PROCESSO INDIZIARIO E RICERCA DEGLI INDIZI: post aperto a più voci; a cura dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia; con articoli del dott. Giuseppe de Lalla, avv. ed altri

POST IN VIA DI COSTRUZIONE…

LA PREMESSA

di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

(riflessioni sopra le righe)

(Una specie  di “danni collaterali” su cittadini innocenti nel ricercare indizi nei processi penali)

 

Per leggere LA PREMESSA dei docenti Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia in pdf cliccare sul link:

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N.B. In riferimento ai motivi, ipotizzati nell’articolo precedente, leggibile dal link, per cui alcuni degli interpellati non avrebbero prodotto interventi, si precisa che invece per i due marescialli contattati, in quanto militari,  avrebbe comportato  seguire svariati percorsi  burocratici, per es., richiedere permessi ai superiori ed altro, con non trascurabile aggravio di lavoro.

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LE CRITICITA’ TIPICHE DELLA LETTURA DEGLI INDIZI A CARICO DELL’ACCUSATO. DALLE INDAGINI AL PROCESSO  dell’avv. Giuseppe Maria de Lalla

SITO: http://www.studiolegaledelalla.it

 

Per leggere lo scritto dell’avvocato De Lalla in pdf cliccare sul link:

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Ovvero  leggere direttamente:

LE CRITICITA’ TIPICHE DELLA LETTURA degli indizi a carico dell’accusato.

DALLE INDAGINI AL PROCESSO

Avv. Giuseppe Maria de Lalla

Il codice di procedura penale non dà una definizione né del concetto giuridico di prova né di quello altrettanto fondamentale di indizio sebbene i due termini – come è di intuitiva evidenza – siano di fondamentale importanza in tutta l’architettura del codice e, soprattutto, nel momento pratico dell’attuazione del diritto.
L’indizio – come si ricava dalla teoria del diritto applicato ovvero la Dottrina e la Giurisprudenza – è definibile come 
quel ragionamento logico deduttivo che nasce ed ha per oggetto un fatto storico diverso da quello che deve essere provato nel procedimento penale (ovvero la fattispecie di reato contestata) ma dal quale è possibile dedurre l’esistenza del reato vero e proprio (del quale il processo penale deve accertare l’esistenza e la paternità).


La prova, diversamente, è un ragionamento che 
da un fatto noto permette di risalire direttamente ad un altro fatto avvenuto nel passato.
Il citato art. 192 c.p.p. indica i tre criteri guida alla luce dei quali è legittimo dedurre dagli indizi l’esistenza di un fatto (reato, ma non solo).
Occorre, invero che gli indizi siano:
– 
Gravi: ovvero abbiano pregnante capacità dimostrativa;
– 
Precisi: non possano essere oggetto di numerose diverse interpretazioni;
– 
Concordanti: ovvero non contrastanti tra di loro né con altri elementi di certi (ovvero di prova).
La criticità della prova indiziaria 
è tutta nella sua potenziale interpretabilità poiché – diversamente dalla prova diretta che offre un collegamento fattuale tra due evenienze certe – consta di un processo mentale (del Giudicante) costituito da inferenze e deduzioni che, come tali, sono caratterizzate da un imprescindibile grado di soggettività e, quindi, di effettiva incertezza.
Si tratta, invero, di un percorso logico (o, meglio, che dovrebbe essere sempre tale) che permette la ricostruzione di un avvenimento passato partendo da un accadimento conosciuto che, tuttavia, 
non può essere considerato univocamente il diretto correlato del fatto storico da ricostruire.

La particolarità e la difficoltà dell’indizio è proprio questa: può essere la traccia di qualcosa ma anche di qualche cosa d’altro.

