LE EMOZIONI POETICHE DI PIERO PISTOIA: commenti a più voci, post aperto; docente Andrea Pazzagli e dott.ssa Stefania Ragoni, al tempo dirigente scolastico

Post già pubblicato il 19-agosto 2014, ma riproposto per renderlo di nuovo visibile.

PREMESSA DI PIERO PISTOIA (editore del blog) eventuale da scrivere

PER INGRANDIRE LO SCRITTO CLICCARCI SOPRA
I commenti che seguono sono stati rivisitati dall’inserto cartaceo ‘Il Sillabario’

ASPETTI DIONISIACI DELLA POESIA

DI PIERO PISTOIA

Dott.ssa  STEFANIA RAGONI 

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Leggere, per es., in questo blog “Poesie di caccia e Natura” di Piero Pistoia

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IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI 

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SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO  (es. TERREMOTO IN MOLISE- Vangelo secondo Luca…),   ALLE SEGUENTI VOCI (tags)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti

BREVI APPUNTI PROPEDEUTICI PER UNA LEZIONE SULL’IPOTESI “CAUSA DELLA FORMA (causa formalis)” ENUCLEATI DALLA LETTURA DELL’ARTICOLO “LA RISONANZA MORFICA”; dell’accademico Giuseppe Sermonti e pubblicato nella rivista ABSTRACTA N.41 ottobre 1989; (La forma di un qualsiasi vivente viene trasmessa secondo le leggi genetiche conosciute? o come!); a cura del dott. Piero Pistoia

Post in via di costruzione… ‘  ù

Ringraziamo Autori e Redazioni se ci permetteranno di mantenere su questo blog, che è senza alcun fine di lucro e completamente auto-finanziato il cui unico scopo è la comunicazione culturale, i successivi interventi. Questo blog, per sua scelta, non riceve alcun contributo sociale o di altra natura. Altrimenti, avvertiti alla mail dell’Editore del blog, ao123456789vz@libero.it, li sopprimeremo.

[N. B. Nel corsivo sono riportati frammenti del prof. Sermonti]

Per leggere questi appunti da Sermonti cliccare sotto:

risonanza-morfica in odt

risonanza-morfica1 in pdf

N.B. – Gli interessati possono continuare a leggere in che modo questo pensiero, ora ipotetico, della “risonanza morfica”, sembra che possa evolvere nel tempo, attraverso concetti ed escamotage quantistici, verso la costruzione di una teoria, come riportato, esempio fra altri, nell‘articolo del biologo molecolare W. Brown “Risonanza Morfica e Biologia Quantistica” nella rivista pubblicata da Nexusedizioni (info@nexusedizioni.it), N. 97, del 13/4/ 2017.

 

“MITO E POESIA DI PIERO PISTOIA” e “SENTIMENTO DELLA NATURA NELLA POESIA DI PIERO PISTOIA'”; due commenti del docente Andrea Pazzagli

Per leggere i due articoli in pdf, cliccare sotto:

COMMENTO POESIE PIERO PISTOIA _PAZZAGLI

Ovvero, continuare la lettura…

Riproponiamo questo denso commento alle poesie di Pistoia, a nome di Andrea Pazzagli, per renderlo più visibile, data anche la stringente dissertazione fondata sui concetti della Philosophia Naturalis, per cui lo stupore e la meraviglia, per rendere il mondo sempre meno banale, pervadono l’umano di fronte alla Natura, attivando una rivalutazione anche personale del mito, efficace strumento psicologico di sopravvivenza.

IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI

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SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche Pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

 

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO, ALLE SEGUENTI VOCI (tag)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti

IL TAO, CALCOLO DEL FATO, LA CARTA NATALE, I CHING, IL MIRACOLO, IL PRINCIPIO DI MACH; appunti per un lezione di Piero Pistoia; post aperto

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Vedere, in questo blog, anche il post a più articoli e a più voci dal titolo “Esiste un metodo di investigazione della Natura, alternativa alla Scienza?” post  curato dello stesso autore, di cui questa riflessione potrebbe porsi come premessa e per il concetto di massa altri articoli, cercando su questo blog per es., ‘massa inerziale’.

Fuggenti e inseguitori
eran confusi in una massa sola.

Macaulay

IL TAO, CALCOLO DEL FATO , LA CARTA NATALE, I CHING, IL MIRACOLO E ALCUNI APPUNTI PER UNA BREVE RICERCA-LEZIONE INTRODUTTIVA SUL PRINCIPIO DI MACH
Una breve riflessione scientificamente difforme di Piero Pistoia

La Carta degli oggetti del cielo al momento della nascita, Carta Natale (*) od altro analogo, come altri escamotage, per es., per certi versi, i CHING con i suoi strani esagrammi…) sono mappe da portare con noi durante la vita, pensata come “UN VIAGGIO”, e quando si viaggia abbiamo bisogno di una mappa; si possono incontrare vicoli ciechi, strade chiuse, ostacoli…, ma se sai dove si possono trovare, puoi cambiare direzione, tornare indietro, cambiare scelta…, se hai la piena consapevolezza di essere connesso con il TUTTO (Tao), con tutto ciò che ti circonda. In questo sta il miracolo che attende di rivelarsi!

