ben comprensibile nelle condizioni di aridità e solitudine delle società tecnologicamente avanzate, che fra l’altro stimolano anche l’insorgere di fenomeni come l’interesse per la parapsicologia, l’astrologia, la magia nera.

A nostro avviso sono più accettabili altre posizioni della cultura contemporanea che affermano la possibilità, sia pure problematica, di ristabilire un rapporto fecondo fra folclore e cultura. Lo stesso Gramsci, anni addietro, intuiva tale necessità e possibilità e, anziché irridere illuministicamente alla cultura del popolo, ritenuta per altro insufficiente, ne ipotizzava tuttavia un recupero necessario ad una presa di coscienza, in vista dell’emancipazione del popolo stesso.

In contesto culturale assai diverso il grande antropologo Levi-Strauss distingue fra civiltà fredda e civiltà calda, intendendo col primo termine le società primitive di cacciatori-raccoglitori orientate ad un rapporto simbiotico e non distruttivo con la natura, e, col secondo termine, l’odierna civiltà tecnologica caratterizzata al contrario da un rapporto distruttivo e ad alta entropia con la realtà naturale; egli auspica e ritiene non impossibile che le civiltà calde possano, in qualche modo, assumere alcuni caratteri delle civiltà fredde e non è fuori luogo vedere, proprio in un ben inteso recupero culturale del folclore, una delle strade per tale necessaria integrazione.

Ritornando all’iniziale metafora del circolo e della retta, per altro sorretta da concezioni di carattere cosmologico, pare opportuno pensare ad una società in cui il circolo non si chiude mai completamente, aprendo con continuità a spostamenti lungo la retta (vedi figura), in tal modo le componenti del progresso e della stabilità non si oppongono, né si escludono, ma al contrario reciprocamente si completano. Viene formulata così una risposta positiva al primo interrogativo.

 

 

 

PARTE QUARTA

MONDO DELLA RETTA E MONDO DEL CIRCOLO: IPOTESI OPERATIVE

Circa i modi di rendere concreta la possibilità di recupero della festa alla cultura contemporanea, sembrano da respingere gli attuali tentativi che o ripetono il vecchio modulo della festa, diretto intenzionalmente da parte delle classi dirigenti ad esorcizzare e riassorbire conflitti e tensioni (De Masi, Europeo N°21 del 3 agosto 1981), oppure si riconducono ad essere semplice “Festa dell’oblio”, fine a se stessa, magari inserendosi nelle tendenze, oggi diffuse nei giovani, al disimpegno, al rifiuto politico, all’isolamento totale singolo o di gruppo nella droga o nel rock.

La strada da seguire è un’altra:

1° – In primo luogo si tratta di immettere il folclore nel circuito culturale attraverso una presa di coscienza colta dei valori intrinseci che la festa autentica ed il folclore recano in se stessi, consapevolezza da riportare poi al pubblico tramite esperimenti di drammatizzazione e teatralizzazione che che consentano la immedesimazione e la partecipazione emotiva degli spettatori, portati a rivivere così in forme mediate il loro folclore. Esperienza colta significa anche confrontare e così capire il proprio modo di vivere, nel folclore, fondamentali esperienze umane, col modo in cui le stesse sono vissute o celebrate in altre culture, anche molto lontano nel tempo e nello spazio, sottolineando in tale maniera la comune umanità che pervade le differenti tradizioni: è in questa fase che è colto esplicitamente il rapporto valorizzante fra folclore e scienza antropologica, possibile sapere disciplinare fra altri come Botanica, Zoologia, Fisica…), quindi fra folclore e cultura simbolica.

2° – In secondo luogo si può vedere nel recupero del folclore locale, la possibilità di far recuperare ad un gruppo le sue comuni radici quindi di ridarli un’identità che troppo spesso la società attuale tende a cancellare e gettare nell’oblio. Ci riferiamo ad esperienze che a noi paiono esemplari in tal senso, nei nostri paesi spesso le autorità sociali (Assessori della cultura e dell’istruzione, Commissioni alla cultura…) attivano, usando strutture presenti come Filarmoniche, Filodrammatiche ed altro se disponibile, per, es., spettacoli che si riferiscono al folclore coinvolgendo di solito interi paesi. Così la solidarietà di gruppo, caratteristica, almeno in passato, delle nostre popolazioni si trova spesso amplificata per es., nelle diverse versioni del “Maggio” tramandate oralmente per generazioni: si leggono spesso strofe che indicano la buona disponibilità verso l’ospite, lo straniero che bussa alla porta del podere; al tempo si aprivano le cantine si imbandiva la tavolata in allegria (“Quando andate giù in cantina / fate il giro alla rotonda / e prendete la meglio forma / della tavola su in cima” ovvero “Quando andate a quel prosciutto / e prendete quel coltello / e tagliate il cordicello / affettaticelo tutto”). Rimane qui l’immagine di una società contadina resa peraltro tanto disponibile all’ospite anche dalla diffusa abitudine alla caccia di gruppo, grandemente sviluppata anche oggi (si pensi alle cacciate al cinghiale nelle macchie della Carline, di Monte Castelli, di Sant’Ippolito, della Trossa, della Casa…) e dalla relativa cultura (divisione del cibo…), nonché dalle caratteristiche territoriali della zona, con poderi molto isolati, in cui si aspettava con ansia l’arrivo del forestiero in vista di scambi di oggetti, esperienze, legami affettivi (esogamia).

3° – Infine si nota una forte connessione fra recupero del folclore da una parte e cultura ed educazione ecologica dall’altra; la natura o più precisamente una natura ben più ricca di quella attuale, un ambiente non ancora degradato, sono protagonisti dei canti di Maggio e di altri momenti del folclore: le “bubbolelle” e gli “allori spontanei” sono quasi scomparsi dalla Val di Cecina, i prati inaridiscono sotto gli zoccoli delle pecore o sfruttati fino all’inverosimile dai seminati intensivamente condotti e dalle monoculture, solo i margini dell’asfalto sono ancora accessibili e gli stessi fiori di maggio si sono ritirati in rare stazioni (si pensi ai “tromboni”, alla “ruta”, alla “camomilla”…); è diventata esperienza privilegiata riuscire ad ascoltare il gaio, dolce e articolato canto dell’usignolo o rivedere il frizzante giallo del cardellino (quanti ne sono consapevoli?): “E’ tornata la bubbolella / a far nido in su pe’ prati / come fan l’innamorati /quando vanno dalla bella” ovvero “Su per Cecina e per l’Era / son fioriti già l’allori / cardellini e rosignoli / cantan ben la primavera”. E’ riascoltando questi versi che non solo si ha nozione nostalgica di un mondo che ormai sta scomparendo, ma si riceve forse l’impulso potente al rispetto dell’ambiente naturale in ogni suo componente.