Il Legislatore dimostra di essere del tutto consapevole della criticità (e, direi, anche della pericolosità) insita nell’indizio quale strumento per la ricostruzione di un fatto-reato passato; tanto è vero che, indicando le linee guida dell’interpretazione della prova indiziaria (o indiretta), specifica nella prima parte del già citato comma 2 dell’art. 192 c.p.p. che la responsabilità penale basata sugli indizi è l’eccezione e non già la regola (….l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi….).
Del resto, la lettura dell’indizio a carico dell’accusato è un effettivo 
vulnus che contraddistingue il procedimento penale tutto e non già solo la fase processuale dell’accertamento del merito; del resto – come cercherò di illustrare oltre – la parità tra accusa e difesa di fronte ad un Giudice terzo (parità che è il presupposto di una corretta interpretazione ed applicazione pratica del procedimento mentale tipico dell’indizio) è, per certi aspetti, fisiologicamente irraggiungibile nel nostro ordinamento.

In relazione alla fase procedurale anteriore a quella dell’accertamento del merito (ovvero quella delle investigazioni) bisogna sottolineare che gli investigatori (coordinati dal Pubblico Ministero) sono sempre esposti a quella che viene chiamata visione a tunnel” ovvero una interpretazione dei dati raccolti durante le indagini (e, quindi, massimamente degli indizi) di stampo marcatamente verificazionista ovvero tesa a supportare una tesi investigativa loro rappresentatasi come la più plausibile di tal che le forze e le menti di coloro che sono deputati a indagare si concentrano a individuare, raccogliere e valorizzare soprattutto quegli elementi (gli indizi) che rafforzano la tesi di partenza non coltivando altre ipotesi (si tratta delle tanto vituperate e note nei dibattiti massmediologici “indagini a senso unico”).
E’ ovvio che tale approccio può essere un grave ostacolo – fin dalle prime battute del procedimento penale – alla effettiva corretta ricostruzione dei fatti accaduti (e, ovviamente, prologo di un errore giudiziario e, spesso, di una illegittima applicazione di una misura cautelare coercitiva).
Mi preme altrettanto sottolineare che tale pericolo non è frutto di una diffusa incapacità o – men che meno – di mala fede delle Forze dell’Ordine (
che hanno un compito sempre obbiettivamente difficile non foss’altro per le condizioni in cui operano e che annoverano nelle loro fila menti tra le più fulgide e preparate nel campo della criminalistica e delle scienze forensi); bensì un bias del tutto naturale ed umano per il quale siamo tutti più propensi ad adottare una condotta non falsificazionista rispetto alle nostre convinzioni.
Un buon investigatore sa che la “visione a tunnel” non è mai eliminabile del tutto ed occorre saperla gestire sebbene sia quasi impossibile dominarla del tutto (e sicuramente la collegialità dell’organo investigativo può essere un buon modo per contenerne gli effetti maggiormente deleteri).

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Ugualmente la fase processuale dell’accertamento del merito può ed è spesso lo sfondo per una lettura a senso unico degli indizi apparentemente a carico dell’imputato.
Lettura patologica che, come sopra accennato, trova il suo presupposto in una solo apparente parità delle parti (accusa e difesa) al cospetto del Giudice.
Anche in questo caso – quando il Giudice è vittima della visione a tunnel – le ragioni vanno individuate 
in un approccio psicologico a cui non sfugge nemmeno il giudicante uomo tra gli uomini.
Si pensi, infatti, all’apertura di un dibattimento (sede di accertamento del merito di quasi tutti i processi indiziari per i quali è spesso controproducente scegliere un rito alternativo come l’abbreviato ove gli spazi per la difesa risultano assai contratti potendosi basare solo sui documenti del fascicolo dell’accusa) all’inizio del quale il Giudice non è a conoscenza degli atti delle indagini preliminari (custoditi nel fascicolo del Pubblico Ministero).
Ebbene, la terzietà del Giudice che dovrebbe essere garantita dalla mancata conoscenza degli atti di indagine e che dovrebbe essere il logico presupposto di una corretta ed equilibrata lettura degli indizi, in realtà è minata dalla stessa architettura del processo penale.