Ogni evento è collegato agli altri infiniti e ciò che ti accade in quell’istante non è di natura casuale, o divina, ma condizionato dalla miriade di interferenze istantanee con il vicino e lontano universo. Tutto avviene per una ragione ben precisa. Chissà perché mi viene a mente l’olistico Principio di Mach, rivisitato dal pensiero di Berkeley, e la sua ‘cosmica’ definizione fisica di massa inerziale. Per leggere che cosa accadeva del concetto di massa nella Fisica classica, vedere nota (**). L’inerzia attribuita ad un oggetto è la sua tendenza a mantenere lo stato di quiete e di moto rettilineo uniforme, per cui, in presenza di forze esterne, nasce un’accelerazione inversamente proporzionale ad essa, e in assenza di forze continuerebbe a mantenere quel suo stato di moto. “Per noi è una gioia quando riusciamo a distogliere lo sguardo dal  Tutto e fissarlo sul particolare, ma non dobbiamo tralasciare mai di correggere e completare le nostre idee, mettendole a confronto con ciò che provvisoriamente avevamo lasciato inesplorato (Ernst Mach “La meccanica nel suo sviluppo storico critico”, Boringhieri). Allora, ci chiediamo, un corpo deriverebbe le sue proprietà, come l’inerzia, dall’interazione gravitazionale dinamica con il Tutto, in particolare con gli oggetti cosmici più lontani (galassie lontane) di massa complessivamente sempre più grande o dalle caratteristiche intrinseche dei suoi componenti microscopici come vorrebbe il riduzionismo atomistico? Un osservatore solidale alla terra in rotazione, in un universo completamente vuoto, apparirebbe davvero schiacciata ai poli? (***)

Per il Tao comunque tutto è connesso eccetto, in una metafora molto semplificata, il flusso di una specie di vento cosmico che soffia nell’aria e il flusso di una specie di acqua che scorre nel fiume, che, indipendenti da noi, non possiamo gestire. Gli uccelli non volano ma vengono trasportati e così i pesci non nuotano ma vengono trasportati. Quello che ti succede sarà il risultato delle connessioni, che non conosciamo, con tutti gli elementi a cui siamo collegati. Ciò che possiamo fare è solo cavalcare le onde di questi mari universali e le folate di questi venti cosmici mantenuti attivi da questo olismo di interazioni, aiutati, forse, dalle nostre mappe di cui siamo dotati, sperando nel miracolo.

Così i Ching, il Libro dei Mutamenti, secondo anche le convinzioni dello psicologo C. G. Jung (prefazione riportata nella traduzione, dal cinese in tedesco, di essi a cura di R. Wilhelm; in italiano: “I CHING, il libro dei Mutamenti, Adelphi edizioni, 1991”) con i suoi esagrammi elaborati ad ogni istante del tempo, le cui immagini venivano ad essere in sincronia non solo col tempo fisico, ma anche con la “qualità essenziale della situazione prevalente” al momento della loro elaborazione. L’elaborazione dell’esagramma sembrerebbe cogliere l’ interferenza globale istantanea proprio nell’istante in cui sta accadendo il nostro evento, costruendo il miracolo o la previsione del futuro, la divinazione, attivando la Saggezza (che cosa fare tempestivamente per cambiare eventualmente percorso?). I CHING, libro di Divinazione e Saggezza era già conosciuto almeno prima del 1150 A.C. per cui Confucio e Lao-Tse (quello del Tao) poterono meditare sui suoi insegnamenti. Il contenuto del Libro si fonda  sul t’ai chi, la trave maestra, e sui due  immediati opposti che ne discendono: la linea continua (________) o Yang o “Si” e la linea rotta (___   ___)  o Yin o “No” e “quasi tutto ciò che in più di tremila anni di storia cinese è stato pensato, in fatto di idee grandi e importanti, è in parte suscitato da questo libro e in parte ha influito sulla sua interpretazione, così che si può tranquillamente affermare che nell’I-CHING e contenuta l’elaborazione più matura della saggezza di millenni (Jung)”.

Chi volesse usare I_CHING per lanciare uno sguardo nel futuro, oltre ai metodi manuali descritti nel libro (lancio di tre monete, o lancio a guisa di Shangai di 49 “bastoncini” (14 cm), seccati all’ombra, della pianticella magica, Achillea millefolium, raccolta il ‘giorno’ di San Giovanni (intorno al 24 giugno), basta cercare da Google  “Oracolo con I_CHING” e poi “Consulta oracolo online” e infine “Clicca qui per consultare I_Ching con calcolo automatico” (OROSCOPO.it).

 

Concludendo questa breve riflessione, in generale gli umani hanno costruito diversi progetti per il controllo della Natura al fine dell’aumento della loro qualità della vita. Quello più accreditato e scontato è certamente la scienza con i suoi derivati tecnici e tecnologici, in particolare molto efficaci nel campo della medicina e della alimentazione. Ma alla frontiera sono sorti nel tempo, per coprire i vuoti lasciati aldilà di uno spazio-tempo limitato rispetto alla complessità del Cosmo, svariati tentativi per rispondere alle domande ‘lontane’. Sono nate così, fra l’altro, le svariate religioni con i propri riti, le proprie convinzioni intorno ad un Creatore (o ai Creatori), le proprie storie ed i propri miti, in generale dotate di strumenti potenti come la Preghiera, che sembra, stranamente, possa agganciarsi, per energie (mentali?) interne od esterne, direttamente al Reale, modificandolo (da qui il miracolo).

