RACCONTI DI INGIUSTIZIE DI VITA – scritti del dott. Piero Pistoia; con commenti dei docenti Andrea Pazzagli e Pier Francesco Bianchi

PREMESSA ai versi di satira irriverente di Piero Pistoia

con lettera-commento-consigli dell’insegnante Andrea Pazzagli e mail-commento dell’insegnante Pier Francesco Bianchi (Amministratore del blog)

PERCHE’ UNO SCRITTO SUL ‘SARCASMO DI PIAZZA’ SULL’ESEMPIO DEL CELEBRE PASQUINO, LA STATUA “PARLANTE” DEL PERIODO ELLENISTA (III sec. a.C. n.) ?

La decisione di scrivere con rabbia qualcosa sul Sarcasmo di Piazza nasce in particolare da due situazioni, personali secondo interpretazioni soggettive del sottoscritto, simultanee negative che, in sinergia, mi crearono un forte disagio interno. La prima situazione, se risolta, in qualche modo avrebbe riparato e o mitigato una sconfortevole seconda situazione psicologica che, come accenna Andrea Pazzagli nella sua lettera-commento, messo al centro del post, leggibile sotto, si situa al livello “di un punto di vista violentemente antropocentrico”.

Prima situazione – Un particolare evento relativo ad un fantasioso editto su come costruire i giardinetti di paese che in pratica non avrebbe permesso, con spiate di controllo, di trasformare arbusti mediterranei al nostro confine, in grandi alberi (praticamente si voleva conformare il paese in zone condominiali) e fu la goccia che fece traboccare il vaso! Questo anche per rispettare le raccomandazione europee di arricchire anche i giardini privati di grandi alberi. Ma specialmente perché, a mio avviso, un giardino circondato da grandi alberi, anche trasformati da cespugli o arbusti, è un primo passo del procedere verso la costruzione di “posti” per gli dèi, cioè zone magiche e sacre che aiutano a spengere i dolori e le ingiustizie della vita.

Seconda situazione – Un background che attraversa tutta la mia vita lavorativa e non solo e dura tutt’oggi, una situazione psicologica, pesante dentro, che derivava da aver sopportato, nella mia percezione, per molto tempo un perverso e complesso mobbing a varie vie, costruendo anche fatti ad hoc progettando trappole – come far leggere, per criticare, i miei scritti didattici (schede, questionari, appunti…alcuni di questi scritti sono riportati in questo blog) a colleghi meno qualificati, scritti miei questi ultimi spesso pubblicati su riviste scientifiche a direzione accademica! . . .e molto altro ancora più penoso – mobbing (a varie vie), dicevo, promosso da un gruppetto stabile di ‘brave persone’ sedicenti colonne della scuola e della cultura (sic!), in un ambiente di lavoro di molti pendolari, con attacchi, anche sarcastici, gratuiti dietro le spalle solamente e senza possibilità di difesa, e quando capitava, con corrispondenti malevolenze su di me, sia interne all’ambiente stesso (genitori, alunni e, nel tempo, perfino docenti pendolari, nuovi presidi, pure pendolari, persone dell’Usl e del provveditorato, persino ispettori . . .), sia sulla piazza, a colpi di sarcasmo, in questo caso da parte di ceffi piazzaioli di zona, sul falso costruito ad hoc, opportunamente informati. Come quando – nel contempo ero stato nominato preside incaricato dell’Istituto – detti il permesso ad alcuni alunni di entrare 10 minuti più tardi (necessario per accordi con l’azienda dei trasporti), passando vicino ad una porta sentii qualcuno che contattava il provveditorato denunciando, con voce eccitata, questa mia decisione; ma, questa volta, sentii chiaramente, dalla risposta quasi urlata, che gli fu sbattuta , come si dice, la porta in faccia. Potrei continuare a narrare di flake news, senza alcun intervento di fatto, naturalmente!!! O quando sentii il solito gruppetto, venendo a sapere di una mia probabile nomina a preside incaricato, consigliare ad un altro insegnante, una persona corretta e di valore (questa volta!), di intervenire presso il provveditorato per impedire la nomina; chiaramente l’altro affermò con forza che non voleva essere in nessun modo coinvolto in questa tresca meschina. Per non parlare di molte altre svariate accuse studiate ad hoc, con astio, sempre gratuite, appiccicandomi addosso etichette che non sono le mie e non lo sono mai state!. . . .e sappiamo tutti che cosa accade se passano di bocca in bocca….Per andare avanti, però, bisognava stringere i denti, sopportare e dare concorsi su quasi tutte le discipline scientifiche e vincerli! cosa che, a denti stretti, io ho fatto; non cosa da poco a quel tempo, dove era quasi impossibile superarli, prima dei famigerati corsi abilitanti, superati da tutti, e molto altro ancora a mio favore (per es., anche pubblicazioni di svariate decine di miei articoli scientifici e didattici in riviste a direzione universitaria e diffusione nazionale e, . . . alla frontiera della scuola. . . preparazione accurata delle lezioni con appunti e questionari corretti in classe e a più riprese risomministrati, ri-spiegazioni all’infinito e molti alunni consapevoli, ormai uomini, se le ricordano ancora, interazioni dirette con gli alunni e fra gli alunni (Bruner) per facilitare l’apprendimento in classe . . . vedere curriculum dell’autore e alcuni suoi scritti in questo blog).

L’autore fu iscritto all’albo professionale dei docenti di provincia (PI) per l’insegnamento in qualunque Scuola Secondaria Superiore, di praticamente tutte le discipline scientifiche, come da certificazione posseduta.

Leggere anche l’ “EPILOGO” nel post “Quarant’anni all’ITIS di Pomarance” scritto dalla prof.ssa Ivana Rossi

Però quando fu il tempo di andare in pensione, non avevo più denti da stringere per dare il concorso a preside!!! anche se a lungo preparato. Ma, se crediamo alla teoria della “Profezia che si auto-adempie”, mi sono conquistato, in compenso, con la mia determinazione, ma, in special modo, con gli stimoli, la stima e l’affetto e la comprensione della mia grande compagna della vita, Gabriella Scarciglia – che ha contribuito anche a mantenere unita e in buono stato la nostra famiglia, fino ad ora, per ben 57 anni! e 58 il nove gennaio 2014 – mi sono conquistato, dicevo, delle belle “s-palle-quadrate” e sono ancora in azione, anche se con un po’ d’amaro in bocca, ormai senza denti . . . da stringere! 

Oggi quasi al termine della vita (più di 86 anni), infatti, finalmente sono riuscito a circondarmi da cespugli e arbusti della macchia mediterranea diventati veri alberi giganti (Rhamnus alaternus, Viburnum tinus, Pistacea lentiscus, la Phyllirea angustipholia (Lillatro), l’antico migrato dal nord Laurus nobilis ed altre specie ospitate come Prunus laucerasus, . . naturalmente anche con alberi già esistenti cipressi, tigli e lecci, l’acero ‘trilobo’ e altri alberi importati da lontano. Oggi, all’inizio (da via del Poderino) della strada Don Mazzolari, proprio davanti al nostro muro verde, sembra affacciarsi (lo spero) anche qualcosa di simile a riformare “due argini di verde, liberi, a fare anima”, e, proprio oggi, ormai vecchio, ho ripercorso nella mente la storia di questo sofferente scritto, vedere dopo, forse al limite della poesia, modificandolo per l’ultima volta. La fine della storia avverrà però quando avremo terminato la costruzione del nostro giardino dove gli dei, nella mia mente, saranno tornati a mitigare, per poi spengere, rabbie e sofferenze per noi.

Da continuare….

LA LETTERA_COMMENTO_CONSIGLI

dell’insegnante Pazzagli

PRIMO GIUGNO A POMARANCE

IL SARCASMO DI PIAZZA

Versi di satira irriverente di Piero Pistoia, suggerita da un personale sentire

Breve libello in risposta al tacito ‘Editto condominiale esteso’ per uniformare i giardinetti di paese

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Sono a Pomarance tutto il giorno oggi.

In via Mazzolari due argini di verde.

Liberi a fare anima.

Gli uomini piccoli ricamano geometrie

in giardini pelati rapati costretti.

Come le idee. Quelle loro. Naturalmente.

Macchia mare cielo rispettano forme!

non geometrie.

Galileo aveva forse torto!? (1)

Ma qualcuno farà la spia. Certamente.

In questo paese. Anche sul nulla.

Più che altrove. Forse.

Vedere qualsiasi sia è confermare (2).

In questo paese ideatore di Etica.

Col sarcasmo di piazza.

Ricòniugano, sempre a colpa,

parole e atteggiamenti.

Il Certo al servizio dell’aspettativa.

Il Vero dell’invidia (3).

La Cultura del potere (4).

La Presunzione della ricchezza.

E giurano :<<La Norma è questa!!!

se non è così si brucia’ i libri!>>:

In chi, assiduo, lo cerca alberga il Male.

In chi lo vede. Spesso.

Più che altrove. Certamente.

Per meno di trenta denari. Molto meno.

Prima che il gallo canti.

Arriverà la guardia femmina con la sola Ragione.

Sua e del Codice. Le è congeniale.

Divino Ermes dove sei nascosto!? (5)

La stagione è avanzata per le piante.

Forse rimanderemo a Settembre.

Non prometto nulla. Farò quello che posso.

In questo ambito senza contesto!

NOTE

  1. Da questi giardinetti gli dei migrano in cerca di ‘posti’ (non geometrie) dove nascondersi e Ermes ne traccia i sentieri, ‘annusando’ il magico e il sacro nella Natura.
  2. Nel processo di conoscenza, non si deve cercare di verificare ipotesi, ma di falsificarle! perché questo è il solo percorso logico verso la Verità, vista come concetto regolativo (K. Popper)
  3. Diventa Vero ciò che ‘inventa’ l’invidia.
  4. Potere è Cultura e indirizza la Cultura ai suoi fini. Ma il Potere non assimila a sé solo la Cultura! Circola in paese uno slogan :“Potere è Podere”. Non so che cosa significhi esattamente. Ma qualcosa significa di sicuro!
  5. Ermes umanizza il dio apollineo (Apollo) della ragione e della bellezza, solari e codificate, fornendo i suoi nuovi codici estetici.

Se vogliamo capire il senso di Posto sacro nei giardini, leggere il Post “Poesie di ‘Cose’ del Mito”. In questo blog.

Ma

“Anche se vieni da altri ferito nulla ti serve a legartela al dito, perché, sovente, chi umilia di più vorrebbe avere le cose che hai tu!!! da GIROSBLOG” e, d’altra parte…”OMNIA MEA MECUM SUNT!” dai LATINI. Inoltre qualcuno ha anche detto “se conosci i tuoi nemici e conosci te stesso supererai tutte le battaglie” e mi viene, da nonno, anche a mente il motto della Folgore (uno dei miei nipoti, dopo 4 anni nella Folgore, vince il concorso, ed ora lavora nella Polizia di Stato): <<VINCE SEMPRE – CHI PIU’ CREDE – E PIU’ A LUNGO SA PATIR>>.

Oggi ripensando a quei piccoli gruppetti di umani “stabili”, nominati all’inizio, di brave persone (si ritengono anche buonisti!) forse non odiano gli altri e neppure soffrono di invidia per essi, ma interagendo con loro, “godono” nel vedere “traballare” la vittima e, rubandoli energia, si sentono aumentare la qualità della propria vita e forse anche la lunghezza. C’è una specie di stornello toscano ad hoc che dice: “Muore la pecora e la cavalla, muore la vacca nella stalla, muore la gente piena di guai, ma i pezzi di merda non muoiono mai” e rimanendo tali per continuare a vivere, si indebolisce anche la possiblità del perdono.

Infine, come ha detto qualcuno, se ti alzi e ti gira la testa, è la pressione; se ti alzi e ti gira tutto storto, è la sfiga; se ti alzi e ti girano i “coglioni” é l‘ INGIUSTIZIA DI VITA. Uno sfogo-opinione personale: Questi buonisti ladri di anime!? la peggiore genìa!!! i quali, se questo fosse il caso, secondo il mio pensiero personale affranto, in una comunità corretta, non avrebbero dovuto essere ascoltati.

In ultimo mi ricordo di un mio grande amico, ingegnere laureato con 110 su 110 e lode di Pomarance, e di grande valore anche umano, che, purtroppo ci la lasciati, quando ci si incontrava a parlare, anche al bar, di problemi fisici da risolvere ed altro, più volte si lamentava che le persone di piazza denigravano spesso gli altri, anche se da questi non avevano mai ricevuto nessuna ingiuria o malevolenza; io, se ben ricordo, risposi pressappoco così, che il problema è legato al girare il cappello, qui si vive tranquilli se riesci a far girare il cappello agli altri, altrimenti sei tu che lo devi girare con rassegnazione; anch’io non sono mai riuscito a far girare il cappello a un altro, ma nemmeno a girarlo davanti a qualcuno!

I precedenti versi della poesia furono fatti leggere, a suo tempo, alla polizia municipale che li approvò

MAIL-COMMENTO Del dott. PIER FRANCESCO BIANCHI (amministratore del blog)

Caro Piero  

Ho letto e riletto il tuo ultimo scritto. Mi sarebbe piaciuto leggere anche le altre poesie del libello come “Al bar di primo mattino”. In questa poesia e nello scritto precedente fai una analisi un po’ della tua vita. Te sempre costretto a fare concorsi , a darti da fare per insegnare nel modo migliore,   mentre altri, penso per invidia, a metterti i bastoni fra le ruote.  Certamente l’ editto sui giardini sarebbe stata una cosa davvero scandalosa, come il comune volesse entrare nella vita privata dei cittadini per dettare le sue leggi.  Nei paesi e in particolare a Pomarance vi sono varie cricche di persone che cercano di fare mobbing su chi non la pensa come loro e certamente come diceva Dante, il modo migliore per vivere e sopravvivere è  “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. Nel posto di lavoro certamente queste voci hanno un peso, ma fuori di esso il peso si alleggerisce di molto. Ritrova le tre poesie che hai scritto . Mi farebbe piacere rileggerle.

Un caro saluto

Pier Francesco Bianchi

Curriculum di Piero Pistoia

Vedere in questo blog in altri curriculum dello scrivente.

APPUNTI SU STRUMENTI UTILI PER UNA LEZIONE SCOLASTICA EFFICACE PER L’APPRENDIMENTO, di Andrea Pazzagli; a cura di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

(lezioni per preparazione a concorsi)

Un buon insegnamento per un apprendimento efficace e quindi per una ‘costruzione’ di una buona lezione partecipata, richiedono almeno strumenti offerti dallo studio della Pedagogia e della Filosofia.

A TAL FINE OFFRIAMO AL LETTORE GLI SCRITTI IN PIU’ PARTI DI ANDREA PAZZAGLI

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POST DA CONTINUARE……

PARTE PRIMA

(3 paragrafi)

1° PARAGRAFO: La Pedagogia Strutturale nei suoi motivi fondamentali (DEWEY – BRUNER)

Verso la fine degli anni ’50 il mondo culturale e giornalistico fu scosso da accese polemiche. Di fronte agli improvvisi successi spaziali dell’URSS un noto personaggio dell’establischement militare, l’ammiraglio Richover denunciava la presunta decadenza scientifica dell’USA, attribuendola al ruolo grandemente negativo per la formazione intellettuale dei giovani giocato dall’educazione attiva, predicata da John Dewey, e preoccupata solo dell’equilibrio affettivo e del buon adattamento sociale dell’individuo. Poco tempo dopo la pedagogia di Dewey era fatta oggetto, nel libro appunto intitolatao “Dopo Dewey, di un nuovo attacco critico da parte dello psicologo Jerome Bruner. Le argomentazioni di quest’ultimo erano certo fondate su fatti non meno contingenti. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere di quelle su cui aveva fatto leva l’Ammiraglio Richover, ma un punto in comune era costituito dal rimprovero rivolto a Dewey di trascurare l’aspetto intellettuale, l’istruzione in nome dell’adattamento sociale. Anche se egli si cautela con il riconoscimento del grande ‘valore storico’ dell’opera e del pensiero del Dewey, Bruner ne critica radicalmente le concezioni più significative, proponendo una vera e propria svolta pedagogica. Come è noto il primo articolo di fede del ”Credo Deweiano” postula l’educazione come funzione esclusiva dell’adattamento dell’individuo alla società, la struttura grazie alla quale egli riesce a partecipare della cultura del gruppo cui appartiene. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere valida allorché il Dewey la formulò, ma non lo è certo oggi, nel contesto di una società sollecitata da un tanto più intenso dinamismo e nella quale all’individuo è richiesto di continuo un alto coefficiente di creatività intellettuale: proprio la formazione di un intelletto in grado di rispondere e reagire alla società piuttosto che adattarsi ad essa passivamente dovrebbe, per Bruner, costituire il fine primario dell’educazione nel mondo contemporaneo. D’altra parte Bruner critica il punto di vista sociale della pedagogia deweiana anche da un’altra angolazione che potremmo definire conservatrice: sulla scorta della concezione dell’uomo che si configura oggi, dopo le scoperte di Freud e della psicanalisi che nella natura umana hanno scorto ineliminabili lati oscuri, negativi, sfuggenti al controllo razionale della volontà, Bruner ritiene di non poter condividere l’ottimismo di Dewey circa la possibilità di creare una società migliore per mezzo di una migliore educazione. L’educazione non può più essere dunque nè come l’organo dell’adattamento né come l’organo della trasformazione sociale: essa deve configurarsi come istruzione e fornire l’individuo dei più ampi poteri intellettuali possibili.