Il Giudice, infatti, è chiamato a giudicare dopo che:
– Si è verificato un accadimento storico che, quantomeno, appare avere glie stremi del fatto reato;
– Quel fatto ambiguo ha dato il via alle indagini sulle quali hanno lavorato gli inquirenti che, evidentemente, ritengono di aver sufficienti elementi a carico dell’accusato;
– Il PM (un collega del Giudice) ha promosso l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio;
– Il GUP (il Giudice dell’udienza preliminare, un altro collega del Giudice) a seguito dell’udienza preliminare ha deciso che vi sono sufficienti elementi per rinviare a Giudizio l’imputato;
– Magari l’imputato è anche stato sottoposto ed è sottoposto ad una misura cautelare ritenuta legittima da un altro suo Collega (il GIP che ha deciso durante la fase delle indagini preliminari);
– E, dulcis in fundo, dopo che l’imputato (magari con qualche precedente) gli viene presentato in aula incatenato e accompagnato due guardie penitenziarie.
Certamente, non paiono del tutto realizzatisi i presupposti per un giudizio davvero super partes e di una lettura a tutto tondo degli indizi che, peraltro, sono individuati, raccolti e dedotti dall’accusa pubblica (spesso affiancata da quella privata).

La difesa dell’imputato, quindi, si trova immediatamente in una situazione particolarmente svantaggiosa con una chiara disparità “situazionale” oltre che di mezzi, risorse (rispetto agli investigatori) e, addirittura, di tempo (infatti, il processo ha le sue rigide tempistiche scandite dal Giudice e dalla procedura mentre, al contrario, i tempi delle indagini preliminari – segrete e dominate al 100% dal pubblico Ministero e dai suoi investigatori – posso essere tutto sommato gestite con relativa libertà dall’organo dell’accusa).

Mi piace riportare qui sotto la massima di una recente Sentenza della Sezione VI^ della Corte di Cassazione (6 novembre – 6 dicembre 2013 n. 49135, Pubblicata su “Guida al diritto n. 12 del 15 marzo 2014) in tema di lettura ed interpretazione degli indizi.
I Giudici di legittimità 
pongono in primo piano la necessaria duplicità del ragionamento indiziario: una valutazione singola di ogni indizio ed un giudizio globale dei rapporti degli stessi tra di loro ponendo l’accento anche sull’opportunità di un percorso logico privo della rigidità matematica.
Si tratta, quindi, anche a parere del Corte, 
di un adempimento particolarmente complesso che, per certi aspetti, sfugge allo stretto rigore che dovrebbe garantire il pieno rispetto dei diritti dell’accusato ma che appare, obbiettivamente, più opportuno (sebbene più rischioso) nello specialissimo compito di giudicare altri esseri umani:

“…..Il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola in due distinti momenti. Il primo è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno isolatamente considerato, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare, ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall’esame globale ed unitario, tendente a dissolvere la relativa ambiguità, posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto; prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (cfr Cassazione Sezioni Unite, 4 febbraio 1992, Musumeci ed altri), A tal riguardo, dovendosi però precisare che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell’intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può perciò prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa e nel grado di precisione e gravità, per poi valorizzarla, ove ne ricorrano i presupposti, in una prospettiva globale e unitaria tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo (Sezioni Unite, 12 luglio 2005, Mannino)…..”.

(articolo redatto dall’Avv. Giuseppe Maria de Lalla. Ne è vietata la duplicazione).

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APPUNTI SUL PENSIERO DI J. BRUNER PRIMA DEL 1988 E DI ALTRI: auto-aggiornamento; a cura del dott. Piero Pistoia