Mi è sempre piaciuto pronunciarmi esplicitamente su materie così incerte, difformi, poco sostenibili razionalmente, anomale, inusitate e poco condivisibili sia per il gusto di provocare, cioè attivare ripensamento e riflessione (escamotage potente per la comunicazione culturale), ma anche per innescare polemiche a fronte delle certezze degli stupidi, specialmente ora che “posso correre questo rischio perché ho superato gli ottanta anni, e le mutevoli opinioni degli uomini non mi fanno più molta impressione e i pensieri degli antichi maestri mi affascinano ed hanno per me maggior peso dei pregiudizi filosofici della mentalità occidentale” (Jung) e, poi ormai, la mia carriera si è da tempo spenta!

NOTE

(*) Quando i cuccioli degli animali superiori (o meno), ma anche piante, (flora e fauna), escono dalla protezione interna della ‘madre’ (o dall’uovo o da altro, teche bozzoli… pianta madre per le gemme..), appaiono all’improvviso, in quell’istante, con la superficie del capo (o con altro) soggetti ad una miriade di campi fisici (forze nell’unità di ‘qualcosa’) scalari o vettoriali, conosciuti o sconosciuti, o di altro tipo (segnali, per es. a velocità infinita) emessi da sorgenti collegate a corpi (conosciuti o sconosciuti) dell’Universo vicino o lontano o dalle profondità del Cosmo.
Così dal buio dei tempi, almeno a partire dal 700 A.C.N. (Babilonesi), si iniziò a pensare, in progredire, che oltre alla Memoria Biologica (oggi DNA) e Memoria Culturale (trasmissione educativa, sembra anche prima dell’uscita), gli esseri viventi potessero avere impressa, in qualche modo, nell’istante della loro comparsa dinanzi all’Universo, anche una memoria chiamata appunto Memoria Astrologica (leggere in questo blog, il post dal titolo “Insegnamento della fisica….; Dott. Prof. Piero Pistoia; Parte Seconda, Schema Sviluppo Cognitivo”)

Col tempo, a) attraverso l’intuizione, poi b) per tentativi ed errori, di seguito c) con l’evolversi anche dell’astronomia, iniziando a conteggiare sempre più le frequenze degli accadimenti in funzione delle posizioni dei corpi nel cielo (lo stesso Galileo computava oroscopi!), infine d) con l’applicazione della statistica ad un numero sempre più grande di eventi, sembra che oggi siamo arrivati a corroborare certe ipotesi relative all’influsso del cielo sui comportamenti umani e non solo (si pensi alla luna sui processi di crescita dei vegetali ecc.), ma talora anche su certe tendenze caratteriali ed altro. Vedere l’interessante saggio “Astrologia – Scienza o Superstizione?; H. J.Eysenck, psichiatra e psicologo del comportamento e D. K. B. Nias, entrambi della London University Institute of Psychiatry”.

Sembra comunque che le ipotesi vengano corroborate, cioè risultino rilevanti statisticamente, anche se con legami deboli: relativo a questo, vedere ancora su questo blog, “Un esempio di analisi statistica: la cerca degli Unicorni; di Piero Pistoia”.

Per leggere il link seguente cliccaci; poi torna indietro cliccando sulla freccia in alto a destra; leggerai così il resto del post.

Nota_carta_cielo

 

Note sul Principio di Mach, appunti per una ricerca didattica o per una breve lezione introduttiva

(**) Se la quiete e il movimento di un qualsiasi oggetto dell’Universo sono relativi ad un sistema di riferimento fisico (Berkeley, Mach) e non relativi ad uno spazio teoricamente definito, se  l’oggetto in questione è solo nell’Universo, allora…

Già Newton affermava che esistevano almeno due tipi di proprietà intrinseche ad un ogni oggetto fisico collegate al concetto di massa: la massa inerziale, che rappresenta la proprietà di opporsi allo stato di quiete e moto rettilineo uniforme, cioè alla accelerazione, e la massa gravitazionale, proprietà invece di farsi accelerare e creare accelerazione in interazione con altri oggetti. Concettualmente, pur interne all’oggetto, le due masse sono concettualmente disgiunte, nel senso che non sono collegate logicamente da una argomentazione teorica; infatti le rispettive grandezze nascono da due esperimenti di misura completamente diversi. La massa inerziale utilizza per la misura una esperimento che fa riferimento al Terzo principio della dinamica, Principio di Azione e Reazione, mentre la massa gravitazionale si misura con una bilancia a bilico. Queste due misure sperimentali, di natura concettuale completamente diversa, con scelta opportuna delle loro unità,  risultano numericamente uguali per qualsiasi oggetto: una stranezza caratteristica del nostro Universo! Allora si disse: E’ così perché è cosi!
La uguaglianza numerica di esse per ogni oggetto fisico poteva essere ricavata più semplicemente anche con un ragionamento argomentativo (Newton) partendo dalla costanza dell’accelerazione di gravità g, per es., in un zona limitata dello spazio intorno alla terra, non solo durante il moto, ma per qualsiasi tipo di oggetto di qualsiasi natura. Se lascio cadere in una piccola zona un qualsiasi un oggetto di qualsiasi natura e grandezza, per le due definizioni di massa e per il Secondo Principio della Dinamica, l’oggetto, sottoposto alla sua forza peso P che, nel nostro caso, rimane circa costante per ogni oggetto durante il moto, ma varia da oggetto a oggetto, crea una accelerazione a costante per ogni oggetto, ma non è detto che abbia lo stesso valore passando da un oggetto all’ altro se P cambia. In effetti alla accelerazione finale contribuiscono i due contributi delle due masse:

a1=kMg e a2=k’/Mi

Poichè a1 è un incremento e a2 è un decremento sull’accelezazione finale, i due contributi devono essere uguali, se l’acc. finale rimane costante (accelerazione di gravità) per tutti gli oggetti in caduta, cioè g, per l’ ipotesi iniziale.

Qualsiasi oggetto prendo, per l’uguaglianza di g, a1=a2 per cui kMg=k’Mi; ne deriva kMg/k’Mg=1 e quindi, se k=k’ (opportuna scelta delle unità di misura, per le due masse), ottengo Mg=Mi. Basta si consideri che l’oggetto campione  per la massa corrisponda ad una unità di Mi e una di Mg? La differenza numerica delle due masse all’interno degli oggetti risultò dell’ordine di 10^-12.

Per leggere un frammento del pensiero galileiano sulla velocità di caduta dei gravi cliccare sul link; èpi tornare indietro per leggere il resto del post, cliccando sulla freccia in alto a destra.

Galileo_ caduta gravi1

 

Vediamo  ora di collegare concettualmente le due masse.

………………………….

(***) Un osservatore in quiete con la Terra, comunque essa acceleri in un universo vuoto, non percepisce alcuna forza di inerzia, perché ogni moto è relativo (Principio di Mach). Le forze di inerzia infatti verrebbero avvertite solo da un osservatore, in quiete in un sistema come la Terra, che ruoti con essa rispetto essenzialmente a corpi lontani dell’Universo. Sembra così che quello che conta, ed è essenziale, per far nascere forze di inerzia, sia la presenza di svariati corpi nell’Universo e quindi… la gravitazione dinamica. Non può esserci inerzia di materia nei confronti dello spazio, ma solo inerzia di materia verso la materia (Einstein). L’esplosione, per una intensa forza centrifuga, di un volano ruotante rispetto ad una entità non osservabile,  equivale ad ammettere con John Donne che “Angeli  che hanno un corpo come è  la spuma, come è il vapore, come è un sospiro, eppure con un tocco disgregano… una macina di mulino in farina”. L’introduzione dello spazio assoluto di Newton sembra portare anche a contraddizioni logiche autoreferenti: per rilevare la rotazione della Terra rispetto allo spazio assoluto si possono utilizzare solo la forza centrifuga e quella di Coriolis, ma lo spazio assoluto fu inventato proprio per spiegare l’esistenza di queste forze (Sciama)! Non est multiplicanda entia praeter necessitatem! (Rasoio di Occam).

Come si vede questo Principio dell’Empiriocriticismo di Mach è un tentativo di razionalizzare la relazione fra inerzia e gravità: l’inerzia non sarebbe una caratteristica interna dei corpi, ma la conseguenza dell’azione gravitazionale su un corpo prodotta da corpi lontani in moto accelerato nell’Universo. Allora una particolare azione più o meno mediata dalla gravitazione  dei corpi  lontani in moto accelerato ‘costruisce’ forze di inerzia sui corpi bersaglio (o direttamente l’inerzia dei corpi)?

I tre schemi che seguono sono stati ripresi dal testo di SCIAMA (opera citata successivamente) e ringraziamo autore e editore se permetteranno di mantenerli in cambio della nostra tacita pubblicità. Essi rappresentano i primi passi verso la ‘costruzione’ della legge attraverso cui gli oggetti accelerati nell’Universo lontano costruiscono le forze di inerzia rendendole da ‘apparenti’ a ‘reali’,  fornendo informazioni sulla natura della connessione fra le stelle e la materia locale, problema che Mach non affrontò, e per questo fu soggetto a critiche; in tal modo si rese più credibile questa interazione.

Fig.1 – le forze in riga doppia, le accelerazioni in riga semplice
a) Una  carica elettrica o una massa gravitazionale in quiete o stazionaria agisce su un’altra con la legge di Newton in tutto simile a quella di Coulomb.
b) se invece la carica o la massa gravitazionale hanno una accelerazione (linea semplice), sviluppano sull’altra in basso una forza trasversale inversamente proporzionale alla distanza e non al quadrato di essa e direttamente proporzionale alla componente trasversale della loro accelerazione;  per cui è zero se la carica o la massa non sono accelerate.
c) Forza totale esercitata da una carica o massa soggette ad accelerazione.

