‘FARFUGLIAMENTI’ ARGOMENTATIVI, SENZA “LOGICA PROPOSIZIONALE”, SUL SENSO DELLA POESIA E REALTA’ (oggetto poetico-oggetto reale) e DELLA POESIA E SCIENZA POSITIVA (oggetto poetico e oggetto fisico): riflessioni provocatorie e interrogativi aperti al margine; di Piero Pistoia

POST IN VIA DI COSTRUZIONE…

In pdf:

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Altrimenti:

L’oggetto poetico e l’oggetto reale posseggono ambedue infinite sfaccettature, infinite possibilità di significati razionali e/o irrazionali, ambedue non sono riducibili fino in fondo.

L’oggetto poetico ha un disordine intrinseco come quello reale, un disordine ordinato in qualche modo, un caos con il suo ordine interno.

La comprensione dell’oggetto poetico è quindi solo parziale anche per lo stesso poeta, a differenza dell’oggetto fisico che è compreso completamente dallo scienziato che lo ha costruito. L’oggetto fisico infatti, espresso da teorie, è razionalmente comprensibile fino in fondo a differenza dell’oggetto reale. E vero che possono esistere infinite possibilità di vedere razionalmente l’oggetto reale, ma quest’ultimo non sarà mai esprimibile in una teoria che abbia essa stessa infinite possibilità di interpretazione (che comunque sarebbero tutte razionali: infinità di ordine inferiore rispetto alla infinità della classe delle possibili interpretazioni dell’oggetto poetico).

L’oggetto poetico non è comprensibile in senso razionale, né comunque esauribile da parte di qualsiasi persona: tutte le possibili interpretazioni razionali e tutte quelle inesprimibili irrazionali, coglibili solo nell’atto immediato dell’intuito, infiniti punti di vista (come monadi leibniziane?) sarebbero sezioni di un invariante poetico, l’oggetto poetico.

Si può allora concludere che l’oggetto poetico assomiglia (nel senso della complessità) di più all’oggetto reale di quanto assomigli ad esso l’oggetto fisico.

Ne deriva allora che l’oggetto reale, l’alter ego del soggetto, il noumeno kantiano, potrebbe essere capito più in profondità tramite l’oggetto poetico di quanto lo sia tramite l’oggetto fisico?

La risposta a questa domanda non è possibile se non vengono precisate le condizioni di costruzione dell’oggetto poetico e in cosa consista l’oggetto fisico.

D’altro canto, in effetti il coinvolgimento totale del soggetto nell’oggetto, bersaglio dell’atto poetico a costruire l’oggetto poetico, escluderebbe la possibilità di cogliere l’esterno del soggetto stesso, ammesso che esista. Quindi questo oggetto complesso, risultato dell’atto poetico, sembra costituire una fusione quasi mistico-religiosa, del soggetto nell’oggetto, ad animare un oggetto di per sé non coglibile, a meno che non si voglia ammettere che le cose dell’Universo consistano di una congerie di materia e spirito. Solo in tal caso all’oggetto poetico potrebbe corrispondere l’oggetto reale in quanto costituiti dalla stessa sostanza ed ugualmente complessi. Questi due aspetti ancora non garantiscono però un mathing necessario, in quanto può accadere che nonostante ugualmente complessi e della stessa pasta abbiano struttura completamente diversa. E’necessario ammettere ancora qualcosa.

Se quest’ultimo aspetto comunque fosse vero (presenza di mathing), l’atto poetico sarebbe più efficace dell’atto scientifico a cogliere la Realtà dell’Universo. Si verrebbe così a confermare la posizione di Vico che affermava come il noumeno potesse essere colto nell’attità mistica ed artistica e altre posizioni sostenute dalle religioni orientali. Se poi questo aspetto non risultasse vero, allora la suddetta proposizione di Vico dovrebbe essere presa come postulato di partenza per poter sostenere il mathing nella direzione di questo concetto regolativo.

E’ comunque ancora da precisare che, anche se l’ invariante poetico corrispondesse alla realtà, ciò non significa che tale oggetto possa essere compreso completamente nell’esperienza di un solo soggetto, sia esso l’artista od il fruitore.

La questione potrebbe essere però risolta in un altro modo. Ammettiamo che l’Universo consista di un oggetto estremamente complesso in cambiamento evolutivo (crescita? Ontogenesi?); ogni parte di esso è istante per istante in equilibrio con tutte le altre a formare un tutt’uno strutturato finemente. La stessa vita porta il segno di questa struttura nel senso che ogni parte di questo insieme porta scritto in qualche modo informazioni relative al resto dell’ Universo. Pur evolvendo, ogni cosa, che ad un certo stadio, esiste, già c’era in precedenza in qualche altro stato. La stessa mente o spirito deve così essere parte integrante di tutta la materia dell’ Universo. Qualsiasi atto creativo avrà a che fare con archetipi profondi legati a questa struttura universale.

Non ci fu più equilibrio quando entrò la costruzione sempre più simbolica da parte della corteccia, aspetto del cervello non completamente in equilibrio con la Natura. Non è facile trovare archetipi legati all’azione della corteccia. L’oggetto creato dalla corteccia non è un oggetto naturale.

Così ogni atto creativo evoca dal profondo spinte archetipiche atte a costruire un oggetto complesso della stesso impasto universale e ad esso corrispondente.

Si potrebbe evincere anche che l’ Homo prima del sapiens, in perfetto equilibrio con l’Universo, potesse provare esperienze di fusioni mistico-magiche-creative con gli oggetti dell’Universo così profonde da poter cogliere la realtà in una sola esperienza personale ovvero in una esperienza condivisa all’unisono (telepatia?) dall’orda, esperienza catalizzata ed evocata dalla presenza dell’oggetto artistico (Nearderthal e pitture relative alla sua cultura).

Non si tratta quindi di due aspetti ambedue radicati profondamente come archetipi nell’animo umano, correlati alle filosofie della causa e del fine (Razionalismo e Irrazionalismo, Scientismo ed Umanesimo, Mano Destra e Mano Sinistra…), da cercare di armonizzare e integrare. La situazione è ben diversa.

IL MONDO DELLA MANO SINISTRA ED IL MONDO DELLA MANO DESTRA E LE LORO RAGIONI

I mondi della logica, della matematica delle scienze positive ed i correlati mondi del ragionamento razionale, delle argomentazioni critiche, degli standards universali, delle prescrizioni, delle tradizioni rigide…rappresentano una sezione artificiosa e riduttiva del complesso pensiero umano.

Essi derivano da una riflessione parziale ed incompleta sui processi mentali atti a rispondere alle richieste della sopravvivenza  e dell’istinto di conservazione.

Questi mondi, i mondi della tecnica, della scienza, della matematica,…costruiti  utilizzando tali processi riduttivi e parziali del pensiero, risultano quindi solo parzialmente umani e stranamente divisi dalla Natura (mondi artificiali costruiti  su dati incompleti relativi al funzionamento del suo pensiero profondo e quindi scarsamente agganciati  all’equilibrio naturale).

Ci siamo accorti infatti non solo che a) il pensiero intuitivo-creativo non è analizzabile in termini di scansioni veloci, automatiche e non consapevoli attraverso percorsi cibernetici – l’atto creativo rappresenta una visione immediata ed orizzontale della soluzione a problemi, ma anche che b) tutti gli altri processi di pensiero umano non seguono sempre e comunque i passi scanditi da un particolare software, atti al raggiungimento di un dato obiettivo (non esiste necessariamente omologia fra pensiero e software).

Da una parte ciò conduce all’impossibilità di cogliere l’oggetto in sé, il noumeno kantiano, dall’altra alla realizzazione operativa-fattiva di opere e strutture sociali in equilibrio né con l’uomo né con la Natura (si pensi in particolare alle posizioni degli efficientisti, ai manichei coerenti fino in fondo, ai possessori di verità con le chiavi dei ghetti e delle camere a gas, che, insieme ai pazzi, sono e sono stati nella storia spesso i soli responsabili dei più efferati genocidi e di guerre universali).

Il disagio che ne deriva ha prodotto alle dualità espresse nelle distinzioni già nominate fra mano sinistra e mano destra, arte e scienza positiva, mondo dei valori e mondo della ragione… ed ultimamente alla individuazione di particolari problemi detti ipercomplessi, le cui soluzioni non sono possibili con i soli strumenti della ragione.

In effetti tutti i problemi che riguardano l’Universo sono di natura ipercomplessa, la cui soluzione è resa possibile solo attraverso la riscoperta dei profondo legami fra ragione e non, coglibili nelle primitive operazioni mosse dall’istinto di conservazione e degli altri archetipi collegati all’ambiente di sopravvivenza (es. caccia e raccolta) in cui il cervello in equilibrio, almeno prima di 2 milioni di anni fa, si era sviluppato. Forse nello studio del pensiero dei Neanderthal prima ancora dei Cromagnon potremmo trovare indizi di questo aspetto mancante ed abbozzare una risposta, se questa mai esiste.

L’inesistenza di risposte a tali dicotomie dovrebbe allora essere ricercata forse nella incompletezza del cervello umano. In tal caso comunque dovrà esistere un controllo capillare delle costruzioni artificiali, siano esse opere o ragionamenti, da parte degli aspetti umani più primitivi, ma certamente più in equilibrio col Tutto.

Con gli ultimi salti evolutivi la capacità di costruire simboli e quindi teorie fornì un nuovo metodo di programmazione e manipolazione dell’ambiente per la sopravvivenza della specie ed oltre: un metodo certamente umano s.l., perché posseduto dall’uomo, ma non naturale, in quanto non previsto dalle esigenze dell’allora cultura in cui si era sviluppato il cervello.

Data l’efficienza e la soddisfazione conseguente a tali processi che facevano morire teorie al posto di organismi, questo metodo affascinò a tal punto che fu dimenticato quasi completamente l’altro. Ed era l’altro quello in equilibrio con l’Universo, quello del rispetto dell’essere vivente in quanto tale, dell’oggetto inanimato e dell’energia; quello del vivere sociale armonico e condiviso, anche se per piccoli gruppi.

Da quel momento le orde non si riunirono più intorno all’opera d’arte a meditare al fine di cogliere l’oggetto reale, il noumeno Kantiano. Da quel momento quel metodo si ridusse in brandelli i cui resti ancora oggi rimangono nebulosi nel profondo del nostro essere e quando ne prendiamo consapevolezza si rimane invischiati in una dualità irrisolvibile.

Dovevamo accorgersi subito che l’altro,non vistoso, era invece il metodo più potente, in quanto alla nostra sopravvivenza avrebbe partecipato consenziente il Tutto, completamente compreso.

Molti scritti sacri delle più disparate religioni non suggeriscono forse di dimenticare la logica, la scienza e le loro opere? E le teorie da queste discipline razionali proposte, non sono forse solo convenzioni, che funzionano sì, ma solo ai nostri scopi a danno del Tutto e quindi anche di noi stessi?

Armonizzare ed integrare questi due aspetti è senza senso: con la mano destra invento costruzioni artificiali per lo più tautologiche e le rendo funzionali ai nostri scopi (Verum Ipsum Factum, di Vico), con la mano sinistra riesco a costruire, ormai malamente, oggetti incompleti i cui significati rimangono nebulosi in un mondo di significati artificiali ed innaturali. Questa è la situazione a cui conduce la nostra argomentazione.

Oggi, (ieri dopo l’Homo sapiens, o come alcuni antropologi, Homo sapiens sapiens) il processo di cogliere l’invariante poetico è solo un tentativo nella direzione dell’esperienza di fusione originale, prima degli strani mondi dispersivi di energia costruiti dalla corteccia.

L’invariante poetico, se vogliamo portare l’argomentazione fino in fondo, potrebbe essere colto da un solo soggetto o da un piccolo gruppo solo se esso, in profonde meditazioni, fosse capace di liberarsi dalla sovrastruttura acquisita nell’ultimo o negli ultimi salti evolutivi.

Concludendo, l’invariante poetico sarebbe una specie di traduzione in chiave umana e naturale dell’oggetto reale, che diventa più accessibile di altre tradizioni allo sguardo della mente umana, in quanto riproposto dal profondo interno dell’uomo, dove c’è nascosto l’Universo, anche se sembra rimanere incomprensibile per la singola persona, a meno che essa non si trovi in situazioni particolari.

PROPOSTE PER L’AZIONE EDUCATIVA

Ad un insegnamento fondato sulla ragione, che ormai, purtroppo ,  continua ad essere necessario per la sopravvivenza in un mondo non naturale, che è stato costruito con il primo metodo descritto e che ormai non può più essere distrutto e modificato (oltre l’80% del Terzo Mondo popperiano controlla e riflette l’ambiente artificiale in cui siamo immersi, e questo Terzo Mondo ha acquisito vita autonoma, con forte istinto di sopravvivenza!), dovremmo affiancare con estrema cura un insegnamento ove si dia spazio alla meditazione e riflessione intuitiva, utilizzando la religione e l’opera d’arte: stiamo attenti molto per es., ai nuovi metodi razionali e strutturali che vengono sempre più usati per ‘leggere’ le opere d’arte!

SPUNTI DI ULTERIORE RIFLESSIONE

Rapporto fra opera d’arte s.l. e poesia.

Con la teoria evolutiva degli Equilibri Punteggiati, si può ancora sostenere una armonia con il Tutto?

PIERO PISTOIA

 

Da continuare…

“LA FORZA DELL’INDEFINITO” E “LEONARDO E LA GIOCONDA: un rebus matematico”, studi su ricerche di Walter Cardellini

LA GIOCONDA

 

leonardodavincicelebration.org; http://www.celebrandoleonardo500.com; info@albertovincenzovaccari.it

2019 WILL MARK YEARS SINCE LEONARDO DIED

L’anno 2019 è il cinquecentesimo dalla morte di Leonardo

 

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PREMESSA  SU “LA FORZA DELL’INDEFINITO” di W. Cardellini

Si tratta di un denso studio-ricerca di tipo prettamente sperimentale, sulle ‘macchie’ leonardiane, teso ad appurare la presenza di forme note nei paesaggi di Leonardo. Secondo l’autore, è significativo, in quest’ ottica, che Leonardo da Vinci, nel suo ‘Libro di pittura’, non abbia mancato di valorizzare le proprietà suggestionanti della ‘macchia’ e delle “cose confuse” presenti in natura. Una natura in continua metamorfosi, portatrice di suggestioni misteriose. Una natura che, sicuramente, non mancò di affascinare e influenzare profondamente il pensiero e l’arte del geniale artista toscano. 

Per leggere il primo scritto “LA FORZA DELL’INDEFINITO” di Walter Cardellini, in pdf e con foto ingrandibili con pulsanti situati lungo il margine destro, cliccare su:

LA FORZA DELL’INDEFINITO

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PREMESSA su “LEONARDO E LA GIOCONDA: un rebus matematico”  di W. Cardellini

“La letteratura sulla Gioconda è senza limiti, come la sua fama” affermava André Chastel, noto storico dell’arte francese e studioso del Rinascimento italiano. Come tutti sanno, sul «quadro più celebre del mondo» sono stati scritti innumerevoli libri specialistici e divulgativi. Ciò nonostante, un’impalpabile nebbiolina che profuma di mistero continua ad ostacolare la piena comprensione di questa preziosa opera d’arte.

Gli artisti sanno bene che l’arte non può essere considerata solo come un fenomeno squisitamente culturale ed astratto, questa ha anche una dimensione molto concreta che si identifica in misure di spazi, composizioni e superfici. Per dominare certi aspetti c’è bisogno della geometria, senza trascurare la ricerca dell’armonia proporzionale a suo tempo  teorizzata da fior di intellettuali dell’arte come Leon Battista Alberti, ecc.. Nel caso di Leonardo, la ricerca dell’armonia platonica non deve neppure essere dimostrata, se sono sue le illustrazioni dei solidi platonici presenti nel De divina proporzione scritto da Luca Pacioli nel 1497.

Leonardo era ben conscio di quello che faceva per cui, pare abbastanza ragionevole supporre che il Nostro abbia trovato particolarmente armonioso il rapporto tra l’apotema e il lato del pentagono regolare e che lo abbia usato per definire le dimensioni della sua Gioconda.

Questa breve premessa chiarisce in parte le ragioni per le quali si è ritenuto utile studiare un aspetto matematico ignorato dalla critica e che pare celarsi nelle misure della celebre Monna Lisa. 

Per leggere il secondo scritto, “LEONARDO E LA GIOCONDA: un rebus matematico” in pdf, cliccare su:

LEONARDO E LA GIOCONDA_un rebus matematico

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Lo studioso Walter Cardellini sarebbe disponibile a discutere sulle problematiche evidenziate dai suoi articoli_ricerche con altri studiosi interessati, per chiarirle, approfondirle ed eventualmente espanderle utilizzando, questo blog come riferimento.

A tal fine si allegano come coordinate la mail di un Editore del blog ilsillabario2013 (ao123456789vz@libero.it) e la mail dell’Autore (walter.cardellini54@gmail.com)

 

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Si possono leggere l’ultimo scritto della Triologia su LEONARDO E LA GIOCONDA di Cardellini cercando su questo blog.

POST DA CONTINUARE, PRECISARE, CORREGGERE…..

UNA LEZIONE IN DIVENIRE: STORIA DI BASE SUL MIOCENE, APERTA, DA AGGIORNARE, CIOE’ DA ADEGUARE, CORREGGERE, REINTERPRETARE, NEL CORSO DEL TEMPO; ZONA DI POMARANCE-VOLTERRA E DINTORNI; del dott Piero Pistoia

CURRICULUM DEL DOTT. PIERO PISTOIA al termine del post

HAIKU SUI GENERIS

COSI’ SIAMO PARTITI:

TANTO INCOSCIENTI,

SPROVVEDUTI FANCIULLI,

DA QUASI SAGGI!

P. Pistoia

“Qualunque cosa tu possa sognare di fare , incominciala subito! L’audacia ha in sé genio, potere e magia”

Johann Wolfgang Goethe

Le parti integrate nel tempo vengono aggiunte  inserite fra parentesi graffe

DALLA CARTA STRATIGRAFICA INTERNAZIONALE (ICS)

I LINKS CHE SEGUONO RIMANDANO ALLA PRIMA BOZZA DELL’ARTICOLO DA COMPLETARE CON CALMA ED AGGIUSTARE NELLE FIGURE DA INSERIRE

Le due figure al termine dell’art.  sono state riprese dalle ‘Note illustrative della carta geologica d’Italia a cura del “servizio Geologico D’Italia”; zona Pomarance; Università di Siena; Coord. Lazzarotto –  L.A.C. Firenze 2002

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P R E M E S S A

CENNI AD ALCUNI EVENTI RILEVANTI, MAGMATICI, TETTONICI E SEDIMENTARI DURANTE L’OROGENESI APPENNICA NEL MIOCENE, LUNGO LA SEGUENTE DIRETTRICE, A PARTIRE DAL RETROPAESE:   BACINO BALEARICO – L’ERCINICO SARDOCORSO – TIRRENO SETT. – TOSCANA

(Leggere la breve successiva narrazione con lo schema che segue)

MIOCENE_EVENTI_OK del dott. Piero Pistoia

La fase appenninica iniziò dopo la chiusura dell’area oceanica del Tetide (Fase Oceanica), quando i sue margini continentali Europa a N-O e Appennino a S-E iniziarono a scontrarsi (Fase Ensialica) nell’Oligocene, che portò alla formazione della catena appenninica attuale. Fra l’Oligocene superiore ed il Tortoniano superiore si attivò una sequenza di eventi con la strutturazione e l’accavallamento di diverse unità tettoniche costruendo, in sintesi, un complesso a falde:  Unità Liguri (Unità Ofiolitifere, Unità di Monteverdi-Lanciaia), Unità Austroalpine (Unità di S. Fiora, quella ad Argille e Calcari), Unità Toscane (in particolare, Unità della Falda Toscana). Sul campo si tratta di alcune successioni stratigrafiche riconosciute sovrapposte caratterizzate, in affioramento, da formazioni di facies diverse corrispondenti ad unità cronologiche uguali che sono state di conseguenza interpretate come deposte in bacini di sedimentazione distinti (per approfondire leggere, per es.,  “Elementi di Geologia” di A. Lazzarotto nel testo “La storia Naturale della Toscana Meridionale” Silvana Editoriale, 1993, o anche alcuni posts in questo blog, cercando con il nome delle Unità Tettoniche).

Terminata nell’Oligocene Superiore la chiusura per ‘collisione continentale’ del bacino ligure all’inizio del Miocene e forse a partire dal Oligocene sup. , (circa 23-25 maf), nell’area appenninica generalmente si svilupparono varie aree di ‘distensione’; si aprì il rift del ‘Bacino balearico’ i cui margini si ‘spostarono’  fino a parte del Burdigaliano, facendo ruotare in senso antiorario il Massiccio Sardo-Corso; intanto, sempre a partire dal Miocene inferiore, in corrispondenza della catena, anche l’asse di rotazione del Paleo-Appennino paleozoico ruotò in senso antiorario,  aprendo, fra la Corsica e l’Elba, il Tirreno sett. (forse non si trattò di un vero e proprio rifting) e il Bacino Corso, creando un’area di distensione nel versante occidentale dell’Appennino sett.;  questo evento distensivo venne accompagnato da magmatismo calco-alcalino nella Sardegna e Corsica allora ‘Erciniche’, e rimase attivo praticamente per tutto il Miocene ed oltre. Sempre nel primo Miocene in Toscana si strutturò il ‘core complex’ delle Alpi Apuane con riesumazione del metamorfico profondo e si configurò, ancora in fase distensiva, la ‘Serie Ridotta’. A partire dal Langhiano fino all’inizio del Tortoniano si ‘costruì’, sempre in Toscana, l’Epiligure e, successivamente, sempre in Toscana, iniziò il Neoautoctono, che perdurò fino alla fine del Pliocene.

Il core complex …

La Serie Ridotta: in alcuni luoghi della Val di Cecina (es., Campiglia, Monterotondo, Castelnuovo) la Serie Toscana si presenta con tutti i suoi termini fino al macigno; altrove, per es., appare priva di termini superiori al Calcare Cavernoso triassico, venendo  a contatto diretto con le formazioni dell’alloctono. Questa giacitura è nota appartenere alla Serie Ridotta della Toscana, che non viene più interpretata come dovuta ad erosione, ma come un denudamento tettonico detto “sostituzione di copertura”, strettamente collegato a rilevanti spinte tangenziali di laminazione in ambiente distensivo, durante le traslazioni. Ciò spiegherebbe perché spesso un “alto tettonico” della copertura può corrispondere a un “basso tettonico” nel basamento, cioè un horst nel basamento laminato dalla traslazione non necessariamente può corrispondere ad un picco topografico.

L’Epiligure viene descritto come costituito da placche di bassa estensione, di composizione per lo più  arenacea di età Miocenica medio-superiore (Langhiano – Tortoniano inferiore), ricche di micro- e macro- fossili, trasgressive sulle Liguridi e sulle Australpine interne, forse, al tempo, ancora in movimento (Baldacci F., 1967 e Decandia, 1992). Oggi sembra che siano formazioni assimilabili ad un Neoautoctono anticipato.

A partire dal Tortoniano superiore cessarono in Toscana i movimenti traslativi delle coperture e si instaurarono movimenti rigidi a componente prevalente verticale in regime distensivo. Si attivarono così faglie dirette con inclinazione intorno a 60°, con piano di faglia che in  profondità tendeva a spinarsi e le cui aperture procedevano nel tempo da ovest ad est, costruendo man mano, lungo tutta l’area della catena, fosse tettoniche allungate NO-SE, una successione in direzione appenninica di Horst e Graben (vedere figura sotto, da vari autori, 1992, ripresa da G. Gasperi “Geologia Regionale”, Pitagora editrice, Bologna).

BACINI NEOGENICI E QUATERNARI

                                                              LEGENDA

Bacini neogenici e quaternari  del versante tirrenico dell’Appennino, oggi.

Zone rigate: in generale, i bacini mio-pliocenici con depositi marini.

Zone punteggiate: i bacini plio-pleistocenici con depositi continentali

Zone bianche: in generale colline e dorsali; da notare la Dorsale Medio-Toscana: dalle Apuane attraverso il Monte pisano fino alla zona di Grosseto.

Schema di una catena ripreso dal testo di G. Gasperi “Geologia Regionale”, modif. da Boccaletti e Moratti, 1990

LEGENDA

Per studiare una sezione schematica medio-generica da SO a NE  attraverso la figura BACINI NEOGENICI E QUATERNARI precedente, osservare lo schema sopra con distinti i bacini evoluti nelle diverse condizioni strutturali.

  1. Bacini interni (es., i bacini neogenici toscani).
  2. Bacini formatisi in relazione ai sovrascorrimenti sul fronte della catena e insieme ad essa trasportati (ad es., il Pliocene Intrapenninico).
  3. Avanfossa posta fra il fronte della catena e la scarpata dell’Avampaese, la rampa di Avampaese.
  4. Avampaese sommerso.
  5. Avampaese emerso.
  6. Da notare la distensione nella catena iniziale e la compressione sul fronte.

PALEOGEOGRAFIA DELLA TOSCANA NEL MESSINIANO  (da Bossio et al., 1992, trasferita dal testo di  A. Lazzarotto “elementi di Geologia”, 1992, opera citata).

LEGENDA

1 – Aree emerse

2 – Aree sommerse dal mare messiniano.

3 – Bacini lacustri.

4 – Linee di riva marine e lacustri nel Messiniano.

5 – Linee di costa  e margini dei bacini lacustri attuali.

“Alla fine del Messiniano si verificò in Toscana un sollevamento generalizzato che determinò una quasi totale regressione marina; ad ovest della Dorsale Medio – Toscana, solo piccoli bacini ristretti rimasero occupati da acque dolci-salmastre (facies di lago-mare)” (A. Lazzarotto, 1992, op.cit.)

Probabilmente alla fine del Messiniano (subito prima della grande trasgressione del Pliocene inf.), un striscia di terra doveva collegare l’Elba al continente perché dal Monte Capanne, circa 4 maf, un fiume potesse fornire ciottoli, filoniani da magma granitico (aplite porfirica, porfido granitico), ad un conglomerato complesso che si depositava sopra banchi di gesso al tempo in Val di Cecina (Pomarance).

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N.B. – Per tornare indietro da un link, e continuare a leggere, cliccare sulla freccia in alto a sinistra!

In pdf:

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CHI E’ L’AUTORE (traccia): CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

Piero Pistoia, diplomato negli anni ’50 presso il Liceo Classico Galileo Galilei di Pisa, è dottore in Scienze Geologiche con lode e, da borsista, ha lavorato e pubblicato presso l’Istituto di Geologia Nucleare di Pisa, misurando le età degli “strani” graniti associati alle ofioliti (1) e studiando i serbatoi di gas e vapori della zona di Larderello. Successivamente ha scritto almeno una cinquantina di articoli pubblicati a stampa, a taglio didattico-epistemologico, di cui circa la metà retribuiti secondo legge,  dagli editori Loescher, Torino, (rivista “La Ricerca”), La Scuola di Brescia (“Didattica delle Scienze”), a controllo accademico ed altri, affrontando svariati problemi su temi scientifici: dall’astrofisica all’informatica, dall’antropologia culturale all’evoluzione dell’uomo, dalla fisica alla matematica applicata e alla statistica (con il supporto di migliaia di linee di svariati programmi in linguaggi indirizzati: Mathemathica di Wolfram, R, SPSS…), dalla geologia applicata al Neoautoctono toscano, dall’origine dell’Appennino alla storia delle ofioliti, alle mineralizzazioni delle antiche cave in Val di Cecina (in particolare su calcedonio, opale e magnesite), qualche lezione-sintesi di epistemologia ecc..  En passant, ha scritto qualcosa anche sul rapporto Scienza e Poesia, sul perché la Poesia ‘vera’ ha vita infinita (per mere ragioni logiche o perché coglie l’archetipo evolutivo profondo dell’umanità?); ha scritto alcuni commenti a poesie riprese da antologie scolastiche e,  infine decine di ‘tentativi’ poetici senza pretese. Molti di tali lavori sono stati riportati su questo blog. (2)

NOTE

(1) L’età dei graniti delle Argille Scagliose, associati alle ofioliti, al tempo situate alla base della falda in movimento, corroborò sia l’ipotesi che esse fossero ‘strappate’ dal basamento ercinico durante i complessi  eventi che costruirono la catena appenninica, sia, indirettamente, rafforzò la teoria a falde di ricoprimento nell’orogenesi appenninica. Fu escluso così che il granito associato alle ofioliti non derivasse, almeno non in tutti i casi, da una cristallizzazione frazionata (serie di Bowen) da un magma basico od ultrabasico.

(2) Piero Pistoia ha superato concorsi abilitativi nazionali, al tempo fortemente selettivi (solo sotto il 5 per mille gli abilitati, max voto 8), e non frequentò mai i ‘famigerati’ Corsi Abilitanti voluti dai sindacati (99% gli abilitati con voti altissimi!). Superò  i concorsi per l’insegnamento, in particolare nella Scuola Superiore, per le seguenti discipline: Scienze Naturali, Chimica, Geografia, Merceologia, Agraria, FISICA e MATEMATICA. Le due ultime materie sono maiuscole per indicare che Piero Pistoia in esse, in tempi diversi, fu nominato in ruolo, scegliendo poi la FISICA, che insegnò praticamente per tutta la sua vita operativa. Pochi anni prima che l’Istituto Tecnico Industriare di Pomarance fosse aggregato al Tecnico Commerciale di Volterra, il dott. prof. Piero Pistoia fu nominato Preside Incaricato presso il detto istituto dal Provveditorato agli Studi di Pisa, ottenendo la valutazione massima.

PER LEGGERE UNA VERSIONE LEGGERMENTE RITOCCATA in pdf DELLO STESSO AUTORE CLICCARE SU:

MIOCENE

 

 

GEOGRAFIA ED I NUOVI RAPPORTI FRA UOMO E AMBIENTE dell’accademico Dott. Prof. Paolo Ghelardoni

Si può leggere l’art. anche cliccando su:  geografia-e-rapporto-uomo_ambiente

LA GEOGRAFIA E I NUOVI RAPPORTI TRA UOMO E AMBIENTE

dell’accademico Dott. Prof. Paolo Ghelardoni

Dopo anni di riflessione critica su problemi epistemologici la geografia sta acquisendo importanza crescente nell’applicare i propri principi e i propri metodi d’indagine nello studio delle attività umane e nel loro interagire con l’ambiente.