Post in via di costruzione……

PREMESSA ALL’AUTO-AGGIORNAMENTO

Nel corso del nostro insegnamento, dopo l’esperimento AUTODIDASSI (cercare su questo blog), per un certo periodo, alcuni docenti pensarono insieme a ad altri interessati alla cultura, in particolare il maestro Andrea Pazzagli, l’ingegnere Ilvano Spinelli ed il sottoscritto ed altri sentirono ancora l’esigenza di un autoaggiornamento in particolare anche sulle discipline che affiancavano il lavoro scolastico (psicologia dell’età scolare, pedagogia e didattica metodologica relativa alle discipline insegnate). Nel corso degli anni si ritrovavano più o meno periodicamente insieme per leggere e discutere su svariati testi relativi all’oggetto in questione, talora scrivendo le risultanze dei dibattiti che poi cercavano di pubblicare su riviste nazionali a direzione accademica come La Scuola di Brescia con le sue riviste (Didattica delle Scienze, Scuola e Didattica ecc.), la Loescher con La Ricerca ed altre a taglio più specifico (La Fisica nella Scuola, Riviste di elettronica  ed informatica aperte alla Scuola, per es. del Gruppo Editoriale Jackson, ecc.) e questa scelta fu decisa specialmente per ottenere un giudizio mediato dalle facoltà universitarie specifiche sui nostri risultati. Diciamo che avemmo un certo successo valutativo e morale (diversamente dalla indifferenza generalizzata della struttura scolastica, isolata nella lontana provincia, i cui interessi sia dei docenti, almeno allora al 90% pendolari, sia dei ‘coordinatori s.l.’, erano preminenti, per una ragione o per un’altra. Di questi lavori scritti a più mani alcuni furono pubblicati ed alcuni di essi possono essere letti ancora su questo blog.

Alcuni, dal sottoscritto, vennero ‘offerti’ alla Scuola sotto forma di aggiornamento personale.

Rimaniamo convinti che questi scritti pur datati, potrebbero ancora essere di stimolo e guida, anche per i contenuti ed i processi, in queste esperienze non esauribili, vista la complessità insita nel lavoro ‘insegnativo’.

Coloro che, nel corso di molti anni, parteciparono a questi incontri e discussioni, si sono poi persi attraverso i labirinti della vita, per una ragione o per un’altra.

Dopo tanti anni ho recuperato uno di questi scritti, denso di stimoli di riflessione, e,  perché non venga perduto, con una certa nostalgia anche per una giovinezza ed un entusiasmo che si sono spenti, ho voluto trasferirlo su questo blog, anche se poco presentabile nella forma. Allegato c’era il seguente schema grafico, tracciato a mano libera, firmato dal sottoscritto, leggibile cliccando sul link:

BRUNER_grafico sullo sviluppo della mente0001

Il seguente scritto, per es., fu presentato alla scuola come lavoro di autoaggiornamento, a.s. 1988-89

Ho trovato il seguente articolo dattiloscritto, se ben ricordo mai pubblicato, di oltre trent’anni fa, non firmato, in mezzo ad una caterva di appunti “sparpagliati”, scaturito certamente da una delle tante conversazioni argomentative durante l’auto-aggiornamento, e, nel rileggerlo posso ipotizzare, da certi passaggi, che la stesura possa essere stata di Andrea Pazzagli (o di altri, ma utilizzato per il nostro aggiornamento)

Dott. Piero Pistoia

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Cliccando sul link precedente, in odt si legge il risultato di questo auto-aggiornamento, altrimenti leggere di seguito in jpg:

IL PERCORSO DI PENSIERO DI J. S. BRUNER: DAL COGNITISMO COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO, di Andrea Pazzagli

J. BRUNER: DAL COGNITIVISMO  COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO
di Andrea Pazzagli

bruner20001

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Per leggere l’articolo in pdf cliccare sul link sopra

 

Art. rivisitato dall’inserto ‘Il Sillabario’ cartaceo.

CERCARE ANCHE LE PAROLE  ‘BRUNER’, ‘EPISTEMOLOGIA’  da questo blog, per trovare altri articoli ed informazioni sul Mentalismo Americano, Feyerabend, Popper ed altri, a cura dei docenti Piero Pistoia, Gabriella Scarciglia, Giacomo Brunetti.