Conseguentemente Bruner rifiuta la tesi di Dewey ed in genere della educazione progressiva che tende ad identificare la scuola con la vita, l’esperienza dell’apprendimento con l’esperienza “tout-court”. Per la verità egli non ritorna alle tesi tradizionali della separazione della scuola dalla vita, dà piuttosto al problema una soluzione nuova: per lui la scuola deve ben essere vita, ma un tipo particolare di vita, o se si vuole, momento particolare finalizzato. Si avverte in questa idea l’eco delle suggestioni montessoriane del bambino “mente assorbente”, dell’età evolutiva, e specialmente dell’infanzia, come età dell’apprendere. A questo tema se ne rifà immediatamente un altro: quello dell’interesse. Per Dewey infatti la scuola deve essere vita perché l’interesse ad apprendere nasce solo dai bisogni vitali e in vista della loro soluzione. L’interesse muove, insomma, dalla prassi ed in essa si risolve, pur contribuendo al progredire della prassi stessa verso livelli sempre più alti. Invece per Bruner l’interesse non si lega necessariamente alla prassi né necessariamente in essa si risolve, esiste l’interesse motivato dal bisogno d’apprendere come tale, da una misteriosa “curiosità” insaziabile e senza scopo apparente, un desiderio di sapere disinteressato nella misura in cui non è collegato a problemi pratici, ma tutt’altro che artificioso e innaturale, perché anzi il suo senso affonda nella dimensione più profonda dell’uomo. Bruner ci rivela un altro volto dell’uomo: l’uomo naturalmente cognitivo.

Il nostro percorso peraltro, focalizzato sull’insegnamento delle scienze naturali e della fisica, è giusto si interessi ad altri aspetti emergenti dalla problematica bruneriana: la prospettiva strutturale delle singole discipline.

La pedagogia pre-attivistica insisteva notoriamente in modo esclusivo sulle materie di studio, su contenuti dati e conclusi che la mente dell’allievo dovrebbe semplicemente assimilare: in poche parole essa si curava solo della grammatica e della matematica, trascurando del tutto Gianni. Dewey, e in genere l’attivismo, aveva ribaltato questa impostazione sottolineando l’importanza assolutamente preminente della conoscenza della psicologia dell’allievo: per restare all’esempio di sopra contava Gianni soltanto e si trascuravano la grammatica e la matematica. Bruner, rifacendosi ai risultati da lui raggiunti nel corso di lunghi anni di studio sui processi di apprendimento, perviene ad una nuova formulazione che non è, si badi, la somma delle due precedenti richiamate: non si tratta, infatti, di badare alle materie di studio e, in termini di giustapposizione, alla psicologia del discente, ma di conoscere Gianni in situazione di apprendimento della matematica o della fisica o della grammatica, ciò in quanto il pensiero adotta strategie e diverse strutture che delimitano e specificano le varie materie, i vari campi della conoscenza. Bruner non si schiera affatto a favore di un ritorno al nozionismo tradizionale: anzi egli ribadisce con forza l’esigenza, resa del resto imprescindibile dal moltiplicarsi attuale delle nozioni e dalla loro rapida obsolescenza, di non sovraccaricare la mente del bambino con molta merce di scarto, ma di riversarci poco oro. Quest’oro è costituito dalle così-dette idee madri, dalle strutture portanti di ciascuna materia, che il discente può scoprire solo se, fin dall’inizio, verrà condotto a lavorare mentalmente come lavora lo scienziato di quella determinata branca della scienza: soltanto facendo realmente fisica si apprende la fisica, soltanto procedendo come i matematici la matematica e così come ogni altro ramo del sapere. C’è un’eco, in questa identificazione tra apprendimento e struttura, fra metodo per apprendere una scienza e metodo di quella scienza, dall’idea comeniana dell’”insegnare tutto a tutti”, ma c’è anche, per quanto nel contesto di un discorso diverso e per certi versi opposto, un’assonanza con l’identità didattica e cultura postulata da Gentile e dall’idealismo pedagogico. Conviene ora esplicitare, comunque, le più importanti conseguenze di tale principio: non è tanto un metodo che si deve ricercare quanto una pluralità di metodi che rifletta la pluralità delle strutture e dei procedimenti che caratterizzano e distinguono le varie discipline; nessun programma di studio di una disciplina determinata è formulabile se non con la collaborazione degli scienziati che coltivano la materia oggetto del programma. L’elaborazione di un programma di biologia abbisogna dell’apporto dei biologi, di chimica dei chimici, di antropologia degli antropologi. C’è soprattutto bisogno di sapere che cosa è una scienza, quali sono la sua struttura e il suo metodo caratterizzanti. L’apprendimento della fisica non è un’eccezione: è richiesta preliminarmente una definizione della teoria e del metodo fisico, problema difficile che ha costituito l’oggetto di gran parte delle discussioni di filosofia della scienza in questo secolo, come appunto ci proponiamo di sommariamente ricostruire.

L’altro aspetto di cui pare opportuno ancora accennare è la concezione dell’esperienza in questo secolo, a proposito della quale Bruner insiste, in accordo con molti tra gli orientamenti più significativi della psicologia contemporanea, sul carattere non primario e “selvaggio”dei dati esperienziali, che si presenterebbero, invece, già essi filtrati secondo particolari strutture e schemi percettivi. Concezione che pone, evidentemente, difficili interrogativi a quelle filosofie (com’è il neo-positivismo del Circolo di Vienna) che dell’evidenza sensoriale fanno il loro unico fondamento e delineano, al contrario, una convergenza con tendenze come quella di Popper che assegnano un ruolo autonomo e importante all’ipotesi.

Note bibliografiche:

1 ) J. Bruner, “Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture”, Armando, Roma

2 ) J. Dewey, “Il mio credo pedagogico (antologia di scritti)”, Nuova Italia, Firenze

3 ) J. Bruner, “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando, Roma

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N.B.Per leggere altre informazioni su BRUNER di A. Pazzagli, cliccare, in questo blog, sul tag “Percorso di pensiero di Bruner”; per le leggere qualcosa sulla epistemologia di Feyerabend e ancora su Bruner, di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia, cliccare, in questo blog, sul tag “Cose alla ‘rinfusa’ di Bruner e Feyerabend.

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2° PARAGRAFO: Principio di Verificazione e Circolo di Vienna

IL neo-positvismo (o empirismo logico) nasce per iniziativa di un gruppo di scienziati, prevalentemente fisici o matematici, riuniti, all’inizio egli anni ‘2, nel Circolo di Vienna (anche poi, a causa delle leggi raziali, quasi tutti saranno costretti a migrare negli USA). Essi intendono contrapporsi alle filosofie idealiste e irrazionaliste, all’inizio del secolo avevano posto fine all’egemonia del Positivismo Storico; al tempo stesso, però, abbandonarono alcuni aspetti del Positivismo Classico che ne fecero una metafisica mascherata, ispirandosi piuttosto al pensiero di Mach e di Arvenius (1) , Tra i rappresentanti di maggior spicco sono da ricordare Otto Neurath, Rudolph Carnap e Maurito Schlick (quest’ultimo ucciso da uno studente reazionario nel 1932), alle riunioni del Circolo parteciparono per un certo periodo anche Godel, Wittgenstein (le cui tesi, come esposte nel Tractatus, sembravano coincidere con quelle dei positivisti) (2) e Karl Popper, filosofi che in seguito si allontanarono decisamente dagli orientamenti del Circolo. Il neo-positivismo si caratterizza in primo luogo con la sua radicale critica di ogni metafisica. Esistono enunciati, quali quelli della matematica e della logica, che possono essere veri/falsi ma che non dicono nulla sul mondo ed altri enunciati, quelli dell’esperienza empirica, che dicendo qualcosa del mondo, possono essere veri/falsi; gli enunciati della fisica o della teologia, invece, nn sono nè veri nè falsi, semplicemente non hanno senso (3) . Asserire che “l’Essere è uno” o che “Dio esiste” nn è nè vero nè falso, è solo insensato.

Riprendendo un’idea già formulata da Bertran Russel i neo-positivisti pensano i grandi problemi filosofici altro non siano equivoci generati da un uso errato del linguaggio. La scienza a partire dalla fisica che è vista come la scienza per eccellenza, si fonda solo sull’osservazione e sulla successiva formulazione di teorie che possono essere messe alla prova di esperimenti che le verificheranno o falsificheranno, verificando/falsificando gli enunciati empirici da essi estrapolati. L’epistemologia neo-positivista ha dunque il suo principio base nella verificazione ed è esplicitamente verificazionista, Se una teoria viene verificata diventa pietra angolare dell’edificio della scienza che si presenta quindi come una costruzione solida e stabile alla quale si aggiungono sempre nuovo “mattoni”, nuove teorie. Ciò presuppone naturalmente che i neo-positivisti sostengano proprio il principio di induzione, non tenendo conto delle critiche che da esso aveva mosso Hume e che saranno invece alla base degli sviluppi del pensiero di Popper, del suo distacco e, poi, della sua contrapposizione al neo-positivismo.

Note bibliografiche:

  1. Reichenbach ” Nascita della filosofia scientifica” Il Mulino,Bologna.

2. Wittgenstein “Tractatus logicus-philosophicus” Einaudi, Torino

3. Ayer “Linguaggio, verità e logica” Feltrinelli, Milano

3° PARAGRAFO: L’impossibilità induttiva di Karl Popper e il Principio di Falsificazione [fra parentesi quadre appaiono, qua e là, note dell’editore del blog, Piero Pistoia]

L’empirismo classico e, nelle sue orme, il positivismo logico, insistono molto sull’osservazione ponendola a base della stessa scienza come avrebbe del resto fatto lo stesso Galileo (in realtà gli studiosi più recenti del grande pisano ritengono ben più complessa la questione). Conseguentemente quando si chiede di dare più spazio alla scienza nella scuola si ritiene prioritario educare gli alunni allo spirito di osservazione. Karl Popper nell’opera “Logica della scoperta scientifica” che nel 1935 ne segna il distacco dal neo-positivismo, manifesta il suo disaccordo chiedendosi “Osservare…, ma cosa? E perché?” Non si può osservare il mondo nella sua totalità indifferenziata, l’osservazione che pure ci sarà, verrà dopo. Prima sarà necessario individuare un aspetto della realtà che richiami il nostro interesse, che susciti curiosità, insomma cogliere un problema, quindi cercare di risolverlo osservandone attentamente le dinamiche (ecco il momento dell’osservazione) e alla fine formulare l’ipotesi che, successivamente corroborata, darà risposta ai nostri interrogativi. [ Non sarà però ‘verificata’ perché non è ancora certo che il risultato sia vero! come vedremo dopo! Per indicare questa incertezza useremo il verbo corroborare; nota dell’editore del blog]. Il pensiero di Popper, il razionalismo critico, appare quindi più vicino al pragmatismo che non al positivismo logico. Ma Popper non si ferma qui, una teoria scientifica per essere davvero tale deve indicare quali eventi, quali circostanze, potranno corroborarla o al contrario falsificarla. Ne “La società aperta e i suoi nemici” lo scienziato austriaco accusa l’astrologia e la psicanalisi, ma anche il Marxismo di essere pseudo-scienze in quanto mancano di precisare a quali condizioni le loro teorie risulteranno falsificate (lo stesso Popper riconosce che Marx aveva indicato alcune condizioni, ma i suoi seguaci di fronte al loro non verificarsi, hanno modificato le teorie così da renderle “sempre corroborate”, ciò equivale a renderle “sempre false”.

Il punto nodale è, però, un altro: corroborazione e falsificazione sono a-simmetriche [verificazione e falsificazione non lo sarebbero! nota dell’editore], nel senso che se una teoria è stata corroborata non è detto rimanga vera in tempi diversi, la falsificazione non è ancora arrivata, ma potrebbe arrivare. (I cigni che ho visto finora sono bianchi, ma in futuro potrei vedere cigni neri). E’ il principio di induzione che Popper nega decisamente e la scienza è scienza su palafitte, scienza in cui di continuo alcune teorie cessano di essere corroborate, mentre altre lo diventano , ma soltanto momentaneamente. Lo scienziato allora possiede verità temporanee (cioè corroborate) non verità assolute. [Se non riusciamo a falsificare una teoria in nessun modo, Popper dice che essa ha grande “verisimiglianza” ( vedere con il tag: Dario Antiseri), un neologismo, concetto regolativo della verità; così le teorie da secoli accettate si avvicinano sempre più al vero, cioè alla realtà delle cose; il concetto neologico popperiano di “verisimiglianza” così sembra salvi la fisica! nota dell’editore]

Anche l’atteggiamento di Popper verso la metafisica diverge da quello dei neo-positivisti: le teorie dei Pre-socratici, ad esempio, hanno avuto il merito di porre problemi che poi sono stati oggetto della ricerca scientifica, quindi la metafisica non è affatto un residuo inutile.

Il principio di falsificazione acquista valore nell’insegnamento delle scienze. L’epistemologia di Popper offre interessanti suggestioni per il rinnovamento della didattica della fisica e dell’insegnamento scientifico in generale, suggestioni che convergono con le impostazioni avanzate della pedagogia bruneriana accennata all’inizio.

In primo luogo se è vero che le stesse teorie scientifiche non debbono essere corroborate [la verificazione è un concetto regolativo! nota editore], ma falsificate, allora l’immagine della scienza da trasmettere ai discenti non è più quella di un sapere dogmatico e indiscutibile, bensì quella di un sapere che continuamente muta, che si de-costruisce cercando il nuovo piuttosto che ribadire le vecchie certezze. La scienza insomma non è certezza , ma ricerca continua e se, la si trasforma in dogma, non è più autentica scienza. [naturalmente nessuno nega che il mondo della tecnica e della tecnologia, che costruiscono meccanismi fondati sulla scienza, siano sempre più verisimili alla realtà, e, dicevamo, nessuno nega che funzionino, ma solo in una dimensione di spazio-tempo relativo a dove possono o potranno arrivare gli umani! nota editore] Si è detto che Popper, non diversamente dal pragmatismo, fa iniziare il procedimento scientifico dalla scoperta dei problemi. La medesima realtà può essere vista scontata, ovvia, e quindi non problematizzata o al contrario incuriosirci e porci domande per far nascere problemi. Educare alla scienza a fare i primi passi sulla via della scienza, significa quindi educare a vedere problemi e porsi domande. [ es., nei bienni superiori ci rechiamo nei laboratori avendo già individuati e discussi problemi e formulate già ipotesi in classe e così domande da sottoporre agli esperimenti; consapevoli che i risultati che otterremo hanno un intervallo di errore; noi valuteremo i risultati corroborati nell’ambito dell’errore; naturalmente sveleremo ai discenti anche i dati corrispondenti più verisimili riportati nei testi quelli più vicini al vero! nota editore]

Dal problema nascono a loro volta le ipotesi: studiata la situazione, fissatene i termini, si passa alla formulazione di ipotesi, si cerca di rendere consapevoli i discenti che un’ipotesi, per essere davvero tale, deve prevedere sia i fatti che potrebbero corroborarla sia quelli che la falsificherebbero, sottolineando come, in caso venga corroborata, ciò non implica affatto che non possano esserci situazioni impreviste che potranno falsificarla in futuro.

Al di là della comprensione dei concetti fondamentali della disciplina (della fisica come di qualsiasi altra scienza) l’obbiettivo vero dell’insegnamento formativo [diciamo fino al biennio superiore; a differenza della formazione tecnica o tecnologica; nota editore] deve essere la creazione di menti critiche che si pongono punti interrogativi e formulano ipotesi, piuttosto che accontentarsi di dogmi consolidati.