La geografia fisica negli ultimi decenni ha realizzato sensibili progressi nei suoi singoli settori perché ha concepito le realtà geografiche oggetto di studio (ghiacciai, clima, ecc.) come entità derivanti dalla interconnessione di elementi diversi che si influenzano a vicenda.

Basta pensare ai sistemi di erosione; l’azione delle forze che contribuiscono a generare questo fenomeno varia secondo le condizioni del clima; se considerate separatamente non possiamo pervenire a comprendere la realtà, ma se indaghiamo sul modo in cui esse si intrecciano tra loro, sapremo ritrovare il legame che le unisce nell’insieme morfologico che risulta dalla loro interazione.

Si è ben presto capito che anche i fenomeni geografici fisici dovevano essere studiati con il metodo sistemico, cioè considerare tutti i fenomeni come facenti parte di un sistema, appunto un insieme di elementi interconnessi che si influenzano tra di loro.

Ed un elemento che influenza l’ambiente naturale è l’uomo, che si inserisce nell’ambiente naturale, che nel corso del tempo vi ha impresso notevoli trasformazioni modificando quello che era l’ambiente originario.

I geografi fisici studiando, ad esempio, l’erosione normale delle medie latitudini scoprono che l’intervento umano non è più limitato a singoli luoghi abitati, ma è diventato un fatto di ampiezza planetaria; le acque già controllate dall’uomo attaccano il rilievo, ma questo non è più un rilievo naturale ma è largamente plasmato dall’azione umana con la deforestazione, la costruzione di strade, il terrazzamento, ecc.

Così la geografia fisica gradualmente si è trasformata, si è resa conto di dover unire allo studio strettamente naturalistico la ricerca sull’azione umana sulla natura, è diventata una disciplina antropocentrica.

Ci si volge così allo studio dell’ambiente considerato come un sistema antropo-fisico, suscettibile di essere studiato solo mediante ricerche pluri-disciplinari e con il fondamentale contributo della geografia.

In Francia soprattutto si dà una definizione dell’ambiente in chiave sistemica: “l’ambiente è l’insieme degli elementi, fisici, chimici, biologici e sociali che caratterizzano uno spazio e influenzano le vita di un gruppo umano”.

L’ambiente è quindi un insieme coerente di elementi che agiscono e reagiscono gli uni con gli altri. Ogni ambiente è un’unità “aperta”, cioè riceve impulsi esterni e può trasmetterne a sua volta.

E’ dagli anni settanta che si apre quel vasto campo di ricerca che viene definito come “problematica ambientale”; si cerca cioè di studiare , nei suoi vari aspetti e nelle sue conseguenze l’impatto della società urbana e industriale su tutti gli elementi naturali. Si indaga sull’ampiezza del fenomeno, sulle sue cause e sulla sua evoluzione e quindi sulle misure da prendere per salvagurdsre determinate aree per tentare se non un ripristino nelle condizioni antecedenti alla loro alterazione almeno un miglioramento del quadro di vita della società umana.

Proprio nel campo della geografia fisica questa nuova tendenza porta a orientamenti diversi nei settori più importanti.

La “climatologia” si è orientata verso lo studio delle trasformazioni intervenute nell’ambiente atmosferico a causa del processo di industrializzazione e di urbanizzazione; così hanno preso nuovo impulso la bioclimatologia umana, che studia i rapporti tra clima e salute, e la modellistica climatologica che tenta di prevedere le condizioni del clima fra trenta-quaranta anni per prevenire le alterazioni dell’atmosfera causate dalle attività umane.

Nell’idrologia si tenta di chiarire tutti gli impatti umani nel campo idrologico per realizzare una gestione più razionale della risorsa acqua.

La “geomorfologia” ha esteso il suo interesse ai suoli trasformati dall’uomo, soprattutto ai fenomeni erosivi nei quali i fattori antropici vanno messi sullo stesso piano di quelli naturali.

In complesso la geografia fisica collabora attivamente nella definizione delle aree a rischio che rappresentano uno dei campi della ricerca ambientale (rischio sismico, idraulico, consumo di spazio, ecc.).

Un campo di intervento che ha visto un lungo dibattito scientifico è quello che riguarda la protezione del paesaggio.

Possiamo anzitutto definire il paesaggio: esso rappresenta una unità spaziale definita la cui individualità trae origine dalla sedimentazione delle azioni della natura e delle attività umane.

In effetti la base , il substrato del paesaggio è di ordine geografico-fisico, essendo costituita dalle forme del terreno, dalle acque, dalla vegetazione, che a loro volta mostrano l’influenza delle condizioni climatiche della natura litologica delle rocce. Ma le componenti fisiche e biologiche sono plasmate anche dall’opera dell’uomo, che si concretizza nella forma delle colture, nelle caratteristiche dell’insediamento, delle vie di comunicazione, opere che si inseriscono negli elementi naturali dando luogo alla particolare unità fisionomica sopra descritta.

Talvolta in Italia i quadri ambientali del paesaggio sono stati fortemente contraddistinti dalla forme produttive dovute all’organizzazione sociale dell’attività agricola. Per fare un esempio : gli ampi scenari di colline ondulate,, dove olivi, viti e cipressi si alternano in modo mirabile, costituiscono l’aspetto più tipico e suggestivo del paesaggio della Toscana; esso è stato definito come un’architettura della natura su cui si è sovrapposto il risultato storico del lavoro dell’uomo e particolarmente di determinate forme di utilizzazione della terra (la policoltura) e di particolari rapporti tra i proprietari della terra e i lavoratori (la mezzadria).

Il nostro paese, seppur in grave ritardo rispetto ad altri paesi europei, si è dotato di strumenti legislativi per proteggere i paesaggi. Infatti si è finalmente capito che un paesaggio rappresenta un vero e proprio bene culturale ( o meglio un bene culturale ambientale) che occorre tutelare come prodotto della nostra storia, pur accettando il principio che esso non è qualcosa di statico, ma una realtà che si evolve di continuo.

La legge dell’8 agosto 1985 n.431, (detta anche legge Galasso dal titolare del dicastero dei beni culturali e ambientali che la promosse) stabilisce che sono sottoposti a tutela i territori marini costieri e lacustri in una fascia di 300 m dalla linea di battigia; i corsi d’acqua e le rive per una fascia di 150 metri; i rilievi alpini al di sopra di 1600 metri e quelli appenninici al di sopra di 1200; i ghiacciai,; i parchi e le riserve nazionali e regionali; i territori coperti da foreste e boschi, le zone umide, i vulcani e le zone di interesse archeologico.

Pur prestandosi ad alcune critiche per l’applicazione, questa legge non parla di tutela delle bellezze naturali ma di “tutela di zone di particolare interesse ambientale”, introducendo quindi il concetto di ambiente e quindi della sua salvaguardia. Tra l’altro essa impone alle Regioni di sottoporre il loro territorio a normative di valorizzazione ambientale mediante “piani paesistici” o paesistico-territoriali miranti alla salvaguardia dei valori ambientali. La legge conferisce quindi a questa attività un’impostazione gestionale e dinamica proiettandola nel settore della pianificazione territoriale.

Ora una pianificazione del territorio può scaturire solo da studi preliminari approfonditi con una completa ricognizione dell’esistente ed una corretta valutazione delle attività umane, sia di quelle in atto sia di quelle suscettibili di sviluppo nei limiti della compatibilità ambientale. In tale processo di ricerca il geografo può dare un contributo importante in virtù della sua naturale capacità di correlare elementi naturali e fatti umani. Paesaggio e territorio sono da tempo l’oggetto principale della geografia.

Infatti la geografia nello studio del paesaggio, con il suo armamentario strumentale e metodologico, ha dato di recente un contributo significativo alla risoluzione delle due esigenze compresenti in ogni situazione di riorganizzazione del territorio; da una parte l’esigenza di trasformazione dell’assetto territoriale, dall’altra quella della conservazione di determinate frazioni o componenti tradizionali del paesaggio..

E in molti casi si è dimostrata valida l’applicazione dei metodi e delle conoscenze geografiche alla soluzione di problemi pratici, in vario modo connessi al rapporto uomo-ambiente ed alla organizzazione del territorio che ne deriva; in altri termini si può parlare di geografia applicata ogni volta che il geografo, mettendosi al servizio della società, utilizza le proprie conoscenze scientifiche, il metodo e lo spirito geografico che lo caratterizza per la soluzione dei problemi dello spazio organizzato.

E la geografia ha dimostrato anche di poter essere critica, nel senso di non temere con le proprie riflessioni di dissentire dal potere ufficiale, ed operativa, nel senso che non si limita a dibattere e criticare ma interviene praticamente esplorando ed indagando in modo sistematico le condizioni geografiche della trasformazione, insieme alle forze sociali capaci di praticare gli interventi.

Così l’interpretazione geografica del paesaggio è fatta non solo in funzione dell’azione politica reale e contingente, bensì di quella “ideale” volta ad assicurare l’armonizzazione dei fondamentali bisogni dell’uomo. L’impegno della geografia del paesaggio e dell’ambiente, lungi dal proporsi obiettivi irrealistici di museificazione di forme paesistiche ormai ridotte a fossili, è diretto a definire una possibile migliore programmazione e realizzazione di interventi finalizzati alla corretta fruizione e alla oculata tutela, non necessariamente avulsa dalla valorizzazione economica, di uno dei patrimoni-risorsa più ricchi di cui dispone ancora il nostro paese, malgrado saccheggi e trasformazioni recenti.

Dott. Paolo Ghelardoni

LETTERA SPEDITA AL CICAP, “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudo-scienze”, PER ESPRIMERE UN PENSIERO PERSONALE ALTERNATIVO; dott. Piero Pistoia, prof. di ruolo ordinario in Fisica

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TRACCIA DEL CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

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CICAP è acronimo di “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sul Paranormale”. La parola “Paranormale” oggi è stata sostituita da “Pseudo-scienze”

Dopo aver letto anni fa alcuni scritti pubblicati dal CICAP decisi di esprimere alcune mie opinioni in proposito che inviai loro per posta, oggi un po’ rivisitate per precisarne alcuni passaggi [frammenti fra parentesi quadre]. Ricevetti una lunga lettera dal CICAP, scritta da un dott. prof. di Fisica Teorica di una Università del Nord, che devo ricercare in mezzo al caos della mia libreria e quando l’avrò trovata, la trascriverò volentieri in questo post.

LETTERA SPEDITA AL CICAP PER ESPRIMERE UN PERSONALE PENSIERO ALTERNATIVO, SPESSO FORZATO SU QUALCHE RAMO DI IPERBOLE, ONDE CREARE QUALCHE DUBBIO IN UN BACKGROUND DI CERTEZZE

dott. Prof. Piero Pistoia

Spett.le REDAZIONE,

leggendo la Vostra rivista si rimane colpiti dalla semplicità, chiarezza e coerente armonia – senza mai contrasti che potrebbero finire in dibattito – con cui vengono trattati e risolti i diversi problemi affrontati di cui si forniscono sempre sicure soluzioni. Sembra quasi di seguire uno dei tanti articoli di scienza pubblicato in molti giornali quotidiani e non o in una delle tante trasmissioni televisive di cultura dove tutto è descritto in maniera coerente, armonica, semplice, conchiusa e colorata [(senza un riferimento agli errori di percorso durante il travaglio (trouble) di quella conquista raccontata)], quando invece ad ogni passo del percorso si dovrebbero aprire svariati interrogativi. Se “imparare è risolvere problemi” [(e nella fattispecie, fare conti!)] da queste comunicazioni a mio avviso, pur appassionate e talora coinvolgenti, si impara ben poco. [Anzi, spesso, la chiarezza ad oltranza e l’assenza di dubbi penalizzano la memoria, la riflessione personale e quindi l’apprendimento]. Per questa ragione vorrei esprimere sulla scienza e la non-scienza o pseudo-scienza il mio personale pensiero, anche se spesso volutamente forzato lungo un ramo di iperbole, per provocare l’interlocutore e far sorgere qua e là interrogativi. Il mio intervento, di cui mi scuso in anticipo se qualcuno dovesse prendersela (absit iniuria verbis), si articolerà nei quattro seguenti punti:

1 – Se la maggior parte dell’universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrà provocare soluzioni impreviste ed imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico. Una esatta imprevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperte dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora, onde elettromagnetiche di energia inferiore alla soglia del misurabile potrebbero produrre lo stesso effetti vistosi. Non è da escludere, infatti, che nelle condizioni iniziali, come accadeva al di sopra della soglie dell’errore, una grandezza possa acquistare due valori molto vicini, ma all’interno della soglia dell’errore potrebbe accadere che, per uno dei due, la traiettoria descritta dal sistema in un opportuno spazio delle fasi diverga esponenzialmente da un certo istante in poi, ottenendo dopo un tempo opportuno una interferenza macroscopica (o nello stesso istante ad una certa distanza?). Il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice ed addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perché, come affermava Vico (Verum ipsum factum), abbiamo ‘inventato’ leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi della realtà, estremamente ammaestrati del tempo e dello spazio, funzionasse, cioè fosse ‘vero’ per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli, se ci imbattiamo in una turbolenza): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso (e forse disordinato).

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva ed interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva ‘leggere’ le influenze del cielo sulla vita), voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al ‘semplice’, cioè la maggior parte del mondo, che poteva venire colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico che quasi mai ripiegava sull’esperimento e che usava invece il teorema ed il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare tempestoso del mistico-magico che circonda, oscuro, la piccola isola del razionale, anche se poi di questo ignoto mare non se ne può parlare (è “indicibile”), usando i linguaggi della ragione (I° Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà “la fuori” (II° Wittgenstein).

2 – I fatti, le prove, l’esperienza scientifica ‘costruita’ in laboratorio in base a precisi presupposti teorici (esperimento), non sono termini di confronto neutrali. La falsificazione (Popper) diventa impossibile non riuscendo ad individuare ciò che viene di fatto falsificato. Si perdono così i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, magia s.l., metafisica, religione…). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove. Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (si ricordi la bottiglia di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. In una iperbole, accettare una teoria scientifica invece di un’altra, nello stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte magia s.l., astrologia sono tutte favole che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

3 – Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico ed il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e, se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi ed il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece che 35, non significa un bene assoluto!). Guarda caso il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso! Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io più evoluto, consapevole e vigoroso a fronte di un mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’Universo. In ognuno di questi mondi, senza onde di probabilità né codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli da quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’Universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli umani, quando i Greci credevano negli dèi. Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente, spinge fino ai limiti dell’Universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri, il fragile meccanismo proprio dei mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi , divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi, ed altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel segno della “empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo non solo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie, ma all’aumento oltre ogni limite della sua qualità della vita! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

4 – Dalle nostre parti la tradizione dominante per eccellenza è quella razionale che sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata dove tutto sia previsto e ogni azione vigilata e se non conforme punita. Fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o, [in una metafora banale di mini-ragioneria], qualche volta calpestare un’aiola o fare una fotocopia di un articolo; [più grave superare un limite di velocità, ma sembra comunque che fra poco metteranno meccanismi registratori su qualche satellite o scatole nere all’interno delle auto; per non parlare della tendenza generalizzata ad aggiungere ad ogni carta di identità il codice DNA di ciascuno, o , magari, a misurare l’aria che ciascuno respira, perché consuma ossigeno e riempie l’atmosfera di anidride carbonica od altro gas (es. metano (sic!)… un gas serra 20 volte più potente della CO2, come afferma P. Wadhams, Univ. di Cambridge !).   Molti, seconda la strana morale occidentale, diranno scandalizzati che non si devono sostenere, per es., i primi due eventi delle aiuole e delle fotocopie (esempio metaforico, insieme ad altri, di piccole cose ragionieristiche), ma nessuno di essi potrà affermare di aver sempre rispettato il terzo evento (cose che riguardano invece la vita e la morte! Come a dire si punisce la ragioneria e si ignora la guerra! Per non parlare dei vari imposti catechismi senza un contemporaneo controllo costante sulle filiere senso lato. Naturalmente  i controllori controlleranno tutti, eccetto se stessi! Mi vengono a mente paradossi russelliani che iniziano così, per finire in contraddizioni]. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere ormai pochissimi sentieri ed il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. I molti sentieri infatti che non si lasciano percorrere, anche se di scarsa rilevanza, portano in nessun posto e la vita quotidiana si riempie così di una miriade di vuoti, anche se piccoli! Se a questo aggiungiamo che l’Homo sapiens sta perdendo i legami anche con i suoi simili e si sente sempre più solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, astrologi, psichiatri, fattucchiere, preti delle diverse religioni, pranoterapisti, tecnici dell’ago puntura …, pronti a pagamento a ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzionano sempre (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società globalizzata del profitto e della ragioneria atomizzata, del cemento e del lungo tempo di vita. E’ giusto denunciare i profittatori (maghi, psicologi e preti…… che siano), ma pagare il giusto prezzo per i curatori di anime, mi sembra un fatto accettabile.

Concludendo, se non fosse possibile alimentare le più svariate tradizioni (scienza, arte, magia s.l., religione…) in ogni testa, sarebbe necessario farlo nella società (relativismo democratico), perché ogni tradizione porta con sé una sua visione dell’oggetto, anche se parziale, incompleta, inventata e falsa; ma l’insieme di tutti i punti di vista creerà un invariante di vita umana, un’emergenza, in particolare per l’uomo occidentale, la migliore possibile. Anche le tradizioni più squalificate e considerate negative e non degne di credibilità (es., le ‘streghe’, bruciate sul rogo a migliaia,  dal primo Medioevo alle soglie dell’Illuminismo), vanno lasciate, magari isolate in attesa, in modo che, in quel momento fuori tempo, non disturbino (J. P. Feyerabend, l’epistemologo anarchico), perché nessuno è in grado di dire quanto bene ci sia ancora nel male e in che misura l’esistenza del bene sia stata legata ai crimini più atroci (enantiodromia eraclitea); [il Bene ed il Male sono connotati dalla storia e se la Storia (Historia) è  ‘oggetto’ complesso, nessuno potrà mai prevedere quanto, per es., l’evento ‘streghe’ possa aver  ‘perturbato’ la Storia futura (in particolare le res gestae, o humanae res), nei millenni successivi, cioè nel tempo lontano. Il filosofo medioevale Tommaso d’Aquino affermava  che <<Multae utilitates impedirentur si omnia peccata districte proibentur>>.

L’oggetto della conoscenza si fa analogo ad una pozzanghera di fango, dove sono cadute alcune gemme razionali ed a intervalli si aprono e si richiudono delle bolle oscure indicibili attraverso le quali è possibile gettare un rapido sguardo nelle zone più profonde.

Ho ritenuto di non aggiungere alcuna bibliografia, sicuro che il lettore di questa missiva sarà in grado senz’altro di riconoscere dietro lo scritto i nomi degli autori a cui si fa tacito riferimento.

DISTINTI SALUTI

piero pistoia

SENSO DELLA POESIA E DELL’ARTE, DELL’OGGETTO FISICO E NATURALE; riflessioni argomentative aperte, ‘implicite’ e forse criptiche e quindi provocatorie: problemi dischiusi al margine; scritto del dott. Piero Pistoia

Post in divenire……

In questo scritto, nato al tempo come una relazione didattica di auto-aggiornamento oggi rivisitata, furono trascurati i riferimenti bibliografici. Da controllare, precisare ed eventualmente da aggiungere  (J. BRUNER, TORALDO di FRANCIA ed tanti altri)

OGGETTO ARTISTICO/OGGETTO REALE E OGGETTO ARTISTICO/OGGETTO FISICO 

RIFLESSIONI DIFFORMI DI PIERO PISTOIA

Perché l’argomentazione difforme e provocatoria (a differenza di quella razionale anche di buon senso, che è capace di tracciare nel complesso, per es., due percorsi razionali incompatibili, cioè A + contorno può portare a Bianco, ma anche a Nero, giustificando tutto! )  possa facilitare almeno  la consapevolezza della strana morale degli occidentali (sia quelli con grande Storia, sia quelli senza Storia, perché,  forse, Historia magistra vitae è una falsa sentenza), brava gente di cuore, di intelletto e spesso timorosa di Dio insomma, che, nel migliore dei casi, sa offrire come una grande opera morale di carità il curare feriti a migliaia e il sotterrare morti a migliaia per lo più innocenti, colpiti ed uccisi proprio da loro! Spesso con l’educare al difforme e al provocatorio si può intravedere meglio la giusta via! Chi pensate vedrà prima la stretta asola nella trappola per mosche di Wittgenstein? Il difforme o il razionale di buon senso?

PREMESSA

Accettiamo come postulato che l’oggetto poetico (artistico) e l’oggetto reale posseggano, per loro natura, ambedue infinite sfaccettature, infinite possibilità di significati razionali e/o irrazionali, ambedue non siano riducibili o coglibili fino in fondo. Gli ‘umani’ cambiano nel tempo insieme al loro background di interpretazione, ma Natura e Poesia rimangono e si pongono come un obbiettivo regolativo incompiuto….per sempre.

Postuliamo altresì che l’oggetto poetico (artistico) abbia un disordine intrinseco che si ‘attua’ in ‘vortici’ del linguaggio, come quello reale, pur nelle differenziazioni dei significati, un disordine ordinato in qualche modo, un caos con un suo ordine interno.

La comprensione dell’oggetto poetico è quindi solo parziale anche per lo stesso poeta, a differenza dell’oggetto fisico che, pur tendenzialmente in divenire, viene sempre compreso completamente ad ogni stadio, dallo scienziato che lo ‘costruisce’ (sull’oggetto fisico ci si fanno i conti, si costruiscono oggetti della tecnica e della tecnologia! Verum est factum di vichiana memoria).  L’oggetto fisico, infatti, espresso da teorie, è razionalmente comprensibile fino in fondo ad ogni fase di sviluppo a differenza dell’oggetto reale. E’ vero che possono esistere infinite possibilità fisiche di vedere razionalmente  l’oggetto reale, ma queste possibilità non saranno mai esprimibili in una teoria che abbia essa stessa infinite possibilità di interpretazione (che comunque sarebbero tutte razionali: infinità di ordine inferiore rispetto alle infinità della classe delle possibili interpretazioni dell’oggetto poetico e naturale).

L’oggetto poetico e dell’arte non è comprensibile né riducibile ad un processo razionale, né comunque esauribile da qualunque umano; la sua interpretazione non diverrà mai definitiva. Tutte le possibili interpretazioni razionali e tutte quelle emotive irrazionali o inesprimibili, coglibili solo nell’atto immediato dell’intuito, infiniti punti di vista come monadi leibniziane, sarebbero sezioni di un invariante poetico, l’oggetto poetico.

Possiamo allora concludere che l’oggetto poetico assomiglia (nel senso della complessità) di più all’oggetto reale di quanto somigli ad esso l’oggetto fisico.

Ne deriverebbe allora che l’oggetto reale, l’Alter Ego del soggetto, il noumeno kantiano, potrebbe essere compreso più in profondità se si utilizza, per la sua scoperta, l’oggetto poetico (od anche l’oggetto poetico) di quanto lo sia utilizzando l’oggetto fisico (o solo l’oggetto fisico)?

PRIMA ARGOMENTAZIONE PROVOCATORIA SUL PUNTO INTERROGATIVO NON SOSTENUTA FINO IN FONDO DALLA LOGICA  NE’ DALLA CONGERIE DI DATI SPERIMENTALI

La risposta alla domanda formulata non è possibile se non vengono precisate le condizioni di costruzione dell’oggetto poetico e in cosa consiste l’oggetto fisico. Il coinvolgimento totale del soggetto  nell’oggetto,  escluderebbe la possibilità di cogliere l’esterno del soggetto stesso, ammesso che esista. Quindi questo oggetto complesso, risultato dell’atto poetico, sembra costituire una fusione quasi mistico-religiosa, del soggetto nell’oggetto, ad animare un oggetto di per sè non coglibile, a meno che non si voglia ammettere che le cose dell’Universo consistano di una congerie di materia e spirito (Heghel). Solo in tal caso l’oggetto poetico potrebbe corrispondere all’oggetto reale in quanto costituito della stessa sostanza ed ugualmente complessi. Questi due aspetti non garantiscono però un matching necessario, in quanto può accadere che nonostante ugualmente complessi e della stessa pasta  abbiano struttura completamente diversa. E’ necessario ammettere ancora qualcosa.

Se quest’ultimo aspetto comunque fosse vero (presenza di matching), l’atto poetico sarebbe più efficace dell’atto scientifico a cogliere la realtà dell’Universo. Si verrebbe così a confermare la posizione di Vico che affermava come il noumeno potesse essere colto nell’attività mistica e artistica ed altre posizioni sostenute dalle religioni orientali.  Se poi questo aspetto non risultasse vero, allora la suddetta proposizione dovrebbe essere presa come postulato di partenza per poter sostenere il matching.

E’ comunque da precisare che, anche se l’invariate poetico corrispondesse alla realtà, ciò non significa che tale oggetto possa essere compreso completamente nell’esperienza di un solo soggetto, sia esso l’artista od il fruitore.

 

SECONDA ARGOMENTAZIONE PROVOCATORIA SUL PUNTO INTERROGATIVO NON SOSTENUTA DALLA LOGICA O DALLA CONGERIE DI DATI SPERIMENTALI

La questione potrebbe essere però risolta in un altro modo. Ammettiamo che l’Universo consista di un oggetto estremamente complesso in cambiamento evolutivo (crescita? Ontogenesi? Filogenesi?); ogni parte di esso è istante per istante in equilibrio con tutte le altre a formare un tutt’uno strutturato finemente. La stessa vita porta traccia di questa struttura nel senso che ogni parte di questo insieme porta scritto in qualche modo informazioni relative al resto dell’Universo (per es., gli elementi chimici costituenti i nostri corpi sono stati prodotti nell’esplosione di super-nove!). Pur evolvendo ogni cosa che esiste, ad un certo stadio, già c’era in precedenza, anche se in qualche altro stato. La stessa mente o spirito deve (?) essere parte integrante di tutta la materia dell’Universo. Ma il ‘deve’ nell’ultima proposizione non può essere logicamente sostenuto. Se da una scatola chiusa esce un coniglio non è logicamente inferibile che un momento prima esso fosse dentro la scatola! Si pensi ad un elettrone che esce da un nucleo radioattivo nonostante che sia impossibile per un elettrone albergare in un nucleo! Ma al  posto dell’elettrone nel nucleo c’è qualche altra cosa, per es., energia sotto forma di massa a costituire parte di un neutrone: ma è la stessa cosa? Una congerie di elementi diversi già esistenti a configurare un nuovo oggetto, è la stessa cosa dell’insieme non strutturato degli stessi elementi?

Ammettendo la validità del ‘deve’, qualsiasi atto creativo avrà a che fare con archetipi profondi legati a questa struttura dell’Universo, che, in quanto mente e corpo, è coglibile attraverso una riflessione umana. E’ possibile inoltre che l’uomo abbia formato un nodo estremamente denso di linee di struttura rispetto ad altri oggetti e quindi che i legami archetipici con l’Universo siano profondi e ricchi di informazioni.

Ma ad un certo stadio evolutivo l’equilibrio dovette cessare improvviso, come fu improvviso  (in senso geologico) il salto qualitativo che condusse l’Homo sapiens all’Homo, che chiameremo, sapiens sotto-specie sapiens (indicando il passaggio fra un Homo con corteccia in via di trasformazione, in situazione lontana dall’equilibrio,  ad uno con corteccia praticamente definitiva, come la nostra.

Non è del tutto inverosimile pensare che, data la tendenza degli svariati elementi costituenti gli organi, in particolare il cervello, a correlarsi fra loro, gli ultimi salti evolutivi, richiesti dall’uso sempre più consapevole della mano (teoria adattiva del Neo-darwinismo), abbiano trascinato nello sviluppo evolutivo una miriade di elementi cerebrali a costituire un cervello con possibilità enormi rispetto alle richieste iniziali (simile a quello che sarebbe accaduto per l’occhio estremamente complesso dei polpi). Ovvero le oscillazioni sempre più ampie intorno ad un centro lontano dall’equilibrio avrebbero condotto, in questa fase in particolare, ad un salto qualitativo non spiegabile con le richieste adattive (Teorie degli Equilibri Punteggiati).

L’inizio della mancanza di equilibrio con la Natura iniziò quando entrò in gioco la costruzione orientata ad  una attività sempre più simbolica  della corteccia e quindi l’inizio di un successivo indebolimento, in questo processo, della costruzione di archetipi legati all’azione della corteccia.

Allora, se la razionalità nella sua pienezza corrisponde a queste ultime conquiste evolutive, non è forse da chiederci se essa, certamente umana, sia davvero da considerarsi conforme alla Natura.

Si conclude: a) non ci fu più equilibrio completo da quando entrò in gioco la costruzione sempre più simbolica da parte della corteccia, aspetto del cervello non in equilibrio con la Natura; b) non si hanno archetipi legati all’azione della corteccia (?); c) l’oggetto creato dalla corteccia non è un oggetto naturale.

Così solo l’atto creativo può evocare dal profondo spinte archetipiche atte a costruire un oggetto complesso della stessa ‘pasta’ dell’Universo e ad esso corrispondente. Con l’intuizione estetica o mistica e la riflessione-meditazione filosofica profonda sembra così essere possibile raggiungere gli stessi obbiettivi della scienza ed oltre?

Si potrebbe evincere anche che l’Homo prima del sapiens, in perfetto equilibrio con l’Universo, potesse provare esperienze di fusione mistico-magico-creative con gli oggetti dell’Universo (Empatia? Einfunlung?) così profonde da poter cogliere la ‘Realtà’ in una sola esperienza personale ovvero in una esperienza condivisa all’unìsono (Telepatia?) dall’orda, esperienza catalizzata ed evocata dalla presenza dell’oggetto artistico (Neanderthal e pitture relative alla sua scultura).