 

ASPETTI DEL RAPPORTO: MOMENTO DISCIPLINARE/MOMENTO SOCIALE NELL’INSEGNAMENTO SCOLASTICO; di A. Pazzagli-P. Pistoia

INSEGNAMENTO SCOLASTICO: MOMENTO DISCIPLINARE/MOMENTO SOCIALE

A. Pazzagli – P. Pistoia

  1. Oggi esistono due istituzioni rivolte a promuovere la comunicazione culturale e la costruzione della conoscenza:   l’istituzione scolastica ed il complesso delle istituzioni culturali emanate a vari livelli dai corpi sociali (enti locali, Provincie, Comunità Montane…).
  2. Questa bipolarità di istituzioni suppone due modalità di approccio sostanzialmente diverse al problema della comunicazione culturale e della costruzione della conoscenza.
  3. Una riflessione epistemologica sul modo in cui la cultura umana si è costruita ed un’analisi psicologica su come il cervello umano acquisisce conoscenza, ci ha chiarito come il Terzo Mondo di Popper si articoli in strutture disciplinari che si configurano come unici strumentiefficaci per sezionare l’oggetto complesso (sociale e/o naturale) in vista della sua razionalizzazione (cioè comprensione tramite il cervello umano). Di qui la risposta al delicato problema didattico del come sviluppare le potenzialità cerebrali tramite l’insegnamento delle discipline.
  4. Ne deriva che l’attività centrale dell’istituzione scolastica si situa in prospettiva disciplinare, proprio perché solo in tale prospettiva si aiuta la crescita intellettuale durante lo sviluppo.
  5.  Sorge di qui il problema di come costruire la struttura disciplinare.Sembrano esistere due tentativi di risposta al problema, alternativi e talora opposti:  a) La costruzione disciplinare prevede di partire dall’oggetto sociale complesso e a valenza interdisciplinare per costruire le singole discipline che ritorneranno poi sull’oggetto sociale provocandone per altro un arricchimento. Questa posizione, di chiara matrice deweyana, è ripreso in parte, per es., dalla stessa Tornatore che però è poi costretta a riconoscere che spesso la costruzione disciplinare prosegue per conto proprio senza possibilità di un ritorno interdisciplinare, sottolineando che l’unico vantaggio di tale metodo è la sensibilizzazione iniziale degli studenti ai problemi sociali, senza promozione di alcuna reale maturazione intellettiva. b) La costruzione disciplinare è tutta interna alla disciplina e si esplica attraverso le fasi della scoperta in cui si ritrova la sequenza popperiana dell’ipotesi e della falsificazione, attraverso i momenti curricolari ben programmati che hanno come strumento essenziale l’esperimento “pulito”. Questi momenti di costruzione seguono momenti di stasi, di ripensamento, di esercitazione, nei quali gioca un ruolo essenziale l’esperimento “grezzo”. E’ la fase dove, attraverso anche i primi tentativi si sezionare l’oggetto complesso a valenza interdisciplinare, si aumentano le possibilità del trasfer of training (termine popperiano). La costruzione disciplinare procede a gradini; ogni gradino si configura, per es., come unità didattica e ad ogni gradino ci si sofferma  per acquisire, su quella struttura parziale, competenza ed abilità crescenti, per trovare, nel ripensamento, la sorgente dei problemi che portano al gradino successivo.
  6. Le attuali esperienze scolastiche italiane, come conferma anche una lettura delle programmazioni a vario livello, non partono né dai presupposti di tipo a) tentativi di costruzione disciplinare a partire dall’oggetto sociale, né tanto meno da quelli di tipo b) costruzione disciplinare interna con ritorno periodico all’oggetto sociale. In effetti prevale una progettazione esterna a qualsiasi serio discorso pedagogico con fondamenti psicologici ed epistemologici coerentemente utilizzati: si nutre così una fiducia cieca che il semplice avvicinamento ad oggetti sociali, ( fatto anche al di fuori di qualsiasi impostazione scientifica propria delle stesse scienze sociali), garantisca una più alta efficacia formativa. Nel migliore dei casi si produce una  attività di tipo integrativo guidata dai superati criteri della pedagogia del “Tatonnement” (processo per tentativi ed errori), cui si affianca uno stentato ed insufficiente apparto disciplinare che rimane dopo tutto di carattere tradizionale. Si è ben lontani dunque  dalla più meditata proposta deweyana che condiziona l’efficacia del sociale alla mediazione del filtro culturale operata dalla scuola.