 

Dennis William Sciama afferma che corpi lontani, se accelerati sviluppano una gravitazione diversa da quella standard, una speciale onda gravitazionale per certi versi simile a quella di una carica che accelera (Fig.1); in passaggi semplificati Sciama ne ricava anche la legge in formula, che da un risultato uguale a quella della forza di inerzia da ‘costruire’ (D. W. Sciama “L’unità dell’Universo”, cap. VII°, VIII° e IX°; Einaudi), a partire da quanta forza di gravità sia prodotta da una stella in moto accelerato.

Interessante notare che si parla sempre di oggetti lontani (galassie); ciò si capisce se pensiamo 1) che le stelle, immaginate distribuite su gusci sferici di superficie direttamente proporzionale a R^2, con questo ritmo diventeranno sempre più numerose ; 2) che la capacità di ‘costruzione’ delle forze inerziali sia proporzionale alla loro densità e quindi ad R^2 e inversamente proporzionale ad R (didascalia b, Fig.1); 3) risulterà che la capacità di ‘costruire’ forze inerziali alla distanza d=R, aumenterà con d, per cui è necessario, nelle argomentazioni guardare ‘lontano’ alle stelle al bordo dell’Universo.

Perché fu considerata più plausibile l’ipotesi  di un tipo di meccanismo gravitazionale per l’influsso attivato dai corpi lontani al fine di ‘costruire inerzia’?

Sorprendente in questo senso è che l’ac che ne deriva non dipende dalla massa che subisce l’influenza, cioè le forze di inerzia come la forza gravitazionale che agiscono su oggetto devono essere proporzionali alla massa. Per es., quale che sia la massa del pendolo di Foucault posto al polo, il suo piano di oscillazione ruota sempre con la stessa velocità (un giro al giorno), ne deriva che l’influenza delle stelle (non può essere di natura elettrica o magnetica, perché le accelerazioni indotte di tali forze dipendono dalla massa, dalla carica o dalle proprietà magnetiche del corpo bersaglio, non inducono la stessa ac  in tutti i corpi (per es., se neutri ac=0). Se la caduta dei gravi di qualsiasi grandezza e natura è sempre g, cioè l’Universo comunica la stessa accelerazione a qualsiasi oggetto di qualsiasi massa, è sensato ipotizzare, per ricavare la legge dell’influsso, che essa sia di natura gravitazionale. (da H. Bondi, D. W. Sciama et al. “Cosmologia a confronto” Universale Scientifica Boringhieri, cap. VIII). Allora campi gravitazionali e campi delle forze apparenti non sono distinguibili?!

 

Fig.2
a) Se le stelle (galassie) non hanno accelerazione la forza inerziale totale  è zero e non ci sono forze inerziali.
b) Quando le stelle (galassie) hanno accelerazione, esercitano sulla terra una forza gravitazionale che è la forza inerziale nella stessa direzione dell’accelerazione delle galassie.

 

Einstein fu affascinato da questo Principio e allo scrivente non risulta che questa ‘teoria’ (o ipotesi, visto che Mach al tempo non ne fece mai una teoria matematicamente strutturata) sia stata falsificata sperimentalmente, e che, quindi, ancora oggi, con le successive elaborazioni sembra debba essere considerata corroborata, anche se, certamente, meno elegante della Relatività di Einstein; per questo nel secolo scorso questo principio fu ripreso e sviluppato da svariati ricercatori, come, appunto W. Sciama, H. Bondi, W. Bonnor ed altri.  Le forze di inerzia (forze centrifughe, forze di Coriolis, e tutte le altre che appaiono come forze apparenti da sistemi non inerziali nella fisica classica) vengono ‘applicate’ sugli oggetti bersaglio da masse gravitazionali accelerate, in particolare oggetti lontani dell’Universo, calcolate basandoci sulle  stesse formule delle cariche accelerate, sostituendo semplicemente la massa alla carica elettrica.

Fig.3 – somiglianza fra forze magnetiche e forze di Coriolis
a) Forza magnetica su carica in movimento con velocità V che agisce a novanta gradi col campo di induzione magnetica B e con la  direzione della velocità della carica, con verso tale da vedere ruotare il vettore V sul vettore B in senso antiorario di un angolo minore di un piatto (F=qV.B dove . sta per prodotto vettore)
b) La forza di Coriolis  agisce come quella magnetica se si sostituisce al campo magnetico la velocità angolare del sistema ruotante di riferimento.

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SI TERMINA CON DUE IMPORTANTI FATTI SPERIMENTALI  CHE RIASSUMONO IL PROBLEMA ACCENNATO

La conclusione in ambedue in casi è:  1) siamo in accordo con Berkeley e Mach, che esista cioè una connessione causale fra moti locali e corpi lontani dell’Universo (galassie e non stelle fisse che ruotano intorno al centro della Via Lattea ); oppure  2) i risultati degli esperimenti devono essere considerati una semplice coincidenza.

PRIMO FATTO SPERIMENTALE

Supponiamo che l’esperimento del secchio ruotante di Newton venga eseguito con gran precisione al Polo Nord.

1 – Si potrà osservare intanto che anche quando secchio ed acqua sono in quiete sulla terra, la superficie dell’acqua risulta leggermente curva. Infatti il sistema secchio-acqua ruota insieme alla Terra e con essa subisce una interazione gravitazionale con le galassie lontane; anche la terra si appiattisce ai poli e rigonfia all’equatore.