Note bibliografiche:

  1. Popper “Logica della scoperta scientifica” Einaudi, Torino
  2. Popper “La società aperta e i suoi nemici ” Armando, Roma
  3. Popper “La ricerca non ha fine” Armando , Roma

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N.B.

[Per chi volesse guardare da altra prospettiva la teoria “verificazionista” espressa dalla proposizione logica falsa della “fallacia nell’affermare il conseguente [(H->Q) U (Q)->H]” ( falsa è la proposizione: se l’ipotesi H prevede lo stato sperimentale Q e si realizza Q allora è vera H) o la teoria “falsificazionista” espressa dalla proposizione logica vera del “modus tollens [(H->Q) U (non-Q) -> (non-H)]”, cercare in questo blog il tag “Manichei e Iperboli” (autore Piero Pistoia), ovvero della stesso autore, cercare anche il tag “Dalla Scienza alla Narrazione” e “Breve riflessione ed epilogo epistemologico”, e, in qualche modo, anche “La teoria e la realtà”. Nello stesso post di Manichei ed iperboli si può leggere anche qualcosa degli interventi critici sulle ipotesi e dati sperimentali del pensiero di K. Popper, con il tag “Duhem – Quine” (forse, per integrare, leggere anche “NOTE DI FILOSOFIA” specialmente il 4° paragrafo che parla di Quine; di A. Pazzagli).

Per quanto riguarda l’insegnamento della fisica tenendo conto dell’epistemologia di Popper, cercare sempre su questo blog il tag “Insegnamento della fisica” (ancora autore Piero Pistoia) in particolare nella parte IV.

Se interessati, da non trascurare di leggere anche l’articolato post “Appunti sul pensiero di J. Bruner prima 1988 ed altro sull’auto-aggiornamento” a cura di Andrea Pazzagli e P. Pistoia, per non accennare agli altri interventi di Pazzagli in particolare sulla filosofia moderna (basta in questo blog cercare: Pazzagli).]

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Andrea Pazzagli

LA STORIA VERA DI CIUCI, IL GATTO DELLA NOSTRA FAMIGLIA e molto altro… lungo ‘rami’ divergenti; prologo con poesia emozionante del poeta Andrew Faber “Pensaci bene prima di prendere un gatto”; riflessioni personali fuori dalle righe e, per provocare, forse non tutte condivisibili; dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

 CONTINUA LA CORREZIONE della LA NUOVA VERSIONE!

Alla autrice di libri Nadia Arnice (del blog GIOIA PER I LIBRI) è piaciuto questo post

ll seguente articolo verrà rivisitato e aggiornato anche con informazioni nuove raccolte nel tempo, durante la vita del nostro Ciuci.

PREMESSA AL POST

Il nostro Ciuci

attraversa

la vita facendo

dolce e tenera

compagnia

silenziosamente

(dare un^occhiata alle foto!)

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Le cose più importanti di questo mondo,

l’estasi, l’amore, la bontà,..tutte le

Verità sottili non sono mai troppo

palesi e riproducibili ed il mondo

che si fonda sul palese è tanto solido

quanto misero.

(G. Sermonti, biologo accademico, plurilaureato,

genetista, paleontologo, filosofo, scrittore, ricercatore che inventò i “campi morfici”)

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La mente vera, una mente forte e solida, è quella che può abbracciare allo stesso modo cose grandi e piccole

(Samuel-Johnson, “Life of Johnson”, cap. VI)

Citazione riportata da Jeffrey Satinover all^inizio del cap. 14, opera citata nel prosieguo

PROLOGO


Riteniamo inserire come prologo al nostro scritto sul Ciuci la seguente emotiva, e credibile prosa poetica di Andrew Faber perché precisa con affetto nostalgico e quasi triste e in crescendo, puntualmente anche il comportamento interattivo con gli umani del nostro amato gattino. La fine, di conseguenza fortemente emotiva e pure credibile, del testo poetico, ci suggerisce un’amara riflessione: preferiremmo morire, prima del gatto, per non dover subire quel dolore incredibile e drammatico dell’addio ed è quello che probabilmente succederà perché purtroppo quando Ciuci ci scelse eravamo già troppo vecchi, ma, data la tempra del nostro gatto, ci consola la speranza che lui possa continuare la vita felicemente e morire sereno circondato da molto effetto.

PENSACI BENE PRIMA DI PRENDERE UN GATTO

Ti farà credere che sia stato tu

ad averlo trovato

in mezzo alla strada

in un cassonetto

dentro un gattile.

Ti farà credere che sia stato tu

ad averlo salvato

che incontrarvi sia stata fortuna

pura casualità era lì ad aspettarti

quando invece era il vostro appuntamento

fin da sempre.

Pensaci bene prima di

prendere un gatto.

In quegli occhi si entra una volta

per poi non uscire mai più.

Sappi che di quell’amore

puro

infinito

e randagio

non potrai mai più liberarti.

I gatti amano per volontà

non per bisogno, non per istinto

i gatti amano per essere liberi.

Pensaci bene prima di prendere un gatto

che prendere, poi, è un termine inadeguato,

sciatto,

sbagliato.

Un gatto non si prende né si adotta

un gatto si custodisce.

E ricordati che dovrai accettare il suo caos

la sua elegante arroganza

i suoi attimi di smisurara dolcezza

prendersi cura della sua solitudine

dei suoi momenti di incantevole assenza.

Pensati come a un primo appuntamento

che ogni istante si ripete.

Circondalo di attenzioni, sempre

come una amante corteggia la sua dama

con dolci parole

e infinite carezze.

Sappi che ogni istante lui sa dove ti trovi

come ti senti

e di cosa hai bisogno per essere felice.

Pensaci bene prima di prendere un gatto

perché nessuno più di lui

sa di cosa è fatto l’amore.

Parlo del rispetto dei propri spazi

e dei propri umori.

Parlo del bisogno di nascondersi

a volte

da tutto e da tutti.

Parlo di saper riconoscere

quando è inutile insistere

perché avvicinandosi a volte ci si perde

e quando insistere, invece,

è l’unico modo per tornare a stare vicini.

Parlo dell’arte

di sapersi osservare da lontano

dove ogni cosa acquista la sua forma.

Parlo di saper riconoscere la meraviglia

di volersi entrambi

in quei momenti di rara bellezza

che rimangono impressi per sempre.

Parlo di quando all’improvviso

dal nulla più assoluto

si accende la follia

e si inizi a correre come pazzi

a giocare come ragazzini

buffi e ridicoli

come rendersi conto

che la felicità l’ha abbracciata

graffiata, protetta.

Perché può durare un attimo

ma soprattutto

pensaci bene prima di prendere un gatto

perché dovrai dirgli

addio.

E saprà stupirti di nuovo

come ha fatto per tutta la sua vita.

Mentre non riesce più a reggersi in piedi,

mentre è sdraiato da giorni lì

nello stesso punto di casa

dove ha scelto di morire.

Mentre non vuole nessuno vicino, tranne te.

E con le ultime forze ancora

ti urla il suo

amore.

Le fusa che gli escono strane e spente,

stonate

ma che tu ricorderai

come il canto più dolce

che ti sia stato concesso ascoltare.

Non cercare di dimenticarlo quel dolore,

di viverlo.

Non si può.

Una parte di te si è spenta con lui.

Una parte di te,

si è perduta

per sempre.

ANDREW FABER

Poeta e scrittore italiano

LA STORIA VERA DI CIUCI, IL GATTO DELLA NOSTRA FAMIGLIA

riflessioni personali forse non tutte condivisibili

Al margine del razionale

di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

PREMESSA PER IL LETTORE

IL FILE “ciuci1_10-ok1-1.pdf” E’ LA VERSIONE INIZIALE, NON AGGIORNATA

L’AGGIORNATA SI PUO’ LEGGERE DOPO IL SEGUENTE RIQUADRO

CHE CONTIENE IL FILE NOMINATO SOPRA

N.B.->Per vedere l’articolo in pdf non aggiornato cliccare su il link sopra, ovvero continuare a leggere :

NB – Il link sopra in pdf contiene, in generale, una versione precedente non aggiornata senza foto; ridotta; mentre il testo sotto, con foto, verrà continuamente aggiornato e pubblicato in pdf, leggibile direttamente:

AGGIORNAMENTO2: LE ULTIME NOTIZIE SUL CIUCI

ULTIMO INTERVENTO SUL NOSTRO CIUCI

Il nostro caro Ciuci sta diventando adulto. Oggi è il 31 -10-2023 ed a febbraio 2024 il Ciuci compirà 7 anni (ha le caratteristiche dell’Acquario), che sembra corrispondano ad una età umana di 40-50 anni (i primi due anni di un gatto infatti corrisponderebbero a 24 anni umani e per ogni anno successivo di aggiunge 4 anni!). Le esperienze tragiche a lungo e ripetutamente sofferte nel suo passato, sembra ormai certo (almeno si spera di nuovo!) abbiano costruito protocolli di sopravvivenza efficienti. Abbiamo seguito costantemente il suo comportamento almeno dall’ultimo intervento del veterinario (18-03-2023) e siamo in grado di descrivere in successione i suoi nuovi comportamenti rilevanti a fronte di episodi che in altre occasioni gli avrebbero causato ferite e la necessità di portarlo di nuovo dal dottore. Cercheremo di descrivere con particolari i suoi atteggiamenti nella sua vita nel circondario delimitato da molte strade frequentate e all’interno di due giardini boschivi, visitati spesso dai gatti del vicinato ed è con questi gatti che viene a contatto e in particolare anche con quello che l’ha ferito varie volte, un tigrato marrone con un orecchio mozzato. Questi gatti vengono anche ad aspettarlo ad hoc all’interno del giardino. Cercheremo di descrivere il suo nuovo comportamento suggerito dai nuovi protocolli ricavati dalle esperienze negative del passato.

Quando il Ciuci esce per i suoi bisogni quotidiani compresa la possibilità di masticare qualche filo di gramigna e vede un gatto qualsiasi, magari all’interno del giardino, gli si avvicina a pantera lentamente e quando gli è a pochi decimetri si mette a sedere a statua e lo guarda duro negli occhi (è successo più volte), l’altro, che allora intende arrendersi, si mette intanto a gambe all’aria; a questo punto il mio gatto lascia perdere e tranquillamente se ne va per i fatti suoi …e all’altro gatto non so come e cosa gli abbia comunicato il mio, per farlo anche scappare fuori dal giardino! Questo comportamento pressappoco si ripete sempre a simili eventi: il ciuci è diventato il guardiano del giardino in cui si trova!

Quando viene a cercarlo il suo gatto nemico e il Ciuci lo vede, strano a dirsi, praticamente si comporta nello stesso modo prima detto, mentre l’altro lo chiama lamentoso e, se va via, continua a lamentarsi miagolando e se non va via subito il Ciuci da fermo gli urla come un gatto arrabbiato e allora lui scappa sempre lamentandosi! E se questo evento si ripete, il comportamento del nostro gatto è lo stesso. L’ultimo episodio si è verificato quando il gatto nemico si è posizionato sul tetto piuttosto alto dei vecchi recinti dei cani, dietro casa, miagolando per chiamarlo. Sentendolo miagolare, sono salito sulla sedia, che mi consentiva di affacciarmi sul tetto, in difesa del Ciuci che era rimasto momentaneamente a terra. Mi sono affacciato al tetto con una strombola che doveva servire per spaventarlo; mi appariva davanti al viso ad una distanza meno di mezzo metro ed era fermo e mi guardava negli occhi, continuando a miagolare; sono rimasto perplesso, così da vicino non potevo tirare, l’avrei ucciso, quindi ho abbassato l’arma rimitiva e sono sceso, anche perché il Ciuci era a terra in sicurezza con Gabriella. Mentre mi allontanavo vidi il Ciuci che si avvicinava alla sedia per saltare a sua volta; l’altro gatto continuava a miagolare. Il Ciuci dopo il salto è rimasto sul bordo, fermo, e dopo pochi secondi ho sentito l’altro gatto allontanarsi miagolando. Il nostro gatto allora è sceso e si sdraiava sul dorso a gambe larghe in un avvallamento del terreno. Anche mia moglie, poco lontana, era presente a questo avvenimento.

Che l’altro avesse capito, solo ora, che quando il Ciuci lo spingeva da dietro, come abbiamo già raccontato in altre parti, volesse solo giocare e non attaccar briga? ed ora invece vorrebbe giocare con lui a rincorrersi in pace? Noi non lo sappiamo, ma è sicuro che anche il tigrato non vuole più aggredirlo! Troppo tardi però, perché il Ciuci non ne vuole più sapere di avere contatti con altri gatti, forse avendo esso imparato a far valere la propria volontà senza aggredire.

Con questo, se non succede altro di significativo, riteniamo il post concluso.

AD MAIORA

Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

AGGIORNAMENT01: ANCORA NOTIZIE SUL NOSTRO GATTO SPECIALE

Oggi è il 31-08- 2022. Il nostro gatto sta crescendo e a febbraio 2023 compirà sei anni. Non si è ancora imbrancato, ma come da abitudine cerca però qualche compagnia e se vuole giocare secondo i suoi desideri, da tempo registrati, ( si rincorrono a turno per poi rotolarsi facendo finta di lottare o anche salendo velocemente sugli alberi…) deve scegliere un gatto che ha come protocollo questo comportamento. Certamente giocherà bene insieme ad un altro gatto sterilizzato; altrimenti potrebbe avere problemi anche seri, visto che è stato privato anche dell’unghia robusta della zampa anteriore destra, situata un po’più in alto delle altre, con la sua radice, come già comunicato. In questi giorni abbiamo notato un suo strano comportamento con un gatto pezzato marrone e grigio; il nostro, senza correre, con il musetto urtava dietro questo gatto che camminava davanti e ad ogni urto quest’ultimo si voltava stizzoso con un verso di sdegno; ed è probabile che questo rivoltarsi sdegnato del compagno, ad ogni impulso del capo del nostro gatto, fosse accompagnato da una graffio su quest’ultimo (da come risulta dalla densità di graffi proprio sul capo del nostro gatto); così percorrevano una cinquantina di metri lungo il marciapiede appoggiato al confine del nostro giardino fino a un rientro a verde pubblico sempre costeggiante la nostra proprietà (vedere foto).

AGGIUNGERE FOTO

Abbiamo interpretato questo particolare comportamento come se il nostro Ciuci volesse invitare il compagno a scappare per essere rincorso e così giocare (un protocollo usato da lui per il gioco). Corremmo dall’interno del giardino per controllare alla fine quello che sarebbe accaduto dalla rete di recinzione interna. Ci fu uno scontro di aggressioni, ma non di gioco, con urli e versi di dolore su questa rientranza del Comune. Riuscimmo, a distanza, a dividerli da lontano con un getto d’acqua a pressione con una sistola. Provammo poi a chiamarlo e dopo una mezz’ora apparve sopra il tetto piuttosto elevato (circa due metri) del recinto dei cani situato in fondo al giardino. Dopo una certa incertezza il gatto saltò giù e provò dolore alla gamba destra. A casa gli scrutammo il manto di pelo che con dispiacere era segnato da molti graffi in particolare sul capo, poi qualcuno sulla guancia destra vicino agli occhi e aveva un cerchio di unghiate attorno a metà dall’arto destro. Cominciammo a disinfettare le unghiate a partire dal capo con betadine ed anche con listeryne (usato per sciacqui). La piccola zona concava della gamba destra, in corrispondenza del taglio dell’unghia e radice, era occupata da sangue, forse danneggiata dal salto dal tetto del recinto dei cani. I giorni successivi cercammo di disinfettarla, ma il gatto continuava a camminava incerto su quella gamba e non era più salito sul tetto del detto recinto, spesso usato per salvarsi anche dall’assalto del cane da caccia GIGI che abita anche lui nel nostro giardino.

Dopo una decina di giorni lo portammo dal veterinario a fargli controllare lo stato generale e le incipienti crosticine, per paura che si trattasse di tigna. Il veterinario confermò che si trattava invece di unghiate e che spesso i gatti sterilizzati venivano bullizzati dai branchi. Ci dimenticammo di far vedere la gamba destra! Nei giorni successivi continuando i tentativi di disinfezione, il gatto, correndo meno di prima e leccandosi continuamente le unghie ed il piede destro, sembrò che iniziasse a migliorare, ma anche oggi in effetti cerca di tenere ancora la gambina nascosta alla nostra attenzione; ma si spera che il nostro gattino comunque abbia maturato da questa dolorosa esperienza, il protocollo per la scelta dei gatti con cui giocare e stare guardingo invece dagli altri gatti che “non sanno giocare”, almeno ci auguriamo di si!!! Il dottore comunque ci consigliò e tenere il gatto sempre in casa se lo volevano salvare…. Ma, a sorpresa, dopo pochi giorni il nostro Ciuci ci dimostrò che la sua gambina stava meglio, saltando giù dal tetto, alto più di due metri, dei canili con non curanza! prevalentemente devoluti a tentare di sfuggire dal recinto metallico.