  7. In effetti si nota, in un mare di genericità, l’emergere occasionale di spunti pedagocici troppo spesso scarsamente riflessi quindi non utilizzati. Si parla, per es., dello stare insieme operando come finalità di primaria importanza, ma poi si precisano i rapporti delicati fra  i componenti del gruppo che opera (dinamica di gruppo e relative problematiche), Si teorizza una scuola “serena”,  dimenticando che la “scoperta” presuppone la febbre della ricerca della soluzione e l’ansia della conoscenza. “Serena” non sarà neppure la convivenza nel gruppo come un fatto acquisito naturale: vi sono infatti conflitti da superare in senso tendenziale (fine regolativo), fino ad arrivare ad un equilibrio dinamico fra il leader ed il gruppo strutturato. Si pone l’obbiettivo della socializzazione calibrandola sulle richieste delle teorie del senso comune e fraintendendola così con l’ “adattamento” passivo e privo di ogni connotazione culturale. In effetti nel passaggio dall’Io infantile provvisorio all’Io adulto (processo che occupa la pre-adolescenza e gran parte dell’adolescenza), ha importanza notevole il Mondo 3 di Popper e l’esigenza ad esso correlata dell’assunzione di una prospettiva disciplinare, nella misura in cui la identificazione personale avverrà a più alto livello e non a quello di una socializzazione meramente adattiva agli stimoli ambientali. Troppo spesso infatti si trascura la Letteratura e la stessa Storia viste come matrici di metafore mitiche utili appunto a favorire la consapevolezza della propria identità psicologica e storica, diventando in tal modo per i giovani quasi obbligante il riferimento ai modelli ed ai miti non validi proposti dall’industria culturale. Ma forse queste incompiutezze scientifiche dei progetti scolastici sono la conseguenza immediata di concrete situazioni poco razionalizzabili che continuamente si ritrovano nella scuola di oggi dopo la notevole scoperta dei problemi dell’handicappato e dello svantaggiato, ma con i successivi tentativi robinsoniani di portare loro soluzione in seno alle vecchie strutture.
  8. Il riaffermare, come a noi pare giusto, il primato del disciplinare dentro la scuola non esclude affatto a) la possibilità di un rapporto della scuola stessa col sociale diversamente vista, ma più efficace; b) il riconoscimento dell’importanza centrale che, nel quadro dell’educazione permanente, può assegnarsi all’intervento formativo culturale delle strutture sociali in un contesto metodologico più aderente alla legge della comunicazione culturale secondo finalità collaboranti con quelle della scuola in vista dell’integrazione culturale. Il primo aspetto sottolinea la distinzione fra esperimento “pulito” ed esperimento “grezzo”,  dove quest’ultimo, favorendo allargamento di competenza mediante “trasfer” alla Popper, consente una più efficace costruzione disciplinare e quindi favorisce un’accresciuta maturazione intellettuale. Il secondo aspetto sembra presentare tre componenti che corrispondono poi a tre possibilità di intervento del sociale, differenziate, ma non contrastanti. Prima possibilità, il sociale potrebbe farsi carico di affrontare lo studio di discipline o settori di conoscenza che la scuola spesso trascura, fuori dai corsi indirizzati, (ecologia, linguaggi estetici, agraria, urbanistica… e forse anche il settore sportivo). Seconda possibilità, il sociale potrebbe intervenire,  nel processo di comprensione dell’oggetto complesso, utilizzando gli strumenti razionali acquisiti scolasticamente, in maniera che il processo di sezionamento razionale “derivi” dalle teorie acquisite, andando oltre il consueto taglio educativo dei corsi professionali. Con la terza possibilità, il sociale potrebbe ripetere il procedimento dall’esperimento “grezzo” all’esperimento “pulito” in un percorso a più alto livello, portando ad utilizzare come esperimento “grezzo” lo stesso oggetto dell’attività lavorativa.