MONDO DELLA MANO DESTRA, MONDO DELLA MANO SINISTRA E LORO RAGIONI

Esistono così due modi di intervento sul mondo, uno guidato da teorie e modelli logici messi alla prova usando processi razionali quantitativi di controllo o suggeriti dalle teorie del complesso e l’altro procedendo lungo le direttrici suggerite dalle teorie del qualitativo. Non si tratta però né di due aspetti ugualmente radicati profondamente come archetipi nell’animo umano, rispettivamente correlati alle filosofie della causa e del fine (razionalismo e irrazionalismo, scientismo e umanesimo, mano destra e mano sinistra…), né da cercare di armonizzare e integrare. La situazione è ben diversa: tertium non datur.

I problemi che sorgono nell’interazione uomo-natura non si risolvono, o non si procede efficacemente nella loro soluzione, muovendoci, guidati da qualche teoria della conoscenza, dalla raccolta dei dati, attraverso la loro elaborazione, per intervenire a modificare la situazione teorica iniziale, a fronte di strumenti che non permetteranno mai di cogliere la realtà di interrelazione fra le cose. La soluzione si ottiene cambiando completamente tattica e atteggiamento.

I mondi della logica, della matematica, delle scienze positive e i correlati mondi del ragionamento razionale, delle argomentazioni critiche, degli standards universali, delle prescrizioni , delle tradizioni rigide…rappresentano una sezione artificiosa e riduttiva del complesso pensiero umano. Essi derivano da una riflessione parziale ed incompleta sui processi mentali atti a rispondere  alle richieste della sopravvivenza e dell’istinto di conservazione.

Questi mondi costruiti dall’uomo che utilizzano tali processi riduttivi del pensiero,  risultano solo parzialmente umani e stranamente separati dalla Natura (mondi artificiali costruiti dall’uomo su dati incompleti relativi al funzionamento del suo pensiero e quindi scarsamente agganciati all’equilibrio naturale). Ci siamo accorti infatti non solo che a) il pensiero intuitivo-creativo non è analizzabile in termini di scansioni veloci, automatiche e non consapevoli attraverso percorsi cibernetici, l’atto creativo rappresenta una visione immediata e orizzontale della soluzione a problemi, ma anche b) tutti  gli altri  processi del pensiero umano non seguono  sempre e comunque i passi scanditi da un particolare software, atto al raggiungimento di un dato obbiettivo (non esiste necessariamente omologia fra pensiero e software).

Da questo consegue che le teorie scientifiche sono solo condizione necessarie ma non sufficienti (Toraldo di Francia) per cogliere la realtà ed il progresso della scienza si riduce solo all’adeguare funzionalmente (fitting) modelli e teorie all’ambiente sperimentato (Convenzionalismo?), nel senso della sola ricerca della semplicità, coerenza e capacità di spiegazione e previsione. Il fatto quindi che una chiave (teoria) apra una porta (risolva un problema), dalla chiave che apre non si evince niente sulle caratteristiche della porta (come da una chiave che non apre, teoria falsificata!).

Se una nave urta gli argini di un canale avvolto nella nebbia, dirò che il percorso non è adatto a descrivere la geometria del detto canale; se invece  attraversa il canale (teoria non falsificata e quindi corroborata) non posso affermare che il percorso corrisponda (match) alla traccia del canale, perché la nave può aver percorso le più svariate linee, anche fortemente a rischio, che non hanno niente  a che vedere con la “vera” forma del canale.

Il non adatto viene “falsificato” e quindi eliminato: niente però viene detto sulla “verosimiglianza” (termine di Popper), sulla corrispondenza ed omologia fra teoria ed ambiente reale (Popper è meno pessimista). Da una parte ciò conduce all’impossibilità di cogliere l’oggetto in sé , il noumeno kantiano, dall’altra alla realizzazione fattiva di opere e strutture sociali non in equilibrio né con l’uomo né con la Natura,  conseguenza delle posizioni degli efficientisti, dei manichei coerenti e intransigenti, dei possessori di verità con in tasca le chiavi dei ghetti e delle camere a gas (tutti figli del razionalismo), che, insieme ai pazzi, sono e sono stati nella storia, vicina e lontana,  i soli responsabili di efferati genocidi e di guerre inumane e  ingiuste.

Il disagio che ne deriva ha condotto alle dualità espresse nelle distinzioni già nominate fra mano sinistra e mano destra, arte e scienza positiva, mondo dei valori e mondo della ragione… e ultimamente alla individuazione di particolari problemi detti ipercomplessi, le cui soluzioni non sono possibili con i soli strumenti della ragione.

In effetti tutti i problemi che riguardano l’Universo – in particolare quelli di natura sociale – sono, a mio parere, di natura ipercomplessa, la cui soluzione è resa possibile solo attraverso una riscoperta dei profondi legami fra ragione e non, coglibili nelle primitive operazioni mosse dall’istinto di conservazione e dagli altri archetipi collegati all’ambiente di sopravvivenza (caccia e raccolta), nel quale per più di due milioni di anni il cervello ha sviluppato le proprie caratteristiche profonde. Forse nello studio del pensiero-comportamento degli ominidi fino al Neandethal, cioè prima dei Cromagnon, potremmo trovare indizi di questo aspetto mancante e abbozzare così una risposta se mai esiste.

L’inesistenza di risposte a tali dicotomie dovrebbe allora essere ricercata forse nella incompletezza del cervello umano. In tal caso comunque dovrà esistere un controllo capillare delle costruzioni artificiali, siano esse opere o ragionamenti, da parte degli aspetti umani più primitivi, ma certamente più in equilibrio col Tutto.

UNA RIFLESSIONE  FINALE: ARTE E MAGIA, SCIENZA E MAGIA

Allora con gli ultimi salti evolutivi la capacità di costruire simboli e quindi teorie fornì un nuovo metodo di programmazione e manipolazione dell’ambiente per  la sopravvivenza della specie ed oltre: un metodo certamente umano, perché posseduto dall’uomo, ma non naturale, in quanto non previsto dalle esigenze e dalla cultura (caccia e raccolta) in cui si era sviluppato il cervello umano in equilibrio col tutto.

Data l’efficienza e la soddisfazione conseguente a tali processi che facevano morire  teorie al posto di organismi, questo metodo affascinò a tal punto che fu dimenticato quasi completamente l’altro. Ed era l’altro quello in equilibrio con l’Universo, quello del rispetto dell’essere vivente, dell’oggetto inanimato e dell’energia;  quello del vivere sociale armonico e condiviso, anche se per piccoli gruppi.

Da quel momento le orde non si riunirono più intorno all’opera d’arte  (per es., una preda) a meditare al fine di cogliere l’oggetto ‘reale’, il noumeno kantiano, per controllare il futuro (procurarsi ritualmente il cibo). Da quel momento quel metodo si ridusse in brandelli, i cui resti  in tracce ancora oggi rimangono nebulosi nel profondo del nostro essere e quando riusciamo a prenderne consapevolezza si rimane invischiati in una dualità irrisolvibile. Dovevamo accorgerci da subito che l’altro, non vistoso, non luminoso ed immediato, era invece il metodo più potente, in quanto alla nostra sopravvivenza avrebbe partecipato il Tutto completamente compreso.

Molti scritti sacri delle più disparate religioni non suggeriscono forse di dimenticare la logica, la scienza e le loro opere? E le teorie, da queste discipline razionali proposte, non sono forse solo convenzioni, che funzionano sì (a guisa di protocolli applicativi), ma solo per i nostri scopi a danno di Tutto, e quindi anche di noi stessi?

Armonizzare ed integrare questi due aspetti è senza senso: con la mano destra invento costruzioni artificiali per lo più tautologiche e, forzando,  le rendo funzionali ai miei scopi (Verum ipsum factum), con la mano sinistra riesco a costruire, ormai malamente, oggetti incompleti i cui significati operativi rimangono nebulosi; le loro potenzialità, nel migliore dei casi, rimangono imprigionate al di sotto di una semplice armonia estetica virtuale che ‘accarezza l’animo umano’, come l’oggetto artistico! Pur tuttavia, un grande oggetto umano è l’arte! ma, perché incompiuto, non riuscirà mai più a gestire operativamente in maniera diretta né il presente né il futuro (forse, solo in maniera mediata dalle emozioni e dai sentimenti, sarebbe in grado di attivare comportamenti) . Oggetti sorti incompleti dalla Grande Evoluzione e gettati in un mondo di significati artificiali e innaturali: questa è la situazione a cui conduce la nostra argomentazione difforme e provocatoria

Oggi (ieri dopo il sapiens sottosp. sapiens) il processo di cogliere l’invariante poetico è solo un tentativo nella direzione dell’esperienza di fusione originale, prima degli strani mondi, dispersivi di energia, costruiti dalla corteccia. L’invariante poetico, se vogliamo portare l’argomentazione fino in fondo, potrebbe essere colto da un solo soggetto o da un piccolo gruppo, solo se esso, in profonde intuizioni meditative, fosse capace di liberarsi dalle sovrastrutture acquisite nell’ultimo o negli ultimi salti evolutivi (per es, i Santi, i mistici di qualsiasi religione e forse anche i maghi che abbiano superato i tests del CICAP e, forse, absit iniuria verbis, anche il Nazzareno era uno di quelli!).

Concludendo, l’invariante poetico sarebbe una specie di traduzione in chiave umana e naturale dell’oggetto ‘reale’, che diventa più accessibile di altre traduzioni allo sguardo della mente umana, in quanto riproposto dal profondo interno dell’uomo, dove si riflette l’Universo.

UN BREVISSIMO CONSIGLIO  PER UNA EDUCAZIONE DIFFORME

Ad un insegnamento fondato sulla ragione, che ormai purtroppo continuerà ad essere necessario per la sopravvivenza in un mondo non naturale costruito con il primo metodo descritto e che ormai non può essere distrutto o modificato (oltre 80% del terzo mondo popperiano controlla e riflette l’ambiente artificiale in cui siamo immersi ed il terzo mondo ha vita autonoma, con forte istinto di sopravvivenza!), dovremmo affiancare con estrema cura un insegnamento dove si dia spazio alla meditazione e riflessione intuitiva, utilizzando almeno la religione o la magia e l’opera d’arte: stiamo molto attenti in particolare ai nuovi metodi razionali e strutturali che vengono sempre più proposti per la ‘lettura’ dell’opera d’arte, quasi fosse un oggetto esauribile, al posto di un maggior coinvolgimento archetipico ed emotivo, profondo.

Piero Pistoia

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA:

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BREVE RIFLESSIONE PERSONALE SU REALTA’ E SCIENZA del dott. Piero Pistoia; post aperto ad altri interventi

Per prendere visione di un breve curriculum dell’autore  andare al termine dell’articolo

realta-da-vicino-e-da-lontano in pdf; da aggiornare…non corrisponde ancora allo scritto successivo

BREVE RIFLESSIONE PERSONALE SU REALTA’ E SCIENZA 

a cura del dott. Piero Pistoia docente di ruolo di Fisica

PREMESSA

CENNI SU LEGGI SCIENTIFICHE, ALGORITMI, PROGRAMMI E ‘CELLULAR AUTOMATA’

Esempio di automa cellularesnowcristal0001Figura  ripresa a pag. 371 del testo di riferimento “A new kind of Science”, Publischer:  Wolfram media inc. di Stephen Wolfram

  • Il comportamento dei sistemi viene studiato con le leggi della scienza che forniscono opportuni algoritmi, o procedure opportune, in un programma, che gira su un computer, che è un veicolo tramite il quale gli algoritmi possono essere esplicitati ed applicati.
  • Gli oggetti fisici e le strutture matematiche vengono trasformati in numeri e simboli da elaborare in un programma (scritto ad hoc), che gira in conformità con gli algoritmi.
  • Il programma, nel girare, modifica quei numeri e simboli e in output otteniamo le conseguenze di quelle leggi.
  • Eseguire un programma in un computer assomiglia ad effettuare un esperimento. Però gli oggetti fisici di un esperimento in laboratorio sono soggetti alle leggi di natura, mentre quelli in un esperimento al computer non lo sono; essi obbediscono alle leggi espresse nel programma, la cui forma, può essere arbitraria, purché coerente.
  • In sintesi si ha così un’espansione dei confini della scienza sperimentale, consentendo di effettuare esperimenti in un universo ipotetico.
  • Il successo delle leggi scientifiche tradizionali, formulate in particolari funzioni e enti matematici, spesso deriva sia dalla loro semplicità matematica, sia dal porsi come modello di aspetti essenziali di un fenomeno.
  • Se invece una legge scientifica è ‘tradotta’ in un algoritmo, può acquistare forma arbitraria, purché coerente. Ne deriva che “la simulazione al computer ha reso possibile impiegare molti generi nuovi di modelli per i fenomeni naturali”; per es., un programma di calcolo di un modello chiamato “automa cellulare” ha reso possibile la formazione di un fiocco di neve. Allora molti sistemi complessi, non razionalizzabili con i metodi tradizionali della matematica, possono diventarlo in esperimenti e modelli al computer. E’ facile introdurre le leggi scientifiche la cui natura è algoritmica in un programma al computer.
  • Ma anche in processi dove non esistono formule matematiche semplici che li descrivono, è possibile inserire in un programma un algoritmo che lo faccia e l’esito di tale processo può essere dedotto dal programma stesso; l’algoritmo allora verrà considerato la legge fondamentale per la descrizione del processo.
  • Sorge spontanea la domanda cruciale: dividendo in due zone l’ Universo, l’una descrivibile con formule matematiche semplici e l’altra ‘costruibile’ con processi complessi, quale zona sarà predominante? 
  • Le equazioni differenziali sono gli strumenti per costruire la maggior parte dei modelli tradizionali dei fenomeni naturali. In alcuni casi è possibile trovare la soluzione completa dell’equazione in termini di funzioni matematiche ordinarie (soluzione esatta), negli altri casi, che si incontrano in un’ampia gamma di discipline, , si fa ricorso a soluzioni approssimate usando metodi numerici;  in certi casi queste soluzioni si perdono in comportamenti complessi, per cui si deve fare ricorso alla matematica sperimentale. Comunque le equazioni differenziali forniscono modelli adeguati per le  proprietà globali di molti processi fisici (reazioni chimiche, passeggiate aleatorie ecc).
  • Si incontrano moltissimi sistemi, in partenza con equazioni differenziali anche semplici,  le cui soluzioni si perdono in vortici e turbolenze, come appunto, per es.,  è il caso della turbolenza dei fluidi che si osserva quando l’acqua urta velocemente un ostacolo. Lo studio di questi sistemi sono riassunti in una nuova disciplina, “teoria dei sistemi complessi’, dove i percorsi si sviluppano in una successione di eventi deterministici, ma imprevedibili. Wolfram  tenta di dare soluzioni positive alle teorie della complessità per non rassegnarci all’inconoscibile con la computazione con particolari algoritmi (inventati da lui) più efficaci e vicini alla Natura di quelli della scienza tradizionale. Si pensa che esista un insieme di semplici  meccanismi matematici comuni a molti sistemi che danno origine ad un comportamento complicato (per es., la costruzione dei fiochi di neve): gli automi cellulari. “Anche un sistema di equazioni differenziali è in grado di descrivere lo sviluppo dei fiocchi di neve, ma il modello molto più semplice fornito dall’automa cellulare pare conservi l’essenza del processo con cui vengono create queste configurazioni complesse. Sembra che modelli analoghi funzionino bene anche per i sistemi biologici“, così afferma S. Wolfram nel suo articolo “Software nella Scienza e nella Matematica“, da  Le Scienze,  che ha guidato questa PREMESSA e il lettore interessato può trovare in esso chiarimenti e approfondimenti sui vari argomenti qui appena toccati; in particolare nell’ultima parte dell’articolo nominato si chiarisce e approfondisce con esempi e relative illustrazioni di computer grafica,  il significato e l’utilizzo del gruppo di algoritmi riferibili al ‘cellular automata’, in confronto con quelli della tradizione. Sempre dello stesso autore   il testo di riferimento “A new kind of Science”, Publischer:  Wolfram media inc., è consigliato per un più tecnico approfondimento. A prescindere dai nostri percorsi di conoscenza da sempre usati , allora l’Universo ‘costruisce se stesso’ come un elaboratore elettronico ‘simulando’ con specifici algoritmi? Esso ‘costruisce‘ nelle zone limitate coperte in qualche modo dalla scienza tradizionale anche la più avanzata, ma specialmente nelle altre, molto più diffuse, che resterebbero inconoscibili.
  • Secondo la mia ipotesi  di interpretazione, il limite della scienza degli umani riflette la limitatezza, argomentativa e creativa, della co-evoluzione,  attiva durante la loro esistenza sulla terra (almeno per 2 milioni di anni), subita dai centri cerebrali in particolare nella grande evoluzione darwiniana; riuscire a individuare algoritmi specifici propri del ‘Cosmo nel suo complesso’ è forse un nuovo modo di vedere il mondo e quindi di fare scienza, ‘A new kind of Science’, appunto!
  • Secondo il mio modesto parere rimarrebbe da precisare che cos’è che di fatto attiva ed accompagna nella sua esecuzione la ‘regola’ riassunta dagli algoritmi: è il background chimico-fisico-pulviscolare (attivazione) e la scelta di percorsi di minore energia (accompagnamento) od altro?

DA CONTINUARE…

UNA  RAPIDA RIFLESSIONE SULL’UNIVERSO: CHE COS’ E’ IL “REALE” PER I FISICI TEORICI

Da una parte, c’è, appunto,  Stephen Wolfram,  che a soli vent’anni al California Institute of Tecnology ottenne il PHD (dottorato) in Fisica Teorica, senza dare esami! presentando solo alcuni suoi lavori già pubblicati, con i suoi algoritmi trasferibili dal suo potente programma MATHEMATICA al Cosmo, che propone una nuova rivoluzione di idee attiva all’esterno della bottiglia col collo rovesciato di Wittgenstein. Sembra che la Natura non funzioni secondo matematica, geometria e fisica come affermava Galileo e tutti i fisici successivi; l’Universo non può ridursi ad astrazioni concettuali controllate dalla matematica, ma cresce (ontogenesi), evolve (filogenesi)  come un programma su un computer, che produce una successione di eventi. Wolfram scrive nel 2002 il grosso libro della sua vita (mille pagine con altrettanti outputs di computer grafica con relativi programmi scritti a partire dalla vers. quarta del MATHEMATICA), dal titolo “A new kind of Science”, Publischer:  Wolfram media inc., dove si precisa come il Cosmo nel suo complesso, compresa la vita, non è spiegabile secondo la scienza tradizionale, ma è un programma su algoritmi molto semplici che descrive e mette in atto un procedimento (es. il suo cellular automata, automa cellulare) che ‘costruisce’ foglie, alberi, nubi, le coste di isole, le forme degli animali e delle galassie… e quant’altro e non partendo da algoritmi basati su equazioni. E’ possibile individuare alcune regole semplici alla base di questo programma, ma il loro sviluppo matematico fisico di queste regole non permette di prevedere a lungo, ciò che poi è l’idea alla base della fisica della complessità (vedere i posts di questo blog relativi ai FRATTALI). In sintesi mi sembra di aver capito che Wolfram pensi di aver individuato all’interno di questo ‘programma universale’, non ancora risolvibile dal punto di vista computazionale se considerato nella sua totalità, gruppi di algoritmi che invece lo sono (per es., il suo cellular automata), che come tali (una serie ordinata di istruzioni in sequenza al di là di qualsiasi equazione matematica) un computer potrebbe elaborarli molto più velocemente di quello che farebbe la Natura, aprendo possibilità di ‘schiarire’ orizzonti futuri in anticipo, anche lontani, prima che si realizzino. Le Accademie, chiuse nella trappola di Wittgenstein, mi sembra abbiano ignorato questo evento culturale, che avrebbe potuto diventare forse anche grande (molti fisici teorici, almeno in Italia, neppure sanno chi è Wolfram  e inoltre non mi risulta che  il suo libro sia stato tradotto in italiano!), proprio come accadde a Galileo con la sua  Natura ‘risolvibile’ in geometria, rischiando il rogo (interpretazione tout-court). Un modo di screditare l’evento mi sembra sia stato anche quello di averlo paragonato alla ‘formula universale per tutte le scoperte’ che propose Moebius, il fisico teorico della commedia grottesca ‘I FISICI’ scritta nel 1961 e rivisitata nel 1981, il cui contenuto ruotava intorno ad un manicomio. DA PRECISARE E…..CONTINUARE

Dall’altra, c’è il mondo dei fisici teorici che cerca di guardare il ‘reale’ da due importanti punti di vista:

  • l’uno che cerca di razionalizzare il Tutto, il Caos, il mondo dei Frattali, tanto da ridefinirlo Caos Deterministico (Ilya Prigogine Nobel nel 1977) nel senso che sembra controllabile da equazioni anche se non lineari, le cui soluzioni lasciano però zone d’ombra piene di vortici, rimanendo così poco efficiente nelle previsioni del futuro, come già accennato;
  • l’altro punto di vista rivolge l’attenzione ai ‘mattoni’ che compongono la struttura portante del Cosmo, cioè le particelle elementari in espansione (ciascuna con una propria onda analoga a quella di Shroredinger) oggi controllabili anche dalle equazioni della Meccanica Quantistica Relativistica, riempiendo l’Universo di un ‘groviglio collettivo ‘(ENTANGLEMENT) di infiniti ‘oggetti quantistici’ interdipendenti che trovano la loro consistenza in una miriade di onde di probabilità in interazione che variano, in ogni punto, nel tempo e, ad ogni istante, nello spazio. Questo oceano in tempesta di onde di probabilità sarebbe la ‘realtà’ nel senso che, viste da lontano, (come le percepiscono l’uomo e gli animali) apparirebbero come nubi, boschi, animali, compreso l’uomo,oppure stelle o pianeti o tramonti o soli ….o il grosso leccio annoso che vedo dalla finestra o le erbacce, per es., la bonariensis (vedere i posts su un percorso floristico in questo blog), lungo un percorso di periferia (realtà apparente); mentre da vicino (lette attraverso il modello matematico offerto dalla Meccanica Quantistica Relativistica) riacquistano la loro essenza primigenia (la realtà vera) di oceano tempestoso di onde di probabilità interagenti comprensibile solo attraverso sistemi di equazioni matematiche della MQR.

Per chiarire questo ambiguo e duplice modo di guardare all’Universo proposto dalla fisica teorica alla ricerca della sua primigenia struttura, troviamo, nel quadro impressionista con le sue pennellate di colore individuali, un esempio analogico, ripreso come concetto dal testo “Il Bosone di Higgs”, RBA, 2015. Da qualche metro di distanza la pittura appare con le macchie di colore che sfumano costruendo la figura riportata nel quadro. Però se ci avviciniamo, la figura sembra scomparire e più guardiamo da vicino, percepiamo sempre più le macchie colorate separate. Se poi, immaginando anche che più ci si avvicina più le macchie fluttuino modificando colore e posizione (per cui in ogni punto si potrebbe trovare un qualsiasi colore, anche se con più probabilità quello corrispondente al disegno), ci si perderebbe in un caos di colori. Concludendo, anche se è vero che in un punto può apparirci anche ora un bianco ora un nero e così via, in effetti a circa qualche metro rivedo la pittura originale. Che cosa è più vero l’insieme delle macchie di colore separate o la pittura? Che cos’è allora la Realtà? Quella che vedono e con la quale interagiscono gli animali o quella che ‘vede’ il sistema di equazioni della MQR? E le emozioni, i sentimenti … che, densi, anche loro veicolano energia?

Prima della scoperta del Bosone di Higgs le particelle elementari non avevano ancora una massa? 

Leggere e confrontare anche  il post provocatorio dello stesso autore “La teoria e la realtà”.

CHI E’ L’AUTORE (traccia): Curriculum di Piero Pistoia

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POMARANCE: UNA BREVE PASSEGGIATA ‘FLORISTICA’ (flora povera) A SCANSIONE MENSILE ALLA PERIFERIA DEL PAESE, PARTE PRIMA a cura di Angelo Bianchi, Cristina Moratti, dott. Piero Pistoia

Questo progetto è piaciuto al blog Agenda19892010 come comunicato il 2-6-2015 da WordPress all’Amministratore con una e-mail.  E’ piaciuto anche al blog Briciolanellatte come comunicato il 9-6-2015 da WordPress all’Amministratore con una mail.

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PREMESSA

ATTENZIONE: QUALORA, IN QUESTO ARTICOLO PUBBLICATO SU INTERNET, ALCUNE FOTO (non sappiamo il perché!) NON APPAIANO, LASCIANDO SPAZI BIANCHI, O APPAIONO, MA A BASSA RISOLUZIONE, BASTA CLICCARE SU ESSI PER FAR APPARIRE LE FOTO INGRANDITE E CHIARE! PER TORNARE INDIETRO ANNULLARE IL CARICAMENTO DELLA FOTO.

N.B. – SE NON PRECISATO ALTRIMENTI, TUTTE LE FOTO, PROGETTI, SCRITTI, ARGOMENTAZIONI E COMMENTI SONO DEL COORDINATORE PIERO PISTOIA

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA:

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CHI E’ L’AUTORE (traccia): Curriculum di Piero Pistoia

Piero Pistoia, diplomato negli anni ’50 presso il Liceo Classico Galileo Galilei di Pisa, è dottore in Scienze Geologiche con  110/110 e lode, discutendo una tesi di geofisica e, da borsista, ha lavorato e pubblicato presso l’Istituto di Geologia Nucleare di Pisa, misurando le età degli “strani” graniti associati alle ofioliti (1) e studiando i serbatoi di gas e vapori della zona di Larderello. Successivamente ha scritto una cinquantina di articoli pubblicati a stampa, a taglio didattico-epistemologico, di cui circa la metà retribuiti secondo legge,  dagli editori Loescher, Torino, (rivista “La Ricerca”), La Scuola di Brescia (“Didattica delle Scienze”), a controllo accademico ed altri, affrontando svariati problemi su temi scientifici: dall’astrofisica all’informatica, dall’antropologia culturale all’evoluzione dell’uomo, dalla fisica alla matematica applicata e alla statistica con il supporto di migliaia di linee di svariati programmi in linguaggi come Mathematica di Wolfram, R, SPSS, dalla geologia applicata al Neoautoctono toscano, dall’origine dell’Appennino alla storia delle ofioliti, alle mineralizzazioni delle antiche cave in Val di Cecina (in particolare su calcedonio, opale e magnesite) ecc..  En passant, ha scritto qualcosa anche sul rapporto Scienza e Poesia, sul perché la Poesia ‘vera’ ha vita infinita (per mere ragioni logiche o perché coglie l’archetipo evolutivo profondo dell’umanità?); ha scritto alcuni commenti a poesie riprese da antologie scolastiche e,  infine decine di ‘tentativi’ poetici senza pretese. Molti di tali lavori sono stati riportati su questo blog. (2)

NOTE

(1) L’età dei graniti delle Argille Scagliose, associati alle ofioliti, al tempo alla base della falda in movimento, corroborò sia l’ipotesi che esse fossero ‘strappate’ dal basamento ercinico durante i complessi  eventi che costruirono la catena appenninica, sia, indirettamente, rafforzò la teoria a falde si ricoprimento nell’orogenesi appenninica. Fu escluso così che il granito associato alle ofioliti derivasse, almeno non in tutti i casi, da una cristallizzazione frazionata (serie di Bowen) da un magma basico od ultrabasico.

(2) Piero Pistoia ha superato concorsi abilitativi nazionali, al tempo fortemente selettivi (cioè non frequentò mai i famigerati Corsi Abilitanti, fortemente voluti dai sindacati dei docenti!), per l’insegnamento, in particolare, nella Scuola Superiore per le seguenti discipline: Scienze Naturali, Chimica, Geografia, Merceologia, Agraria, FISICA e MATEMATICA. Le due ultime materie sono maiuscole per indicare che Piero Pistoia in esse, in tempi diversi, fu nominato in ruolo, scegliendo poi la FISICA, che insegnò praticamente per tutta la sua vita operativa.

Pochi anni prima che l’ITIS di Pomarance fosse aggregato al Commerciale di Volterra, il dott. prof. Piero Pistoia fu nominato Preside Incaricato dal Provveditorato agli studi di Pisa, ottenendo il massimo dei voti sulla attività svolta.

Così la parte scritta di questo Post, nel bene e nel male, è a cura di Piero Pistoia che auspica critiche, suggerimenti, correzioni, integrazioni.

NEL MALE CI SI CORREGGE! SE E DOVE SI CORREGGE, SPECIALMENTE LI’, SI IMPARA!

COL TEMPO FORSE FAREMO DEGLI INDICI E DEI RIMANDI INIZIALI PER MUOVERCI NON IN MANIERA SERIALE ALL’INTERNO DEL POST

Procederemo al solito discutendo e argomentando non tanto per ‘comunicare’ quanto per ‘costruire’ insieme questo tipo di conoscenza come suggerisce Foerster. L’obbiettivo è esclusivamente didattico-culturale, per cui questo materiale può essere utilizzato da tutti gratuitamente nel modo che scegliamo (eccetto i disegnetti  schematici trasferiti dai testi di riferimento); in particolare, auspichiamo venga scoperto e utilizzato in qualche modo dalla Scuola.  

I TRE CURATORI ‘COSTRUISCONO’ IN TEMPO REALE PER  CUI NON GARANTISCONO CHE I CONCETTI, SEMPRE IN VIA DI APPROFONDIMENTO E MODIFICA, POSSANO ESSERE DEFINITIVI E CORRETTI

I TESTI QUALIFICATI DI RIFERIMENTO PER QUESTO LAVORO SONO PRINCIPALMENTE I SEGUENTI (consigliamo i lettori di  procurarseli per i riferimenti, l’approfondimento di questo post e la qualificazione delle biblioteche personali!) :

EUGENIO BARONI “GUIDA BOTANICA D’ITALIA” Ed. CAPPELLI

PIETRO ZANGHERI “FLORA ITALICA Vol. I-II-III” Ed. CEDAM        

SANDRO PIGNATTI “FLORA D’ITALIA Vol. I-II-III” Ed. EDAGRICOLE

EDUARD THOMMEN “ATLAS DE POCHE DE LA FLORE SUISSE” EDITIONS BIRKHAUSER BALE.