2 – Lasciamo ora ruotare il secchio fino a comunicare il moto all’acqua, ma nel verso contrario alla rotazione della Terra (da est ad ovest in senso orario dal Nord celeste), quando le due rotazioni si bilanciano, la superficie dell’acqua diviene piatta. Berkeley e Mach prevedevano proprio che fosse la rotazione relativa alle galassie lontane la causa della curvatura, e, se non vi fosse rotazione relativa agli oggetti dei cieli lontani, la superfice sarebbe piatta. Per Newton significava che per caso le galassie non ruotavano rispetto allo spazio assoluto.

Chi non accetta questo punto di vista considera questo risultato sperimentale una semplice coincidenza casuale. Infatti per Newton significava che per caso le galassie non ruotavano rispetto allo spazio assoluto. Un corpo che non risulta in rotazione quando studiato con il sistema del secchio con acqua o del pendolo di Foucault non lo è neppure rispetto alle galassie lontane.

(Abbiamo seguito il percorso logico da “Universo in espansione” di W. Bonnor, fisico-matematico cosmologo, per l’editore Boringhieri)

SECONDO FATTO SPERIMENTALE

Due sono i modi sperimentali di misurare la rotazione della terra:

1 – Uso del pendolo di Foucault che è un pendolo composto; si tratta di un grave sospeso ad un giunto universale in modo da essere libero di oscillare in tutte le direzioni; se in un sistema inerziale per la fisica classica il piano di oscillazione si mantiene invariato nello spazio, la Terra gli ruota sotto.  Ammettiamo per semplicità oscilli al polo; un osservatore posto sulla terra vedrà che il piano di oscillazione fa un giro in 24 ore; questo moto del piano di oscillazione può essere attribuito alla forza di Coriolis, da cui si può misurare la velocità di rotazione con osservazioni compiute solo sulla superficie della Terra, cioè  dinamicamente rispetto ad un sistema idealizzato di riferimento (spazio assoluto di Newton).

2 – E possibile anche  misurare la velocità di rotazione angolare  della Terra con un metodo completamente diverso, cioè astronomicamente rispetto  alle galassie lontane.

Le due misure coincidono perfettamente (a meno di errori sperimentali) e questa coincidenza per Berkeley e Mach sarebbe un fatto di importanza primaria, se possiamo trovare una connessione casuale fra moto delle galassie e lo stato di moto dei sistemi di riferimento inerziali.

Un’influenza dal riferimento locale verso le galassie lontane non è accettabile, per cui si deve ammettere che il sistema locale sia determinato in qualche modo dalla media del moto degli oggetti astronomici distanti (Principio di Mach).

Per gli altri ricercatori che non accettano la precedente spiegazione si tratterebbe di una semplice coincidenza casuale.

(Abbiamo seguito il percorso logico da “L’unità dellUniverso” di D. W. Sciama, fisico teorico, cosmologo, per l’editore Einaudi)

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Chi non si pone domande non troverà risposte

Interessante comunque sarebbe riuscire a focalizzare in maniera organica, in questo blog, una comunicazione accessibile proprio sulla differenza concettuale fra questo Principio e le Relatività di Einstein, in particolare sulle potenzialità predittive di queste teorie e su altri aspetti previsti dalle nuove epistemologie. Che cosa è rimasto del Principio machiano nelle teorie della Relatività di Einstein? E’ giusto considerare questo Principio  come un processo teorico sull’origine del concetto di massa, da tempo caldeggiato, che verrebbe a essere  solo di tipo gravitazionale? E se nell’Universo esistesse un unico corpo, questo non avrebbe né massa gravitazionale, né massa inerziale? E la massa come quantità di materia? Forse, se le nostre domande e perplessità fossero senza senso e non è detto che non lo siano, sarebbe apprezzabile che qualche fisico teorico, come per es. l’accademico prof. Marco Rosa-Clot (che in più occasioni ha dimostrato cura ed attenzione per la didattica e l’epistemologia della fisica, come risulta da alcune delle sue molteplici pubblicazioni, anche di tipo divulgativo,  talune riportate anche su questo sito) volesse dire, in proposito, la sua, cercando di chiarire e correggere, in questo blog alla ‘frontiera’ della Scuola.

 

Questo post è ancora in via di sviluppo, ma, spero, per poco. A meno che non arrivino altri contributi.

 

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UNA RIDEFINIZIONE DEL MODELLO ES/IO; della dott.ssa Franca Soldateschi, psicologa

Questo intervento è stato ripreso in questo blog, dal post ” MENTE E CERVELLO” (contenente ben otto articoli) per  renderlo più visibile.

Al termine una poesia di Lorella Nardi “OLTRE IL COLLE”.