 A. Pazzagli – P. Pistoia

DA TERMINARE…

EPISTEMOLOGIA, PSICOPEDAGOGIA, INSEGNAMENTO DELLA FISICA E RIFORMA DELLA SCUOLA a cura del dott. Piero Pistoia; post aperto a più voci.

EPISTEMOLOGIA, PSICOPEDAGOGIA E INSEGNAMENTO DELLA FISICA NELL’OTTICA DI UNA RIFORMA SCOLASTICA 

a cura del dott. prof. Piero Pistoia

TITOLI DEGLI ARTICOLI IN QUESTO POST

(1) – I fondamenti psicologici ed epistemologici dell’insegnamento della Fisica;  scritti di Piero Pistoia e Andrea  Pazzagli

(2) – I processi di ‘comprensione’ e la loro utilizzazione per  l’insegnamento di un concetto fisico: scritto del dott. Piero Pistoia

(3) – I fondamenti psicologici ed epistemologici della Riforma Scolastica. scritti di Andrea Pazzagli e Piero Pistoia

I TRE INTERVENTI, SCRITTI NELL’INTERVALLO FINE 1977 – INIZIO 1980, NACQUERO, ALCUNI,  DALLA COLLABORAZIONE FRA UN MAESTRO DELLA SCUOLA PRIMARIA ED UN DOCENTE DELLA SCUOLA SUPERIORE E FURONO PUBBLICATI DALL’EDITORE LOESCHER NELLA RIVISTA QUINDICINALE, ‘LA RICERCA’, AD ALTA DIFFUSIONE NELLA SCUOLA SUPERIORE.

Gli autori ritengono che i concetti e processi qui riportati, per alcuni versi, possano essere considerati ancora attuali e rilevanti, vista anche la direzione-redazione universitaria della rivista (Maria Corda Costa,  Elena Picchi Piazza ed altri), dove furono pubblicati ( da immettere le coordinate precise delle riviste interessate)

EPISTEMOLOGIA_E_FISICA0001 (1) (2)

EPISTEMOLOGIA-FISICA0001 (3)

Gli articoli qui riportati sono stati considerati rilevanti ancora oggi dalla dott.ssa Manuela Vecera, psicologa psicoterapeuta.

 Vedere su questo blog anche altri interventi di Piero Pistoia, su proposte di varie lezioni scolastiche ed altro, in particolare:

   IL MONDO DELLA SCUOLA ED IL MONDO DEL LAVORO: un rapporto difficile

Curriculum di piero pistoia:

piero-pistoia-curriculumok (0)

INSEGNAMENTO DELLA FISICA: una riflessione sulle possibilità educative e di insegnamento della fisica nelle intersezioni Scuola Media-Scuola Superiore, Biennio-Triennio; del dott. Piero Pistoia, docente di ruolo ordinario in fisica

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA, al termine del post

 

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Questo articolo è piaciuto al blog Briciolanellatte come comunicato il 4-5-2015 da WordPress all’Amministratore con una mail 

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Premessa- Riassunto

PARTE PRIMA

FINALITA’ EDUCATIVE INDIVIDUABILI NEL BIENNIO DELLA SCUOLA SUPERIORE

PARTE SECONDA

STATO DELLO SVILUPPO COGNITIVO AL BIENNIO SUPERIORE: “ZONE DI CONFINE” ED “AREA DI SVILUPPO” DELL’APPRENDIMENTO

Bibliografia

Leggi in pdf:

INS. FISICA_BIENNIO_INTERFACCE_parti 1-2

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PARTE TERZA

INSEGNAMENTO DELLA FISICA NEL QUADRO PIU’ VASTO DELLA PREPARAZIONE DI UN ITINERARIO CURRICOLARE:  RICERCA MOTIVATA, RAPPORTO STRUTTURA DISCIPLINARE  – PROBLEMI SOCIALI, INTERDISCIPLINARITA’

Bibliografia

Leggi in pdf:

insegnamento-della-fisica-31 (9)

insegnamento-della-fisica-31 (1)


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PARTE QUARTA

ALCUNI ASPETTI DELLA DIDATTICA SCIENTIFICA; NEI LORO RIFLESSI EPISTEMOLOGICI

Bibliografia

PARTE QUINTA

UNA PROPOSTA MODULARE PER INSEGNARE FISICA NELLA ZONA DI FRONTIERA (METODO DI APPRENDIMENTO)

Bibliografia

Leggi in pdf:

INS_FISICA_BIENNIO_INTERFACCE_parti 4-5 in pdf