Si allegano anche foto di qualche pagina ripresa da un interessante libro, con schizzi originali affiancanti lo scritto sintetico e rilevante, a firma di due ricercatrici dell’Istituto Botanico dell’ Università di Pisa,  A.M. Pagni e G. Corsi, stampato da Arti Grafiche Pacini Mariotti, Pisa che ringraziamo.

VENGONO ANCHE CONSULTATE DUE GROSSE ENCICLOPEDIE SUL REGNO VEGETALE, L’UNA EDITA DA VALLARDI E L’ALTRA DA RIZZOLI; E SVARIATI ALTRI TESTI SECONDARI DI DIVERSE CASE EDITRICI CHE NOMINEREMO QUANDO NECESSARIO.

A questi testi si farà continuamente riferimento esplicito e si spera che Autori ed Editori permetteranno di trasferire qualche disegno schematico di chiarimento dai loro testi a questo post, il cui unico obiettivo è e rimarrà solo quello di ‘costruire’ e comunicare didatticamente cultura, per quanto ci riesce, sempre del tutto gratis. Questo blog non ha alcun fine di lucro ed è auto-finanziato. Comunque siamo disponibili nell’immediato a qualsiasi intervento su questo post su avvertimento (al limite, se necessario, anche a sopprimerlo!)

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UNA DEDICA NECESSARIA (NDC: Piero Pistoia)

La mia idea di scegliere un percorso botanico accessibile alle Scuole fu discussa in una serie di incontri  sul rapporto Scuola/Natura con un genuino naturalista empatico e poeta locale, il maestro Giuseppe Zanella, che dedicò tutta la vita a studiare i comportamenti di animali e vegetali con grande intuito, sensibilità e rispetto per la Natura e l’Universo. Fece numerose pubblicazioni per importanti case editrici e articoli per note enciclopedie. Stavamo per iniziare in concreto il lavoro, quando sfortunatamente si ammalò irreversibilmente. Di questo personaggio, secondo me, di rilevante spessore, mi rimane un grande e affettuoso ricordo di amicizia e di stima e mi sento di dedicare questo nostro lavoro floristico alla Sua memoria.

Dott. PIERO PISTOIA, coordinatore.

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POST SPERIMENTALE IN VIA DI COSTRUZIONE – Intanto  iniziamo con un primo tentativo di percorso. Sul percorso mensilmente si osserveranno, si fotograferanno e descriveranno per la classificazione le nuove piantine ‘che vediamo’ e ad ‘ogni giro’ cercheremo anche di descrivere alcune di ‘quelle di base’. Possibilmente su ogni piantina verrà attivata una discussione anche tornando indietro. Chiaramente il ciclo mensile copre 12 mesi, ma… ogni anno si rinnova, per cui questo post rimarrà aperto all’infinito, naturalmente finché  gli autori non si stancheranno!

LA CARTINA DEL PERCORSO

fiori0001fiori0002Il podere da cui inizia (o finisce) la vicinale Sant’Anna (nel senso che è riportata l’indicazione ufficiale) si chiama P. Poggio Bartolino, subito prima della deviazione Podernuovo-Poggio Bianco.

Un’erbaccia spontanea abbondante in settembre-ottobre 2015 è stata oggetto di discussione sulla sua classificazione: Erigeron bonariensis o Conyza bonariensis (=Erigeron linifolium)? Per anticipare o rivedere le argomentazioni del coordinatore P. Pistoia, cliccare sulla parola ‘calda’ di seguito (in effetti sembra che Erigeron bonariensis non appaia nei testi consultati).

ERIGERON o CONYZA?
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ALTHEA cannabina

Per vedere altri schemi per la sua classificazione, controllare il anche link ‘Althea cannabina’ nella PARTE QUARTA, per un confronto con Malva alcea.

ALCUNE FOTO IN ANTEPRIMA

   (Le foto di Cristina Moratti sono riportate anche sul blog “La carrozza del Gambini”)

 Quattro Foto di due piantine (Orchidea apifera, Erba vajola) del percorso sperimentale eseguite da Cristina Moratti

ophrys apifera (1)

ophrys apifera (2)Ophrys apifera (fioritura maggio)

 Cristina ha fotografato l’orchidea vicino al P. San Domenico


erba-vajola-1

erba-vajola-2

La Borraginacea Cerinthe maior, è stata classificata da Angelo Bianchi, Erborista. Si notano sulle foglie tracce di strutture ghiandolari.

La Cerinthe si poteva vedere, poco tempo fa, nel tratto, a sinistra del percorso,  in cui la strada vicinale di Sant’Anna, dopo breve salita oltre il P. Il Ponso, piega scendendo verso Poggio Bartolino; sarebbe stata presente dalla primavera all’autunno, come accadde lo scorso anno.

Cerinthe major L. Boraginaceae - Erba vaiola - (ok)

In effetti a fine Maggio 2015 la stazione a Cerinthe è stata soppressa; era nata sul percorso del trattore. La rivedremo il prossimo anno? O forse prima?

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LA ROSASEA FILIPENDULA (SPIRAEA) exapetala

Due Foto di una piantina (Filipendula) del percorso sperimentale, di Cristina Moratti e Piero Pistoia rispettivamente

filipendula spirea

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Si tratta della  Rosacea Filipendula (Spiraea) exapetala, classificata da Piero Pistoia; la piantina era diffusa praticamente lungo tutto il percorso, in particolare davanti a Poggio Bartolino (prima del taglio dei margini); fioritura nella seconda metà di Maggio; da giugno sembra scomparsa sono rimaste solo le tracce delle foglie basali.

Quella che segue è la foto di Cristina Moratti di una Crucifera (Brassicacaea) del genere Alyssum caratteristica delle ofioliti (A. bertolonii), che fa parte di una interessante stazione floristica fotografata (una ventina di pianticelle che vivono o vivono anche sulle ofioliti) e classificata e commentata dalla stessa Cristina sul blog “La carrozza del Gambini”. Questa pianticella viene riportata in questo percorso sperimentale perché mi sembra che fosse quella che  in autunno del 2014 stranamente faceva, se ben mi ricordo, bella vista sul lato destro della strada Sant’Anna una decina di metri prima che deviasse scendendo verso Poggio Bartolino ed alcune anche davanti allo stesso podere Sant’Anna. L’ipotesi, se fosse stato un Alisso, fu che qualche cercatore di funghi del posto calpestando gli ofioliti (leggere su questo blog il post a più voci sulla ‘strana storia’ di queste rocce) della macchia di Monterufoli abbia riportato semi su questa bancata argillosa a ciottoli silicei del Neoautoctono (se vuoi approfondire cerca ‘Neoutoctono’ su questo blog)! Attualmente nel percorso non ho notato pianticelle simili a quella che nel ricordo mi sembrava un Alyssum; vedremo in autunno se ricrescerà, in modo da poter controllare! Sarebbe interessante comunque che Cristina, agganciando una mappa topografica, da fornire nel suo blog, ad una strada percorribile con la macchina,  descrivesse il posto di questa stazione con una tolleranza di qualche metro, in maniera che possa essere resa visitabile ad hoc. Per es., una scolaresca nelle ore di lezione della mattinata potrebbe, come obbiettivo didattico specifico, visitarla in qualche ora e tornare a lezione.

DIGRESSIONE PER ASSIMILARE LE IDEE E CORREGGERE QUELLE CHE CREANO FAILLANCE

Digressione sulle piante delle ofioliti e in particolare sull’Alissum. La proposta sarebbe di costruire un articolo scritto in Word o con Open Office dal titolo per es. “Osservazione, descrizione e classificazione delle piantine endemiche delle Ofioliti”. Dopo il titolo si potrebbe inserire dal menù del word processor scelto una o più foto di insieme. …..Successivamente si inserisce nel testo, per es., la foto dell’Alissum, e si scrivono nel testo sotto quali sono le caratteristiche importanti per la classificazione inserendo ogni volta le loro foto (forma delle foglie, distribuzione sul caule, foto del fiore singolo ecc.) e questo in successione per ogni piantina. E’ un lavoro lungo da fare a ‘pezzi’ aggiornando con calma!

Alyssum bertolonii

 PREMESSA a cura del dott. Piero Pistoia

L’idea è di scegliere un percorso di circa un’ora andata e ritorno (consistente con l’utilizzo anche da parte delle scolaresche) che “apra” alla campagna, meglio se già utilizzato dai cittadini per passeggiate, footing, ecc..  Immaginiamo di dividerlo  in tratti con riferimenti topologici riconoscibili e che abbiano significato per le pianticelle della flora spontanea che qui vivono (almeno finchè il Comune non deciderà di tagliare l’erba ai margini della strada). L’idea si basa anche sull’ipotesi che le piantine, anche se tagliate, abbiano una probabilità superiore a quella fornita dal caso di ricrescere circa nella stessa zona. Come primo tentativo, abbiamo scelto una successione di tratti che  partendo dall’inizio di via Mazzolari, zona verde davanti alla proprietà Scarciglia (stazione floristica a Salvia sclarea ed altro; si vedano, per es. al recinto, i cartelli alle varie piante della macchia mediterranea), attraverso via del Poderino, scende a via dei Filosofi e, verso sud-est, incrocia la strada chiusa che porta a sud verso il Podere Sant’Anna, il P. San Vittore e il P. Il Ponso e, oltre il poggetto, scende verso sud-est fino a Poggio Bartolino dove ha termine la vicinale  Sant’Anna e poi ancora verso sud nella strada sterrata che porta al bivio per il Podere Il Mirto e a Poggio Bianco (vedere la carta topografica riportata di questi posti).

Durante la costruzione, introdurremo, quando si rendono disponibili, le foto delle diverse pianticelle mese per mese da riordinare di volta in volta, attribuendole ai diversi tratti di strada.

Le seguenti due sezioni della carta topografica del paese di Pomarance (scala originale 1=5000) che contengono il percorso descritto evidenziato in giallo, sono state  integrate con i nomi dei tratti di strada, che compongono il percorso stesso ed altro (individuazione scuole, edifici rilevanti, riferimenti alla posizione floristica ecc.). Per la carta topografica e per la gentilezza e disponibilità dimostrate dobbiamo ringraziare il tecnico dell’Ufficio del Comune, la geometra Signora Cabiria Pineschi Gazzarri. Da notare come la carta non sia aggiornata; è poco evidenziato, per es., scendendo per la vicinale Sant’Anna, a circa un centinaio di metri dall’incrocio con Via dei Filosofi, sulla destra lo stradello per il P. San Pietro (da aggiungere).

LA CARTINA DEL PERCORSO

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Il podere da cui inizia la vicinale Sant’Anna (nel senso che è riportata l’indicazione ufficiale) si chiama P. Poggio Bartolino, subito prima della deviazione Podernuovo-Poggio Bianco.

Le foto immesse non sono ottimali, ma non sono definitive; ne cercheremo di migliori.

DIARIO FLORISTICO DA AGGIORNARE NEL CORSO DEL MESE DI MAGGIO 2015

DIARIO FLORISTICO AGGIORNATO GIORNO PER GIORNO NEL CORSO DEL MESE DI GIUGNO 2015

ALLA FOTO DI UN ELEMENTO EMBLEMATICO DI OGNI SPECIE (O GENERE) VERRA’ AGGIUNTA UNA BREVE SCHEDA TRASFERIBILE,  UTILE PER LA SUA IDENTIFICAZIONE

TUTTE LE FOTO, CHE NON RIPORTANO IL NOME  DI UN AUTORE, SONO STATE SCATTATE DA PIERO PISTOIA

– rara la salvia selvatica

– A partire da giugno della Filipendula rimangono praticamente solo le foglie

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La Filipendula a giugno

LA GENTIANACAEA CHLORA perfoliata

– Primi di giugno fioritura della Chlora perfoliata oltre il cartello per podere Il Mirto, scendendo verso Poggio Bianco a metà del tratto; da fare foto. Sull’argine destro, a scendere, dinanzi al P. Sant’Anna.

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Chlora con foglie di Filipendula

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La Gentianacaea Chlora perfoliata

Non individuata ancora la Gentianacea Erytraea centaurium, vista in estate un anno fa.

L’HIPERICUM perforatum

– si mantiene fiorito ancora Hipericum perforatum

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Hypericum perforatum

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IL PROBLEMA DELLA SCROPHULARIACAEA VERBASCUM blattaria

– fiorito da poco un verbasco (?), unico stelo glabro con foglie a triangolo isoscele a lati leggermente curvi e seghettati (?); più grandi ed ovali-ellittiche debolmente picciolate (non inserite direttamente sul ramo, ma tramite un corto peduncolo) quelle basali, sempre più piccole e sessili (inserite direttamente sul ramo) quelle superiori (foglie cauline) tendenti ad abbracciare  il caule con la parte inferiore; Verbascum blattaria? Il famoso Verbasco delle falene? Fare foto e classificare; questi individui sono visibili nel tratto verso Poggio Bianco dopo il cartello per il P. Mirto, a sinistra prima dello  stradello che scende a destra  nel campo. Sembra esista un solo esemplare, la settimana scorsa (10-6), in questo tratto, ne vidi 4 o 5. Oggi 18 giugno, questo esemplare è stato tagliato, mentre è visibile un’altra piantina col fiore  qualche metro sotto il tasso barbasso (vedere sotto) scendendo, a sinistra, sulla stessa sterrata (vedere foto).  Sembra siano appena nati altri esemplari in questi giorni in cima al poggetto sopra il P. Il Ponso, sulla sinistra salendo. Oggi (18) uno di essi ha messo il fiore.

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OLYMPUS DIGITAL CAMERASi notano in basso foglioline pentafille forse di Potentilla

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Sulla deviazione per il P.Mirto: Verbascum blattaria? vicino una Verbena non ancora in fiore

La foto che segue riporta un individuo di V. blattaria (?) del poggetto; si notano alcuni esemplari di Papaver rheas

La foto che segue è stata scattata l’anno scorso sullo stesso percorso e circa lo stesso periodo; assomiglia alla precedente?

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Verbascum blattaria (?) dell’anno scorso

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Verbasco (?) del 18-giugno dopo il tasso barbasso; ancora visibile l’Iperico perforatum

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Alcuni aspetti della pianticella Verbascum blattaria

Uno sguardo al futuro…….

Abbiamo fotografato, dopo anni (2 giugno 2019) ancora piantine di Verbascum blattaria nel nostro percorso, scendendo, davanti alla proprietà Sant’Anna….

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LA SCROPHULARIACAEA VERBASCUM thapsus

Di seguito in vegetazione un ‘individuo’ di Verbascum thapsus (con cartello in perallum) appare sempre sulla deviazione per Poggio Bianco a sinistra scendendo, a metà tratto.

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Verbascum tapsus scendendo nella sterrata qualche metro dopo l’entrata nel campo sul poggio a sinistra.

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Si nota la Chlora in fondo a destra della foto vicino ad un iperico; guardando lungo la strada si intravedono appena la cima e le foglie inferiori del tasso barbasso (ingrandire) e il ‘passello’ che devia sopra poggio.

Un altro esemplare fu presente per un paio d’anni passati sull’argine destro scendendo lungo la strada Sant’Anna, qualche decina di metri dopo la recinzione dell’uliveta sulla sinistra e qualche decina di metri prima del bivio per il P. Ponsino.

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SU E GIU’ NEL TEMPO: uno sguardo nel futuro…

SI AGGIUNGONO FOTO  DEL BARBASSO APPARSO DUE O TRE ANNI DOPO LA SUA TOTALE SCOMPARSA DALLA PASSEGGIATA (avvenuta circa nel 2017), PRATICAMENTE NELLO STESSO POSTO, scattate da Piero Pistoia.

SIAMO AL 3 FEBBRAIO 2019 e abbiamo scattato la seguente foto, scendendo verso il Ponsino a destra a metà argine:

CHI SA SE A PRIMAVERA-ESTATE DEL 2019 lo vedremo fiorito!

RIPORTIAMO ALTRE FOTO DI V. thapsus scattate intorno al 20 Aprile 2019 a seguire, scendendo verso il Ponsino sempre a destra sull’argine.

LE DUE SUCCESSIVE FOTO SONO STATE SCATTATE IL 13-05-2019 sullo stessa stessa pianta

La stessa pianta il 20 maggio 2019

Il 20-Giugno-2019, un mese dopo, il tasso precedente è ormai fiorito ed ha raggiunto almeno due metri di altezza come dalla foto successiva:

Mentre, tornati qualche giorno dopo il 20 maggio 2019, poco oltre il bivio per Il Ponsino sempre sulla sinistra della strada scendendo, l’erba qui è stata tagliata…. e la piantina che segue nata al bordo della strada è stata soppressa.

Vicino alla precedente rimangono, sotto strada, altre tre piantine che in estate speriamo di vederle invece fiorite, ma, prevedo, sarà improbabile; vedremo….

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Oggi, 24, giugno, 2019, subito dopo il Solstizio estivo, ho fotografato di nuovo le piantine del thapsus, davanti al P. Ponsino, sotto strada, due lontane si intravedono presso la quercia:

Le stesse due piantine che si intravedono vicine alla quercia precedenti, sono individuate nella foto scattata da Pier Francesco Bianchi il 27-06-2019

Seguono le foto che ho scattato sull’argine destro scendendo subito prima del Ponsino il 24- giugno-2019:

Nella precedente si intravede a destra il podere e lontano l’ingresso al podere.

Seguono ancora foto di Pier Francesco Bianchi del thapsus sull’argine e foto scattata dall’ingresso al podere, verso l’argine.

Si intravede il thapsus lontano sull’argine, e la casa e l’ingresso subito a sinistra.

Ancora una memoria dal futuro: siamo a giugno 2019

Chi volesse leggere questa breve memoria in pdf, cliccare sotto:

VERBASCUM thapsus,INTERVENTI MINIMALI E PROBLEMI PLANETARI – breve memoria

Altrimenti continuare a leggere:

VERBASCUM thapsus e la BIODIVERSITA’: breve memoria

PROPONGO UN PROCESSO MINIMALE PER LO PIU’ CULTURALE  PER ARGINARE LA SCOMPARSA DI SPECIE SULLA SUPERFICIE DELLA TERRA

Intervento a mosaico in ogni zona, che favorirebbe anche la consapevolezza culturale del problema della estinzione delle specie e  della Biodiversità (l’ONU attualmente ha valutato che otto milioni di specie sono a rischio)

Noi abbiamo seguito per più di due anni un percorso floristico in una zona più periferica del paese (lungo la vicinale Sant’Anna di Pomarance), scansionando i suoi margini mensilmente. I processi ed i risultati di questo ‘diario’ sono riportati in sette posts nel Blog ‘ilsillabario2013’.

Due o tre anni fa apparve una piantina, unica in tutto il percorso, di Verbascum thapsus, a cui avevano tagliato l’alto butto fiorifero (si trovava sull’argine destro, scendendo lungo la vicinale Sant’Anna, vicino al viottolo del Podere ‘Il Ponsino’). Esistevano, invece, allora come oggi, altre specie del genere Verbascum (il sinuatum, il blattaria…)

Andammo ad avvertire le guardie comunali per salvarla dai periodici tagli dell’erba. Questo intervento permise alla piantina lo sviluppo di due altri butti fioriferi, che raggiunsero la maturazione dei loro semi.

Dopo anni è riapparsa oggi (grosso modo nello stesso posto), una fiorente piantina di thapsus, e, giorni dopo, sono apparse altre piantine nei dintorni.

Siamo allora tornati presso l’ufficio delle guardie comunali ad avvertire della loro presenza. Se l’avvertimento verrà accolto, si moltiplicherà esponenzialmente il numero di piantine di questa specie, insieme alle molteplicità di microrganismi ed organismi al contorno, utili per la reciproca sopravvivenza, in una zona dove il thapsus era completamente assente.

Dal Comune ci hanno informato che ultimamente il responsabile del taglio dell’erba in questa sezione di strada è l’abitante del podere Il Ponsino; interpellato il 25-05-2019, ci ha assicurato che la piantina tabellata verrà risparmiata.

Un piccolissimo gesto moltiplicato all’infinito prima o poi fa la differenza, come insegna  l’analisi matematica (come la raccolta di una bottiglia di plastica abbandonata sul corso di un fiume, in un bosco …, o donare un tozzo di pane e formaggio, di vangelica memoria, ad uno che bussa alla tua porta…, o regalare una scatola di antibiotici ad una madre per il suo piccolo ammalato …, o sforzarsi di non utilizzare oggetti che scaricano in atmosfera concentrati di  elementi che distruggono la protezione del pianeta, ed altri gesti minimali che al limite potrebbero davvero risolvere gli immensi problemi planetari, oltre naturalmente a maturare, in termini educativi, la consapevolezza morale verso i bisogni degli altri umani ed del pianeta).

pieropistoia

Le seguenti foto sono state scattate il primo settembre 2019 da Pier Francesco Bianchi dove si vede la precedenta piantina di V. tapsus  in piena maturazione, in particolare quella grande sull’argine destro scendendo, subito prima dell’accesso al podere Ponsino;  ma anche le altre tre salvate davanti all’accesso stesso e subito dopo sulla sinistra sono maturate.

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Murex

LA COMPOSITA ACHILLEA millefolium

– continua la piena fioritura dell’Achillea millefolium, via del Poderino, davanti al cancello chiuso dello stadio con cartello in perallum (vedere foto) e davanti al P. San Vittore, prima della salita sulla vicinale Sant’Anna verso il Ponso insieme alle piante da giardino; ora ‘domina’ in altezza (vedere foto). Qualche piantina a sinistra sulla salita.

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… ora ‘domina’ in altezza…

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Confronto foglie achillea in alto e filipendula

CONFRONTO DELLE FOGLIE DI ACHILLEA E FILIPENDULA

Dal 20-04-2019, al 25-05, vari anni dopo la fioritura dell’Achillea delle foto precedenti, sono state riprese altre foto ‘in crescita’ nel fossetto davanti allo stesso podere San Vittore:

LA BORRAGINACAEA BORRAGO officinalis

-Sta sparendo la Borrago officinalis (vedere foto); presente da Maggio nel prato subito sotto strada di via del Poderino, ora tagliato e lungo la vicinale Sant’Anna scendendo, a destra lungo l’argine dove esisteva prima il Tasso Barbasso; l’argine è stato da poco ripulito. Appare un residuo (presenza di un indicatore in peralluman) una decina di metri dopo il bivio per il P. Il Ponsino.

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19-06: i resti della B. officinalis

Della Filipendula praticamente è cessata la fioritura e si vedono molte foglie basali e qualche raro fiore (diffusa nel percorso), si notano ceppi di Antemis cotha, la Nigella damascena sta fruttificando (grosse capsule con ancora qualche fiore), ridotte le pervinche (davanti cartello per P. Mirto), la Verbena che appena è iniziata a fiorire (prima settimana),  Ombrellifere, in particolare una specie, appena fiorite (10-6) diffuse nel percorso, in particolare all’inizio strada sterrata davanti al cartello per P. Mirto), e, ancora, Echium vulgare, le Campanule (diffuse), i finocchi selvatici (diffusi), i cardi (in particolare il Cardo dei lanaioli, Dipsacus fullonum, lungo la strada sterrata), la Cichoria entibo (diffusa velocemente), le Malve (diffuse), Composite che iniziano con un unico stelo breve rigido con grosso capolino e foglie lanceolate spesse e un po’ pelose e seghettate stanno crescendo (da classificare: vedere la classificazione  di C. Moratti nel mese di settembre), le Potentille gialle (in cima al poggetto), le Plantago con le specie maior e minor (diffuse), l’infestante Inula viscosa, l’Artemisia con le specie absinthium officinalis. Il giorno 18-6 davanti al P. Sant’Anna lungo la vicinale a ridosso dell’argine si notano varie e fresche piantine anche fiorite della labiata Camedrio (Teucrium camedris), la scarpata non è stata ancora tagliata, lo sarà fra breve! Il 19-6, lungo il tratto Via dei Filosofi, inizia la crescita di un  terzo Verbasco, con rosetta a foglie larghe e pelose che tendono ad ondulare al bordo (vedere dopo la classificazione). DA CONTINUARE.

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Resti della Filipendula

LA COMPOSITA ANTEMIS chota

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…si notano ceppi di Antemis chota (o chota pictoris?)

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Antemis cotha

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…, la Nigella damascena sta fruttificando…(foto da rifare)

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Fiore di Nigella damascena con fiori della Potentilla gialla (in uno dei quali si notano anche i sepali del calice)

IL PROBLEMA DELL’OMBRELLIFERA DI LUGLIO

…Ombrellifere (Umbelliferae, o Apiaceae) da poco fiorite…

Fusti eretti con steli non cavi (da controllare meglio), striati longitudinamente, leggermente spinati al tatto, sezione forse pentagonale (o triangolare?), 5 pedicelli fioriferi esterni più lunghi e 4 interni più brevi, forse uguali a due a due. Pianta ramificata di aspetto ‘delicato’ ed aperto. L’infiorescenza è composta da ombrelle di 9 peduncoli e da brevi ombrellette di una decina di fiori bianchi con alcuni piccoli petali (da precisarne numero e forma). La forma delle foglie è desumible dalle foto riportate. Per i frutti aspetteremo la maturazione. Oggi ( 18-6) sono maturati alcuni frutti, una decina o meno per ognuno dei peduncoli.

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L’OMBRELLIFERA TORILIS arvensis

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Da classificare! Piero Pistoia ipotizza che l’Ombrellifera del genere Tòrilis sembrerebbe  probabile rispetto alle griglie disponibili: foglie pennato_divise; ombrelle convesse senza involucro a 4-12 raggi con peduncoli oltre 5 mm; fiori terminali a fusti e rami; frutta (acheni) ad aculei uncinati diffusi sui due semifrutti; forse la specie è Tòrilis arvensis.

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Cinque peduncoli fioriferi dell’ombrella esterni più lunghi e quattro interni più brevi, forma di una foglia intermedia.

     

Torilis arvensis

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Semi di T. arvensis (?)

LA VERBENA officinalis

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La foto che precede è  una Verbena prima di fiorire (prima settimana)

La foto che segue è …..la Verbena che appena inizia a fiorire…(si intravedono Cardi)

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Potentilla gialla (Potentilla reptans) con 5 petali e 10 sepali, dei quali 5 appaiono da sopra del fiore

LA POTENTILLA gialla

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Potentilla: Foto da rifare

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Fiore di N. damascena con fiori di Potentilla

L’ARTEMISIA absinthium

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IL PROBLEMA DELLA COMPOSITA D’AGOSTO DA CLASSIFICARE

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…Composite che iniziano con un unico stelo breve rigido con grosso capolino e foglie lanceolate spesse e un po’ pelose e seghettate….

….e, ancora, la Borraginacaea Echium vulgare (erba viperina)…

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Non abbiamo incontrato ancora la Borraginacaea Anchusa

Seguono le foto del Cardo dei lanaioli (Dipsacus fullonum)

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Piantina del cardo

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Cardo dei Lanaioli?

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Frutti del cardo oggi 18-6

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Le grandi foglie opposte, che si saldano alla base, formano una coppa che raccoglie una piccola riserva di acqua piovano o di rugiada condensata

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Dipsacus fullonum

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Scabiosa, Knautia arvensis: foglia basale e superiore; foto della pianta da rifare

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Knautia arrvensis

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Cicoria: diffusa nel percorso

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Campanule

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Malva silvestrys

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Fiore di Cicoria e di Malva silvestre con foglia della malva

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SEGUONO LE FOTO DEL Camedrio

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Camedrio

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Camedrio

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L’Iperico perforato

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rametto di Iperico e di Camedrio

DIARIO FLORISTICO AGGIORNATO AD OGNI VISITA NEL CORSO DEL MESE DI LUGLIO 2015

Tutte le foto, se non sono nominati altri autori, sono di Piero Pistoia

Le Foto sotto della Pianticella X in fioritura in Luglio sono proposte per fare le osservazioni (sempre con ipotesi) insieme ai lettori, se ci sono, altrimenti fra noi, per classificarla. La sua stazione floristica si trova a destra, scendendo lungo la Vicinale di S. Anna, prima di una decina di metri dal bivio per il Ponsino. Fa vistosa presenza (oggi 22-luglio) sull’argine sinistro al bordo della ‘recinzione con riparo’ dell’uliveta, con altezze max fino a quasi 2 metri. Altra nuova piantina è la Silene, piccoli steli spesso affastellati, in Luglio in fiore, che crescono insieme all’Achillea ‘cartellata’ in Giugno, oggi con semi, presso il cancello chiuso da tempo del campo sportivo in via del Poderino. Ne vedremo le caratteristiche classificative. Rimangono ancora alcune pianticelle di Verbascum Blattaria sul poggio dopo il P. Ponso e davanti al P. S. Domenico (controllare le caratteristiche di classificazione); molto diffusa è ancora la Cicoria, l’altro Verbasco con foglie pelose larghe ondulate alla base (vedere foto rosetta di base) e con caule ramoso (quasi, a colpo d’occhio, a candelabro ebreo spaziale), ancora non nominato, ma presente anche a giugno, come vedremo. Il Verbascum tapsus, cartellato e nominato a giugno, si si sta spengendo con la siccità, insieme ad altre pianticelle di giugno morte o sofferenti (Plantago minor, il Camedrio, la Potentilla, l’Iperico, la Nigella, l’ombrellifera ‘Terentis’, la Chlora, il Camedrio che nel contempo era apparso anche sull’argine presso il bivio per il P. San Pietro,…); una pioggia a fine luglio potrebbe migliorare la situazione. In luglio una nuova Ombrellifera da studiare. Vedremo. Una nuova Asteracea, che somiglia al fiordaliso, è apparsa in luglio ed è visibile, scendendo lungo la sterrata per qualche centinaio di metri dopo un primo cartello per il P. Il Mirto, posto su una quercia a sinistra subito dopo P. Poggio Bartolino, distante 5-6 metri dal tasso barbasso ormai seccato sulla sinistra, ad una decina di metri dal ‘passello’ verso l’argine sempre a sinistra per il poggio; ancora da osservare e studiare. In giugno era apparsa sull’argine a sinistra una pianticella analoga subito prima del cancello del P. Poggio Bianco, al bivio per P. Il Mirto. Al podere Ponsino è apparsa improvvisa la pianta-fiore dell’Agave da ammirare!