 

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Scritti enucleati da “Il Sillabario”

LE EMOZIONI POETICHE DI PIERO PISTOIA: commenti a più voci (dott.ssa. Stefania Ragoni e docente Andrea Pazzagli); post aperto

PER INGRANDIRE LO SCRITTO CLICCARCI SOPRA
I commenti che seguono sono stati trasferiti dall’inserto ‘Il Sillabario’

ASPETTI DIONISIACI DELLA POESIA

DI PIERO PISTOIA

Dott.ssa  STEFANIA RAGONI 

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IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI 

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SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO, ALLE SEGUENTI VOCI (tags)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti

FRATTALI, LOGICA E SENSO COMUNE: CONSIDERAZIONI IPERBOLICHE del dott. Piero Pistoia,… post aperto ad altri contributi (Soldateschi)

Curriculum di piero pistoia

piero-pistoia-curriculumok (#)

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FRATTALI, LOGICA E SENSO COMUNE: CONSIDERAZIONI IPERBOLICHE
I germi di una nuova Educazione    del DOTT. PIERO PISTOIA

RIASSUNTO

La scoperta di un mondo disseminato di “turbolenze”, non solo individua la necessità di un nuovo paradigma per la Scienza, ma avrà certamente riflessi non trascurabili nell’ambito sociale, didattico-educativo e, prima o poi, sul senso comune. Il sillogismo di reminiscenza aristotelica con le sue estensioni simboliche (scienza attuale) è indicabile come con-causa della grave situazione del Pianeta, per mancanza, connaturata al pensiero occidentale, di “responsabilità” che può nascere solo all’interno di una “ecologia profonda”.
Una tale presa di consapevolezza fa intravedere l’uscita dalla “trappola” della nostra inadeguatezza conoscitiva (vedere post sulla trappola di Witgenstein).
Dal profondo del tempo riecheggiano suggerimenti di antiche filosofie orientali che propongono, a fronte dell’azione separatrice e semplificatrice della ragione occidentale, un controllo, anche se rituale, della COMPLESSITA’, unico aspetto rilevante in un mondo in balia del caso.
Si perviene ad accennare ad alcuni aspetti significativi del nuovo paradigma correlato al Caos Deterministico, precisando le differenze con la tradizionale visione del mondo, in cui per lungo tempo ha dominato quasi incontrastata la causa efficiens e la legge dell’energia.
In questo contesto si pongono le basi per un nuovo modo di educare, che veda l’uomo più tollerante, in direzione di un superamento della stessa tolleranza, per mantenere attivo e stimolante il “dialogo interno”.

PREMESSA

Lo scopo di questo intervento è quello di forzare, onde suscitare perplessità, curiosità e quindi dibattito, alcune posizioni rilevabili all’interno di quella parte della Cultura Occidentale che permette spiragli all’influsso del Pensiero Orientale, ponendo qua e là interrogativi sulle possibili direttrici che vengono a dischiudersi.
La nuova visione del mondo che ne deriva lascia intravedere nuovi percorsi e orientamenti anche in ambiti educativi: per esempio, l’”apertura” dei “Tecnicismi” alla “qualità”, alla “Storia” e alla “Narrazione (25)”. Pur nelle differenze riscontrabili fra i diversi autori, all’interno dell’ Io plurimo di Bencivenga (5), dell’ Io a più tradizioni di Feyerabend (24), della Mente a più dimensioni di Bruner (26), il “racconto” scambiato fra i diversi personaggi non riguarda solo il fisico, ma coinvolge, fra gli altri, il filosofo, lo psicologo, il sociologo, l’artista e forse anche lo shamano.
Queste nuove pulsioni non devono essere rifiutate a priori; scandalizzarci se ci ritroviamo a rivestire ancora il ruolo di “apprendista stregone” (sensu stricto) (16), non risolve i problemi!
Il nuovo non deve essere ignorato per troppo tempo in nome di vecchi paradigmi, ma va vagliato, filtrato, trasformato in “narrazione interna” e successivamente, per tentativi guidati, calato nell’attività didattica a qualsiasi livello: i ricercatori di domani non si chiameranno più Fisici, Matematici, Etologi, Epistemologi, Artisti…., ma Filosofi della Natura, nella accezione letterale delle parole, come nei tempi lontani !

I PROBLEMI PLANETARI E I LIMITI DEL “SILLOGISMO STRUMENTALE”