Ma ci sbagliavamo! Dopo qualche giorno ci arriva coperto ” di croste” come non mai e zoppicando in maniera costante…! Portato di nuovo dal veterinario, dopo accurata visita, ci si accorda che forse le ferite e graffi sono prevalentemente dovuti a cercare di sfuggire dal recinto metallico del giardino e lo zoppicare da un qualche danno al piede gonfio per infezione e con un’unghia spezzata, nel saltare da qualche altezza.

Ma ci sbagliavamo ancora. Dopo qualche giorno cessò di mangiare e bere. Il dottore lo trovò con la febbre e ci ordinò una cura per infezione, pasticche e punture da somministrare per dieci giorni. Dopo pochi giorni il gatto cominciò a migliorare. Attualmente, esce ad orari precisi e ritorna quasi subito in buono stato; sembra che il protocollo di comportamento sopra nominato sia stato finalmente acquisito! Ad maiora.

Seguono due foto riferite alla vita del gatto in questa ultima parte della storia.

LA STORIA DI CIUCI DALL’INIZIO

Noi non siamo due esperti etologi, ->(praticamente un geo-fisico, laureato con 110/110 e lode presso l^Istituto di Geologia Nucleare di Pisa, via Santa Maria, frequentato questo, per quasi due anni, uno per la tesi ed uno per una borsa di studio vinta, “sostenuto” da svariate pubblicazioni culturali qualificate e concorsi superati su svariati rami delle Scienze compresa la Fisica e una docente elementare, fornita di molteplici attestati, considerata e valutata di buon senso, sensibile e intuitiva, ambedue con passabili cognizioni epistemologiche e ambedue con lunga esperienza ‘insegnativa’ e curiosi dei misteri del Cosmo)<- ma riteniamo di avere titoli e abbastanza conoscenze, che, in qualche modo, potrebbero entrare in sinergia nello interpretare e studiare un fenomeno naturale (il nostro gatto grigio

Il nostro gatto ci ha scelto. E’ venuto per un certo tempo a dormire sulla soglia del portone di casa e quando aprivamo fuggiva, fino a quando entrò velocemente in casa e… si stabilì da noi.

Non appena fu chiaro che Ciuci stava bene a casa nostra e non  sarebbe più andato via, lo portammo dal veterinario, per visitarlo, vaccinarlo, e ci consigliò anche di sterilizzarlo (se volevamo che vivesse più a lungo e più serenamente fra gli umani e… per gli umani!). Il veterinario abita e lavora a San Dalmazio (comune di Pomarance, Pi, Italy) in una villa, a circa 10 km da Pomarance in cui abitiamo, circondata da boschi fitti di una  macchia mediterranea in una topografia complessa, selvaggia, ricca di forre e pericoli, con presenza saltuariamente anche del lupo. Il tragitto per recarsi dal veterinario fu ovviamente fatto in macchina e quindi in gatto non poté “mappare” il territorio.

Trascorse così un anno in cui imparammo a conoscerci reciprocamente, imparammo a cogliere i segnali del Ciuci e ad agire di conseguenza ed a volerci reciprocamente sempre più bene. Il Ciuci diventava sempre meno selvatico – aiutato anche dalla sterilizzazione! – (non dimentichiamo che fino ad un anno circa era vissuto da randagio). Infatti cominciò a dormire con noi, toccandoci con le sue zampette e facendo, felice, le fusa.

Trascorse in questo modo un anno sereno fino a quando non dovemmo riportarlo dal veterinario per il richiamo del vaccino. Arrivati dal veterinario, il gatto, spaventatissimo, riconobbe il posto e ricordò anche  il tragico esperimento precedente, riuscì in qualche modo a divincolarsi ed a fuggire.

LA STORIA DEI TRAGICI SEI MESI SUCCESSIVI

Cominciò così un periodo tristissimo, per noi vecchi (con figlia e nipoti lontani), pieno di ansia, dispiaceri e qualche lieve speranza di ritrovarlo. Cominciammo una lunga ed estenuante ricerca; era febbraio, era freddo e noi pensavamo al nostro caro amico solo, al gelo, magari preda di animali (cinghiali, volpi, lupi… umani…) senza niente da mangiare. Pertanto tutti i giorni andavamo nei boschi vicini al luogo in cui era fuggito, chiamandolo, recandoci in tutti i poderi a chiedere se qualcuno lo avesse visto ed ogni giorno tornavamo a casa sempre più delusi e affranti, ma ancora non disposti a mollare. Avevamo attaccato lungo il tratto di strada di interesse foto-protette dall’acqua del nostro disperso (simili alla foto iniziale della serie riportata sotto). Contattammo famiglie, davvero da ringraziare, sempre disponibili, che quotidianamente portavano cibo a branchi di gatti randagi (es., signora Marena Creatini) e addirittura visitammo un gattile sulla costa, perché era uso che alcuni di questi randagi venissero trasferiti ai ricoveri per gatti o quello che erano. Addirittura  una famiglia ( signor Rolando Calastri) ci catturò, con una gabbia a scatto, un gatto grigio, ma non era il nostro e fu subito liberato! Ma, ci venivano raccontate storie di gatti che avrebbero percorso km per ritornare alla loro famiglie riuscendoci  attivando i loro potenti sensi oltre la vista e ad ognuna di esse riprendevamo un minimo di speranza.

Era febbraio e a luglio, nonostante tutte le ricerche… del Ciuci nessuna notizia. Cominciammo a perdere le speranze consapevoli ormai che non avrebbe potuto rintracciare la nostra abitazione dal momento che il percorso era stato effettuato, chiuso in macchina, come già detto, e per di più avrebbe dovuto attraversare almeno un fiume (il Possera) per arrivare a casa. 

Eravamo davvero disperati e ormai quasi rassegnati quando,  il 30 luglio, ricevemmo una telefonata del veterinario, dottor Cristiano Baroni, molto gradita, di cui lo ringraziamo anche  perché ci rimase psicologicamente e fattivamente vicino per tutto in tempo, ci raccontò di una sua cliente di Castelnuovo V.C. che recandosi da lui gli aveva riferito di aver trovato un gattino grigio….Era possibile che  fosse il Ciuci!!….perché, riflettendo, per ovviare ai fiumi Possera e Pavone, poteva, in questi suoi tentativi, seguire un crinale lungo il loro spartiacque, che portava a sud di Larderello quasi al confine  col paese di Castelnuovo, cortocircuitando i fiumi, e tale percorso si agganciava proprio al tratto della  strada (verso Lanciaia) che portava dal veterinario (vedere frammento cartina, lungo strada subito sopra San Dalmazio a Est-Sud-est. Da lì iniziava il probabile sentiero del gatto mediamente verso Sud-Sud-Ovest fino ad entrare in Castelnuovo. Sotto strada San Dalmazio il torrente sotto il ponte è il Possera).

Frammento ingrandito di Carta Topografica ripreso da “ACI – GRANDE ATLANTE CARTOGRAFICO DI ITALIA 1:250.000”

Partimmo immediatamente, pieni speranza alla volta di Castelnuovo e arrivati constatammo che era davvero il nostro Ciuci. Era arrivato a casa della signora Cinzia Benini Antonelli e figlia, quasi moribondo, dimagrito e pieno di parassiti e Loro avevano provveduto ad effettuare i primi interventi per la sua sopravvivenza così… gli salvarono la vita! La fortuna nostra e del gatto fu quella di trovare persone squisite disposte ad accogliere presso di loro un animale così mal ridotto e difficilmente recuperabile. Saremo sempre grati a quella famiglia che non dimenticheremo mai che aveva contribuito a restituirci affetto e serenità. Il Ciuci da quel momento, appena entrato in casa si riappropriò dei suoi spazi e delle sue abitudini per la nostra e la sua felicità. Lui, il Gatto, non si era mai imbrancato; il suo unico desiderio era tornare a casa sua con tutte le forze!

RIGUARDO AL COMPORTAMENTO DEL GATTO: 1 ) A GRANDE SCALA, INTERPRETAZIONE FILOSOFICA SOPRA LE RIGHE DEL “COME SE. . .” E 2) OLTRE: QUALCOSA A PICCOLA SCALA

Accenniamo brevemente ad alcune particolari interazioni con il nostro Ciuci che sembra possano corroborare, a nostro parere, l’idea che il nostro gatto si comporti come uno strano piccolo umano con qualche svantaggio (se avesse l’ugola di un pappagallo, con questo nostro gatto, potremmo interagire con la parola!)

E’ un bastardino pseudo-Certosino, di colore grigio uniforme  con riflessi argentati, ma non con il pelo lanoso dei Certosini di razza, bensì con pelo lucido e vellutato, ma con alcune macchie circolari scure caratteristiche dei certosini sul palato, e, come tutti i gatti, è curioso e sospettoso ( la curiosità al servizio  del sospetto!), ma  con un istinto estremamente sviluppato (in qualsiasi specie i fenotipi sono sempre differenziati, in particolare nei gatti) nel mappare in modo sistematico e capillare il territorio in cui vive per raccogliere informazioni vitali per poi rielaborarle durante il riposo, il sonno o dormi-veglia, utili a migliorare sempre di più i protocolli comportamentali per la sua sopravvivenza. I protocolli per ogni evento, nella sua potente memoria, gli consentono di formulare, consapevole o meno, un modello ipotetico, continuamente in via di costruzione, ricco di ipotesi che nella quotidianità saranno falsificate o corroborate. Ad ogni ipotesi falsificata gli potrà accadere anche qualche evento negativo, che, se non mortale, consentirà di modificare il modello che diventerà nel tempo sempre più affidabile. Ne deriva che il comportamento di sopravvivenza del gatto, forse come per tutti i viventi, diventando naturalmente sempre più istintivo, scendendo lungo la scala evolutiva della vita, seguirebbe, in qualche modo, le fasi popperiane più o meno consapevolmente: P1 (problema iniziale), TT (teoria tentativa o ipotesi), EE (eliminazione critica dell’errore), P2 (nuovo problema). Tornando al gatto, quando, nella quotidianità, si presenta qualche variabile che rimane anche per poco costante, Ciuci la memorizza e vi si attiene. Qualsiasi evento interattivo che si ripeta si trasforma nella sua memoria come protocollo di comportamento (ipotesi corroborata). Forse sembrerebbe trattarsi di una razionalizzazione indirizzata dei processi “per tentativi, su ipotesi più o meno consapevoli, ed errori”. In questa ottica, probabilmente la epistemologia di Karl Popper sarebbe applicabile a tutto l’Albero della Vita, in maniera più o meno consapevole, presente nel Cosmo!

A nostro avviso, infatti, per certi aspetti, anche i comportamenti dei viventi lontanissimi dagli umani – a partire dai virus, dalle faune improbabili di Burghess del Cambriano medio (leggere sul blog), dai monocellulari, amebe, Parameci,… piante spontanee …, con i loro pur semplici strumenti di difesa, di offesa e per la ricerca di cibo, per sopravvivere – dicevamo, questi comportamenti si potrebbero, forse, attivare, in chiave filosofica, attraverso le diverse fasi popperiane, “accompagnate nella spiegazione”, da processi, a piccola scala, inter e multidisciplinari fisico chimici biologici… differenziati, agganciandosi a micro-meccanismi (piccola scala) come i microtubi (vedere dopo), che dovranno essere ancora studiati in profondità (si leggono già ora alcuni processi di questo tipo, per es., nel conformarsi delle associazioni di piantine spontanee (magari con rami trasformati in aculei) con la relativa fauna, flora associate (insetti, batteri, funghi e quant’altro)… . Naturalmente per questi ultimi casi, fra pensiero e azione non esisterà alcuna riflessione e, a differenza del nostro gatto, per essi, sentire un impulso vuol dire metterlo in atto. Così Azione ed Intelligenza allora coincidono. Come nel Paramecio, situato presso la base dell’Albero evolutivo, con le sue ciglia a guisa di antenne o strumenti per il suo movimento, ma anche capaci di elaborare informazioni provenienti dall’esterno, reagendo all’ambiente circostante al fine di determinare se mangiare, lottare o riprodursie di generare movimenti sincroni necessari per l’esecuzione di queste quattro azioni, attivandosi le proprietà dei così detti microtubi (ogni microtubo sarebbe per alcuni ricercatori, un elemento delle ciglia e non dissimile da un elemento della struttura filiforme del fuso mitotico nella duplicazione cellulare), una struttura enigmatica primigenia, una specie di “pietra filosofale” indispensabile, sembra, per spiegare e riuscire a capire il funzionamento della vita, perché possa sopravvivere a fronte dell’ambiente fisico, a tutti i livelli della scala evolutiva (jeffrey Satinover, nel testo “Il Cervello Quantico, 2002”! Ed. MACRO, a pag 276, a seguire).

Ma ciò (assenza di riflessione) non è poi così diverso da quasi tutti i più civilizzati comportamenti umani! (pontifica con ironia Jeffrey Satinover, op. cit.).

Da questa veloce sintesi, mutuata dal testo di Satinover ( un po’ criptico e di lettura talora ostica dovuti anche alla scarsa nitidezza di molte foto riportate nel testo che abbiamo a disposizione) sembrerebbe comunque si potesse affermare che le ciglia del Paramecio siano microtubi, che costruiscono onde opportunamente sincrone per eseguire le azioni atte alla sua sopravvivenza. Da notare infine che “…Anche i neuroni umani sono particolarmente ricchi di microtubi (il loro citoscheletro è costituito infatti da microtubi) che alimentano sia la propagazione dei segnali sia la costruzione auto-organizzata di nuove connessioni da neurone a neurone“; fra parentesi: un funzionamento anomalo (op. cit., 2002, pag. 278) del citoscheletro della cellula neurale fa perdere sinapsi, causando Alzheimer (una delle ultime ipotesi su questa malattia); la precedente era: la deposizione di placche amiloidi sul cervello posteriore. Ultimamente qualche ricercatore ha anche affermato che fare footing in ambiente ossigenato, se si elaborano col pensiero contemporaneamente problemi, si facilita la moltiplicazione dei neuroni.

Riassumendo la struttura ed il funzionamento di una cellula sono molto più complessi di quello che si pensava pochi anni fa e i suoi misteri forse non sono ancora finiti!

Per ulteriori precisazioni, chiarimenti e per saperne di più, si rimanda al testo dell’accademico Satinover (op.cit., cap. 14)

Per chi volesse approfondire la teoria epistemologica popperiana espressa dalla proposizione logica vera del modus tollens: [(H->Q) U (non-Q) -> (non-H] e vedere la sua critica sul fronte delle ipotesi e dei dati sperimentali, potrebbe, per es., ricercare, su questo blog, con il tag, “Karl Popper” o “Duhem-Quine”, aprendo il post “OSCURI” PENSIERI

Anche da quanto detto, si evince, come il gatto in particolare, possa avere un io anche se non ben definito e forse parzialmente consapevole, per cui comunque si porrà a fronte dell’umano come un individuo che si sente alla pari, in una interazione veicolata, da una parte, da parole chiave in un semplificato linguaggio umano (attento eh!, bravo, no! anche col dito, andiamo!, qualche vezzeggiativo…)  e dall’altra parte, da un “miao” differenziato nel suono a seconda delle situazioni (sgne! stizzito per un netto dissenso, uno gnao debole appena accennato come dire “ci sono, sono arrivato”, uno gnao deciso e ripetuto di rabbia perché si esegua velocemente un comando urgente…un urlo gutturale non ben definibile per spaventare un gatto avversario…), da battito di ciglia (tradotto per es.,“sono in accordo con te”) e ammiccamenti o da torsioni e allungamenti (per indicare e richiamare l’attenzione o un “crecchio”), quando muove la coda sbattendola (per suggerirci di lasciarlo stare), da forme particolari della coda (ritta a punto interrogativo, “ciao e buona giornata”), da rapide graffiature su poltrone (per indicare esigenze e subito dopo ammicca per dire cosa vuole)…; per non parlare del suo magico ruglìo a bassa frequenza, un suono di riconoscenza e di affetto, col quale rasserena se stesso e tutto l’ambiente vicino, quasi a ringraziarci per la nostra presenza; si dice che rugli anche quando sta per morire, per rendere più sereno anche il distacco dalla vita.