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Agave fiorita

ALTHEA cannabina
ALTHEA cannabina

IL PROBLEMA DI UNA MALVACEA IN LUGLIO: L’ANTHEA cannabina

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Tavola delle caratteristiche da noi  osservate della Piantina X: le altezze delle piantine raggiungono oltre 1.5 metri; foglie alterne palminervie (da un centro alla periferia), sopra più lucide, stipolate; le foglie inferiori sono sub-orbicolari, le superiori 1-2 pennato-partite (polimorfismo fogliare); fiori con calicetto esterno più piccolo; calice interno più grande i cui sepali, sembra, andranno a costituire la capsula dei semi; i 5 petali, piuttosto larghi, tendenzialmente separati (corolla dialipetala), con unghia breve rispetto al lembo terminante piatto e crenato, sono alternanti alle punte del calice; nella capsula del seme, i semi singoli sono ‘agganciati’ a ‘ciambella (fig. 1789) Da aggiungere la descrizione dei colori del fiore, degli stami e dell’ovario.

DIGRESSIONE SULLE FOGLIE PALMINERVIE

La foglia si dice palmata o palminervia quando ha la forma di una mano a dita aperte e le nervature sono disposte come le dita a partire da un punto che può essere l’inserzione del picciolo. Le palminervie si dicono incise o lobate secondo la profondità e ampiezza delle divisioni.

Palmato-fise: incise fino a metà della distanza margine picciolo;

Palmato-partite :incise fino a 3/4;

Palmato-sette: incise fino all’inserzione del picciolo;

Palmato-lobate: sono foglie con bordi arrotondati, allargate alla base, incide fino a metà.

VEDERE GLI SCHIZZI numerati sotto NEL TESTO: Eduard Thommen “Atlas de poche de la flore suisse”, 1961, Editions Birkhauser Bale. Ringraziamo l’autore e l’editore se ci permettono di vederli in questo blog di frontiera fra scolastico ed extra scolastico, dove, senza fini di lucro, si tentano nuove vie di ‘costruire’ conoscenza, almeno nella nostra intenzione.

1789 Malva alcea con struttura a ‘ciambella’, come tutte le Malvaceae, dei  semi all’interno della capsula.

1790 Malva moschata.

1991 Malva silvestris.

L’ESPERTO, L’ERBORISTA ANGELO BIANCHI, HA SUGGERITO IL NOME PROBABILE DELLA FAMIGLIA E FORSE DEL  GENERE:

Famiglia: MALVACEAE

Genere: MALVA, ma vedremo meglio

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Cocche in struttura, calice e calicetto della piantina X

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Piantina X: anche cocche isolate glabre con chiare rughette trasversali

I DUE DISEGNI CHE SEGUONO si possono vedere  usando il numero nel testo: Pietro Zangheri “Flora Italica II”, pag. 77, CEDAM-PADOVA.

Questo blog è senza alcun fine di lucro, e tenta di sperimentare vie anche nuove per ‘costruire’ conoscenza.

2808: Anthaea cannabina (Malva canapina); calicetto con 7 punte e calice con 5 punte

2806: foglia medio-superiore della Althaea cannabina che ha foglie verdi lucide sopra e più pallide sotto, le inferiori sono palmato-partite a 5 lacinie, le medie e superiori palmato-sette (2806), antere rosso porporina; cocche (mericarpi glabr i) rugose sul dorso.

IL DISEGNO dell’ Altea cannabina  è visibile nel TESTO: Sandro Pignatti “Flora d’Italia vol. II”, Edagricole , alla trattazione della FAM. 90: Malvaceae (pag. 92).

Si lascia al lettore interessato l’onere di confrontare le caratteristiche osservate riportate nelle nostre foto e/o rilevate da lui stesso sul campo direttamente, con quelle riportate nei testi di filtro da noi nominati od altri a sua disposizione, onde ipotizzare una plausibile specie per la piantina X.

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Rametto terminale fiorito della pianticella X

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Parte centrale-terminale pianticella X

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Parte inferiore pianticella X

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Particolari Pianticella X in luglio

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Foglia abbastanza inferiore sopra e sotto

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Fiore, petalo, frutto e foglie centrali-sup.

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Fiore della Pianticella X da ingrandire

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Foto delle piantine X; sullo sfondo il sentiero per il Ponsino

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L’Ombrellifera di luglio (da classificare)

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Ombrellifera  X

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Aspetto dell”Ombrellifera X di Luglio; capolini che tendono a contrarsi a nido d’uccello

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Infiorescenza vista da sotto

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Infiorescenza vista da sopra; da notare la piccola formazione scura al centro

OLYMPUS DIGITAL CAMERAFoglie della Umbellifera di luglio; siamo in Attesa di fotografarne il seme

VERRA’ CLASSIFICA A SETTEMBRE DA CRISTINA

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SCROPHULARIACAEA VERBASCUM sinuatum

VERBASCO DIFFUSO IN LUGLIO

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VERBASCO diffuso a luglio

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Il Verbascum molto più diffuso di luglio nel percorso: rosetta basale

(vedere foto precedente)

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Rosetta basale del Verbasco sinuatum di luglio-agosto e foglie della Umbellifera di luglio

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L’esperto botanico, l’Erborista Angelo Bianchi ha classificato la nuova asteracea di luglio, prima individuata e segnata lungo il percorso e sotto fotografata, come Centaurea jacea (detta fiordaliso stoppione). La seguiremo anche in agosto e ne vedremo le caratteristiche. Sembra ci siano due sottospecie della C. jacea secondo la larghezza delle foglie: l’una max 1 mm e l’altra 6-7 mm (Cristina).

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Centaurea jàcea (fiordaliso stoppione). Esisterebbero (Cristina)  almeno due subspecie in funzione di foglie strette e  larghe.

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INTERMEZZO SULLA C. jacaea

Il 18-0tt. spedii a Cristina Anna una e-mail  di cui trascrivo una parte riguardante la jacea:

<<…ti allego qualche foto di due piantine, raccolte a distanza di pochi dm, che ho colto nella Macchia di Monterufoli ieri; probabilmente si tratta di una Composita e forse del genere Centauraea; per la specie si tratta di un’unica specie (per es., C. jacaea) o di due specie diverse? L’una ha foglie a lacinie (largh. max circa 1 mm); l’altra ha foglie lanceolate ruvide al tatto e leggermente spatolate (Largh. max  6-7 mm); circa uguali in lunghezza; forse stesso  stadio di fioritura…>>. Ecco le foto:

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Fine intermezzo

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IL PERCORSO E LE PIANTINE DI AGOSTO

ABBIAMO TENTATO GIA’ DI DESCRIVERE IL PERCORSO BOTANICO DI AGOSTO, MA CON SORPRESA LO SCRITTO E’ SCOMPARSO PER DUE VOLTE: PROVIAMO ANCORA UNA VOLTA!

In agosto si sono alternate settimane molto piovose ed altre di un caldo afoso. Questo ha permesso la ricrescita di alcune piantine scomparse o regredite in luglio e rifiorite a fine Agosto (per es., l’Iperico, la Plantago, alcune composite, ecc.). Altre sono esplose diffondendosi ovunque come la Verbena, i Finocchi, il Verbascum sinuatum. E’  fiorita un’altra Centaurea jacea verso il poggetto del Ponso, a sinistra salendo dal P. San Vittore. Lungo la strada dei Filosofi sta diffondendosi la Scrofulariacaea Linaria vulgare di agosto. (Vedere foto sotto). Da studiarne i particolari.

La Scrofulariacaea Linaria vulgare di Agosto

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La Scrofulariacaea Linaria

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Davanti al P. San Vittore è presente un denso cespuglio spinoso forse di Cirsium, una nuova pianticella di agosto (vedere foto sotto). Da studiarne i particolari.

L’Achillea millefolium di San Vittore ha i semi. mentre quella di via del Poderino, presso il cancello dello stadio, è stata tagliata insieme alla Silene e il cartello in peralluman è sparito! Ci auguriamo che non venga gettato in discarica, ma che serva al suo possessore per attivare la sua curiosità per questo mondo povero della botanica spontanea. Sarebbe la sua migliore fine, perchè è lo scopo per cui è stato costruito!

PROBLEMA DEL CIRSIUM DI AGOSTO

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L’Astreacaea Cirsium (?)  del P. San Vittore; ipotesi sul genere e sulla  specie (TT di Popper) di P. Pistoia: pannonicum o monspessulanum; da controllare (EE di Popper). Si confronti intanto con i disegni numerati sotto in E. Thommen (opera citata).

Disegnivisibili in Eduard Thommen (opera citata)

2835 – Cirsium monspessulanum

2836 – Cirsium pannonicum

In effetti le foglie non sono decorrenti al fusto e la ‘radice’ stolonica con semplici radicette! Forse l’ìpotesi non è corroborata! Vedremo tentativi successivi di ipotesi.

E’ stato interpellato il nostro erborista Angelo Bianchi, che ha avvallato l’ipotesi del genere (Cirsium) ed ha proposto come specie, C. arvense.

L’involucro a ‘bicchiere’, le  foglie pennatofide, la presenza di una infiorescenza aspetti notabili nei disegni forse potrebbero suggerire che la nostra pianticella possa essere una varietà del C. arvense. Una investigazione su un fiore singolo (presenza di 5 lacinie nella corolla), chiarirebbe intanto la questione del genere. Si apre una discussione.

DISCUSSIONE APERTA SULLA NOSTRA SPECIE DEL Cirsium

Piero Pistoia – In effetti, specialmente la parte alta della pianticella. che ad occhio presenta lunghi steli dei capolini, terminali  e solitari, e piccole e regolari foglie quasi intere (più oblungo-lanceolate) leggermente spinose, praticamente senza infiorescenze…, rendono il nostro Cirsium , almeno in apparenza, più elegante e meno selvatico del C. arvense di riferimento (vedere disegni); ciò si conferma anche osservando lo stesso involucro non a forma di bicchiere di vino (tozzo a pareti verticali o quasi), ma piccolo e delicatamente allungato mentre si restringe verso l’alto. Forse si può concludere che il nostro Cirsium arvense sia una varietà della specie standard. Insomma la nostra pianticella ha svariate  caratteristiche appartenenti alla zona di intersezione fra diverse specie di Cirsium e ciò mi porterebbe a formulare un’ipotesi fortemente azzardata, ma per questo profondamente scientifica (alta falsificabilità), cioè che si tratti di una nuova varietà.

Altri disegni da controllare in:

Eduard Thommen (opera citata)

2833 – Cirsium arvense

2834 – Cirsium palustre


…. e in Pietro Zangheri (opera citata)

5469 – Cirsium arvense; fiore singolo con ovario e pappo

5470 – Cirsium arvense; cima fiorita e foglie chiaramente pennatofide (incise fino a metà distanza bordo-asse

 

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CONFRONTARE I DISEGNI PRECEDENTI CON LE FOTO DEL CIRSIUM CHE SEGUONO (ESEGUITE DA P. PISTOIA)

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La foglia in basso a destra con 8 fori ha lunghezza 7.3 cm e larghezza max 1.8 cm

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Foglie inferiori pennatofide

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Foglie inferiori più pennatofide

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Capolino con foglie prese a diverse altezze sul caule

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Foglie tendenzialmente meno pennatofide (più ovali-lanceolate); capolini eleganti

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Capolini isolati su steli fioriferi

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Foto delle blattee dell’involucro (dim. L. da 2-3 a 10-11) del Cirsium; la  punta scura sembra che continui in un dorsale nera. Alla lente danno l’impressione visiva di un aglio stretto visto dal dorso.

INTANTO SIAMO ARRIVATI AI PRIMI DI  SETTEMBRE.

Gli ultimi temporali hanno modificato qualcosa nel percorso. Fra il P. Sant’Anna e P. San Vittore, in particolare presso il ‘pelago’ del P. San Vittore è esplosa la comunità della pianticella che abbiamo classificato come Centaurea jacea, che fa bella vista al bordo del piccolo laghetto del podere.

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IL FIORDALISO STOPPIONE : fiore lilla invece di celesteOLYMPUS DIGITAL CAMERA

Si stanno diffondendo rapidamente le gialle Linarie, mentre sta regredendo la fioritura del Verbasco a ‘candelabro’ e l’altra Scrofulariacaea Echium. Si iniziano a vedere i piccoli capolini gialli della Composita, già diffusa, Inula viscosa. Altre piccole composite hanno invaso il percorso da classificare. Sporadicamente è ricresciuto qualche Verbascum blattaria con un solo fiore e qualche Iperico giallo stellato; occhieggia ancora qualche fiore di Cicoria  insieme alle piante grigiastre con i suoi semi. L’Achillea, dove era rimasta, mostra i suoi frutti nerastri sporchi; si nota ancora qualche rara capsula di Nigella damascena. La piantina spinosa che abbiamo riferita al genere  Cirsium si è estesa per qualche metro quadro dal bordo strada verso il campo proprio davanti al P. San Vittore e sta ancora fiorendo in attesa di un nostro studio più approfondito sul seme ed il pappo ed altro. Al poggio Il Ponso, verso il campo, si notano fioriture abbondanti di Calamintha nepeta (armai diffusa ovunque) e qualche pianta rimasta da tempo di Salvia selvatica. Qua e là, dove erano, si nota ancora qualche Verbascum Blattaria ormai con i semi. Diffusa è anche la Verbena officinalis, il finocchio e anche l’Althea, nello stesso posto qualcuna ancora in fiore. Continua la diffusione dell’Ombrellifera di agosto che ancora dobbiamo classificare, perché nessuno fin’ora si impegnato a farlo.

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INIZIO PROPOSTA PER UNA TENDENZA A CAMBIARE ‘POLITICA’ NEL POST

Chi ha scritto fin’ora sul post, cercando di alimentare le discussioni ed ordinando le diverse informazioni e foto, ha problemi familiari e di tempo, per cui ha scambiato le seguenti email con la co-curatrice Cristina Anna Moratti, cercando di modificare la politica del post in corso.

PIERO P.-CR1-> contenuto inviato a Cristina per e-mail (DA RIPORTARE E CONTINUARE)

LA CLASSIFICAZIONE DELLA OMBRELLIFERA DI LUGLIO AGOSTO

Cristina Moratti, interpellata oggi (11-sett;11.30; oggetto: lavoro da svolgere sul percorso botanico), ha formulato un’ipotesi sull’Ombrellifera (Apiacea) di Luglio-Agosto ancora da classificare. Dovrebbe trattarsi di una Daucus carota non per le sue foglie molto variabili in questa specie*, ma per la presenza dei piccoli ‘fiorellini’ scuri al centro dell’infiorescenza, perché, afferma Cristina, ciò è tipico della carota selvatica, anzi è uno dei pochi segni che portano alla sua identificazione**. La pianta comunque, se stropicciata, profuma di carota. L’altra Asteracea con infiorescenza gialla, fotografata e descritta a giugno, ancora presente anche se rara, ma non ancora classificata, afferma ancora Cristina, potrebbe essere un Asteriscus spinosus (Pallenis spinosa).

CR-PIERO1 -> contenuto inviato da Cristina a Piero in risposta alla e-mail precedente (PIERO-CR1) (DA RIPORTARE E CONTINUARE)

*In effetti confrontare le foto delle foglie dell’Umbellifera  nel ‘diario’ di luglio con la Carota selvatica riportata sui testi di riferimento….

**Altri segni potrebbero essere la radice a fittone anche se non molto sviluppata, la contrazione dell’ombrella a nido di uccello, il numero dei raggi dell’ombrella e dei fiori per ogni raggio, la forma del seme, la forma delle stesse foglie ed altro. Vedere per es., gli schemi da riprendere dai testi di riferimento (potrebbero essere aggiunti). Vedere anche le tre foto successive della D. carota un po’ appassita fotografata oggi.

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D. carota radice

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D. carota: piantina media; rami e foglie

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D. carota: pianta terminale; rami, foglie e infiorescenze mature (ombrella completamente contratta). Sarebbe interessante riuscire a fare foto dei semi chiare. In molti casi la forma del seme è probabilmente l’elemento più decisivo nella classificazione.

Ci sono comunque oggi a settembre, altre composite ‘povere’, alcune molto diffuse, diverse  dall’Inula viscosa ed altro da classificare! (vedere foto sotto). Basta seguire il percorso, osservare, formulare le ipotesi e seguire i processi di controllo. 

PIERO-CR2 -> Su alcune foto  seguenti aggiunte a settembre (il procedere descritto dall’aforisma sul gatto) DA RIPORTARE E CONTINUARE

LE SUCCESSIVE SETTE FOTO RIGUARDANO UNA DELLE PIANTINE PIU’ DIFFUSE NEL PERCORSO

(La prima foto è di Cristina Anna Moratti)

Erigeron bonariensis piantina con pappi

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Composita

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Particolare della precedente. E la piantina a sinistra?

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composita uguale alla precedente. E la pianticella a sinistra e dietro?

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Composita uguale alla precedente. E la pianticella a sinistra e dietro?

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Composita uguale alla precedente

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Stessa della precedente

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Piantina con infiorescenza a ‘bruco scorpioide’; fiori bianchi a 5 petali (almeno nel ricordo)

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Uguale alla precedente

CR-PIERO2 -> e-mail sulle precedenti foto ed altre in settembre (DA RIPORTARE E CONTINUARE)

PIERO-CR3-> e-mail sulla sintesi sulla proposta, motivata anche da ragioni teoriche, per il cambiamento di politica sul post. (DA RIPORTARE E CONTINUARE)

TERMINE DELLA PROPOSTA PER UNA TENDENZA A CAMBIARE ‘POLITICA’ NEL POST

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ANCORA DA ORGANIZZARE LE FOTO DELLE E_MAIL DI CRISTINA

RIFLESSIONI CRITICHE E PERCORSI PER ACQUISIRE DIMESTICHEZZA EMPATIA ED EINFUNLUNG SULLE SPECIE PROPOSTE DA CRISTINA MORATTI

Cerchiamo di costruire le idee  di questi ‘oggetti’ nella mente a partire dalle ipotesi di Cristina

Osserviamo intanto da vicino l’Inula viscosa  o Cupularia viscosa (ceppica; da noi detta ceppita)

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Da notare le cime a pannocchia densa di fiori gialli

Inula viscosa pannocchia

Pianta perenne. suffruticosa con fusto eretto, legnoso alla base con foglie che si riducono salendo lungo il caule; capolini  (1-1.5 cm) numerosi con pannocchia ricca.

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RAMO FIORITO TERMINALE; FOGLIE INTERMEDIE; FORMA DELLE FOGLI E FIORE

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Foglie più o meno vischiose e oblungo-lanceolate debolmente crenate sessili o semi-abbraccianti; fiori con una decina di ‘petali’ al capolino (cioè petali dei fiori periferici esterni raggianti a linguette lunghe rispetto all’involucro – da descrivere e del quale ora manca la foto); se strofinata emette un odore aromatico poco gradevole; da continuare (aggiungere qualche disegno schematico).

SCHEMI DELL’Inula viscosa (seme e pianta) visibile nel TESTO DI P. Zangheri (Cedam; opera citata) e NEL TESTO DI S. PIGNATTI (Edagricole, opera citata)

Osserviamo anche la Composita gialla con fiori giallo-dorati spesso associata all’Inula che presenta molti più ‘petali’ intorno al capolino, con foglie quasi della stessa forma forse più minute e più rugose. Fusto senza rosetta basale; le foglie cauline tendono ad abbracciare il fusto con due orecchiette più o meno sporgenti (da controllare). Pianta lanoso-biancastra o mollemente tomentosa; radice non fittosa. L’ipotesi di Cristina Moratti è “Pulicaria dysenterica“, detta Incensaria comune.

Segue la bella foto di Cristina Anna Moratti del capolino della P. dysenterica

Pulicaria fiore

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VISIONARE LA Pulicaria dysenterica (5124) NELL TESTO DI P. ZANGHERI (Cedam, opera citata)

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Pulicaria dysenterica

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Ancora da approfondire

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Cristina Moratti ha classificato la piantina con infiorescenza a ‘bruco scorpioide’ come Heliantus europeus.

Eliotropio, Erba porraia; si incontra nel tratto mediano del percorso corrispondente a via dei Filosofi, scendendo sulla destra

Visionare i disegni schematici della pianticella precedente nei testi di P. Zangheri ed S. Pignatti (opera citata)

SI TRATTA di Borraginacea  cenerino pubescente, a fusti eretti fino a 40 cm; infiorescenza scorpioide densa; fiore a  calice partito, corolla imbutiforme bianca a cinque lobi;  fiori sessili; acheni rugosi.

SEGUONO ALTRE FOTO DELL’ELIOTROPIO

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Heliantus europeus

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SEGUE ANCHE LA BELLA FOTO DI CRISTINA ANNA MORATTI DELLA BORRAGINACEA DEL GENERE HELIANTUS, SPECIE H. europeum ESEGUITA  NEL PERCORSO A SETTEMBRE (particolare dell’infiorescenza).

Heliotropium infiorescenza

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QUI L’OBBIETTIVO CONYZA o ERIGERON?
CONYZA o ERGERON?

SEMPRE DI CRISTINA sono le due foto successive della Composita molto diffusa da lei nominata Erigeron bonariensis

Erigeron bonariensis piantina con pappiPianta alta con fiori, frutti e pappi. Penso che i fiori gialli non siano dati rilevanti (non appaiono mai in altre analoghe foto e neppure negli incontri (?) sul percorso).

Erigeron bonariensis cime con fiori e pappi

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COMMENTO DEL COORDINATORE Piero Pistoia (NDC)

Segue una foto di P. Pistoia di una specie dell’Erigeron (?) ripresa nel percorso: caule terminale con infiorescenza a pannocchia (?), fiore, frutto, foglia di base e foglia caulina. Altezze involucro 5 mm; max sezione involucro 3 mm; altezza fiore sopra involucro 1 mm.

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Foto di una specie dell’Erigeron (affine al genere Aster e al genere Conyza) ripresa nel nostro percorso: caule terminale con infiorescenza a pannocchia (?) di numerossimi fiori, frutti bianco-piumosi, foglia di base e foglia caulina. Altezze involucro 5 mm; max sezione involucro 3 mm; altezza fiore sopra involucro 1 mm, spessore capolino 4-5 mm.

Foglie inferiori lanceolate con qualche seghettatura verso l’alto; divengono più piccole, sottili e strette a salire.

Erigeron è composta dalle parole greche er e géron, primavera e vecchio, forse ad indicare la rapida perdita delle corolle dei fiori e delle ligule del capolino quando ci sono e il precoce apparire al loro posto delle piumosità bianche dei pappi con i quali terminano i frutti; i capolini giallini più chiari al contorno, diventano in breve ciuffi candidi. Vedere foto. Man mano che si sale lungo la pannocchia aumentano i fiori trasformati in frutti; nella parte inferiore si notano ancora i fiori giallini del piccolo capolino. Il talamo sembra convesso.

VISIONARE i disegni schematici della Composita del genere Erigeron  (da E. Thommen, (edit. Birkhauser Bale), opera citata) a partire dall’E. acer  e lo schema di E. canadensis (2653 del testo sempre di Thommen)

Dall’osservare attentamente le foto, le piantine sul campo,  partendo dall’ipotesi in prima istanza (Erigeron bonariensis), con i nostri testi di riferimento forse siamo in grado di formulare un’ipotesi di classificazione in seconda istanza, anche se abbastanza vicina alla prima.

  • Altezza fusto 1-6 dm, striato (sezione diversa dalla circolare) con peli addensati che ha radice forse a fittone e termina in una pannocchia i cui ‘rami’ a tendenza corimbosa densi di fiori sono ‘rivolti’ verso il caule accentuando la forma a pannocchia della cima.
  • Foglie inferiori lineari lanceolate, uninervie (un solo percorso centrale di alimentazione, una sola nervatura centrale) un po’ pelose; le superiori lineari strette.
  • Capolini diametro 5 mm, con involucro (altezza circa 5 mm, max larghezza 2-3 mm) formato da squame in due serie. Altezza fiori sopra l’involucro  1 mm.
  • Fiori periferici tubolari attinomorfi (alta simmetria), con 3-4 denti; assenza di ligule.

Seguono disegni schematici di riferimento per il raccontino precedente ripresi dai testi.

bonariensis0002FIORI ATTINOMORFI CIOE’ SIMMETRICI

Ipotesi in seconda istanza Conyza bonariensis (=Erigeron linifolius (foglie come quelle del lino), Erigeron crispus)

Saremmo onorati e soddisfatti comunque se un lettore interessato attivasse una propria argomentazione critica o una analisi personale dei dati forniti e di quelli da lui stesso recuperati da sue foto, da visite sul campo o dai nostri testi o da altri, o comunque dalle conoscenze a sua disposizione…., onde tentare di falsificare le ipotesi da noi proposte.  In questo consiste il processo scientifico e in particolare l’obbiettivo più importante di questo blog! ed è questo il significato di  “lavorare insieme per costruire conoscenza”

La piantina che appare nella foto dietro la bonariensis è in effetti un arbusto che Cristina ha classificato come Cornus sanguinaea, che sta per fiorire in questo autunno di nuovo (era fiorito anche a primavera) dopo svariate rasature.


FINE COMMENTO DEL COORDINATORE

Le due foto seguenti sono della composita ancora da classificare di Luglio-Agosto: Cristina Anna l’attribuisce alla specie “Asteriscus spinosus (Pallenis spinosa). Da commentare più in profondità (vedere in settembre)

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DA OSSERVARE ANCHE LE FOTO DELLA SEGUENTE COMPOSITA ANCORA DA CLASSIFICARE ASSOCIATA ALL’INULA E ALLA PULICARIA

(Presso il poggetto del Ponso)

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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CIMA CORIMBOSA densa di capolini gialli

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Fusto eretto (H fino a 60-70 cm). Foglie sessili diminuiscono in dimensioni procedendo verso l’alto; la forma fogliare, che ‘pensata intera’ avrebbe forma sub-ovale, varia da pennato setta vicino al caule a pennato fisa o seghettata.

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Piantina da classificare associata a Linula  e Pulicaria

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Cima tendenzialmente corimbosa densa di capolini

Cristina Anna Moratti ha guardato le precedenti foto dell’Asteracaea da classificare; durante una sua visita al percorso in settembre, ha eseguito, sempre della stessa specie, anche  le due belle foto dal vivo relative all’infiorescenza con capolini e della foglia che seguono  e le ha classificate in prima istanza come appartenenti a Senecio jacobaea (Jacobaea vulgaris).

senecio1_fiore
senecio2

DA SINISTRA A DESTRA SEGUONO LE FOTO DI TRE CAPOLINI A CONFRONTO APPARTENENTI RISPETTIVAMENTE ALLE SPECIE CLASSIFICATE DELLA LINULA, DEL SENECIO E DELLA PULICARIA

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Da notare i capolini di Linula che ha fiori mediamente più piccoli delle altre due specie. Simile è il numero delle ‘ligule’ del capolino (poco più di 10) nelle prime due specie; molto più alto nella terza, più raggiate e stellari.

SEGUE LA FOTO DELLE FOGLIE RIFERIBILI RISPETTIVAMENTE ALLE TRE PIANTINE A CUI SI FA RIFERIMENTO NELLA FOTO CHE PRECEDE

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DA RIFARE

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Dal basso: foglie di Linula, Pulicaria, Senecio

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Durante la stessa visita Cristina Anna ha fotografato anche un’altra piantina di Asteracaea (le due foto dal vivo di un capolino e del gruppo di piantine) che ha classificato in prima istanza come appartenenti alla specie Cota tinctoria (Camomilla dei tintori). Manca il riferimento alla zona del ritrovamento, perchè non è diffusa come altre.

cota1Si vedono male le foglie

cota2

P. Pistoia ha eseguito la seguente foto delle foglie della Cota  (uno dei pochi esemplari del percorso a settembre) raccolte nel tratto di Via dei Filosofi, scendendo sulla destra, a pochi metri dal bivio con la vicinale S. Anna

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LA NUOVA COMPOSITA DI FINE SETTEMBRE

Foto di piantina osservata lungo la vicinale Sant’Anna scendendo, sotto il grosso cipresso sulla sinistra all’ingresso del podere vecchio e proseguendo a sinistra, davanti al casolare nuovo dello stesso nome. Altre piantine si rinvengono oltre Poggio Bartolino sulla sterrata per Poggio Bianco. E’ stata raccolta  e trasportata divenendo un po’ appassita.

Seguiranno foto dal vivo

Da osservare il fiore terminale sembra senza ligule o non ancora aperto.

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Caule eretto, liscio, ramoso per lo più  in alto, capolino molto piccolo apicale bianco-giallino (1-1.5 mm al di sopra della ‘copertura’ esterna (involucro) allungata, alta circa 6 mm e larga max 2 mm).

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Come sopra

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Come sopra

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Parte finale della piantina; foglie lisce, semplici, uninervie, lanceolate avvolgenti un caule liscio (decorrenti per qualche cm), più piccole e strette verso l’alto; la  radice appare  a fittone. Altezza max circa 50-60 cm. Qui si sono aperti i fiori. Fiori periferici con piccole ligule bianche che si aprono solo parzialmente all’esterno (rimangono, almeno per ora, un po’ a guisa di ‘corona’); max ampiezza fiore composto fino a circa 7-8 mm.

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Rametto fiorito con piccole ligule bianche, ora sembrano più aperte, che contornano un piccolo interno giallino (diametro capolino 8 mm circa).

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come sopra

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SEGUONO FOTO DAL VIVO

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Parte superiore pianta

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Parte inferiore pianta

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La pianticella dal vivo di fine settembre inizio ottobre

Cristina ha classificato la piantina come un’Asteracaea, appartenente al genere Symphiotrycum squamatum (=Aster squamatus), nome comune: Astro Autunnale.

Confrontando le foto e la loro descrizione e le caratteristiche dell’Aster Squamatus, si conclude che l’ipotesi è corroborata (nel senso popperiano di ‘temporaneamente verificata’).

Riassumiamo la descrizione:  fusto eretto che inizia da una radice a fittone e termina in un ramoso corimbo aperto; foglie inferiori lisce, semplici, uninervie, lanceolate avvolgenti un caule liscio, decorrenti per qualche cm (la_max per lu=1x circa 8 cm), più piccole e strette acute verso l’alto; foglie sui  rami fiorali (1×8 mm), involucro stretto conico_cilindrico allungato con squame a lesina da calzolai in varie serie, nere in punta (aggiungere foto involucro); fiori ligulati piccoli bianchicci; capolino circa 7-8 mm.

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Il Symphyotricum squamatum a confronto con Conyza (=Erigeron) bonariensis spesso associati strettamente in tratti del percorso (verso Poggio Bianco, dopo il cartello rimasto del Verbascum tapsus seccato, ultimo scorcio del percorso).

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Da notare la forma degli involucri del fiore

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CONFRONTO S. squamatum – C. bonriensis dal vivo

INSERIAMO QUI UN LINK con la crucifera Lepidium graminifolium, nuova rosetta di Cerithe,  Aster linòserys ed altro

SIAMO IN PIENO OTTOBRE……

IL PROBLEMA DELLA CRUCIFERA DI OTTOBRE

Ecco la prima nuova piantina da classificare; ad occhio sembrerebbe una Crucifera; forse un Erysimum? Vedremo. Sta diffondendosi rapidamente; l’abbiamo raccolta presso il podere Ponsino, ma l’abbiamo notata anche in altri punti del percorso. Seguono foto dal vivo.

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Crucifera da classificare

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Crucifera da classificare

Dopo una periodo di riflessione la precedente Brassicacea (=Crucifera) presso il Ponsino viene classificata da Cristina Anna come Lepidium graminifolium e si apre la discussionedi questa piantina seguono anche le tre foto di Cristina… e…:

Lepidium graminifolium

Lepidium graminifolium1

Lepidium graminifolium2

…e…  altre tre di P. Pistoia:

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Lepidium graminifolium: foglie  a diversi livelli

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Foto Lepidium pianticella intermedia

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MA ECCO UNA PIACEVOLE SORPRESA: il 9-ottobre Cristina Anna ha notato nuove e numerose rosette di base della ‘ghiandolosa’ Cerinthe proprio dove le piante di inizio estate già adulte furono distrutte dal trattore (oggi forse potranno arrivare a rilasciare i semi, col diminuire del lavoro dei campi). Seguono tre foto di Cristina:

CERINTHE_OTTOBRE

CERINTHE_OTTOBRE1

CERINTHE_OTTOBRE2

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Sempre ai primi di ottobre sempre Cristina ha fotografato la Cariofillacea Dianthus carthusianorum nei dintorni del P. Ponso (da precisare)

GAROFANO1
GAROFANO2

…e il più diffuso Cyclamen hederifolium (per vedere la scheda tecnica di quest’ultimo scritta sempre da  Cristina, cercare nel sito ‘La Carrozza del Gambini’) e …

Ciclamino napol

Ciclamino napol1

Ciclamino napol2

Ciclamino napol23

 

e…. (per risolvere l’enigma dell’Alyssum), la nuova e interessante  Composita Galatella (=Aster)  linòsyris  (Astro spillo d’oro); foto riprese sull’argine  vicino Podere S. Anna.

GALATELLA2
GALLATELLA

GALATELLA1

IL PROBLEMA DELL’ALYSSUM E DELLA GALATELLA

Osservando attentamente le foto dell’Astro spillo d’oro e visitando le piantine sul campo è probabile che nel mese di giugno fosse falso il mio ricordo dell’Alyssum; in effetti quella piantina gialla  che intravidi nel 2014 durante il footing è facile invece che fosse la linòsyris! Ecco risolto l’enigma dell’Alyssum trapiantato nel Neoautoctono!

Foto di P. Pistoia dell’Astro Spillo d’oro presa davanti al P. Sant’Anna. Oggi 19-ottobre l’Astro Spillo costeggia la strada verso il P. San Domenico dalla parte della vigna.

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VISIONARE IN E. THOMMEN (op. cit.)  SCHEMA DELLA

GALATELLA (=ASTER) lynòsiris

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Segue ancora una ‘erbaccia di odore sgradevole’ ripresa sul poggetto del Ponso, cresciuta in settembre che sta estendendosi a macchia d’olio; da classificare.

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La nostra co-autrice Cristina Anna l’ha fotografata (vedere sotto) e classificata come una Chenopodiacaea di genere Chenopodium  e specie album (Farinaccio). Alcune foto sono da cambiare.

FARINACCIO1_

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Fto P. Pistoia

 

FARINACCIO3

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Davanti alla stazione dell’Althea, studiata in estate, da tempo rasata,  prima del P. Ponsino, sono rifiorite alcune nuove cannabine. E’ ormai completamente diffusa la Linaria gialla, il finocchio da ‘castagne bollite’ e la Calamintha nepeta. Rimane anche qualche pianticella in fiore di Verbasco blattaria (una davanti al P. San Domenico) che forse perdurerà per tutto l’inverno e qualche nuova pianticella (rosette di base) del Verbasco sinuoso e della Malva iniziale; invece continua ad essere assente il Tasso barbasso. Rimangono alcune cime annerite ‘corimbose’ piene di semi della composita Achillea millefoglio e resti stecchiti scuri e capolini anneriti di Asteriscus spinosus verso il Ponso. Sono presenti e vistose tutte le altre Composite descritte (in particolare la Linula, il Selecio e la Pulicaria). Qua là riappare qualche fiore di Scabiosa e di Cicoria. Permane negli stessi posti la Centauraea jacea ancora in fiore e il Cirsium spinoso con rari capolini. Cristina a osservato le ultime foto della Centaurea Jacaea e pensa che si tratti di C. jacaea subsp angustifolia. Rare appaiono le piantine Labiate  di Salvia selvatica e di Ombrellifere. Permane il cespuglio di Composite di Anthemis (=Cota) tinctoria vicino all’incrocio di Via dei Filosofi con la Vicinale di Sant’Anna e in altri punti a metà di Via dei Filosofi, di controversa classificazione in particolare sulle dimensioni dei capolini. Sempre scendendo a sinistra per Via dei Filosofi è riapparsa una piccola piantina in fiore di Iperico perforato. Al P. Bartolino, sotto strada, appare una distesa di grossi capolini gialli di Tupinambur (Helianthus tuberosus).

L’ARTEMISIA

All’incrocio Mazzolari-Poderino, sotto strada,  una estesa stazione di Artemisia vulgaris (?) dopo svariate rasature sta ricrescendo; al margine (vicino al grosso ulivo) si notano alte piante fino a 2 o più metri con infiorescenze (da continuare e approfondire). Questa stazione è rimasta attiva, nonostante gli svariati tagli, per almeno 35  anni sempre diffusa fra l’attuale grosso ulivo sulla strada e le piante di sambuco ed oltre lungo un buon tratto di strada del Poderino, distesa sul versante che guarda lo stadio, al di là delle auto in sosta nello sterrato. Da una ricerca che feci a quel tempo mi ricordo che la classificai come A. vulgaris, che prenderemo come ipotesi iniziale). Ma come ebbe a scrivere il grande medico naturalista  fisico vissuto in pieno 1700 Giovanni Antonio Scòpoli (testo riportato da S. Pignatti , Vol III, pag. 101, opera citata):

<<Felix ille,                                                                                                                                                                                           qui ex auctorum Artemisiis                                                                                                                                                                 se feliciter exstricaverit>>,

che in italiano suona come:  <<deve ritenersi contento l’auctor che riuscirà a disistricarsi nel classificare le Artemisie>> e parlava uno che se ne intendeva!

Comunque noi, non così qualificati, faremo un nostro tentativo nel trovare la strada e rimandiamo come sempre ai lettori interessati di farne altri.

SEGUONO FOTO DELL’ARTEMISIA (mancano esplicitamente foto dei piccoli capolini e degli involucri e forse Cristina sarebbe in grado di farle!)

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RAMO FIORIFERO A PANNOCCHIA STRETTA DENSO DI FOGLIE 3-4 PENNATOSETTE  SEMPLICE, LINEARI NON SEGHETTATE, SEMPRE PIU’ PICCOLE SALENDO LUNGO IL FUSTO.

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FOGLIE INFERIORI DELLA STESSA FORMA E RADICE STOLONICA

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DESCRIZIONE DELLA PIANTA – Fusti eretti rigati alti fino almeno a due metri, legnosi in basso con  rami terminali fioriferi; foglie pennatosette, glabre e scure sopra e bianco-tomentose di sotto; le inferiori (circa 9 cm x 10 cm) con  tre-quattro lacinie lineari poco dentate (quasi intere) per lato; verso l’alto tendono a diminuire di area; capolini quasi sessili, forse a coppa (1-1.5 x 3 mm) in pannocchia fogliosa stretta pendula; radici stoloniche  superficiali. Odore debole e poco gradevole.

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FOTO DAL VIVO

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LO SCORCIO DI STRADA A SINISTRA INDIVIDUA L’INCROCIO FRA VIA DEL PODERINO CON VIA DON MAZZOLARI (quest’ultima indicata dalla freccia)

VISIONARE SCHEMI DELLA A. vulgaris IN S. PIGNATTI VOL III, PAG. 103,  EDAGRICOLE  E DA THOLMENN (op. cit.)

VISIONARE SCHEMI DELLA Artemisia. verlotorum (A. DEI FRATELLI VERLOT) IN S. PIGNATTI VOL III, PAG. 103,  EDAGRICOLE  E DA THOLMENN (op. cit.).

2754 A. vulgaris

2755 A. verlotorum

da E. THOMMEN “Atlas de poche de la flore suisse” Editions Birkhauser Bale

RAPPORTO PROTOCOLLO-SPERIMENTALE /IPOTESI NEL NOSTRO CASO (da chiarire)

A. vulgaris differisce da A. verlotorum solo per alcuni aspetti: quelli ‘sperimentati’ – vedere foto – sono 1) la radice di A. verlotorum è stolonica; 2) le sue foglie sono tendenzialmente intere e scarsamente seghettate; 3) il suo involucro appare forse leggermente più corto tondeggiante, ma non ovoidale; la sua pannocchia è forse più stretta. L’aspetto di confronto incerto è il profumo che nell’esperimento (pianta stropicciata ed annusata) è assente o sgradevole.

CONCLUSIONI

La mia ipotesi proposta all’inizio ‘risulterebbe’ falsificata; è preferibile l’ipotesi che la piantina sia una Composita il cui genere sia Artemisia e la cui specie sia A. verlotorum (ipotesi corroborata). L’efficacia delle nuove ipotesi non obbediscono a nessun trucco se non quello di contenere più ‘elementi di verità’ di quelli delle ipotesi precedenti rispetto a un quadro di riferimento.

Nel mondo complesso, sosteneva K. Popper, se leggiamo fra le righe, ogni ipotesi è da ritenere falsa; per procedere nella conoscenza è necessario, se corroborata, tentare di falsificarla con ogni mezzo toccando ‘il reale’, qualsiasi cosa voglia significare, cioè  ‘sbucciando la cipolla’  del territorio complesso in studio, sempre più in profondità.

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ECCO LE FOTO RIPRESE IL 18 OTTOBRE

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Linaria officinalis sempre più diffusa (foto in via dei Filosofi)

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Symphyotricum squamatum ed Erigeron bonariensis, piantine con frutti in Via dei Filosofi

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E’ rinata l’Erba Querciola (Camedrio; Teucrium camedris) sull’argine del P. Sant’Anna e presso la  deviazione per il P. S. Pietro, dove appaiono anche tracce delle estive piantine con semi anneriti.

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Erba Querciola (Camedrio); si intravedono vecchie piantine con semi sul calcare conchigliare del Pliocene medio dell’argine subito dopo il bivio per il P. San Pietro

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Rinate rosette di Spirea-Filipendula (foto sull’argine del P. Sant’Anna con etichetta)

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Rametti di Ulmus campestris sopra rosette nel fossetto di Filipendula exapetala presente in ottobre davanti all’argine del P. Santa’anna.

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Caratteristiche delle foglie dell’Ulmus campestris che partono sfasate a partire dal picciolo.

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Rosette di filipendula nel fossetto al di là della strada davanti all’argine del P. Sant’Anna, sotto gli aceri.

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Foglie di Filipendula sotto e di Millefollio sopra

Rosette basali di Achillea millefolium sono ora rinate abbondanti nel fossetto lungo strada al Podere San Vittore, salendo a sinistra, proprio sotto i corimbi delle piante precedenti già rammentati, maturati durante l’estate ormai rinsecchiti ed anneriti, ma ancora presenti a sovrastare quelle del giardino. Seguiranno foto.

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Rosette di base di A. millefolium nel fossetto sotto l’argine del P. San Vittore nate dai semi delle poche piantine estive sovrastanti descritte in luglio, che ancora esistono rinsecchite e con corimbi anneriti.

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L’argine del P. San Vittore su cui esistevano in luglio le achillee in fiore, ricresciute in rosette nel fossetto alla base, oggi in Ottobre. Ingrandendo si nota ancora qualche ‘corimbo’ rinsecchito di Achillea. La strada sale sul poggetto del Ponso.

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Si tratta di una Olivacaea: Ligustrum vulgare, classificato da Cristina, a foglie lanceolate ‘tenere e lisce ‘e semi-caduche davanti al P. San Domenico con bacche nere mature. Avevamo proposto l’ipotesi del Lillatro su  ‘l’idea’ sbagliata che avevamo di esso!

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Il Ligustro qui davanti al P. San Domenico è associato ad altre piante della macchia mediterranea (Pistacea lentiscus, Ulmus campestris, Quercus ilex, l’Alaterno, il Viburno, …). Questo fitto ‘arbusteto’ è anche intrecciato con la Lianacea spinosa Smilax aspera (Roghetta-stracciabrache) della quale Cristina a fine ottobre ha notato una seconda vistosa fioritura, invece di <<mostrare i grappoli con le sue belle bacche lucide>> come avrebbe dovuto. La S. aspera è ricordata in paleo-botanica perché, insieme ad altre piante, (per es., l’Alloro, la Palma nana…), rimasero indietro alle nostre latitudini, nella lenta migrazione in tempi geologici delle piante dal Polo verso l’equatore. Segue la foto di Cristina di Smilax in fiore:

Smilax aspera

…e le foto delle foglie della Smilax mosse dal vento, di P. Pistoia

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…. e la foto di alcune foglie dell’ “arbusteto” al P. San Domenico

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(?) Vinca major (Cristina)

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DIGRESSIONE PER CORREGGERE LE IDEE CHE CREANO DEFAILLANCE

Seguiranno foto (anche di Cristina) e disegni schematici  per il confronto con le altre due Oleacaee del genere Fillirea (F. angustifolia e latifolia) o Lillatro e con altre, con bacche e piccoli frutti, della macchia mediterranea.

Come nasce un’idea sbagliata?

Intanto la piantina della foto sotto è un Lillatro latifolia? Se sì, questa è la sola idea che avevamo del Lillatro. Non avevamo mai visto il Ligustro, nè il il Lillatro a foglia angusta, ne consegue……. una ‘ipotesi tentativa’ da falsificare. Se poi la risposta è negativa non avevamo mai visto nè un Lillatro nè un Ligustro, avevamo così ‘sparato’ una ‘ipotesi tentativa’ praticamente a caso (ipotesi debole), anche se per Popper, ipotesi scientificamente fondata.

Proponiamo due foto di un presunto Lillatro. Si tratta di un Lillatro a foglia larga? Come si presenta quello a foglia stretta?

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I rametti riportati sotto sono dell’Oleacaea Fillirea latifolia?

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Proponiamo a tempo debito agli autori del post in questa digressione una carrelata sulle piante della macchia mediterranea a piccoli frutti . Il percorso da seguire potrebbe essere quella accennato per l’Alisso; cioè scrivere un articolo con un Word Processor (da spedire per e-mail o da immettere direttamente dall’edit) con inserimento diretto al suo interno delle immagini (non verrebero inserite in .ipg, ma farebbero corpo con l’articolo, che verrebbe poi richiamato con un link da questo paragrafo. Sinceramente sono contrario a segmentare a mosaico (già la presenza del colore lo fa) le comunicazioni culturali, meglio una seriazione con indice! A mio avviso si perde in serietà, professionalità ed attenzione a favore del niente. (Vedere anche i testi scolastici attuali a mosaico pieni di macchie di colore e rimandi).

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Una specie di ‘rapa’ a foglie larghe 2-3 sette  verso il picciolo, a fiori gialli nata accanto alla Cerinthe al Ponso. A destra si intravede la grande rosetta di base riprese nella foto sotto.

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Cristina, la nostra co-autrice e ‘classificatrice’ di riferimento, invitata ad osservare questa Crucifera, dalle foto è incerta fra una Brassica nigra (Senape nera) o Brassica rapa (Colza) se avesse le foglie abbraccianti il fusto, o ancora Rapistrum rugosum, se le piccole silique fossero meno allungate delle altre rotondeggenanti; dice che si recherà sul posto poi si vedrà.

Si è recata sul posto e  racconta che:<< La fioritura della Brassicacea in questione sta diventando superba, come la rosetta di foglie che le sta vicino. Non è facile identificare questo genere di Brassicacee, tutte molto simili, soprattutto se la seconda loro fioritura non portasse ad osservare bene anche il frutto. Però vista da vicino, mi sono quasi convinta che si possa trattare  di una Senape selvatica – Sinapis arvensis . Oltre il fiore, è proprio la rosetta basale che è tipica di questa pianta>>. Seguono le tre belle foto di Cristina di questa Senape:

SENAPE

SENAPE2

SENAPE3

Seguono anche tre foto di P. Pistoia delle foglie di Sinapsis arvensis

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Silique e foglia superiore Sinapsis arvensis

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Si allega la foto di una pagina ripresa da un interessante libro, con schizzi originali affiancanti lo scritto sintetico e rilevante, a firma di due ricercatrici dell’Istituto Botanico dell’ Università di Pisa,  A.M. Pagni e G. Corsi, stampato da Arti Grafiche Pacini Mariotti, Pisa che ringraziamo.

Sinapsis arvensis

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SEGUONO FOTO DI CONFRONTO ATTUALE (metà ottobre) FRA:  Erigeron (Conyza) bonariensis e Symphyotricum (=Aster) squamatum, ‘compagne’ sul campo, frequenti scendendo via dei Filosofi e verso Poggio Bianco a sinistra della strada.

Da riorganizzare e/o sostituire; è meglio ingrandire!

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Notare frutti e involucri

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A sinistra si intravede il S. squamatum

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C. bonariensis con piantina centrale e traversa a metà verso sinistra di S. squamatum

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OK

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La pianticella del Symphyotricum  è più snella ed elegante della Conyza

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Foto dell’Astro spillo d’oro fotografato il 20 ottobre verso il P. San Domenico lungo la vigna

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Ecco la nuova piantina ‘puzzolente’ che sta crescendo; una Labiata (=Lamiacea) con foglie forse (se è affidabile il ricordo) simili in forma a quelle della Melissa profumata o delle mente selvatiche; è stata fotografata sul poggio del Ponso, vicino alle  rosette di Cerinthe (le foglie sono di fatto più scure e risultano un po’ schiarite dal flasch).

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Si notano i primi fiori di Labiata in basso a sinistra. Cristina Anna prima di pronunciarsi attende qualche fioritura più sostanziosa; oggi 31- Ottobre afferma: <<…suppongo  si tratti  di Ballotta nigra (Marrubio fetido) dato l’odore ed i fiori che stanno spuntando ora, anche se la vera fioritura  è sicuramente a primavera; ho notato che l’infiorescenza che si nota nella tua foto,  non si riferisce a questa pianta, bensì ad una Nepetella che si insinua sotto la pianta in questione>>. Si può osservare nell’ingrandimento o meglio attivandone il profumo ( nota dell’Estensore dello scritto).  Seguono due foto di Cristina della Ballotta:

Ballotta nigra1

Ballotta nigra2Sembra che il nome della sottospecie della Ballotta si possa individuare dalla forma del calice; visionare il calice da P. Zangheri (op. cit.) della piantina Ballotta nigra subsp foetida (4156) e della Ballotta rupestris subsp foetida (4158)

Forse i lettori saprebbero, dalle foto di Cristina, ricavare la possibile sottospecie della Ballotta in questione!

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Oggi alla fine di Ottobre Cristina afferma “Comunque ho notato in questi ultimi periodi, sia le piante erbacee, sia  gli arbusti e addirittura gli alberi da frutto, con le recenti situazioni meteorologiche  un po’ estremizzate, hanno avuto una seconda fioritura se non addirittura anche una fruttificazione”

Oggi 31- Ottobre ho fotografato la Composita, Asteriscus, rinata che sta rifiorendo, insieme a vecchi capolini, andando verso San Vittore a sinistra subito dopo l’ultimo edificio della Villa di Campagna Sant’Anna; un altro Asteriscus e rinato in via dei Filosofi ad una ventina di metri dopo il bivio con via del Poderino scendendo a destra. Ho fotografato anche  una nuova piantina ‘gracile’, ma invasiva in tutta la strada, da classificare:

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Anche Cristina ha fotografata piantine come la precedente. <<Dal lato del Casale Ponsino fino ad oltre Sant’anna, si notano delle piantine di una Euphorbiacea con le foglioline seghettate color verde brillante, come pure la sua infiorescenza. Si dovrebbe chiamare Mercurialis annua (Mercorella comune)>>. Seguono le sue tre chiare foto:

Mercurialis annua1i

Mercurialis annua2

Mercurialis annua3

NDC

Caratteristiche della Mercurialis annua: si notano piccoli fiori verdicci e insignificanti, unisessuali portati da piante separate (piante dioiche). I fiori maschili ridotti a un perianzio rudimentale, che  circondano una decina di stami, sono raggruppati in glomeruli e aloro volta riuniti in spighe lasse. I fiori femminili anch’essi di scarsa rilevanza sono riuniti in gruppetti all’ascella delle foglie.

Ancora tre foto della Mercurialis a confronto 1 – con la Vetriola appena nata sull’argine poco prima del Ponsino, 2 – con la Lychnis alba (?)  davanti alla strada del Ponsino  e, poco dopo il Ponsino, 3 – con un’erbetta da classificare, vicino al cartello indicativo della Borrago, di P. Pistoia

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FINE NDC

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L’erbetta da classificare a destra potrebbe essere una Euphorbiacaea?

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Sempre Cristina nella sua visita del 31 ottobre afferma:<<Ancora poche decine di metri sotto Cherinte, ho notato delle piantine di Calendula, ma le foto non sono una meraviglia…>> Seguono tre foto della Calendula con capolini in fruttificazione.CALENDULA1
CALENDULA2
CALENDULA3

Vorrei fare una riflessione. Calendula è un Genere appartenete alla famiglia delle Composite… è possibile, osservando le foto risalire alla specie? Ecco, ci si muove a costruire e comunicare l’ <idea> nella mente : “Il gatto è il gatto (Felino), perché ha i baffi a filo di ferro”. Sembra una battuta, ma è molto di più: è la risposta di un alunno (un po’ bernesco) a cui il docente ha tentato di insegnare nella classe l’idea del gatto! Se interpreto bene, mi sembra che le foto abbiano evidenziato i semi nel capolino e spesso i semi sono elementi classificatori importanti anche per la specie. Bisognerebbe sempre consapevolmente anche cercare di fotografare evidenziando quegli elementi che servono a chi osserva per costruire/comunicare l’idea della piantina in studio! Una  foto specifica chiara dei semi della Calendula fotografata sopra potrebbe essere importante.

VISIONARE IL DISEGNO SCHEMATICO SEMI DI CALENDULA  da S. Pignatti (op. cit)

C. officinalis: C, D, raramente b

C. arvensis:     A, B, D

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CRISTINA ANNA MORATTI termina la sua passeggiata sul nostro percorso floristico del mese di Ottobre, con queste osservazioni: <<Lungo tutto il percorso, è stato bello avere la compagnia della Bellis perennis. Questa piantina che fiorisce in ogni stagione, quando meno te lo aspetti, diventa anche prorompente, con i suoi capolini che decorano campi interi>>.

Bellis perennis1

Belli perennis2

Bellis perennis3

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SIAMO ARRIVATI A NOVEMBRE

Intanto non sono riuscito ad osservare  i frutti della Calendola a qualche decina di metri dopo il Ponso.  Comunque credo di non aver mai visto una Calendula!

Ho notato invece una crescita di pianticelle di Menta, anch’essa Labiata, non ancora fiorita, al bordo strada proprio davanti ai ciuffi della Ballotta nigra; qualche pianticella in fiore si trova invece a sinistra poco prima a circa un  metro  subito sotto strada. Le tre pianticelle, presenti  insieme alla Ballotta, quattro se si aggiunge la Salvia selvatica, si distinguono nell’immediato strofinandole: la Ballotta è fetida, la Calaminta ‘sa’ di Nepitella e la Menta di Menta, la Salvia (?)… nessun odore! Ho cercato di fotografare come mi riesce:

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Menta e Nepitella al Ponso

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Lycnis alba poggetto il Ponso

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Resti di Asterisco, rosette di Salvia selvatica (?), erba di campo al Ponso

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Le foto sinottiche della piantina raccolta al Ponso è una Salvia selvatica?

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Ipotesi sulla Labiata: Salvia verbenaca

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Si attendono quelle più chiare di Cristina

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Foglie della Ballotta fetida, in alto a sinistra e della Menta

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Foglie Ballotta, Menta e Calaminta

La vegetazione così florida sul poggetto del Ponso è probabilmente favorita dal grosso accumulo di concime subito sotto strada.

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Una ventina di metri dopo il Ponsino verso S. Vittore, sulla destra esiste una etichetta (ancora presente; quelle per la Cerinthe e per Achillea sono sparite!) per la Borago officinalis che era seccata; ora sono riapparse delle rosette di base; speriamo che siano di Borago ricresciuta.

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Nuove rosette di base  di Borago (?) vicino ad una Mercorella

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Lycnis a destra e Mercurialis in alto a sinistra

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Presso il cartello Borrago, Mercurella ed erba da classificare

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All’altezza del P. San Domenico, sul basso argine del podere dove da poco hanno piantato cipressetti toscani ‘affilati’,  ho fotografato, una piantina che sta rifiorendo, con alcuni frutti verdastri a grappoli, rotondi di circa mezzo cm; all’aspetto e dal fiorellino mi è sembrata un erba Morella un po’ sciupata (i frutti della Morella, se ben ricordo, sono neri). Si richiedono approfondimenti.

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Oggi purtroppo (9 ott.) hanno rincalzato i cipressetti eliminanto le piantine!

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Oggi 4 Novembre nel tratto di via del poderino, subito sotto strada, vicino alla rete del campo sportivo, ho fatto fotografato una rosetta di Borragine rinata (?) e un’altra  a foglie larghe da individuare, forse di una Lunaria annua o Medaglioni del Papa (Cristina).

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Insieme alla rosetta di base  a lamine ovate si notano: a sinistra in basso Il Chenopodium album fiorito (Farinaccio), La Mercurialis (Mercurella), tracce di erba di campo e in alto una specie di ”liana’ strisciante ….ed altro

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Insieme alla rosetta forse di Borago officinalis (?), in basso di notano foglie di malva, a destra in alto si intravede la Mercurella e più al centro un ciuffo  un po’ sbiadito di Ballota nigra (Marrubio fedido)…..ed altro

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Probabile rosetta basale con foglie a cuore tendenzialmente triangolari astate forse di Lunaria annua o rediviva insieme in alto con la Mercurella circondata da una specie di ‘liana’ strisciante…ed altro. Se sviluppa vedremo.

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Pianticelle di menta al Ponso

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Menta al bordo strada e dietro Ballotta al ponso

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Oggi 10 ott. ho posto un indicatore in lega di alluminio, a 4-5 metri dal secondo ingresso al P. Sant’Anna, sull’argine fra i cipressi, per indicare un mazzetto ancora in fiore (ancora per poco) di Galatelle (Aster linòrysis, Astro spilla d’oro). Intanto si è interrotta la discussione sulle piantine fotografate pochi giorni fa in via del Poderino,  sotto strada vicino alla rete dello stadio: è stato rasato il prato sopra il campo sportivo! AD MAIORA.

DA SISTEMARE E DA CONTINUARE…..NELLA PARTE SECONDA

CONFLITTI ANCHE NELLA DIDATTICA SCIENTIFICA del dott. prof. Antonino Drago, Università di Pisa

INSERISCO L’ART. IN PDF CON UN LINK ESTERNO:

DRAGO_ConflittilDidattSci

IN .ODT:

DRAGO_ConflittilDidattSci

ALTRIMENTI LEGGERE DIRETTAMENTE L’ART. UN PO’ MENO ORDINATO:

L’INTRODUZIONE DEL CONFLITTO ANCHE NELLA DIDATTICA SCIENTIFICA 
di Antonino Drago, Università di Pisa
  1. La nascita e lo sviluppo del conflitto intellettuale

La nostra cultura didattica è interna alla cultura occidentale, che a sua volta, è figlia della cultura greca, quella che anche nella scultura rappresentava idee fissate di cose astrattizzate. Il conflitto delle idee era estraneo ad essa, non tanto perché non l’avesse mai pensato (ricordiamo che per Eraclito tutto era conflitto), ma perché la prima esperienza di conflitto intellettuale che aveva subito (la crisi dei sofisti che dimostravano il vero e poi il falso) li ha spinti a restaurare la sicurezza nella razionalità. Ciò ha portato a costruire o un mondo di idee assicurate dalla metafisica (le idee platoniche) o un sistema sicuro perché onnicomprensivo (quello di Aristotele), tanto da includere anche la teoria delle leggi con cui la mente ragiona (logica) e la teoria della teoria, che deve avere la forma deduttiva.