CENNI AL COMPORTAMENTO DEL CIUCI

1 – Il Ciuci porta uccellini, topini ed altro per giocarci in casa insieme a noi o per contraccambiare il cibo con cui lo alimentiamo! Per lo più porta animaletti ancora vivi e ciò farebbe pensare che volesse giocare con loro insieme a noi. Il problema è grave in particolare per le arvicole in specie se sono incinte perché la nostra casa è vissuta e piena zeppa di tutto e di più; si rischierebbe una invasione rapida di topolini di campo, pur piccoli e simpatici, in casa, con difficoltà di poterci liberare! Per questo volevamo che il gatto non portasse in casa più niente di vivo! La cosa non era però così semplice a risolvere, dovevamo controllarlo tutte le volte che rientrava! Un giorno arrivò con il suo topolino in bocca vivo. Cercammo di fermarlo e lui lo liberò. Il topolino si mosse davanti al gatto e rapidamente, anche se con dispiacere, lo schiacciammo sul pavimento….il segnale lanciato dalla morte, forse un segnale “morfico” (leggere morfismo sul blog) paralizzò il gatto, alzò i suoi magici occhi gialli verso di noi, poi verso il topino sventrato e avvicinò il muso alla scarpa assassina, mentre gli urlavamo no!, no!, anche con il dito! Per alcuni giorni quando si indossavano le stesse scarpe il gatto le guardava, ma palesemente stava lontano da loro con sospetto, e lo fa ancora oggi! Bene da quel giorno non ha portato più nulla in casa, corroborando quest’ultima ipotesi!

Da riflettere su come nella Natura selvaggia il segnale di morte, in specie la violenta, è fortemente percepibile dagli altri esseri viventi più o meno consapevoli!

Alcuni ricercatori hanno addirittura progettato circuiti elettronici, nella loro intenzione, sensibili a tali segnali! Quello che costruì uno degli autori, mutuando il raccontino che segue sui pescatori di gamberi di fiume ed il progetto del circuito, da una delle tante riviste di elettronica applicata, che al tempo leggeva con entusiasmo ed interesse, e che ancora oggi sono “posteggiate” da qualche parte nella sua nutrita biblioteca sempre più dispersiva e polverosa, emise un segnale (in questo caso elettromagnetico) che, purtroppo, rientrava nel range dell’errore sperimentale (si perdeva nel rumore di fondo). Ci sono anche altre storie che narrano di questi eventi e di animali. Fra gli uomini, sembra, in qualche modo, si percepisca il segnale di morte fra individui legati da emozioni forti. Se muore, per es., un parente od un amico è facile che onde morfiche perturbino i sogni dei conoscenti… nella vicinanza temporale dell’evento, ma forse, date le caratteristiche di una onda morfica a velocità infinita (se esiste!), anche molto lontano nello spazio! Da notare che il concetto di morfismo sembra che fosse stato introdotto nella cultura per ovviare alla mancanza di indizi nel pool genetico degli antenati, che permettessero la trasmissione delle “forme” ai discendenti e non solo i singoli svariati caratteri genetici. Ci torna a mente quello che diceva B. Russell <<Se vedi un gatto ed uno ti chiede “Perché è un gatto?”, la risposta “E’ un gatto perché assomiglia ad un gatto, cioè ha la forma di un gatto!” è accettabile. L’accettabilità della risposta ci sembra potrebbe significare che ci vuol molto di più per trasferire ai posteri la forma!

Come accennato precedentemente, infatti, si racconta che dei pescatori di fiume accesero un fuoco per far bollire dell’acqua in un campo ricoperto di fiori selvatici e raggiunta la bollitura gettarono direttamente nella pentola una manciata di gamberi d’acqua dolce vivi appena pescati. Improvvisamente un “nuvolo” di api ed altri insetti si sollevarono dai fiori, apparvero spaventati e rumorosi intorno al fuoco per poi volar via. Un altro caso accadde agli autori. Sotto la nostra grondaia qualche anno fa, le rondini per un lungo periodo di tempo avevano costruito decine di nidi (oggi ne sono rimasti i ruderi e le rondini si sono dileguate!), e in quel tempo a primavera un centinaio di rondini (balestrucci per la verità) si addensavano in continuo via vai, sopra il nostro pianerottolo in cima alle scale che portano al portone di casa. Una grossa ghiandaia svolazzava anche in nostra presenza, sfrontata e senza paura, addirittura sopra la parabola della televisione murata al parapetto, posta subito sotto la striscia dei nidi e spesso saltava anche sopra di esso, sempre la stessa.  Da tempo, sempre la stessa, attaccava i nidi col becco e gli artigli mandandoli in pezzi, facendo cadere giù in basso i resti con i nidiacei, che poi tranquillamente divorava. A noi lo svolazzare di rondini davanti al portone, non sappiamo perché, ci rendeva felici, rendendo il pianerottolo un luogo quasi magico, come dissero anche i due sacerdoti quando vennero a benedire la casa. Infine, quando ci accorgemmo che le rondini diradavano e le rimanenti schizzavano nervose (conoscevano bene il loro assassino!), prendemmo una decisione un po’ “bastarda” (anche la ghiandaia doveva sopravvivere…, ma noi siamo chiamati a distinguere fra il bene ed il male a favore nostro!); ci facemmo infatti prestare una carabina ad aria compressa e la uccidemmo. Proprio in quell’istante di morte, alzando gli occhi al cielo, in alto vedemmo chiaramente costruirsi una enorme circonferenza stabile e quasi perfetta, ruotante, costituita  da rumorose rondini,  il cui centro si spostava avanti e indietro verso di noi. Al lettore la interpretazione…di questo strano evento. Forse per gli animali più o meno gregari è attiva una intelligenza collettiva.

Dopo questo,  per qualche altro anno ancora, le rondini tornarono in primavera a “manutentare” i loro nidi sotto la nostra grondaia…poi sono sparite. A questo proposito  si può leggere su questo blog gli scritti anche con foto sulle rondini richiamati dai tag  “Breve racconto su un evento di natura” e nel post “Poesie di cose del mito” con la poesia dal titolo “Rondini ed Unicorni”,  ambedue gli interventi degli autori della presente storia)

2 – Dall’ultima foto si intravede la televisione di camera e i relativi fili buttati sul letto. Il Ciuci dorme spesso sul letto e privilegia sdraiarsi sopra qualche filo o toccare con la zampina qualche punto del corpo umano a nudo (vedere alcune foto), in qualche modo. All’inizio rosicchiava i fili e un giorno ne staccò un pezzo, che noi raccogliemmo e in un secondo momento, quando il gatto si riposava, lo costringemmo a guardare questo frammento, strofinandoglielo sul muso, mentre a voce alta e muovendo il dito gli urlavamo il solito No! No! Lui non riusciva a capire, ma poi si avvicinò di nuovo al filo per due volte con la zampa per far finta di aggredirlo (chiaramente per noi, per corroborare o falsificare  una sua ipotesi mentale sul nostro comportamento!) e noi ancora gridando e muovendo il dito, per due volte gli demmo uno scapaccione non molto forte e lui allora capì che non doveva rosicchiare i fili (ipotesi ritenuta da lui corroborata!), perché, nonostante preferisca ancora oggi sdraiarsi sui fili, non li ha più  rotti!

3 – Il comportamento adottato quando viene da fuori in casa e, per caso si siede incerto al centro di quattro porte aperte indeciso a pensare (come spesso fa), è allora che deve vagliare le informazioni sui contenuti delle 4 stanze mappate con accuratezza in precedenza, informazioni, che riesce a mantenere nella sua incredibile memoria, in maniera da poter sospettare delle variazioni che possono essere avvenute in sua assenza, perché è in quelle che potrebbe annidarsi il pericolo! A conferma, in una di queste occasioni Gabriella aveva occupato lo spazio della camerina per stirare disponendo oggetti per questa attività, lasciando però libera la poltroncina dove riposa sempre il gatto, quando sceglie questa stanza. Il Ciuci dopo aver mappato questi oggetti per lui nuovi, annusandoli e esplorandoli con le zampette, decise che non c’era niente di pericoloso (la sua ipotesi corroborata!) e si accomodò sulla sua poltroncina stando ad osservare Gabriella con i suoi occhi gialli spalancati. Si mise subito a rugliare; allora Gabriella gli parlò con le solite affettuose parole di sempre e lui si acciambellò, esponendo la guancia ed il collo in attesa del “crecchio con grattino”. Da notare che spesso quando si arrotola cerca di poggiare capo e musetto sulla parte distale delle 4 zampette e della coda, cioè di porre tutti gli strumenti di interazione con l’ambiente vicini e disponibili ad occhi, testa e dentini aguzzi! (vedere ultima foto)

4 – Che il nostro gatto possa formulare, in maniera inconscia o parzialmente conscia, a se stesso ipotesi e conseguenti aspettative, lo possiamo intuire anche da un altro complicato accadimento. La poltrona del tinello è generalmente occupata da Gabriella, ma se  Gabriella si muove nei dintorni o è seduta su una sedia, allora può essere occupata da lui, e quando lei arriva o si alza, fugge via lasciandole il posto. Quando però ha compreso (in un gioco di falsificazioni e corroborazioni) che può sdraiarsi sulla poltrona senza che nessuno lo rimproveri, allora si adatta anche a dividere il suo spazio con altri.

5 – Il Ciuci è felice quando  uno di noi si sofferma in giardino; controlla dove andiamo: se ci avviciniamo al cancello lui esce pensando  di accompagnarci fino alla macchina; se invece ci sediamo in giardino lui fa “le prodezze”, ci fa ammirare quanto è bravo salendo velocemente sugli alberi intorno e aspettandosi il nostro “bravo”!

A fronte di quanto detto siamo convinti che il nostro gatto Ciuci, che per sua scelta, da anni, non usa più la lettiera (i gatti, si sa sono molto puliti, a volte hanno il fiato maleodorante se hanno mangiato cibo a base di pesce!), possa uscire di casa quando vuole sia di notte che di giorno. Esce per alcune ore al giorno e di notte, ma rientra sempre circa alle stesse ore quasi possedesse un orologio interno. Conosce molto bene il suo mondo esterno e lo controlla tranquillamente con i suoi innumerevoli protocolli comportamentali sempre pronti e attivi in memoria, sperando naturalmente di non incontrare eventi così improvvisi da renderli non prevedibili, a togliercelo o a danneggiarlo per sempre! (per es., un umano nascosto gattofobo con una carabina, un arco, o forse magari una pinza, per poter strappare “di brutto” un unghiolo, da vero delinquente! e Ciuci ha subito forse anche questo ). Qualche mese fa, infatti, arrivò dolorante a casa zoppicando, trascinandosi un grosso unghiolo della gamba destra anteriore, pendolante da un legamento di circa 5-6 cm! Il veterinario disse che un evento come quello non lo aveva mai visto! e fu costretto a tagliare “di brutto” l’unghiolo insieme a tutta la radice, e così il gatto è rimasto indebolito nella difesa per tutta la vita.

Riassumendo comunque pensiamo che il cervello del nostro gatto, tornando alla piccola scala, abbia superato l’efficienza delle così dette reti neurali, ancora in studio, che, per alcuni ricercatori, sembra, abbiano necessità interna di feeback per controllare i propri errori di percorso e questo fatto sembra aprirebbe in qualche modo la via verso la scelta libera, non casuale (LIBERO ARBITRIO)….(leggere, per es., alcuni passi del testo di J. Satinover, op. citata, cap. V°). Se l’umano non è una macchina, non lo è neppure il nostro gatto! Azzarderemmo affermare che il nostro bastardino sembrerebbe, a volte, indirizzare arbitrariamente il proprio addestramento! e di esso diventare così arbitro assoluto a differenza dei gatti di razza più ammaestrabili e quindi meno liberi e degli altri viventi non umani.

Concludiamo riassumendo che il gatto, in particolare il nostro, fortemente curioso, tornando a ragionare sul reale a grande scala, raccoglie informazioni capillari dal territorio, variato e variabile in cui vive, le memorizza nella sua capace e potente memoria, rielaborandole poi probabilmente quando sembra addormentato (e dorme per molto tempo! ). Costruisce così, attraverso la successione popperiana un poco semplificata e reinterpretata, numerosi protocolli di comportamento variabili nel tempo – di difesa, di offesa, ricerca del cibo… o  di tenero conforto – efficaci per la sua vita, affinché tutti i diversificati ambienti visitati e da visitare non contengano sorprese per mantenere – con la vita e con gli eventi molto svariati che vi incontra – un rapporto favorevole per lui, ….ma, per mantenere, in particolare, con gli umani della sua famiglia sempre il solito grande affetto. Di fatto, nel mappare intenso l’ambiente esterno, incontra, certamente più del cane ed altri animali domestici, in positivo o in negativo, altri gatti, cani, topi, ramarri, lucertole, uccellini,… ma anche trappole, terreni avvelenati… per non parlare di macchine biciclette motorini … e umani talora pericolosi per superstizione, per sciocco divertimento o per cattiveria… [una favola metropolitana infatti insegna, se vera, che più commetti ingiustizie e soprusi gratuiti a danno di un qualsiasi “prossimo che vive”, otterrai per te miglior qualità di vita!! come a dire, mutuando un verso di una canzone pseudo-goliardica, “i pezzi di merda non muoiono mai”: (MUORE LA PECORA E LA CAVALLA, MUORE LA MUCCA NELLA STALLA, MUORE LA GENTE PIENA DI GUAI, MA I PEZZI DI MERDA NON MUOIONO MAI!]

Alcune risonanze di quanto raccontato forse ci sono state suggerite anche da alcuni passaggi nella lettura del post di Dario Antiseri “Memoria biologica, Mondo 3 e stati problematici oggettivi” riportato in questo blog.

Protocolli di comportamento insomma, in generale per tutti, non sono sicuri e più dubitiamo di essi e più siamo disposti a crederlo,… più impariamo dalla vita e così più numerosi saranno i protocolli in memoria e più ci sentiremo in sicurezza. Non facciamo come nel racconto del tacchino del matematico-filosofo B. Russell che pensava, al sorgere del sole, di avere il nutrimento, invece trovò la morte… per nutrire gli umani! Facciamo morire le nostre teorie al nostro posto, in questo insegnamento sta qui la soluzione per una vita forse meno serena, ma più intensa e protetta. E’ per questo che molti pensatori religiosi considerano che lo stesso sorgere del sole la mattina possa essere in effetti da considerare un vero e proprio miracolo! Così il nostro Ciuci lo abbiamo scherzosamente ribattezzato “Il grigio quasi popperiano con i baffi!”

Infine, se nel corso del tempo, girovagando nell’etere, a qualche studioso interessato di etologia o quant’altro, prima o poi fortuitamente, gli capitasse di gettare uno sguardo a “ilsillabario2013.wordpress.com“e leggesse per curiosità il nostro post “Ciuci, il gatto“, gli saremmo grati se volesse e ampliare il discorso e/o correggere le nostre argomentazioni considerate sbagliate, inviando un proprio scritto a: ao123456789vz@libero.it; lo aggiungeremmo e/o integreremmo, nell’articolo, così come è, rispettando tutte le Vostre coordinate. Un grazie sentito in anticipo.

COME SCRITTO ALTERNATIVO Friederich Nietzsche manda un commento sintetico al nostro blog del tipo:

DU BIST EIN UNTERMENSCH

riferito agli autori del precedente articolo sul Ciuci

 I nostri post si articolano su scritti partendo da punti di vista diversi. In effetti è apparso un intervento, di autore presumibilmente di lingua tedesca (Friederich Nietzsche), che nel giudicare il precedente nostro articolo, che parla del nostro gatto Ciuci, ci ha avvicinati ad un livello inferiore nell’albero della vita (UNTERMENSCH!) e può anche darsi, che, per certi versi, abbia ragione! la non condivisibilità, per una discussione, era prevista e voluta già nel titolo (ma non certo per una nota di disprezzo che puzza di vendetta gratuita). Lui stesso, il vero UMANO, peraltro, vede il nostro caro Ciuci, addirittura, secondo la modalità dello scritto sarcastico, correggendo un tema sul gatto, tratto dal Vernacoliere toscano, trasferendo anche due nostre foto del caro gatto al fine di intensificare il sarcasmo! [per il controllo, dal blog, cercare col Tag “Scritti Sarcastici”]

Davvero non ci sembra un punto di vista corretto, né molto umano, e né molto culturale, anche perché utilizza, per il suo scopo scritti e foto che non sono farina del suo sacco !!!