Il conflitto intellettuale perciò nasce dopo il mondo intellettuale greco. In particolare nasce nella scienza quando nel sec. 17° la matematica introduce il concetto di infinito nella Fisica in una maniera molto robusta (analisi degli infinitesimi). Si crea il conflitto tra il nuovo mondo (scientifico) e il vecchio mondo della antica Grecia, che volontariamente si era chiuso all’idea dell’infinito; e si crea il conflitto tra cultura scientifica e cultura umanistica, perché questa cerca di restare nel finito tipico dell’umano soggettivo.1

Poi la rivoluzione francese ha generalizzato il conflitto dentro la cultura (oltre che nella società); e non a caso poi questo movimento fu represso per un intero periodo dalla politica della restaurazione di quella pace intellettuale che c’era prima. Infine è stato Marx che nella teoria della società ha introdotto il conflitto tra gruppi sociali. Questo processo storico dell’intellettualità occidentale poi si è ribaltato sul soggetto; Freud, (mettendo da parte l’anima umana della scolastica, divisa nei tre elementi armonici: memoria, intelligenza e volontà) ha introdotto il conflitto di tre componenti della personalità umana, irriducibili e incompatibili tra loro Es, Io e Super-io. Infine, anche nel luogo privato dei potenti industriali, la fabbrica, è entrato ufficialmente il conflitto: è dall’inizio del sec. XX che si ammettono legalmente i sindacati, preposti a interpretare e risolvere i conflitti collettivi degli operai col padronato.

Possiamo concludere che la cultura moderna, in opposizione a quella antica, è caratterizzata essenzialmente dal conflitto.

  1. L’introduzione del conflitto nella didattica in generale

Quanto di questo travaglio millenario della cultura (occidentale) è stato recepito dalla didattica scolastica?

Sembra poco o niente. Anzi si può sostenere che la scuola, in corrispondenza ad un disegno autoritario che vuole tutto “in pace”, giunge a mutilare anche la cultura scientifica quando questa include dei conflitti. Infatti, perché a scuola non si insegna logica? Forse non è una scienza? Eppure lo era già nel medio evo, quando veniva insegnata nel famoso “trivio” (grammatica, retorica e logica). Poi dal 1848 la logica è diventata addirittura una scienza matematizzata. Così pure, non è forse una scienza l’economia? Lo afferma autorevolmente l’Università, che ci ha istituito una Facoltà (Scienze economiche). Come pure ha istituito Scienze Politiche. Ma allora perché tuttora non si insegnano queste materie nei licei italiani? Può essere discutibile che si insegnino le scienze politiche, ma non che si elimini la logica.

La risposta alla domanda precedente è: perché quelle sono materie conflittuali: perciò non possono essere insegnate ex-cathedra con affermazioni tali che, se lo studente le ripete allo stesso modo, viene approvato, altrimenti viene bocciato. Infatti la scienza logica è essenzialmente conflittuale: dopo la nascita della logica matematica (1848) alla fine del secolo XIX è nata prima la logica matematica modale, poi quella intuizionista, poi quella minimale, ecc. Questo conflitto è evidente sin dalla operazione logica più importante nei ragionamenti, la implicazione. Nella logica classica la implicazione è chiamata “materiale”, perché permette che dal falso segua il vero, il che non corrisponde affatto al senso intuitivo che la nostra mente dà all’implicazione. La logica modale è nata proprio per cambiare questa formalizzazione. Se a scuola si insegnasse una sola logica, qualsiasi studente potrebbe trovare in libreria libri sulle logiche non classiche, impararle e poi in classe contestare l’insegnante sulla unicità della logica insegnatagli.

Quindi si insegna solo ciò che è sicuro e che preserva l’immagine di una scienza “in pace”, che dà solo risposte univoche e indiscutibili.

Ma ci sono stati dei fatti storici che hanno smosso dalla fissità statica secolare questa situazione della didattica scientifica, per accettare il conflitto almeno dentro la struttura didattica.

Il primo fatto è stato quello della riforma della scuola media inferiore nel 1963. Prima quella scuola era sì divisa da quella di avviamento, ma non per motivi culturali, ma di classe. Cioè nella struttura scolastica il conflitto c’era, ma come conseguenza del più ampio e forte conflitto sociale. Nella scuola di avviamento (al lavoro, il più presto possibile) non c’era cultura; l’unica cultura era quella delle persone benestanti; essa passava nella scuola media con il latino, in modo da preparare gli studenti alla cultura greco-romana insegnata al liceo classico, o al più, nel liceo scientifico (quel liceo che aveva creato una variante, ancora sub judice, includente la cultura scientifica,.

Ma quando c’è stata la riforma della scuola media unica, il conflitto è entrato nelle scuole medie, in ogni classe. Poiché il latino è diventato a scelta, il percorso precostituito della cultura greco-romana ha perso importanza e la cultura è diventava un fenomeno per la massa, nella quale si potevano incrociare tanti tipi di cultura; tanto per cominciare, quella classica e quella scientifica, che ora non poteva essere più tenuta sub judice. Di fatto, poi fu la cultura dei mass media a prendere il sopravvento su tutta la cultura della scuola media; e i mass media avevano una pluralità di culture (o subculture: quiz, sport, varietà, spettacoli, cultura tradizionale, ecc.).

(In quel tempo anche l’Università ha tolto quegli sbarramenti ai diplomati degli istituti tecnici e magistrali che prima imponevano la cultura greco-romana anche ai futuri medici e fisici. Anche i professori universitari hanno dovuto adattarsi ad una pluralità di formazioni di base).

Poi la struttura scolastica è stata sconvolta dai “decreti delegati” del 1974; essi hanno accettato il conflitto nell’organizzazione della vita scolastica: gli studenti sono stati riconosciuti come un soggetto collettivo che a pieno titolo partecipa alle decisioni scolastiche e può contestarle per legge. Uno studente che continuava a studiare leggi scientifiche, assicurate come indiscutibili, però nell’ambito scolastico poteva mettere in discussione tutta la organizzazione e tutte le dispozioni del preside. A mio giudizio, tuttora la scuola non si è ripresa da questa scossa destabilizzante i vecchi equilibri. Ma non si è ripresa anche perché non ha portato fino il fondo la accettazione del conflitto, cioè nella cultura scolastica.

  1. L’introduzione del conflitto nella didattica scientifica

La didattica scientifica è stata sconvolta proprio quando la cultura scientifica ha incominciato ad emanciparsi dalla posizione subordinata verso la cultura umanistica; allora è stato introdotto il conflitto almeno pedagogico. Questa è la storia dello Sputnik: curiosamente un oggetto missilistico è stato decisivo per la cultura scolastica.

Nel 1958 i russi, per primi, inviarono un satellite nello spazio; per di più lo Sputnik era grosso. Gli statunitensi stavano dormendo sonni tranquilli perché quando alla fine della guerra invasero la Germania sconfitta, si preoccuparono di catturare i massimi scienziati missilistici del tempo, in particolare von Braun, l’inventore delle famose V-1 e V-2 che avevano terrorizzato Londra. Grande fu quindi la loro sorpresa nel vedersi scavalcare nella gara spaziale. Dopo un anno dallo Sputnik, riuscirono ad inviare nello spazio a malapena un satellite di appena tre kg.

Il problema non era solo sportivo, ma era addirittura esistenziale. Infatti nei primi anni ’50 le due superpotenze avevano capito che, se in una guerra avessero usato le armi nucleari che esse possedevano, avrebbero creato un inferno sulla Terra, quindi anche per gli stessi vincitori. Perciò avevano concordato di sfidarsi piuttosto (o almeno, in prima battuta) su terreni meno disastrosi. La prospettiva della guerra militare fu sostituita dalla gara economica-tecnologica; i popoli si sarebbero convinti della giustezza del sistema o comunista o capitalista giudicando quale dei due sistemi avrebbe dato loro i benefici maggiori. Il comunismo era sicuro di vincere, perché la interpretazione (marxista) della storia dava il proletariato come la nuova classe destinata al potere mondiale.

Quindi la vittoria URSS dello Sputnik significava l’inizio della fine storica del capitalismo e del potere mondiale degli USA. Negli USA il momento fu drammatico; per reagire, essi cercarono di comprendere perché non aveva funzionato l’avere dalla loro von Braun. Allora notarono che sì, negli USA c’era un insuperato vertice di cervelli, ma la base di scienziati e tecnici era relativamente ristretta rispetto alla grande base di laureati nei corsi brevi dei Tecnicum russi; che quindi avevano sopperito alla qualità con la quantità.

Allora gli USA si posero il problema di aumentare il gettito del loro sistema scolastico nelle materie scientifiche. Il problema era grave, perché quello è un Paese estremamente liberista, che vede l’intervento statale come fumo negli occhi; figurarsi nel sistema educativo! Si risolse il problema convocando i migliori scienziati e facendoli applicare alla produzione di nuovi testi per le high school USA, testi da propagandare come i più avanzati possibile. Fu allora che nacquero i libri che poi sono restati classici: il PSSC (Physical Science Study Committee), il BSSC per la biologia, il MSP (Mathematics School Project)2 Dopo qualche anno anche l’Inghilterra intervenne, iniziando il progetto Nuffield. Questo progetto didattico sperimentò i nuovi testi per i vari rami scientifici in maniera collettiva, con riunioni annuali degli insegnanti che li adottavano. In Europa l’OCSE (organizzazione di cooperazione economica), in vista di una maggiore competitività economica, premette sui Ministeri dei vari Paesi affinché venisse adottata la cosiddetta “insiemistica”, cioè la ideologia matematica del Bourbaki nelle scuole.3 In Italia essa ebbe poco successo (portò a qualche modifica laterale dei testi scolastici); ma in Francia l’insegnamento della matematica fu stravolto, costringendo gli studenti delle elementari e medie a diventare incomprensibili ai loro genitori su questa materia.4

Come riassumere questa modificazione radicale della didattica scientifica? I vecchi metodi da insegnamento erano da catechismo: formule da imparare a memoria. In contrasto, la nuova didattica voleva rendere attraente la materia; non più matematica da inghiottire, non più formule dentro riquadri da saper applicare direttamente a primo colpo, non più solo figure geometriche e solo le essenziali. Invece, pistolotti motivazionali (“La fisica vale bene una vita”, “La fisica è bella”, “Se faccio, capisco”, ecc.), libri a colori, con figure in quantità e con fotografie (e magari fumetti e strisce di comics), proposta didattica la più possibile coinvolgente, insegnanti estroflessi e simpatici, svalutazione della esattezza dei risultati del lavoro dello studente per premiare invece il suo interessamento, ecc.. Tanto che il libro di testo non era più per lo studente, ma per l’insegnante; che così diventava il vero operaio della situazione, mentre lo studente viveva esperienze di gruppo (esperimenti) o intellettuali.

In sintesi, questa novità era la introduzione della pedagogia attiva nelle materie scientifiche; che finallora invece erano state funzionali ad una dura selezione per quelli che erano nati “piccoli scienziati”, o avevano il “pallino” della scienza. Di fatto, i contenuti erano rimasti quelli di prima, salvo aggiustamenti per facilitare l’apprendimento (nel PSSC fu anticipata la termodinamica-meccanica statistica perché si scoprì che così le ragazze imparavano meglio), o innovazioni per avvicinare lo studente alle notizie di giornale sulle nuove scoperte scientifiche (in Fisica si metteva qualcosa sull’atomo e magari sul nucleo; in biologia, si misero le prime novità del dopoguerra).

In breve, la nuova didattica scientifica voleva compiere una rivoluzione pedagogica nella didattica scientifica. Ci sarebbe riuscita se la riforma fosse stata obbligatoria. Ma, a cominciare dagli USA, il cui liberismo non poteva permettersi imposizioni didattiche, essa restò sempre compresente con la vecchia didattica; generando così, nell’insegnamento scientifico scolastico, un conflitto nei metodi educativi di insegnamento: il nuovo contro il vecchio (che all’Università è stato ancora più resistente).

Dopo circa cinquant’anni da questi avvenimenti, la situazione non è sostanzialmente mutata. Sempre c’è il conflitto tra pedagogie diverse; i programmi hanno sì introdotto molte innovazioni nei programmi didattici; ma sempre si sono mantenuto esclusi i conflitti esistenti all’interno dalle materie scientifiche. Per intendersi, talvolta si è anche introdotta la logica, ma solo per la parte più banale e senza far vedere quelle sue insufficienze che hanno fatto nascere le logiche matematiche alternative. In definitiva, il progetto autoritario della didattica scientifica ancora una volta non ha ammesso che lo studente, e neanche l’insegnante, discutessero sulla scienza, oltre che ripetere sempre la stessa la scienza.

In sintesi, il conflitto, che la didattica scientifica manteneva fuori dalla porta, è entrato dalla finestra della organizzazione scolastica e della pedagogia; ma è stato accuratamente lasciato all’esterno della “legge scientifica”, che è dura come prima.

  1. La matematica del conflitto

Eppure la scienza aveva già ammesso il conflitto al suo interno; lo si diceva prima riguardo la logica; nei primi anni del ‘900 c’erano stati i conflitti (almeno temporanei) durante le crisi della fisica e della matematica, crisi che avevano fatto sorgere teorie scientifiche del tutto in opposizione alle teorie scientifiche del passato glorioso e anche trionfalista.

Ma addirittura, dall’inizio del ‘900 è nata anche la matematica dei conflitti, benché a prima vista è una contraddizione in termini il mettere assieme la matematica, che è il mondo della precisione, con i conflitti, che è il regno della irrazionalità.5 Infatti così è sembrato per millenni, (benché già Pitagora avesse proclamato che “Tutto è numero”).

La contraddizione non è apparsa insuperabile ad un giovane quacchero, Lewis F. Richardson, il cui fratello era morto in guerra, e che, come obiettore di coscienza, lavorava in una infermeria della I guerra mondiale. Egli era un fisico, che si interessava professionalmente di meteorologia: un campo di fenomeni quanto mai complessi e apparentemente imprevedibili. Ma lui sapeva che anche la metereologia era soggetta ad una formalizzazione matematica. Con questa idea guida, Richardson propose per primo una formalizzazione della corsa agli armamenti e, in generale, dei fenomeni competitivi.

L’idea è semplice; invece di considerare una sola equazione differenziale alla volta, egli ha accoppiato due equazioni differenziali (o anche, due equazione a differenze finite); in modo che gli aumenti o le decrescite della variabile della prima equazione differenziale, dipendessero dagli aumenti o dalle decrescite dell’altra variabile, quella della seconda equazione differenziale.

dx/dt = ky – ax + g;……………dy/dt = lx – by + h

Che dicono queste equazioni? La prima dice che il primo Paese aumenta i suoi armamenti x a causa degli armamenti y del Paese confinante, salvo essere limitato dall’aver già raggiunto un livello molto alto e dall’avere stimoli o limiti (g) dovuti a ideali o a difficoltà (ad es. economiche).6 Analogamente per la seconda equazione.

Risolvere questo sistema è un po’ complicato; ma lo si semplifica se ci chiediamo quando avverrà che i due Paesi saranno soddisfatti della crescita già ottenuta e quindi non avranno più incrementi; cioè, se consideriamo nulle le variazioni dei primi membri. Così la matematica si riduce a quella delle equazioni di due rette; delle quali si può cercare il punto di incontro; quando esso c’è (comunque lontano), indica che la corsa agli armamenti dei due Paesi può trovare un punto d’incontro, quindi tutto il sistema è in equilibrio. Altrimenti i due Paesi sono condannati a correre all’infinito per accumulare spasmodicamente ulteriori quantità di armi distruttive.

Le pubblicazioni di Richardson (compreso un libro) ebbero un discreto successo; ma momentaneo. Lui stesso lasciò questo argomento di studio, per riprenderlo solo quando, negli ultimi anni ’30, un’altra guerra sembrò imminente.

E’ solo dopo la seconda guerra mondiale che questo settore di studi incominciò a svilupparsi, anche per la concomitante crescita della teoria dei giochi (competitivi). Questa era iniziata negli anni ’20 per opera di padri illustri: Emilio Borel e Janos Neumann. Dal 1944, data del famoso libro di Neumann e Morgenstein7, c’è stato un forte interesse degli economisti per questo nuovo argomento di studio; tanto che da un po’ di tempo è diventato materia corrente di studio universitario.

La teoria dei giochi include giochi a variabili anche continue (così è nata con Borel); ma i suoi problemi più interessanti concettualmente si hanno quando si usano variabili discrete. Nella sua forma più semplice un gioco è dato da otto numeri interi che vengono comparati tra loro per vedere qual è il più grande e il più piccolo; questa formalizzazione poteva nascere anche nella mente di Archimede. Eppure la sua capacità di sintesi è grande, perché, come ha sottolineato un altro quacchero famoso, A. Rapoport,8 la teoria dei giochi ha il concetto di strategia, il quale sintetizza un numero qualsiasi di mosse (le quali non vengono neanche prese in considerazioni dalla teoria). Quindi la teoria dei giochi è una teoria da capi o da generali, piuttosto che una teoria da subordinati o esecutori delle singole mosse (così come sono di solito le teorie matematiche).

Già la teoria dei giochi a due giocatori, ognuno dei quali ha solo due strategie possibili, può dare dei tremendi rompicapo, anche dal punto di vista filosofico, perché alcuni giochi danno luogo a veri e propri paradossi. I giochi più semplici sono i giochi a somma zero, là dove un giocatore vince tutto quello che perde l’avversario e solo quello. Per questi giochi Neumann ha dato un teorema (del minimax) che assicura sempre la strategia ottima.. Esso suggerisce ad ogni giocatore di scegliere il massimo delle sue vincite minime; quindi dà un criterio cautelativo, da mezzo bicchiere vuoto.

Ma i conflitti a somma zero sono poco interessanti, perché schiacciano la creatività di un gioco in un formalismo troppo schematico (tutto il mondo è racchiuso nel conflitto tra i due). Questa creatività riappare con i giochi a somma non zero, dove ambedue i giocatori possono anche vincere assieme o perdere assieme (ovviamente, grazie al coinvolgimento di terzi; che però nel gioco formale non fanno mosse e quindi, come giocatori, non esistono).

E’ da sottolineare che questa modifica rappresenta il cambiamento effettivo avvenuto nella storia delle guerre. Quando i Romani vincevano, le loro perdite erano trascurabili e i guadagni (il bottino) erano tutti a carico del perdente. Ora invece (seconda guerra mondiale, Jugoslavia) chi vince è costretto ad aiutare chi perde (per evitargli tracolli economici che trascinerebbero anche il vincitore); o addirittura chi vince, vince solo con il suo esercito, mentre la sua popolazione resta disastrata o distrutta (ad es. il Vietnam del Nord rispetto agli USA).

Per dare almeno un cenno di questo grande campo di ricerca, esaminiamo un suo gioco: il famosissimo dilemma del prigioniero, su cui c’è una ampia letteratura, sia matematica che filosofica.9 A causa di un delitto, la polizia arresta due delinquenti, che sa che quasi sicuramente l’hanno commesso; ma non ne ha le prove. Li pone in due celle separate, dove ognuno ha due strategie: confessare (C) o non confessare (NC). La matrice del gioco (ottenuta sovrapponendo le due matrici dei pagamenti per i due giocatori) è la seguente (i numeri contano solo come scala di preferenze).

Tab. 1: GIOCO DEL DILEMMA DEL PRIGIONIERO 

                    C                    NC

C                -5, -5              5, -10

NC            -10, 5               0, 0

Il caso (-5, -5) è il risultato della confessione di ambedue: indica la loro giusta condanna. Il caso (5, -10) significa che se il secondo non confessa e il primo sì, questi è premiato dalla polizia come “collaboratore”, mentre il tribunale raddoppia la giusta pena al secondo perché questi non ha confessato. Analogamente il caso (-10, 5). Ma se nessuno dei due confessa, la polizia, rimasta senza prove, li deve liberare: (0,0).

Ora, qualsiasi regola che scelga la strategia in modo cautelativo (e anche la regola matematica di Neumann) porta i due a scegliere C, cioè la coppia di strategie (C,C), che fa ottenere (-5, -5); quando invece è evidente che (NC,NC) è la coppia migliore, perché dà (0, 0). Ma quest’ultima strategia richiede la cooperazione tra i due, al di là di ogni dubbio o diffidenza. Da qui il conflitto di due razionalità opposte; quella cautelativa matematizzata, e quella cooperativa ma non basata su prove formali.

Questo gioco è eccezionale. Tutta la scienza tradizionale esclude i paradossi e le contraddizioni; cosicché non si ragiona mai su un conflitto di razionalità diverse. La teoria dei giochi invece lo può fare, mediante questo gioco particolare (e vari altri).10

Si noti che la stessa corsa agli armamenti, che Richardson aveva formalizzato con due equazioni differenziali, qui viene formalizzata con otto numeri; basta sostituire A (armarsi) a C, e NA (non armarsi) a NC. La struttura logica delle soluzioni di Richardson è la stessa di questo gioco: le nazioni si dissanguano per armarsi, a causa della diffidenza reciproca; benché sia evidente che, se cooperassero senza armarsi, ambedue ci guadagnerebbero molto.

Per di più, adesso il gioco rappresenta anche la strategia cooperativa ed il suo contrasto radicale con la strategia bellica. Come si vede, la semplificazione drastica del formalismo matematico non ha impoverito la rappresentazione della realtà, ma anzi l’ha arricchita. Ciò va contro l’aspettativa generale degli scienziati, e può essere elemento di riflessione per qualsiasi applicazione della matematica (ad es. la termodinamica e la chimica, la cui matematica è semplice, sono forse meno universali, nel loro campo di fenomeni, della meccanica, la cui matematica è sofisticata?).11

Ci sono poi altre formalizzazioni dei fenomeni conflittuali, ad es. la formalizzazione statistica dei conflitti mortali e guerre. Essa è molto istruttiva, perché mostra che le guerre si distribuiscono nella storia (e sotto tutti i parametri possibili) secondo una distribuzione che si chiama poissoniana, quella che è tipica dei fenomeni casuali: cioè (come sempre hanno detto i saggi) le guerre, viste sui tempi lunghi, sono fenomeni storici casuali!12 I professori di storia lo sanno?

Inoltre si può mostrare che anche la fisica ha la capacità di insegnare conflitti. Per brevità, su questo tema rimando ad altre pubblicazioni.13

  1. Il conflitto in logica: la sua didattica

Ma tutto ciò è forse difficile da insegnare? Forse richiede conoscenza tecniche superiori, o capacità intellettuali che solamente i più bravi della classe possono avere? La pubblicazione degli Insegnanti Nonviolenti dimostra che questo non è vero; tanto che riporta come E. Castelnuovo ha trovato una maniera di insegnare la poissoniana alle scuole elementari!

E se anche fosse vero che ciò che precede è difficile da insegnare, certamente non lo è il conflitto più interessante, quello che riguarda direttamente la nostra mente: il conflitto nella logica. Esso può essere insegnato appena si acquisti conoscenza della lingua che si usa; esso, anzi, favorisce quell’esercizio logico di sintassi che la scuola si sforza di insegnare attraverso una serie di regole specifiche.

Nel passato la logica classica ha dominato fino al punto da quasi escludere ogni altra logica. Ma, come si diceva dianzi, nel secolo XX la ricerca di logica matematica ha chiarito che esistono più logiche, che sono altrettanto importanti. Inoltre ha chiarito che la legge discriminante tra la logica classica e (quasi tutte) le altre logiche è quella della doppia negazione, piuttosto che quella del terzo escluso.14

Nel seguito sfrutteremo questo avanzamento. Basta notare che nei testi scientifici ci sono frasi doppiamente negate, le quali non sono equivalenti alle corrispondenti positive per mancanza di evidenza nella realtà (FDN); quindi appartengono alla logica non classica, perché per loro non vale la legge della doppia negazione. Ad esempio, la frase: “E’ impossibile il moto che non ha fine” (anche nel seguito le negazioni verranno sottolineate per facilitare il lettore nel riconoscerle nelle FDN) non è equivalente all’affermazione: “Ogni moto ha una fine”, perché questa seconda frase, essendo affermativa, è obbligata a dare a priori le prove operative del luogo e del momento finale della fine del moto; a causa dell’imprevedibile attrito ciò non è possibile.

Se un autore scientifico usa FDN, ciò significa che egli ragiona in logica non classica; la quale ovviamente introduce ad un mondo intellettuale del tutto differente da quello della logica classica.

Nei testi originali di Freud e di Marx si trovano molte FDN. In particolare si trovano in uno scritto molto breve e leggibile da chiunque, in cui Freud ha espresso il metodo della psicanalisi.15 Freud evoca la scena usuale della stanza dell’analista: il paziente, steso sul lettino, racconta i suoi sogni; egli dice ad es. che ha sognato di essere andato a trovare la madre; ma ad un certo punto dell’incontro, avvenuto in cucina, la madre l’ha fatto tanto arrabbiare che gli è venuta voglia di prendre un coltello sul tavolo e di ammazzarla; ma, aggiunge il paziente: “Però io non volevo ammazzare mia madre”. L’analista deve cogliere al volo questa negazione e, a sua volta, deve negare quella frase: “Non è vero che il paziente non voleva ammazzare la madre”. Infatti, dice Freud, la negazione linguistica è il segnale di un processo di negazione interiore (soppressione e rimozione) di un trauma, che ancora tormenta il paziente; e che, come tutte le cose inconsce, viene a galla solo quando il suo Io allenta la pressione oppressiva, in particolare nei sogni.

Quello che fa l’analista (negare la negazione del paziente) pone un inizio, un principio di quel metodo di indagine sul paziente che può risolvere il conflitto psichico; quindi un principio metodologico. (Oltre che sul lavoro del singolo analista sui sogni del singolo paziente, Freud ha teorizzato più in generale sui sogni di tutti i pazienti; allora il suo principio metodologico è espresso da un’altra FDN: Non è vero che i sogni non siano realtà).

Questa differenza tra logiche differenti è semplice, alla portata di tutti i livelli della didattica, anche della quinta elementare. Essa inoltre è utile per eliminare gli abusi di linguaggio (del tipo: “Non c’è nessuno”; che invece dovrebbe essere: “Non c’è alcuno”; oppure “Non mi hai dato niente!”; invece di “Non mi hai dato alcunché”), o a sottintendere pezzi importanti della frase. Ad es., Popper. “La scienza è fallibile [a causa di esperimenti negativi]”; Jonas: “L’etica della paura [del suicidio dell’umanità]”; in modo da avere una precisa corrispondenza tra pensiero e linguaggio, tale che la mente possa aver fiducia nelle parole che esprimono il suo pensiero.

Poi si può notare che in logica c’è un conflitto ancor più ramificato; ad esempio esaminare (nel liceo) la differenza tra implicazione materiale e implicazione intuitiva; e poi studiare i rimedi che si possono portare (secondo le diverse logiche). Allora finalmente lo studente potrebbe affrontare la logica non in quella maniera scorretta che viene suggerita dalla filosofia mediante qualche idea del sillogismo aristotelico e poi con la fumosa dialettica di Hegel (o con quella tutta da riconoscere di Marx; si ricordi che su diamat = materialismo dialettico, si è fondato un regime di potere, l’URSS, che ha dominato le menti delle persone di metà del mondo per il periodo di tre generazioni).

Ancor più in generale, è chiaro che se si ragiona con FDN, non si può ragionare deduttivamente da poche frasi prese come assiomi certi. Ogni FDN (vedasi ad esempio quella del moto perpetuo, o quelle di Freud), indicano una ricerca, non una sicurezza; una induzione, non una deduzione. Induzione a che fine? A quello di risolvere un grande problema; che nella termodinamica, dove l’impossibilità del moto perpetuo è servita a fondare quasi tutta al teoria, è “Non è vero che il calore non è lavoro”; e nella meccanica che ha usato lo stesso principio, è il problema di conoscere le caratteristiche principali del movimento; in Freud è quale sia il trauma del paziente; e in Marx il problema è come superare storicamente il capitalismo. Ecco che allora appare una novità ancor più importante: il conflitto nella logica è la espressione più precisa di un conflitto più generale, quello tra due tipi di organizzazione di una teoria: o una organizzazione deduttiva, che ricava tutte le verità dalla verità delle poche proposizioni iniziali (principi-assiomi), o una organizzazione che, in maniera induttiva, cerca e trova un nuovo metodo che risolva un dato problema.

In definitiva, la organizzazione della teoria non è più solo quella deduttiva indicata da Aristotele, ma è anche quella induttiva. Allora capiamo che è molto importante chiarire che esiste un conflitto in logica, perché altrimenti non saremo mai padroni della nostra mente, né sapremmo in quale organizzazione del pensiero ci troviamo. In particolare, stando attenti alla presenza di FDN, si ha un nuovo metodo di analisi logica, che permette di decidere sia se l’autore ragioni o no con precisione logica in logica non classica, sia che tipo di ragionamento egli segua, sia che organizzazione egli abbia dato alla sua teoria.

  1. Il conflitto nella didattica della fisica e nella didattica della chimica

Ma esistono conflitti all’interno delle scienze della natura?

Consideriamo la scienza che si insegna nelle scuole superiori. Essa cerca giustamente di qualificarsi al livello di teorie scientifiche; infatti, che di più educativo e formativo dell’insegnare a quali altezze intellettuali è giunta la mente umana, partendo dai dati di fatto sperimentali?

Queste teorie contengono in maniera essenziale la matematica. Nelle scuole giustamente si insegna almeno quel minimo livello di matematica col quale poter introdurre le teorie scientifiche più importante (anche se non le più recenti). Ad es., la didattica della fisica insegna l’ottica geometrica; questa richiede la conoscenza di quasi solamente la geometria euclidea, che si impara sin dalla scuola elementare. Si noti che questa geometria, giustappunto per lo spirito dei greci antichi, non usa l’infinito, ma solo l’illimitato; ovvero l’infinito solo potenziale (cioè l’infinito che è approssimabile ma mai è raggiungibile). E’ vero che nell’ottica la formula delle lenti sottili può portare l’immagine all’infinito; ma qui si tratta di un infinito virtuale, perché riguarda non l’oggetto materiale o la lente, ma l’immagine che è immateriale.

Invece poi la meccanica classica richiede concetti matematici più avanzati; chi fa il liceo scientifico deve imparare i concetti (approssimativi) di derivata e integrale. Essi sono nati mediante gli infinitesimi dx e dt; che sono numeri definiti come inferiori a qualsiasi altro numero superiore a 0; ovvero, come l’inverso del numero infinito. Quindi questo è l’infinito che è un numero come qualsiasi altro; o è il punto finale di una retta, anche se nessuno è mai arrivato là).16 In definitiva, nell’insegnamento della fisica si nasconde un conflitto sul tipo di matematica usata: o la matematica (solo finita o) basata sul solo infinito potenziale, o la matematica basata sull’infinito in atto.