I docenti: Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

 

SEGUONO ALCUNE FOTO DI RIFERIMENTO DEL NOSTRO GATTO

Qui il nostro Ciuci aveva due anni (24, secondo una formula riferita agli umani) e a Febbraio 2022 ne avrà cinque (38, sommando 4 ad ogni anno successivo) ed è dell’Acquario, con tutti i suoi pregi e difetti

Nelle due foto precedenti appare un gatto “abusivo”, non so come sia salito sul terrazzo ad est ed il Ciuci sta di guardia a che non entri nella sua casa
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La poltrona nel tinello del punto 4
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“NOVELLA FANTAPOLITICA IN UN PROSSIMO FUTURO – RE-INVOLUTION: A-LIBERTE’, A- EGALITE’, A- FRATERNITE’; autori del reportage G.P. – P.S.; a cura di Piero Pistoia

NOVELLA DI FANTAPOLITICA IN UN PROSSIMO FUTURO

COSE ALLA ‘RINFUSA’ DI BRUNER E FEYERABEND di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

Articolo riproposto per  la sua attualità, leggermente rivisitato – per leggerlo cliccare su:

COSE DI BRUNER E FEYERABEND

Oppure leggerlo direttamente di seguito:….

 

Sono nelle storie e interpretazioni che ci raccontiamo

le cause della nostra felicità e delle nostre

disgrazie altro che gettare nel fuoco

ciò che non è spiegazione causale,

come pontificava Hume!

Jerome Bruner

 

COSE DI BRUNER E DI FEYERABEND

di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

  • Il processo di apprendimento proprio delle Culture umane (afferma Bruner) è un processo interattivo dove le persone imparano le une dalle altre e non attraverso il mero procedimento del narrare e del mostrare. Appare così evidente il ruolo nuovo del maestro, che, nel migliore dei casi, prima preparava ed organizzava la sua lezione, o almeno pensava alle idee da esporre, alle argomentazioni da proporre, in vista della acquisizione di uno o più concetti. Sistemava cioè la materia in una scaletta che poi avrebbe esplicitata in una maniera chiara e coerente. Ma se viviamo in un mondo complesso-caotico introdurre una sistemazione non significa forse introdurre un aspetto illusorio? Nella nuova ottica la classe diventa una sotto-comunità dove si impara in scambi reciproci di idee ed argomentazioni. L’insegnante non è più così il detentore del sapere, onnisciente, ma un coordinatore dello scambio di idee e saperi degli altri, un orchestratore. E’ facile che molte idee scambiate siano sciocche dal nostro punto di vista; ma anche l’idea più sciocca può avere dei punti a sua forza per alcune persone e non solo. In sistemi complessi verrebbero favorite proprio le idee meno apprezzate dalle posizioni ufficiali dell’interno delle trappole della conoscenza (Piero Pistoia, Frattali, logica e senso comune, Didattica delle Scienze, La Scuola, Brescia, aprile 1995). Non poniamo limiti alla immaginazione, è questo lo slogan di Feyerabend che dovrebbe animare le classi; lasciamo proliferare i diversi punti di vista, diamo ascolto a tutte le voci, anche e specialmente a quelle dissonanti e sorprendenti per le tradizioni standard. Sono le idee diverse, le posizioni diverse, i punti di vista diversi (e più sono e meglio è) che producono progresso in ogni campo.

  • Non c’è un’unica spiegazione, quella causale, quella apollinea, avulsa dal contesto, il cui punto di vista è da “nessun dove”. Ma tante interpretazioni a seconda dei contesti, delle tradizioni e delle Culture. Questo tipo di atteggiamento in classe è, a nostro parere non soltanto opportuno, ma necessario in un momento in cui la Scuola sta diventando sempre più multietnica; in ogni classe si incontrano storie, tradizioni, culture di mondi totalmente diversi fra loro; convivono e si confrontano alunni tedeschi, svizzeri ecc. ed anche marocchini, albanesi, sloveni ecc. senza contare le varianti all’interno della nostra tradizione (i poveri ed i ricchi, i figli dei divorziati e quelli adottati ecc.). La famigerata formula di pluriclasse, fortemente criticata in ambiti pedagogico-didattici e da tempo eliminata, non sarebbe oggi, se rivisitata, una proposta all’avanguardia? Ecco due concetti irriducibili a confronto/scontro: la spiegazione e l’interpretazione, l’armonia e l’ambiguità, l’aspetto addomesticato e l’aspetto più selvaggio della conoscenza, se non quella del lupo, almeno quella del cane bastardo, che non è asservito al padrone razionale fino in fondo (Piero Pistoia, Il cane, il lupo ed il bastardo, Didattica delle Scienze, La Scuola, Brescia, novembre 1994).

  • Forse esistono situazioni psico-biologiche ereditate dalla specie (specie specifiche), ma l’efficacia delle costruzioni degli altri significati, all’interno di questo background psico-biologico dipende quasi esclusivamente dai teatri culturali in cui avviene l’interazione (“mercati simbolici” di Bourdieu). Bruner,1996, pag. 126. L’aspetto esplicativo-causale è certamente potente (forse troppo) nella tradizione della ricerca scientifica (nella tradizione di un Indiano Hopi che significato potrebbe avere il tensore di gravità di Einstein?) ma solo se rimaniamo in ambiti spazio-temporali limitati e con poche variabili; è infatti capace di prevedere e controllare per tempi brevi il mondo fisico inorganico (che poi non è tutto il mondo inorganico) e perfino alcuni pochi aspetti del mondo della vita. Comunque certamente non riuscirà a fornire ragioni causali all’enorme mare tempestoso (per dirla con Wittgenstein) che squassa la piccola isola del razionale, addomesticata, povera e sonnolenta (“Che Dio ci scampi dalla povertà della visione e dal sonno di Newton”, Blake). A nostro avviso la stessa isola, insieme alla sua frontiera, potranno trovare anch’esse, nell’ambito della narrazione e della interpretazione, i modi per aprire nuovi percorsi, direttrici teoriche ed operative mai sperimentate, per recuperare dal non dicibile i nuovi giochi per agitare opportunamente il dicibile e rompere i paradigmi (Piero Pistoia, La teoria, la Realtà ed i Limiti della conoscenza, Didattica delle Scienze, La Scuola, Brescia, ottobre,1993).

  • Come insegnare l’argomento più vicino alla vita, quello delle “narrazioni” e delle “interpretazioni “ per eccellenza, come gli Studi sociali, la Storia e la “Letteratura” (le tre P di Bruner, il Presente, il Passato ed il Possibile) che a differenza della Scienza, suscita passioni contrastanti? Come si fa ad insegnare ai giovani una storia tragica e travagliata, che da molte parti è considerata un grosso errore? Come facciamo ad indurre la nuova generazione a riflettere sulla propria storia, non solo a studiarla, ma a reinterpretarla? Le reinterpretazioni possono “smascherare” le storie ufficiali delle nostre vittorie? E’ permesso? Ogni vittoria porta con sé ideologie, verità, insegnamenti istituzionalizzati da comunicare ed imporre! Sono queste le “narrazioni” che le nuove generazioni devono cercare di formulare od almeno porsi il problema di poterle formulare, se non la necessità di formularle.”Ma allora non c’è niente di sacro?”, si chiede Bruner (1996, pag.104) e la sua risposta è “Di sacro c’è che qualsiasi ricostruzione del Passato, del Presente e del Possibile che sia ben forgiata, ben argomentata, scrupolosamente documentata e prospettivamente onesta merita rispetto”. Nell’operazione Desert storm (Guerra del Golfo), abbiamo vinto o perso? Perché nessun lutto ufficiale per le decine di migliaia di civili iracheni uccisi? Bruner 1996, pag. 127. Quanti dei nostri? Per non parlare di quella efficace e brillante azione strategica, dal sapore fortemente “causale”, che vince in un sol colpo la guerra: migliaia di soldati nemici soffocati nella sabbia del “loro“ deserto, nelle trincee scavate da loro, nella “loro” terra, al semplice passaggio dei “nostri” potenti carro-armati giunti da un “lontano” continente. Il nemico non ha forse donne, bimbi e vecchi e ragioni da vendere? Proprio come noi, i vincitori! Non sono forse umani come noi e come noi appartenenti alla stessa specie Homo sapiens (per alcuni, sottospecie sapiens)? Dalla molteplicità delle interpretazioni della storia del passato, potremmo acquisire la compossibilità di soluzioni ai problemi del presente, aprendo possibilità più umane per il futuro. Sono nelle storie che ci raccontiamo le cause della nostra felicità o delle nostre disgrazie, altro che gettare nel fuoco ciò che non è spiegazione causale, come suggeriva Hume! Se sono tutte sofisticherie ed inganni (Hume), perché in regime di tirannia i primi ad essere imprigionati sono i romanzieri ed i poeti? Lo stesso Platone voleva espellere i tragediografi dalla sua Repubblica perché inutili e pericolosi! Rendere strano ciò che è fin troppo familiare ed aiutare a vedere continuamente in modo nuovo, a chi fa paura? Da una parte l’uso strettamente razionale e quindi innaturale e violento che fa la società dell’uomo, dall’altra l’interpretazione, collegata al sacro interiore (Moravia). Se davvero vogliamo rinnovare la Scuola portiamo in classe romanzieri e poeti!

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NOTE

Il lettore che volesse ritrovare ed approfondire le idee appena accennate, può leggersi gli ultimi due libri scritti da Bruner e Feyerabend (Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli,1996 e Feyerabend, Ambiguità e armonia, Laterza 1998), che riassumono le loro tesi, oggetto di lunghi e sofferti dibattiti nel corso dell’ultimo mezzo secolo ed oltre. Da notare infine che tutti gli articoli di riferimento riportati negli scritti di Piero Pistoia si trovano in questo blog.

Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

PROCESSO INDIZIARIO E RICERCA DEGLI INDIZI: post aperto a più voci; a cura dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia; con articoli del dott. Giuseppe de Lalla, avv. ed altri

POST IN VIA DI COSTRUZIONE…

LA PREMESSA

di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

(riflessioni sopra le righe)

(Una specie  di “danni collaterali” su cittadini innocenti nel ricercare indizi nei processi penali)

 

Per leggere LA PREMESSA dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia in pdf cliccare sul link:

PROCESSO_indiziario0001

N.B. In riferimento ai motivi, ipotizzati nell’articolo precedente, leggibile dal link, per cui alcuni degli interpellati non avrebbero prodotto interventi, si precisa che invece per i due marescialli contattati, in quanto militari,  avrebbe comportato  seguire svariati percorsi  burocratici, per es., richiedere permessi ai superiori ed altro, con non trascurabile aggravio di lavoro.

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LE CRITICITA’ TIPICHE DELLA LETTURA DEGLI INDIZI A CARICO DELL’ACCUSATO. DALLE INDAGINI AL PROCESSO  dell’avv. Giuseppe Maria de Lalla

SITO: http://www.studiolegaledelalla.it

 

Per leggere lo scritto dell’avvocato De Lalla in pdf cliccare sul link:

processo-indiziarioOK

 

Ovvero  leggere direttamente:

LE CRITICITA’ TIPICHE DELLA LETTURA degli indizi a carico dell’accusato.

DALLE INDAGINI AL PROCESSO

Avv. Giuseppe Maria de Lalla

Il codice di procedura penale non dà una definizione né del concetto giuridico di prova né di quello altrettanto fondamentale di indizio sebbene i due termini – come è di intuitiva evidenza – siano di fondamentale importanza in tutta l’architettura del codice e, soprattutto, nel momento pratico dell’attuazione del diritto.
L’indizio – come si ricava dalla teoria del diritto applicato ovvero la Dottrina e la Giurisprudenza – è definibile come 
quel ragionamento logico deduttivo che nasce ed ha per oggetto un fatto storico diverso da quello che deve essere provato nel procedimento penale (ovvero la fattispecie di reato contestata) ma dal quale è possibile dedurre l’esistenza del reato vero e proprio (del quale il processo penale deve accertare l’esistenza e la paternità).


La prova, diversamente, è un ragionamento che 
da un fatto noto permette di risalire direttamente ad un altro fatto avvenuto nel passato.
Il citato art. 192 c.p.p. indica i tre criteri guida alla luce dei quali è legittimo dedurre dagli indizi l’esistenza di un fatto (reato, ma non solo).
Occorre, invero che gli indizi siano:
– 
Gravi: ovvero abbiano pregnante capacità dimostrativa;
– 
Precisi: non possano essere oggetto di numerose diverse interpretazioni;
– 
Concordanti: ovvero non contrastanti tra di loro né con altri elementi di certi (ovvero di prova).
La criticità della prova indiziaria 
è tutta nella sua potenziale interpretabilità poiché – diversamente dalla prova diretta che offre un collegamento fattuale tra due evenienze certe – consta di un processo mentale (del Giudicante) costituito da inferenze e deduzioni che, come tali, sono caratterizzate da un imprescindibile grado di soggettività e, quindi, di effettiva incertezza.
Si tratta, invero, di un percorso logico (o, meglio, che dovrebbe essere sempre tale) che permette la ricostruzione di un avvenimento passato partendo da un accadimento conosciuto che, tuttavia, 
non può essere considerato univocamente il diretto correlato del fatto storico da ricostruire.

La particolarità e la difficoltà dell’indizio è proprio questa: può essere la traccia di qualcosa ma anche di qualche cosa d’altro.

Il Legislatore dimostra di essere del tutto consapevole della criticità (e, direi, anche della pericolosità) insita nell’indizio quale strumento per la ricostruzione di un fatto-reato passato; tanto è vero che, indicando le linee guida dell’interpretazione della prova indiziaria (o indiretta), specifica nella prima parte del già citato comma 2 dell’art. 192 c.p.p. che la responsabilità penale basata sugli indizi è l’eccezione e non già la regola (….l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi….).
Del resto, la lettura dell’indizio a carico dell’accusato è un effettivo 
vulnus che contraddistingue il procedimento penale tutto e non già solo la fase processuale dell’accertamento del merito; del resto – come cercherò di illustrare oltre – la parità tra accusa e difesa di fronte ad un Giudice terzo (parità che è il presupposto di una corretta interpretazione ed applicazione pratica del procedimento mentale tipico dell’indizio) è, per certi aspetti, fisiologicamente irraggiungibile nel nostro ordinamento.

In relazione alla fase procedurale anteriore a quella dell’accertamento del merito (ovvero quella delle investigazioni) bisogna sottolineare che gli investigatori (coordinati dal Pubblico Ministero) sono sempre esposti a quella che viene chiamata visione a tunnel” ovvero una interpretazione dei dati raccolti durante le indagini (e, quindi, massimamente degli indizi) di stampo marcatamente verificazionista ovvero tesa a supportare una tesi investigativa loro rappresentatasi come la più plausibile di tal che le forze e le menti di coloro che sono deputati a indagare si concentrano a individuare, raccogliere e valorizzare soprattutto quegli elementi (gli indizi) che rafforzano la tesi di partenza non coltivando altre ipotesi (si tratta delle tanto vituperate e note nei dibattiti massmediologici “indagini a senso unico”).
E’ ovvio che tale approccio può essere un grave ostacolo – fin dalle prime battute del procedimento penale – alla effettiva corretta ricostruzione dei fatti accaduti (e, ovviamente, prologo di un errore giudiziario e, spesso, di una illegittima applicazione di una misura cautelare coercitiva).
Mi preme altrettanto sottolineare che tale pericolo non è frutto di una diffusa incapacità o – men che meno – di mala fede delle Forze dell’Ordine (
che hanno un compito sempre obbiettivamente difficile non foss’altro per le condizioni in cui operano e che annoverano nelle loro fila menti tra le più fulgide e preparate nel campo della criminalistica e delle scienze forensi); bensì un bias del tutto naturale ed umano per il quale siamo tutti più propensi ad adottare una condotta non falsificazionista rispetto alle nostre convinzioni.
Un buon investigatore sa che la “visione a tunnel” non è mai eliminabile del tutto ed occorre saperla gestire sebbene sia quasi impossibile dominarla del tutto (e sicuramente la collegialità dell’organo investigativo può essere un buon modo per contenerne gli effetti maggiormente deleteri).

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Ugualmente la fase processuale dell’accertamento del merito può ed è spesso lo sfondo per una lettura a senso unico degli indizi apparentemente a carico dell’imputato.
Lettura patologica che, come sopra accennato, trova il suo presupposto in una solo apparente parità delle parti (accusa e difesa) al cospetto del Giudice.
Anche in questo caso – quando il Giudice è vittima della visione a tunnel – le ragioni vanno individuate 
in un approccio psicologico a cui non sfugge nemmeno il giudicante uomo tra gli uomini.
Si pensi, infatti, all’apertura di un dibattimento (sede di accertamento del merito di quasi tutti i processi indiziari per i quali è spesso controproducente scegliere un rito alternativo come l’abbreviato ove gli spazi per la difesa risultano assai contratti potendosi basare solo sui documenti del fascicolo dell’accusa) all’inizio del quale il Giudice non è a conoscenza degli atti delle indagini preliminari (custoditi nel fascicolo del Pubblico Ministero).
Ebbene, la terzietà del Giudice che dovrebbe essere garantita dalla mancata conoscenza degli atti di indagine e che dovrebbe essere il logico presupposto di una corretta ed equilibrata lettura degli indizi, in realtà è minata dalla stessa architettura del processo penale.

Il Giudice, infatti, è chiamato a giudicare dopo che:
– Si è verificato un accadimento storico che, quantomeno, appare avere glie stremi del fatto reato;
– Quel fatto ambiguo ha dato il via alle indagini sulle quali hanno lavorato gli inquirenti che, evidentemente, ritengono di aver sufficienti elementi a carico dell’accusato;
– Il PM (un collega del Giudice) ha promosso l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio;
– Il GUP (il Giudice dell’udienza preliminare, un altro collega del Giudice) a seguito dell’udienza preliminare ha deciso che vi sono sufficienti elementi per rinviare a Giudizio l’imputato;
– Magari l’imputato è anche stato sottoposto ed è sottoposto ad una misura cautelare ritenuta legittima da un altro suo Collega (il GIP che ha deciso durante la fase delle indagini preliminari);
– E, dulcis in fundo, dopo che l’imputato (magari con qualche precedente) gli viene presentato in aula incatenato e accompagnato due guardie penitenziarie.
Certamente, non paiono del tutto realizzatisi i presupposti per un giudizio davvero super partes e di una lettura a tutto tondo degli indizi che, peraltro, sono individuati, raccolti e dedotti dall’accusa pubblica (spesso affiancata da quella privata).

La difesa dell’imputato, quindi, si trova immediatamente in una situazione particolarmente svantaggiosa con una chiara disparità “situazionale” oltre che di mezzi, risorse (rispetto agli investigatori) e, addirittura, di tempo (infatti, il processo ha le sue rigide tempistiche scandite dal Giudice e dalla procedura mentre, al contrario, i tempi delle indagini preliminari – segrete e dominate al 100% dal pubblico Ministero e dai suoi investigatori – posso essere tutto sommato gestite con relativa libertà dall’organo dell’accusa).

Mi piace riportare qui sotto la massima di una recente Sentenza della Sezione VI^ della Corte di Cassazione (6 novembre – 6 dicembre 2013 n. 49135, Pubblicata su “Guida al diritto n. 12 del 15 marzo 2014) in tema di lettura ed interpretazione degli indizi.
I Giudici di legittimità 
pongono in primo piano la necessaria duplicità del ragionamento indiziario: una valutazione singola di ogni indizio ed un giudizio globale dei rapporti degli stessi tra di loro ponendo l’accento anche sull’opportunità di un percorso logico privo della rigidità matematica.
Si tratta, quindi, anche a parere del Corte, 
di un adempimento particolarmente complesso che, per certi aspetti, sfugge allo stretto rigore che dovrebbe garantire il pieno rispetto dei diritti dell’accusato ma che appare, obbiettivamente, più opportuno (sebbene più rischioso) nello specialissimo compito di giudicare altri esseri umani:

“…..Il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno isolatamente considerato, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare, ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale ed unitario, tendente a dissolvere la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (cfr Cassazione Sezioni Unite, 4 febbraio 1992, Musumeci ed altri), A tal riguardo, dovendosi però precisare che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Sezioni Unite, 12 luglio 2005, Mannino)…..”.

(articolo redatto dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ne è vietata la duplicazione).

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“ADDIO KEFIAH, viva il fucile delle combattenti curde” e “CURDI. Quel fascino del combattente che offusca le bandiere arcobaleno”; scritti di Umberto Giovannangeli con poesia di F. Mancinelli , ‘Iniziativa’ per i Curdi a Pontedera e “Un pressante interrogativo”; a cura di Piero Pistoia e Grabriella Scarciglia

POST in via di costruzione…e forse temporaneo!

KEFIAH è un copricapo patriottico dei Palestinesi

QUALCHE IDEA DI POLITICA CULTURALE SULLA CRONACA RELATIVA AL MEDIO ORIENTE CALDO: scritti ripresi da newsletter di Ytali.com in parte rivisitati e riorganizzati; come da  e-mail ricevuta il 23 ottobre 2019.

Political Map of the Middle East And Asia Isolated On White.

Inseriamo la mappa fisica….porzione ripresa da Atlante Geografico De Agostini 2006

I confini riportati sulla carta fisica si riferiscono al 2006; data la ‘turbolenza’ di questa zona, oggi possono essere leggermente diversi e comunque in continuo cambiamento

Per leggere lo scritto di Giovannangeli, “ADDIO KEFIAH, viva…”,  cliccare sul link seguente:

COMBATTENTI CURDI

Umberto De Giovannangeli, da inviato speciale ha seguito per l’Unità gli eventi in Medio Oriente negli ultimi trent’anni. Collaboratore di Limes, è autore di diversi saggi, tra i quali “L’enigma Netanyahu”, “Hamas: pace o guerra”, “Al Qaeda e dintorni”, “L’89 arabo”, e “ Medio Oriente in fiamme”. Ha un blog sull’Huffington Post

Una poesia di Franca Mancinelli

UN COLPO DI FUCILE

un colpo di fucile
e torni a respirare. Muso a terra,
senza sangue sparso.
Cose guardate con la coda
di un occhio che frana
mentre l’altro è già sommerso, e tutto
si allontana. Gli alberi
si piegano su un fianco
perdono la voce in ogni foglia
che impara dagli uccelli
e per pochi istanti vola.

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Gli amici dei Curdi? Le montagne e la Rojava è in pianura.

Le fotografie ritraggono Viyan Antar, combattente delle YPJ, diventata simbolo dell’impegno delle donne nel Rojava e caduta in combattimento nel conflitto contro l’ISIS.

Curdi. Quel fascino del combattente che offusca le bandiere arcobaleno

Sentirsi parte di un popolo coraggioso, tradito da tutti. Condividerne le ragioni, lo spirito, il sacrificio. Ed essere disposti a pagarne il prezzo più alto: quello della vita. È la fascinazione delle nuove “Brigate internazionali” combattenti nella regione del Rojava.
scritto da UMBERTO DE GIOVANNANGELI 17 Ottobre 2019
Le bandiere della pace spariscono. Per far posto a un mito che avanza: quello del combattente. Una storia che non nasce oggi, basta tornare ai tempi del mito del “Che”, ma che oggi si ripropone nel sostegno alla lotta dei curdi siriani. Un fenomeno minoritario, si dirà. Ma comunque significativo e in crescita. Sui social, nelle piazze… Sentirsi parte di un popolo coraggioso, tradito da tutti. Condividerne le ragioni, lo spirito, il sacrificio. Ed essere disposti a pagarne il prezzo più alto: quello della vita.

È la fascinazione delle nuove “Brigate internazionali” combattenti nella regione del Rojava, a fianco dei curdi. Senza memoria non c’è futuro. Era il 18 marzo quando la notizia della morte di Lorenzo Orsetti sconvolse l’Italia intera. L’anarchico fiorentino, 33 anni, si era arruolato con le truppe curde delle Unità di protezione dei popoli (YPG), impegnate nell’offensiva nell’est della Siria con le Forze siriane democratiche (FDS) e sostenute dalla coalizione a guida statunitense.

Lorenzo era stato ucciso nel corso di una battaglia a Baghuz, ultima roccaforte dello Stato Islamico in Siria prima della capitolazione finale. Di lì a qualche giorno infatti Daesh sarebbe stato sconfitto nel paese. Alessandro, Annalisa e Chiara Orsetti, familiari di Lorenzo, hanno scritto una lettera aperta:

Lorenzo, nostro figlio e fratello, è morto il 18 marzo 2019 in Rojava combattendo a fianco dei curdi e delle forze confederate della Siria contro l’ISIS e gli ultimi resti di califfato. La sua storia, la storia di un giovane che partendo da Rifredi aveva deciso di lasciare tutto, la sua città, casa, lavoro, famiglia, amici… per sostenere il popolo curdo in questa lotta ha emozionato molte persone. Vi scriviamo per chiedervi: volete abbandonare chi ha combattuto l’ISIS? Lorenzo è stato riconosciuto come un esempio di partigiano internazionalista e antifascista, che ha scelto da che parte stare e di schierarsi concretamente andando a combattere dove c’era bisogno di lottare per sradicare il fascismo che in quelle aree si stava affermando nelle forme dell’Isis e delle forze che lo sostengono. Attraverso la sua scelta di vita e la sua morte ha fatto conoscere a tanti la realtà che si sta costruendo nel Rojava, nella zona nord-est della Siria, dove la democrazia che nasce dal basso, fondata sul rispetto delle diversità sociali e culturali, per una parità reale tra uomo e donna, sulla autogestione, sulla economia sociale si sta affermando.
Non tutti forse lo sanno, questa realtà si chiama Confederalismo Democratico ed è un laboratorio sociale che nasce dalle idee di Ocalan, leader curdo del PKK imprigionato da 25 anni nelle prigioni turche, senza il minimo rispetto dei suoi diritti e delle sue garanzie. È un esempio di coesistenza tra i popoli e quindi porta pace e sicurezza in un’area sociale così instabile e travagliata, scossa da attentati, conflitti, stragi… Ora questa realtà, costruita col sangue di oltre 11.000 curdi e 36 volontari internazionali, è minacciata e potrebbe essere distrutta. L’esercito turco e i gruppi paramilitari che Erdogan sostiene nell’area – che non sono altro che un altro modo con cui l’ISIS prova a riproporsi – si stanno preparando ad attaccare il Rojava per eliminare la rivoluzione curda e tutto quello che rappresenta. Questa aggressione militare turca si può ancora fermare, se c’è una mobilitazione generale.
Vi chiediamo: se abbiamo pianto per Lorenzo riconoscendo la bellezza del suo gesto davvero non vogliamo fare nulla per impedire questa nuova guerra? Abbiamo ancora voglia di scendere in piazza, protestare, gridare il nostro sdegno e la nostra rabbia indicando i mandanti e le colpe, mostrando la nostra voglia di un mondo più giusto e umano? Il Comune di Firenze prenderà posizione? E la Regione Toscana?
Tutto serve per fermare questa aggressione e serve ora. Lorenzo ha combattuto a Afrin nel 2018, dove sono stati migliaia i morti causati dall’invasione turca: vogliamo continuare a sostenere Erdogan, l’esercito turco e l’Isis in questa guerra ingiusta fornendo armi con le nostre fabbriche e soldi dell’Unione Europea per non aprire il corridoio balcanico ai migranti?
Molti hanno pianto per Lorenzo-Orso Tekoser combattente colpiti dalla sua morte, ma ora potrebbe morire nuovamente e con lui tanti giovani curdi e altri popoli che vivono nel Rojava. Non facciamolo morire nuovamente, facendo morire gli ideali e la causa per la quale si è sacrificato. Lorenzo ci ha mostrato che nessuna causa è così lontana e così estranea alla nostra vita e che spesso è questione di scelte.

La morte di Lorenzo Orsetti aveva profondamente emozionato migliaia di persone anche per la capacità che il giovane ebbe di esorcizzarla con una lettera-testamento pubblicata dopo il decesso:

Ciao, se state leggendo questo messaggio significa che non sono più in questo mondo. [Lorenzo Orsetti continuava con parole di speranza e coraggio piene di ironia:] Be’, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così. Non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.

E ancora:

Quindi, nonostante la mia prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio. Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo. Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia. Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole. Serkeftin. Orso, Tekoser, Lorenzo.

Di queste brigate internazionali faceva parte anche Giovanni Francesco Asperti, 53 anni, originario di Ponteranica, alle porte di Bergamo, sposato e padre di due figli (13 anni il ragazzino, 14 la ragazzina). I miliziani curdi, sul loro sito, hanno reso noto che l’uomo, conosciuto con il nome di battaglia di Hiwa Bosco, è rimasto vittima di uno “sfortunato incidente mentre era in servizio a Derik”, il 7 dicembre 2018.

Sul sito della milizia, Unità per la protezione dei popoli (YPG), si spiegava che “Hiwa Bosco” era uno delle

centinaia di rivoluzionari che si erano uniti alla lotta contro l’Isis nella regione curda di Rojava e nel nord della Siria [e], durante tutta la sua vita nella lotta di liberazione, ha dato l’esempio di una vita rivoluzionaria.

Il sito pubblica anche la foto di Asperti.

Volontari da tutta Europa si sono uniti ai curdi nella lotta contro l’Isis a partire dal 2014. ytali.com ha provato a scavare nelle storie di alcuni di loro: storie diverse, età diverse, ma una comune ricerca di senso, di sentirsi parte di una comunità cosmopolita che abbraccia la causa del più debole.

Anna di Lews, Sussex, morta sotto un bombardamento turco

In questa scelta di campo, non c’è niente di religioso, tanto meno di “jihadista”. Combattono, certo, ma non hanno il profilo dei foreign fighter che hanno ingrossato le fila dell’ISIS. Non sono animati dall’odio, non intendono imporre uno stile di vita totalizzante, non sono alla ricerca di un riscatto sociale o in fuga da una vita di stenti ed emarginazione. Niente di tutto questo è presente nella vita di Asperti. L’orizzonte è quello della libertà.

La Brigata internazionale ha combattuto con le forze speciali curde sul fronte di Raqqa, dove si era specializzata in assalti notturni. Nell’estate del 2017 contava su una decina di volontari italiani. Fra loro c’era anche Claudio Locatelli, di Curno, in provincia di Bergamo, che ha espresso il suo “dolore dovuto a ogni combattente che ha scelto la via del campo”.

Una battaglia in cui, in questi anni, sono morti al fianco dei siriani e dei curdi decine di giovani europei. Insieme a Locatelli sono infatti altri 17, comprese due donne, gli italiani considerati in forze allo YPG.

Da un mese civili e miliziani curdi sono sotto attacco della Turchia e delle milizie islamiste sue alleate, il governo turco sta cercando di cancellare chi ha combattuto Daesh e lottato per una società egualitaria e antisessista, col suo esercito, il secondo della Nato, nostro alleato.

Così racconta all’Ansa quanto sta accadendo in Siria Gabar Carlo, nome di battaglia di un “combattente internazionalista” italiano. Gabar, come un monte del Kurdistan turco dove quarant’anni fa è cominciata la lotta di quel popolo, e Carlo per Carlo Giuliani: lui ha trent’anni, è di origini pugliesi, e la scorsa estate ha lasciato casa, lavoro e tutto il resto per unirsi come volontario combattente alle Unità di protezione del popolo, YPG, le milizie curdo-siriane in lotta contro l’ISIS e per la rivoluzione confederale del Rojava. Gabar è arrivato in Basur, Kurdistan iracheno, l’1 agosto 2017, per poi passare in Rojava due settimane dopo ed è tornato in Italia un mese fa.

Vorrei tornare dai miei compagni in Siria, ora però non è possibile. Ho portato la rivoluzione con me – dice – e voglio raccontarla per far sentire la voce di chi non ha voce.

In questo momento nelle YPG ci sono, secondo Gabar, cinque combattenti italiani, quattro uomini e una donna, sui fronti di Afrin, Deir Ez Zor e in Rojava. Gabar, invece, zaino in spalla e kalashnikov fra le braccia, era a Raqqa quando l’ex capitale dello Stato islamico è stata liberata.

Eravamo appostati di fronte all’ospedale – racconta – l’ultimo edificio nelle mani di Daesh, per trattare la liberazione dei civili ancora prigionieri.

Le forze siriane democratiche, SDF, hanno rispettato il cessate il fuoco – ricorda – gli uomini di Daesh no e dopo avere più volte mandato in fumo le trattative hanno lasciato andare gli ultimi civili, chiedendo di andare a sud, condizione che non è stata accettata. La notte fra il 13 e il 14 ottobre, l’ospedale è stato ripulito e Raqqa liberata.

Lì però si continua a morire per le mine – spiega – in strada e nelle abitazioni rimaste in piedi, dove i civili tornano e saltano in aria.

La prima volta che Gabar ha sentito parlare dei curdi era un bambino, nel 1998, quando il leader del PKK Öcalan era in Italia, lo aveva visto in tv, in uniforme militare.