Ovviamente, nelle varie teorie fisiche questi due tipi di infinito danno luogo a concetti molto diversi. Ad esempio, in meccanica è essenziale il tempo come variabile continua, con cui si calcolano le derivate e gli integrali dell’analisi infinitesimale; mentre invece la termodinamica, che non ha bisogno di infinitesimi e di infiniti, usa una matematica elementare: il suo tempo è solo quello dualistico del prima-dopo una trasformazione.

Così pure il concetto di spazio comporta un analogo conflitto; tra il concetto che vale nella ottica e nella meccanica, cioè quello che riguarda l’infinito universo, matematizzato con tre assi cartesiani; e il concetto di spazio della termodinamica, che è tutto diverso: è racchiuso in un volume di misura data (sempre finita).

Ma chi spiega ciò allo studente? Gli si insegnano le teorie differenti, e differentemente fondate, solo per i loro risultati e presentando i loro concetti teorici come se ogni volta fossero calati dal cielo.

Ma allora ci accorgiamo che con la precedente analisi abbiamo individuato due conflitti che sono nei fondamenti di una teoria scientifica: quello sul tipo di infinito (o potenziale o in atto) e quello sulla organizzazione della teoria; questo secondo è equivalente a quello su due tipi di logica: o classica per la deduttività, o non classica (con le FDN) per l’induzione. Questi due conflitti possono essere visti in maniera più concreta nelle due grandezze fisiche che di solito sono basilari, tempo e spazio: il tempo continuo o quello prima/dopo; o lo spazio infinito, o quello confinato.

In sintesi:

1° i fondamenti di una teoria scientifica hanno sempre due conflitti, non sovrapponibili tra loro.

2° Ogni conflitto è dovuto ad un concetto filosofico – o l’infinito, o l’organizzazione – che poi, nella storia della scienza, è stato oggettivato e formalizzato mediante una specifica teoria scientifica: rispettivamente, la matematica (dell’infinito) e la logica matematica.

3° Ogni conflitto nasce perché ognuno dei due concetti filosofici è suddiviso in due scelte possibili:

– l’infinito in atto (IA) o potenziale (IP), che sono alla base rispettivamente della matematica classica e della matematica costruttiva;

– l’organizzazione assiomatica (OA) o problematica (OP), basate rispettivamente sulla logica classica e sulla logica non classica.

4° In ogni conflitto, le due scelte sono incompatibili tra loro e le teorie con scelte differenti sono tra loro incommensurabili.

5° Complessivamente, tutte le teorie scientifiche esprimono, con le loro scelte, quattro modelli di teoria scientifica, che seguono quattro tipi di razionalità scientifiche, separati dalle loro incommensurabilità.

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Tab. 2: I FONDAMENTI DELLA SCIENZA

Infinito Infinito in Atto Matematica Classica
Infinito Potenziale Matematica Costruttiva
Organizzazione Organizzazione per Assiomi Logica Classica
Organizzazione su un Problema Logica non classica

In definitiva, questa chiarificazione comporta che l’insegnamento di una teoria scientifica chiarisca i due conflitti fondamentali che stanno alla sua base.

Da questo punto di vista, come risulta l’attuale insegnamento della Fisica nelle scuole superiori? Sorprendentemente, appare a prima vista che le teorie fisiche da insegnare sono quattro: ottica geometrica, meccanica, termodinamica, elettromagnetismo. Sono esse ordinabili secondo le quattro coppie di scelte sui due conflitti? Si!

Tab. 3: I QUATTRO MODELLI DI TEORIA SCIENTIFICA E LE QUATTRO TEORIE FISICHE

OA

OP

IA

Meccanica di Newton

Elettricità e Magnetismo

traiettoria, linea di forza

IP

Ottica geometrica

Termodi-namica

distanze, processi

spaz. assoluto, sistema di rif.

campo, sistema

(In corsivo sono indicate le grandezze fisiche che più rappresentano una particolare scelta compiuta dalle teorie fisiche di quella riga o quella colonna.

In altri termini: i didatti della fisica sono stati così sagaci che, tra le tante teorie fisiche che potevano scegliere di insegnare, hanno scelto proprio quelle che rappresentano i quattro modelli di teoria scientifica, cioè tutte le coppie di scelte possibili sui suddetti conflitti. Quindi questi didatti, attraverso le loro teorie, di fatto hanno intuito i fondamenti della loro teoria scienza.17 Ma non se ne sono accorti; perciò non dichiarano la loro scoperta agli studenti. Anzi, si sforzano di presentare la fisica come unitaria, nonostante (come indica la doppia freccia nella tabella) l’accostamento di meccanica e termodinamica strida, a causa della loro incommensurabilità.

Se si esamina la didattica della chimica, si nota che essa ha sofferto il conflitto sul tipo di organizzazione. La didattica tradizionale considerava la chimica per come essa era nata: basata sul problema di quali siano gli elementi costitutivi della materia, da trovare induttivamente, mediante l’esame della miriade di tutte le reazioni possibili tra le sostanze; cioè è nata come teoria OP. Infatti essa ha usato sistematicamente le FDN; ad es., “La materia non è divisibile al non finito”; Lavoisier e Dalton: “Chiameremo elemento quella sostanza che ancora non siamo riusciti a scomporre”.

Invece, da qualche decennio, per essere più rapidi nell’avvicinare la chimica del XX secolo (quantistica), quasi sempre si insegna chimica assiomaticamente: si illustra l’atomo come se fosse una pallina (immagine impossibile, secondo la meccanica quantistica!) e poi si dà la classificazione dei suoi livelli atomici, per così presentare deduttivamente tutti gli elementi possibili. Questo conflitto tra OP e OA nella didattica è rimasto vivo, perché c’è anche un movimento contrario, per tornare alla didattica precedente. Ma senza che il conflitto sia stato indicato agli studenti.

Diversa è la situazione dell’insegnamento universitario di chimica. Lì i chimici didatti sono stati anche loro sagaci nel saper individuare quattro teorie che, di fatto, indicano i conflitti fondamentali e le articolazioni delle possibili scelte.18 Anche qui, però, non se ne sono accorti e non lo dicono agli studenti.

Tab. 4: I QUATTRO MODELLI DI TEORIA SCIENTIFICA E LE QUATTRO TEORIE CHIMICHE

IA

IP

OA

Chimica Quantistica

Chimica Fisica

OP

Cinetica Chimica

Chimica Classica

7. La didattica della matematica solo apparentemente è senza conflitti

Purtroppo la didattica scientifica che manca all’appello è quella della matematica, la didattica scientifica che più di tutte dovrebbe dare le direzioni alla cultura scientifica; anzi, oggi essa è la didattica più oscura. Certo, questa didattica deve fare anche da supporto alle altre didattiche scientifiche; q quindi deve occuparsi di molte teorie. Ma ciò non le dovrebbe impedire di insegnare che cosa è una teoria matematica in tutta generalità, cioè secondo i quattro modelli di teoria scientifica. Invece questa didattica si è accontentata del primo modello di teoria scientifica che è nato nella storia della scienza, quello euclideo; e poi ha cercato semplicemente di attenersi sempre a quello; sia imitandone, ogni volta che è stato possibile, la sua OA, come se fosse l’unica organizzazione; sia riferendosi il più possibile al finito, così come fa la n geometria euclidea con riga e compasso.

Sappiamo bene che la prima operazione è stata possibile fino ad oggi, perché nella storia non c’è stato uno scienziato autorevole che abbia proposto, mediante una nuova teoria importante, una teoria matematica esattamente in una OP. In realtà, ci sono stati: Lobacevsky, che con questa organizzazione ha proposto proprio la prima geometria non euclidea;19 e Kolmogoroff, che così ha proposto per la prima volta la formalizzazione della logica non classica, l’intuizionista.20 Ma ambedue non erano coscienti di questa loro novità, o almeno non l’hanno dichiarata; perciò è passata inosservata agli altri scienziati (oltre al fatto che anche i loro lavori sono stati quasi ignorati dagli storici).

La seconda operazione è stata più tormentata. Perché quando i matematici moderni sono arrivati ad inventare la analisi infinitesimale, che usava l’IA, giustamente si sono entusiasmati dei risultati strabilianti che ottenevano con essa. Ma allora è nato un conflitto: questa matematica era in opposizione con la matematica di riga e compasso, essenzialmente, finita. Il conflitto si è esteso alla didattica: come insegnare la matematica, restando legati al finitismo di riga e compasso, pur sapendo che quella avanzata è l’analisi infinitesimale? D’altra parte, come insegnare solo quest’ultima, che ha avuto fondamenti equivoci per due secoli e che comunque impone di scegliere l’IA, che nelle scuole superiori è chiaramente un concetto difficile da far capire agli studenti? Anzi, esso è impresentabile come concetto basilare della scienza, che pretende di essere galileianamente sperimentale, in opposizione all’apriorismo dell’aristotelismo e all’idealismo di Platone.

Qui sta tutta la storica irresolutezza della didattica della matematica; che alla fine va a insegnare un misto di concetti, spezzoni di teorie, anche una teoria, la geometria euclidea, che però è antiquata, rispetto alle teorie della modernità.21 Questo tipo di didattica può essere rappresentato, almeno fino agli anni dello Sputnik, dalla Fig. 2. Ogni freccia di una teoria indica, col punto di partenza, le scelte effettive di quella teoria, e, con il punto di arrivo, le scelte che appaiono allo studente. Si notino le tante frecce, ognuna indicante la equivocità della didattica sui fondamenti di quella teoria, e si noti l’incrocio turbinoso delle frecce. E’ chiaro che la tentazione dell’insegnante di matematica è di fare ignorare che nella didattica della matematica c’è un grande problema di fondamenti.

Questa oscurità della didattica della matematica esiste perché i matematici, ritenendo che la loro scienza è esente (dal rapporto con la realtà concreta e quindi anche) dai conflitti, la concepiscono idealmente, come un mondo “in pace”, dove tutto ha il suo posto o lo avrà sicuramente tra breve. Questa loro opinione impedisce una chiarificazione della didattica, che è molto semplice e a basso costo didattico: insegnare l’algebra booleana, che è una struttura matematica molto attraente, perché può essere vista come teoria: dei circuiti elettrici, delle leggi della logica, degli insiemi (senza necessità di vederli infiniti), dei reticoli, dei numeri a base binaria, ormai molto usati; e al liceo un esempio molto semplice di struttura algebrica, perché è simmetria ed ha il merito di introdurre a definire i numeri razionali come campo.

DRAGO_FIG10002

Essa darebbe una chiara teoria IP, perché ivi tutto è finito, e OP, perché nelle leggi della logica possono essere poste (come all’origine storica) come risultato della ricerca sul problema delle regole del ragionamento. Al suo confronto, sarebbe facile comprendere le scelte di ogni altra teoria insegnata. E la didattica così potrebbe svolgere un chiaro percorso didattico sui fondamenti della matematica tutta.

7. Conflitto e sua conciliazione per saper lavorare dentro il pluralismo

A mio parere, se non si affronta la problematica dei fondamenti, l’insegnamento scientifico resta subordinato alla cultura dei mass media (a incominciare dalle riviste divulgative, per finire alle trasmissioni TV); che è più attraente non solo perché è più facile, ma anche perché è conflittuale in tutto, anche nell’informazione scientifica. Alla cultura scolastica anche scientifica resta il ruolo di concedere quel pezzo di carta che poi permette di arrivare ad una professione remunerata (come il ruolo degli esami che nella Cina antica permettevano di diventare mandarino).

In particolare, si formano esecutori incoscienti del senso culturale delle operazioni mentali che essi eseguono; si inculca l’assenso all’ipse dixit. In altri termini, cioè si arriva ad una specie di tradimento della scientificità galileiana, oltre che della fiducia degli studenti; i quali si aspetterebbero di essere trattati da persone razionali e desiderose, da persone di lì a poco adulte, capaci di assumersi le loro responsabilità di saper vivere in pieno la vita culturale della società moderna.

Ma, mi sembra di sentire una obiezione: “Ma tutti questi conflitti non fanno altro che confondere le idee agli studenti.”

Certamente non si può imparare la critica dei concetti, se prima quei concetti non sono stati appresi. Quindi non si possono studiare i fondamenti di una casa se non si sa qual è la casa che si sta esaminando. Ma una volta che la costruzione didattica dei concetti scientifici è finita, è autoritario lasciare agli studenti la coscienza del semplice muratore, che ha messo assieme i pezzi di quella casa, senza fargli sapere a che progetto essa corrispondeva e perché le linee risultanti sono state concepite in quella maniera. Qui c’è tutta la differenza tra esecutori e persone coscienti. Non credo che ci sia una valida esigenza sociale che gli studenti in massa debbano avere una mentalità solo esecutrice; se non l’esigenza del “grande fratello” di Orwell.

Né vale la scusante che lo studente può ricostruirsi da solo quella che è la problematica di fondo, sia nella logica che nei fondamenti. E’ come dire che mangiando torte, alla fine si riesce ad imparare la ricetta con cui esse sono state fatte. La via diretta è piuttosto quella di una didattica che sa presentare e affrontare gli argomenti per i loro contenuti culturali principali, non per gli aspetti laterali, quelli più tecnici e ripetitivi. Certo, qui un insegnante avrebbe ragione a ricordare che l’Università non dà la preparazione a tutto questo; perciò, nella attuale latitanza dei programmi ministeriali e della preparazione universitaria, l’insegnante dovrebbe assumersi tutta la responsabilità di innovare autonomamente la didattica. Ma io credo che, se l’insegnante aspira minimamente ad essere una persona di cultura, e non un impiegato esecutivo che semplicemente si fa gradire dagli studenti, certamente si impegnerà in quell’attività che lo riabilita come educatore, ai suoi occhi e agli occhi degli studenti.

Certo, l’insegnante dovrebbe scendere dal piacevole e comodo dislivello che gli permette di parlare ex cathedra (sia pure condizionato dal libro di testo); sui fondamenti dovrebbe diventare un uomo di cultura, che sa indirizzare gli studenti dentro una realtà conflittuale. Ma che cosa dovrebbe desiderare di più un insegnante se non proprio questo? E che dovrebbero chiedere di più i giovani, se non essere aiutati nella loro formazione umana e culturale, che passa essenzialmente attraverso molti conflitti? Tanto più ciò vale per quegli studenti che poi all’Università proseguiranno nello studio di materie scientifiche, dove, a ragion veduta della formazione alla professione, il tecnicismo prevarrà.

E’ da notare che l’attuale situazione da superare è stata creata da operazioni culturali avvenute nel passato e oggi non più rimesse in discussione, nonostante non siano di onore per la attuale cultura. E’ stata la Rivoluzione francese che, sin dalla Éncyclopédie, ha sostenuto il primato della ragione, al fine positivo di aver la forza d’animo e la forza sociale di abbattere i poteri assoluti che dominavano la società europea. La lotta contro i giganti che i sans culotte (detto modernamente: “i senza potere”) dovevano fare poteva basarsi solo sulla ragione; perciò essi hanno così tanto sostenuto il primato della ragione da farne un assoluto e una Dea.

La successiva restaurazione, che non poteva tornare esattamente alla situazione precedente, prese in contropiede il movimento innovatore: ne accettò il primato della ragione e della scienza, ma lo subordinò al potere sociale esistente. L’aver fatto gli studi all’Università per entrare sia nella ricerca sia nella carriera dell’Università, le riviste che pubblicano articoli di ricerca solo se esaminati da altri colleghi autorevoli, la società degli scienziati, sono tutte caratteristiche che sono nate in quel tempo e che hanno formato quella si autodefiniva la “comunità scientifica”.22 Cosicché, mentre prima i gestori della ragione illuministica erano tutte le persone, compresi i popolani; dopo, i gestori della ragione sono state le comunità degli scienziati; cioè solo le persone autolegittimantesi in gruppo ed autorizzate dal potere sociale, il quale (anche se democratico) dava a quella ragione le direzioni, i limiti e i vincoli. Il tutto all’interno dell’idea che la ragione è unica per tutti (così come aveva creduto la rivoluzione francese, essendo all’inizio del suo uso sociale).

Né poi il sorgere del movimento operaio ha cambiato la situazione. Sia perché esso si è basato più che sulla ragione individuale, sulla ideologia collettiva perché solo essa era scientifica, non quella individuale. Sia perché, Engels, convinto che il progresso avrebbe portato necessariamente alla vittoria del proletariato, ha determinato un’alleanza del movimento operaio con l’ala radicale della borghesia, quella che anticipava quel progresso.23 Al centro di questo accordo, c’era proprio la unicità della ragione. Poi la seconda Internazionale socialdemocratica stabilì che, mentre le scienze sociali erano internamente divise, perché lì c’era l’alternativa scientifica del marxismo, invece la scienza della natura era unica, per proletari e capitalisti. Non si accorse che così la scientificità della ideologia operaia andava a confondersi con una generica scientificità, sulla quale l’accademia poteva giovare a piacimento.

Poi la negli anni ’50 USA e URSS, impegnandosi nella comune gara economica-tecnologica ribadirono la unicità della scienza. Che negli anni ’60 fu contestata dagli studenti, che gridarono “La scienza non è neutrale!”; senza però riuscire ad avere conseguenze istituzionali.

Quindi ci sono precise circostanze storiche che hanno fatto nascere il dogma della unicità della ragione; il quale è rimasto e oggi si mantiene perché non ci sono state mai grosse forze sociali che lo abbiano messo in discussione. Troppi politici oggi preferiscono l’irrazionalismo o il relativismo; e troppi filosofi preferiscono fare la filosofia dei sentimenti.

Fortunatamente da qualche decennio è sorto un movimento ecologico che ha chiesto un progresso diverso, tale che darci una migliore qualità della vita piuttosto che una maggior quantità di vita (consumistica). Nella gente si è diffusa la coscienza che si può e si deve “fermare il progresso scientifico”, come quello delle centrali nucleari (referendum negativi in molti Paesi, a incominciare da quello dell’Austria nel 1976). Si è anche capito che questa nuova politica discende da una innovazione politica radicale del secolo XX: la nascita di un metodo nonviolento nel risolvere i conflitti: prima Gandhi con la liberazione dell’India e poi le liberazioni nonviolente dei popoli dell’Est nel 1989 hanno dimostrato che esiste un’altra razionalità nel risolvere le guerre; una razionalità che è diversa da quella scientifica tecnologica che ha portato alla folle corsa alle armi (ad es. nucleari, ma anche batteriologiche e metereologiche) che minaccia cupamente il suicidio dell’umanità.

D’altronde non era difficile capire che ci sono più razionalità sulla base della esperienza generale: la ragione greca non aveva mai messo in conto la razionalità femminile, che certamente non è quella maschile. E noi l’abbiamo visto in precedenza (par. 5): non la filosofia o la ideologia politica, ma la logica matematica porta a differenti razionalità, formalizzate rigorosamente in logiche diverse e incompatibili tra loro. Le varie scienze pure: la razionalità della termodinamica non è quella della meccanica di Newton.

Ma allora come si sceglie sulla scienza? Lo abbiamo visto considerando i quattro modelli di teoria scientifica. E quale è il risultato di queste scelte? Non l’irrazionalismo, o l’indifferentismo, o la vita dei soli sensi; ma il pluralismo di un numero preciso di razionalità, in accordo con quella enorme esperienza storica che è stata la scienza occidentale; esperienza che, una volta conosciuta nei suoi fondamenti, resta come guida sapienziale per l’umanità.

Ma allora il problema vero non è se la ragione sia unica, ma il suo legame con l’etica (delle scelte). In Occidente la scienza ha sempre subordinato l’etica, invitando la gente a “saper convivere con il progresso” senza resistergli; cioè, ad adeguarsi ad esso anche se comportava profondi cambiamenti di modelli di vita (si pensi ad esempio a come l’ingresso della automobile ha cambiato la vita della gente: così tanto che il suo possesso anticipa e precostituisce il formare la propria famiglia; oppure si pensi a come ha cambiato la mente della gente lo stare quattro ore al giorno (media europea) davanti alla TV, o l’avere un cellulare per passare un gran parte della vita per comunicare con persone lontani; e per dire che cosa?). La giustificazione presentata alla gente che essa deve accettare di buon grado il “costo umano del progresso”, anche se in Italia ci sono 5.000 morti l’anno per incidenti stradali e che ci sono le morti programmate (statisticamente) a causa dell’uso della radioattività in mille applicazioni sociali (ad es. impedire che le patate diano getti). Il tutto giustificato con il fatto che la ragione è unica, quindi la scienza è unica, quindi non ci sono alternative a questo progresso tecnologico e sociale.

Allora il salto culturale che è da fare può essere rappresentato dalla seguente tabella, dove si vedono i due rapporti scienza-etica che si confrontano. Il contrasto dei due atteggiamenti sta tutto sulla collocazione dell’unità: se su una costruzione intellettuale, incomprensibile dai fruitori e incontrollabile dalla società; oppure sul genere umano, e quindi la solidarietà con le persone.

Tab. 3: DUE ATTEGGIAMENTI SU SCIENZA ED ETICA: L’OCCIDENTALE E IL NONVIOLENTO

Occidentale

Nonviolento

SCIENZA

Unità della scienza (tra teorie scientifiche non esistono conflitti irriducibili): “La” scienza Le teorie scientifiche hanno tra loro conflitti che sono irriducibili

CONFLITTO

Ci sono conflitti umani che non sono risolvibili senza distruggere una delle parti E’ impossibile che un qualsiasi conflitto non sia risolubile, data la unità del genere umano

1 Questo punto è stato messo in luce molto bene da A. Koyré: Dal mondo chiuso all’universo infinito, Feltrinelli, Milano, 1970.

2 In proposito è utile l’articolo di P. Cerreta e A. Drago: “50 anni di didattica della fisica, Il tempo nella scuola, 7 (1992) aprile, 14-17.

3 A. Drago e G. Forni: “A chi serve l’insiemistica?” Scuola Documenti, n.14 (1978), 40-48.

4 Anche negli USA l’insiemistica fu di moda. Contro di essa scrisse M. Kline: “Why John does not add”.

5 Una rassegna di questi argomenti, tale da essere presentata agli studenti delle scuole superiori, è in Insegnanti nonviolenti: Matematica della guerra, Ed. Gruppo Abele, Torino, 1987. Per gli insegnanti è utile A. Drago: “La matematica è senza conflitti? Matematica dei conflitti e conflitti in matematica”, Atti Fond. Ronchi, 55 (2000) 243-259.

6 Note bibliografiche su Richardson e alcuni articoli originali sul tema sono in J. R. Newman (ed.): The World of Mathematics, Schuster, New York, 1956, vol.II, 1238-1265. Una biografia scientifica di Richardson: O.M: Ashford: Prophet or Professor?, Hilger, Bristol, 1985.

7 J. von Neumann, O. Morgenstein: Theory of games and economic behavior, Princeton U. P. . I cinquant’anni della nascita di questa teoria sono stati celebrati con l’assegnazione del premio Nobel per l’economia.

8 Di A. Rapoport è classico: Strategia e Coscienza, Bompiani, Milano, 1963. I libro illustra la teoria dei giochi ad un livello più intelligente ed approfondito di quello dei tanti libretti in libreria con questo titolo; ed è anche una applicazione del gioco più famoso, il dilemma del prigioniero, ai rapporti USA-URSS.

9 Questo gioco ha formalizzato il contenuto di una novella (a rigore, la teoria dovrebbe introdurre il gioco giustificando la scala di preferenze rappresentata poi dalla tabella; io qui semplifico, riferendomi ai significati intuitivi che la novella fa associare ai numeri).

10 In letteratura questi paradossi vengono dati per risolti mediante la teoria degli equilibri di Nash. Ma, come lo stesso teorema di Minimax, essa è basata su operazioni non costruttive, che cioè si appellano all’infinito in atto. Vedasi il mio: “Finite game theory according to constructive, Weyl’s elementary, and set-theoretical mathematics”, Atti Fond. Ronchi, 57 (2002) 421-436.

11 A Drago, G. Toraldo: “Il dualismo discreto-continuo nella storia delle teorie matematiche della guerra”, in S. D’Agostino, S. Petruccioli (eds): Atti V Conv, Naz. Storia Fisica, Acc. dei XL, Roma, 1985, 375-382.

12 Un articolo originale è riportato in J. R. Newman: op. cit.. In A. Drago: “La matematica…,”, op. cit., c’è una breve illustrazione. In Insegnanti nonviolenti: op. cit., è riportato un altro caso interessante di statistica dei conflitti.

13 A. Drago e A. Pirolo: “Urto, teorie meccaniche e nonviolenza”, in A. Drago, M. Soccio (ed.): Per un modello di difesa nonviolento, Editoria Univ, Venezia, 1995, 192-208. A Drago e A. Sasso: “Entropia e difesa”, in G. Stefani (ed.): Una strategia di pace: La difesa popolare nonviolento, Fuorithema, Bologna, 1993, 153-162; A. Drago: “Modelli logici, matematici e fisici dei conflitti e delle loro soluzioni”, in M. Zucchetti (ed.): Contro le nuove guerre. Scienziati e scienziate contro la guerra, Odradek, Roma, 2000, 73-81.

14 D. Prawitz and P.-E. Malmnaess: “A survey of some connections between classical, intuitionistic and minimal logic”, in A. Schmidt and H. Schuette (eds.): Contributions to Mathematical Logic, North-Holland, Amsterdam, 1968, 215-229; J.B. Grize: “Logique” in J. Piaget (ed.): Logique et connaissance scientifique, Éncyclopédie de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1970, 135-288, pp. 206-210; M. Dummett: Elements of Intuitionism, Claredon, Oxford, 1977. Una mia illustrazione è: “Il ruolo della logica non classica nei fondamenti e nella didattica della scienza”, A. Repola Boatto (ed.): Pensiero scientifico, Fondamenti ed Epistemologia, IRRSAE Marche, Ancona, 1997, 191-209 e “Traduzione, doppia negazione ed ermeneutica”, Studium, 99 (2003) 769-780.

15 S. Freud: “La negazione” (1925), in Opere, Boringhieri, 1980, vol. X; per una interpretazione di questo scritto mediante le doppie negazioni, si veda A. Drago e E. Zerbino: “Sull’interpretazione metodologica del discorso freudiano”, Riv. Psicol., Neurol. e Psichiatria, 57 (1996) 539-566.

16 Si noti che la successiva fondazione dell’analisi, data da Cauchy e Weierstrass, quella di definire il limite mediante la tecnica dell’ε-δ, non ha eliminato affatto l’infinito in atto; vedasi E.G. Kogbetlianz: Fundamentals of Mathematics from an Advanced Point of View, New York : Gordon & Breach, 1968, App. II.

17 Per maggiori particolari si veda il mio articolo: “Lo schema paradigmatico della didattica della Fisica: la ricerca di un’unità tra quattro teorie”, Giornale di Fisica, 45 n. 3 (2004) 173-191.

18 Maggiori particolari nell’articolo di C. Bauer e mio: “Didattica della chimica e fondamenti della scienza”, Atti XI Conv. Naz. Storia e Fondamenti della Chimica, Acc. Naz. Sci. XL, 123, vol. 29, 2005, Torino, 2005, 353-364.

19 Vedansi i lavori S. Cicenia e A. Drago: “Didattica delle geometrie non euclidee: quali proposte?”, Period. Matem., 63 (1987) 23-42; “La logica non classica nella geometria non euclidea di Lobacevskij”, B. Rizzi et al. (eds.): Matematica moderna e insegnamento, Ed. Luciani, Roma, 1993, 434-442; “The organizational structures of geometry in Euclid, L. Carnot and Lobachevsky. An analysis of Lobachevsky’ s works”, In Memoriam N. I. Lobachevskii, 3, pt. 2 (1995) 116-124; La Teoria delle Parallele secondo Lobacevskij (con inclusa la traduzione e cura di I. N. Lobacevskij: Untersuchungen der Theorien der Parallelellineen, Finkl, Berlino, 1840), Danilo, Napoli, 1996,

20 A. Drago: “A.N. Kolmogoroff and the Relevance of the Double Negation Law in Science”, in G. Sica (ed.): Essays on the Foundations of Mathematics and Logic, Polimetrica, Milano, 2005, 57-81.

21 Per maggiori particolari vedasi il mio articolo: “La Tradizionale didattica della Matematica tra astrattismo e strumentalismo”, in G. Ferrillo (ed.): Atti convegno sulla didattica delle scienze, Aversa, 2008 (in stampa).

22 Si veda la eccellente descrizione data da J. Ben-David: Il ruolo dello scienziato nella società, Il Mulino, Bologna, 1974.

23 Marx, che era stipendiato da Engels, non fu d’accordo ed ebbe il coraggio di scriverlo ne La critica del programma di Gotha (1875), Ed. Riuniti, 1974 (Gotha era la città dove c’era il congresso della socialdemocrazia che avrebbe deciso questa alleanza).

CONSIDERAZIONI SULLE GEOMETRIE NON EUCLIDEE del Dott. Antonino Drago, Università di Pisa

NDC

Abbiamo ricevuto dal dott. Antonino Drago  i suoi due pregevoli interventi già pubblicati sulla rivista ‘MATEMATICAMENTE‘ e riportati in due files, da inserire direttamente nel nostro Blog. Rimarranno in questo Post separato per qualche tempo per renderli più visibili, poi li inseriremo insieme agli altri in un unico Post (Geometria e Natura) dedicato alle Geometrie  non Euclidee ed altro, secondo il nostro criterio che ‘guarda’ lo stesso oggetto culturale da più punti di vista, per renderlo meglio assimilabile.

Rimaniamo disponibili a inserire nel nostro Blog anche gli altri articoli scientifici che il dott. Drago vorrà inviarci (es., articoli sulla didattica ed epistemologia della matematica e fisica, sull’insegnamento della relatività e della teoria dei quanti…; anche riproporre lavori già pubblicati, se possibile).

Anonimo

(dott. Piero Pistoia, NDC)

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