Lo definivano terrorista, ma mio padre mi spiegava che era un partigiano e lottava per la liberazione del suo popolo.

Quella suggestione di bambino, anni dopo, si sarebbe trasformata in impegno concreto.

Durante l’assedio di Kobane ho capito che dovevo andare a guardare con i miei occhi la rivoluzione dei curdi, perché non riguarda solo loro.

L’obiettivo della costituzione di uno stato nazionale è stato superato da quello di confederalismo democratico, di autonomia e autogoverno dai paesi in cui i curdi vivono e convivono con altri popoli, arabi, assiri, siriani, turcomanni. Non si va lì solo per i curdi, sconfiggere i regimi è una lotta che riguarda tutti e ovunque.

Le donne, nel processo di riforma democratica, hanno un ruolo determinante.

Le unità di protezione del popolo, YPG, sono composte da uomini e donne che combattono e godono di grande autonomia, nella società e nel movimento. Nella società mediorientale, la centralità del ruolo della donna e la lotta al patriarcato sono davvero un fatto rivoluzionario.

La prima cosa che ti spiegano è che il fine della lotta è l’autodifesa del popolo, c’è un’etica alla base di ogni azione, nessuno va a combattere solo per uccidere, al primo posto c’è la sicurezza dei civili.

Fra i suoi ricordi c’è quello sul fronte di Deir Ez Zor, zona di pozzi petroliferi rimasti sotto il controllo di Daesh per giorni.

Il camioncino dei rifornimenti non poteva arrivare e scarseggiava tutto, ma quello che c’era si condivideva e con mezzo litro di tè si beveva in dieci, ora mi chiedo come fosse possibile e mi tornano in mente le parole di un compagno di Cipro, “quando tornerai a casa questo poco e questo sporco ti mancherà”, ed è vero.

Mi manca il senso di comunità, il fatto di entrare in villaggi dove i civili, disperati, ci davano tutto per sostenerci perché ti accorgi che ciascuno sente sulla propria pelle il dolore degli altri e c’è un rispetto inimmaginabile e nessun individualismo. È questo il senso della rivoluzione, di comunità e solidarietà, che ciascuno di noi porta con sé quando torna a casa.

Gabar traccia, infine, la differenza fra gli stranieri come lui che si uniscono alle YPG e i foreign fighter dell’ISIS.

Io non sono fuori legge per lo Stato italiano e le YPG non sono organizzazioni terroristiche; loro sono mossi dall’odio, sono pronti a uccidere e a morire per il risentimento, lo hanno dimostrato gli irriducibili di Raqqa, foreign fighter arroccati nell’ospedale fino alla fine e non per chissà quale principio o fede, molti di loro non hanno mai letto il Corano. Per loro combattere è uno strumento di rivalsa sociale, sono inebriati dal potere di ammazzare, stuprare, ed esaltati dalle droghe.

I volontari internazionalisti non combattono per soldi, nel modello di società e nel movimento curdo non servono per vivere, il necessario per il quotidiano ti viene dato.

Le YPG compiono operazioni di difesa e respingimento del nemico, di ricognizione e assalto per liberare porzioni di territorio; la guerra è per lo più tattica, non è azione continua, è fatta di noia e terrore.

Prima l’esperienza umanitaria, poi quella militare. A fianco dell’YPG contro l’ISIS. È la storia di Karim Franceschi, 29 anni, di Senigallia, padre italiano e madre marocchina, che ha combattuto più volte, senza aver avuto prima d’allora esperienze in campo militare. Ha imbracciato le armi nel 2015 come soldato semplice per liberare Kobane, dove si era addestrato per la prima volta, e nel 2016 come comandante, quando l’obiettivo era Raqqa, capitale del califfato nero. La sua storia di “combattente per la libertà” Karim l’ha raccontata in due libri: Il Combattente. Storia dell’italiano che ha difeso Kobane (BUR-Rizzoli) e il più recente Non morirò stanotte (Rizzoli), presentato nello spazio autogestito Arvultùra di Senigallia dove il combattente “Marcello” (era il suo nome di battaglia) ha passato diversi anni impegnato in attività culturali e solidali.

La mia esperienza militare è finita, non tornerò a combattere. Ora spetta alle popolazioni siriane e curde continuare a dare vita a quell’esperienza democratica per cui tante migliaia di persone hanno sacrificato la vita o tutti i propri averi.

In un’intervista, Karim, spiega il perché della sua scelta:

Perché guardavo questi uomini e donne che resistevano all’ISIS e mi riconoscevo nei loro valori. Nella loro causa ho trovato i valori della nostra democrazia, della Costituzione italiana, valori che ho ereditato da mio padre che è stato partigiano. Parlo dei valori della resistenza e della libertà.

I curdi, il popolo più grande al mondo senza uno stato. Repressi ma mai domi. Sono le milizie dell’YPG a essere accorse per prime a difesa dei yazidi sterminati dai nazi-islamisti dell’ISIS. Sono loro, i curdi in armi ad essersi opposti per primi all’avanzata dei miliziani di al-Baghdadi in Iraq e a condurre l’assedio alla “capitale” siriana del Califfato, Raqqa.

Nel nord della Siria, l’obiettivo è quello di “creare un sistema sociale autonomo”, come ha detto all’agenzia di stampa curda Firat Nesrin Abdullah, comandante dell’unità femminile delle YPG, che hanno portato avanti una dura lotta contro il Califfato.

Eppure, per il presidente della Turchia, restano il nemico principale, ancor più di Bashar al Assad. Un nemico da annientare, con o senza il via libera di Washington. E ciò che spaventa gli autocrati e i teocrati mediorientali non è la forza militare dei curdi (poca cosa rispetto all’esercito turco, il secondo dopo quello americano, quanto a dimensioni, in ambito Nato) ma la capacità attrattiva del modello politico e istituzionale che propugnano: un confederalismo democratico che ridefinisca in termini di autonomia (in particolare in Turchia e in Siria) gli stati centralistici ed etnocentrici. In un grande Medio Oriente segnato da una deriva integralista o da controrivoluzioni militari, il “modello curdo” va in controtendenza. Perché si ispira all’idea che più spaventa califfi, sultani, teocrati e generali: l’idea della democrazia. Un’idea per la quale vale ancora la pena battersi.

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In questa ottica, il 12-11-2019 a pag. 18 della La Nazione, abbiamo potuto leggere di una iniziativa a favore del popolo curdo da tempo travagliato e tradito, descritta nel trafiletto riportato sotto:

UN CALDO E PRESSANTE INTERROGATIVO RIVOLTO AI LETTORI DI QUESTO POST

Durante un intervento attuale della Croce Rossa Italiana insieme ad altre associazioni, come comunicato dalla televisione italiana (l’8-11-2019), è stato rimpatriato un ragazzino figlio di un genitore italiano e di una ragazza affiliata all’ISIS, uccisa in combattimento. Durante questa intervista gli ascoltatori hanno potuto scoprire che tale minore era internato in un grande campo di raccolta profughi dove erano attivi anche tre orfanotrofi con diverse centinaia di piccoli ospiti. Fu detto che l’interno di questo campo ospitava complessivamente 18000 (diciottomila) minori completamente soli in stato di forte disagio, forse con rischi probabili di diventare anche oggetti di tragici ed esecrabili eventi, per es., ora violati ora diventati ‘magazzini’ di organi per trapianti… e, nel migliore dei casi, combattenti, almeno potrebbero essere in grado di potersi difendere, all’occasione, da queste aggressioni disumane. Per non parlare della non remota possibilità che questo campo venga bombardato!

La domanda che fu rivolta dal giornalista direttamente ad un personaggio importante  della Croce Rossa, appartenente alla squadra di salvataggio, fu quella che anche noi rivolgeremo ai lettori di questo post <<Ma per gli altri 18000 minori abbandonati a se stessi, in questo attuale e drammatico teatro di battaglia fra Turchi e Curdi, come si pensa di intervenire?>>. La risposta fu ‘fumosa’.  Secondo noi dovremmo invece tentare di  procedere rapidamente prima dell’irreparabile, secondo criteri dettati dalla Globalizzazione!….. e il problema non si risolve con interventi singoli, pur meritevoli.

UN ESPERIMENTO DIDATTICO (AUTODIDASSI) RILEVANTE PER L’AUTO-AGGIORNAMENTO: BREVI E ‘DENSI’ APPUNTI SUL NEOPOSITIVISMO PER UN INIZIALE AUTO-AGGIORNAMENTO DEL DOCENTE SULL’EPISTEMOLOGIA ED ALTRO; a cura dell’Editore del blog dott. Piero Pistoia

Post in via di costruzione…

Al blog acutamente è piaciuta questa riflessione, grazie.

Oggi, momento in cui i governi cambiano rapidamente insieme al codazzo degli uffici che controllano la Scuola e che promulgano le nuove regole,  vorremmo presentare un nostro pensiero relativo ad uno degli aspetti a nostro avviso più rilevanti che incidono sul rapporto  insegnamento/apprendimento, l’aggiornamento dei docenti, superando il vecchio e scarsamente efficace metodo che misura, non si sa da chi! il lavoro ‘insegnativo’.

RIFLETTIAMO SU UN ‘VECCHIO’ ESPERIMENTO

Quasi mezzo secolo fa Piero Pistoia e due colleghi delle Elementari, Pazzagli Andrea e Scarciglia Gabriella, proposero di attivare un esperimento sui generis, un aggiornamento per i docenti della Scuola Primaria e Secondaria di primo e seconda grado che si configurasse come un auto-aggiornamento con la partecipazione gratuita della Università in particolare quella di Pisa con le sue svariate facoltà che, in qualche modo, rappresentassero le discipline insegnate negli ordini di Scuola presenti sul territorio (Scuola elementare, media e scuola superiore). Le motivazione che ci spinsero allora ed in cui ancora oggi crediamo sono quelle riportate nella foto N. 1, “PRESENTAZIONE” e sarebbero da meditare! L‘idea era che l’aggiornamento condotto personalmente potesse concretizzarsi in uno scritto da pubblicare su un opuscolo, che fu chiamato “AUTODIDASSI” (vedere foto 3, copertina dell’inserto), auto-gestito ed auto-finanziato, allegato poi  nel giornale locale “La Comunità’ di Pomarance”, che, senza entusiasmo, ci ospitò, ma a nostre spese! Riuscimmo a coinvolgere circa quaranta persone fra presidi, insegnanti dei vari ordini di Scuola, compreso il direttore responsabile, il giornalista Brunetti dott. Ivo. I tre promotori si fecero carico di contattare, in svariati tentativi, i professori delle varie facoltà Universitarie, ottenendo la collaborazione di accademici che avrebbero ‘coperto’ le diverse discipline: dal gruppo scientifico-matematico, a quello umanistico, storico, filosofico, pedagogico, psicologico ed epistemologico, a quello artistico, fino al tecnico-ingegneristico, per mettere insieme un COMITATO DI REFEREES, con funzione di direttore culturale, (vedere foto 2 dell’inserto e controllate il livello culturale di questi operatori!) per filtrare (eventualmente correggere e consigliare) gli scritti da noi inviati. I componenti universitari REFEREES, pur lavorando gratis, furono invece entusiasti dell’idea!!!

Uscì solo il primo numero! a causa di quelli che, forse, non scrivendo nulla e invidiando i pochi che collaborarono con articoli e gli altri che, dando una mano, ‘apparivano’, non versarono più il contributo per l’ inserzione nel giornale La Comunità di Pomarance.

Forse se non fosse stato a pagamento . . . !

Poteva essere una occasione culturale gratuita perduta non solo per la Scuola, ma per tutta questa zona periferica senza ‘contesto’, della lontana Provincia!

Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

FOTO  1.

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Di seguito, pubblichiamo questi articoli controllati ed approvati dai rispettivi docenti universitari del Comitato di Referees.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONCETTO DI MASSA IN FISICA: APPUNTI PER UNA LEZIONE

del docente Alberto Alderighi

(ha collaborato l’accademico dott. prof. Marco Rosa-clot, docente di Fisica alla Normale)

Cliccare sul seguente link per leggere l’articolo di Alderighi in pdf; fra parentesi, questo fisico, dapprima incerto su questo nostro nuovo progetto sull’aggiornamento, mi ringraziò poi per averli accettato, per la pubblicazione, il suo articolo, in quanto questo suo scritto, così mi raccontò,  gli permise di salire molto nelle graduatorie per l’insegnamento nell’anno successivo!

MASSA IN FISICA10001

INSEGNAMENTO DELLA FISICA E PEDAGOGIA DELLE STRUTTURE

dei docenti A. Pazzagli e P. Pistoia

(hanno collaborato l’accademico dott. prof. M. Barale, docente di Pedagogia alla facoltà di Lettere (Pi) ed il dott. prof. Rosa-clot, docente normalista)

Cliccare sul seguente link per leggere lo scritto di Pistoia-Pazzagli:

STRUTTURALISMO0001

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METODOLOGIA E DIDATTICA DELLE LINGUE STRANIERE

del docente Gianluigi Benvenuti

(ha collaborato l’accademico dott. prof. Augusto Cecchini)

Cliccare sul seguente link per leggere lo scritto di Benvenuti:

AUTDIDASSI_BENVENUTI0001

Cliccare sul link seguente per leggere alcuni appunti di Epistemologia per un secondo numero mai uscito!

POSITIVISTI0001

BREVE RACCONTO SU UN EVENTO DI NATURA: arrivo improvviso delle rondini; scritto di Piero Pistoia (con il supporto di Gabriella Scarciglia)

Per vedere il breve scritto di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia cliccare su:

BREVE RACCONTO DI UN EVENTO DI NATURAok

Questo particolare e gradevole fenomeno naturale si è esaurito purtroppo in pochi giorni, poi rondini, rondinini e forse qualche balestruccio sono scomparsi dal nostro pezzetto di cielo e l’albero ‘straniero’ è tornato, nel silenzio consueto del quotidiano, con i soliti rumori degli ‘abitanti’ del nostro giardino, che però continuano a rallegrarci la ‘tarda’ vita.

Chi volesse conoscere di più su rondini, rondoni e balestrucci, sulle loro differenze ed etologia, può gratuitamente chiederlo a Google.

Si può leggere anche la poesia “Rondini ed Unicorni” richiamandola da CERCA.

SCRITTO POETICO “L’EREDITA’ PERDUTA ( 1986)”, di Pedro; a cura di Piero Pistoia

Per leggere in pdf lo scritto poetico cliccare su:

PEDRO0001

 

BREVE COMMENTO CRITICO, UN PO’ AZZARDATO, DI PIERO PISTOIA E GABRIELLA SCARCIGLIA

Nel drammatico scritto emotivo di Pedro, prezioso, paradigmatico e  predittivo, pulsa a sprazzi tutta la sapienza nostalgica ed efficace accumulata dall’Homo sapiens agricoltore nel corso dei millenni (almeno a partire da 12000 anni fa). Oggi il mestiere nelle mani dell’agricoltore si sta perdendo – come sta accadendo per tutti gli altri mestieri più o meno professionali – si pensi, per es. al medico condotto, al meccanico dei veicoli, all’ingegnere dei ponti… -; l’avvento della meccanizzazione sempre più sofisticata, tecnologicamente fondata e dei prodotti di una chimica sempre più aberrante sta scardinando la “Grande Ruota che gira”; gli alberi non porteranno più frutti idonei e freschezza, pur scelti non più nella macchia, ma in laboratori sofisticati ed innestati con “le qualità migliori”, ma solo presunte – e fra “i ragazzini schiamazzanti sull’aia della vita”, al nostro imbrunire, ormai consapevoli di un futuro incerto, è difficile trovare “un testimone” (o affidare  “il testimone”) per tramandare l’antica conoscenza che sta ‘evaporando’ da tutti i contesti. La stessa convulsa comunicazione attraverso i mezzi di massa  su questi problemi, che sembra ‘frullare’, con intensità crescente, il vecchio con il nuovo, apertamente discontinui e forse scarsamente miscelabili, non crediamo apra spiragli (si pensi alle continue e sempre più frequenti individuazioni in ritardo,  di molecole chimiche dannose impreviste – forse infinite! – nei più svariati contesti). Basta la modifica di una sola molecola per rendere nebbioso il futuro! Che la conoscenza crescente delle cose costruite dall’uomo (Verum ipsum factum) – conoscenza lineare – stia soffocando la saggezza (conoscenza globale, complessa, intuitiva, in risonanza con la Natura e forse telepatica) dell’uomo cacciatore-raccoglitore (ben oltre 12000 anni fino al buio dei tempi) ancora nascosto dentro di noi?

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