Oggi siamo tutti d’accordo nell’ammettere che il Pianeta Terra è sofferente insieme a tutte le specie viventi che vi coabitano. E se è vero che si tratta dell’Organismo Gaia (1), con i suoi potenti sistemi di autoregolazione, è anche vero che sta oscillando oltre i limiti per riassorbire le sue variazioni interne e ci aspettiamo prima o poi la catastrofe.
La coltre di protezione atmosferica si sta lacerando, le soglie critiche degli inquinanti, rifissate continuamente dai diversi Stati, fanno fatica ormai a rincorrere il progressivo inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua, dolce e salata; il manto verde, l’unico filtro attivo che trasferisce praticamente l’unica energia primaria, quella solare, al pianeta, è ridotto a brandelli, vuoi per l’intensiva deforestazione, vuoi per l’ambiente sempre più asfittico in cui la vegetazione costretta a vivere. Migliaia di specie animali e vegetali sono già scomparse e migliaia spariranno nel prossimo futuro. Se è vero quello che afferma nell’ultimo suo libro il sociobiologo Wilson di un equilibrio armonico adattivo e geneticamente impresso, magico e telepatico, fra tutte le specie viventi (2) l’estinzione di migliaia di esse potrebbe disturbare fortemente la psiche umana, oltre naturalmente ai gravi effetti sul corpo provocati dalla critica situazione nel suo complesso.
In questa età della tecnica avanzata, le nostre azioni possono ripercuotersi ben oltre il “qui” e l’ “ora”, facendo sorgere difficoltà nel tener conto di conseguenze lontane dal nostro agire; ne derivano “il principio di responsabilità” (6) (28) e il concetto di “sostenibilità” (7), che si riferiscono a coloro che nel futuro potranno sopravvivere o no secondo il nostro comportamento attuale.
Gli uomini dal loro canto continuano a balbettare di formule e a brancolare presentando tentativi a caso e qua e là progetti parziali per risolvere problemi immediati (targhe alterne, limitazione di specie cacciabili, limitazione della produzione di bombolette spray…), mentre continuano a blaterare nel linguaggio del profitto, dell’economia, dell’interesse personale e di specie (la maggiore longevità è un bene? (3)).
Come siamo potuti arrivare ad una situazione come questa, nonostante il nostro grande cervello, le nostre logiche simboliche e la nostra scienza di avanguardia?
Quando iniziammo a costruire il nostro artificiale mondo tecnologico, avevamo le nostre certezze logiche, eravamo sicuri che le cose sarebbero andate per il meglio e che comunque la Terra e il Cielo erano nostri, erano stati creati per noi, a nostro favore, per il nostro godimento e diletto.
A nulla valsero le proteste, per esempio, degli Indiani d’America che continuarono a gridare, finchè non li fecero tacere estinguendoli praticamente come razza, che la Terra era della Terra e che su questo Pianeta e in questo Universo niente ci apparteneva (4)!).
Ma noi sapevamo già controllare la materia e l’energia (senza sapere che cosa davvero fossero!) e, giocando con esse come un bambino con una bomba, abbiamo continuato col nostro metodo, allora giudicato infallibile, del “Sillogismo strumentale a corto raggio” (5) di reminiscenza aristotelica, con tutte le sue amplificazioni simboliche. In questa prospettiva l’Io e la Mente non esistono o sono ridotti ad un complesso computer-cervello che con i suoi terminali e il suo software “tocca” il mondo, analizza e “razionalizza” i dati. Il funzionamento di questo metodo è del tipo: voglio raggiungere il fine X; per questo ci vuole il comportamento Y; metto in atto il comportamento Y. Certamente quasi tutti i lettori giureranno sulla sua efficacia! Infatti ancora oggi tale ragionamento va per la maggiore, sostenuto, come è stato, dal dominio dell’Analisi Matematica e della Meccanica Razionale per quasi tutto il dopo-guerra e non solo, dominio mantenuto dalla potenza delle equazioni lineari, che ammettevamo fossero le equazioni del Mondo.
Questo “monismo” riappare stranamente a partire dal “dualismo gerarchico” di Descartes, che, come afferma V. Hosle (6), svaluta e riduce la “res exstensa” (mondo naturale, le bestie e il corpo umano) a vantaggio della “res cogitans”, aprendo un baratro profondo fra i due aspetti della realtà e dischiudendo la porta al dominio dello sfruttamento della natura da parte dell’uomo, ridotto in pratica solo alla sua mente. Così la Filosofia ha dato un contributo non secondario al sorgere e all’affermarsi della visione del mondo propria dell’Occidente, che è alla base del progresso tecnico-scientifico, ma ugualmente del processo di distruzione della natura. Il pensiero simbolico dell’uomo, riflesso della sua capacità di Auto-consapevolezza – afferma Fritjof Capra nel suo stimolante libro (7) che riassume un dibattito con due religiosi su mente, corpo, universo e Dio – comporta la tendenza alla proiezione lineare su tempi lunghi, che spesso conduce alla distruzione di qualche tipo di ambiente. Solo quando la parte si rapporta al Tutto, quando la libertà, che corrisponde alla parte e all’esercizio della ragione, si pone con saggezza a disposizione del Tutto (responsabilità (28)), allora la nostra scelta di vita sarà in armonia con la Natura. Un dubbio comunque permane: l’armonia della parte col Tutto è raggiungibile con la ragione? Nel migliore dei casi come possiamo essere “responsabili” se non conosciamo razionalmente le conseguenze delle nostre azioni? Non si aprono forse spiragli alla visione dei mistici, che riflette l’idea di un uomo che diventa parte della Natura alla ricerca di un Dio immanente (Spinoza) o trascendente verso l’interno (S. Agostino)? Non sta forse qui la distinzione fra ecologia superficiale, permessa dalla scienza saggia e illuminata, e ecologia profonda?
Lo stesso filosofo Hosle parla di “idealismo oggettivo”, che situa “lo spirito nella natura e la natura nello spirito”, di rivalutazione ontologica e poi etica della natura, di una natura non riducibile a mera oggettualità e in qualche modo soggetto di diritti.
Sulla stessa linea di pensiero, P.Feyerabend nel suo stimolante articolo (29) argomenta con astuzia come il mito, la scienza e l’arte siano tutti prodotti della Natura, creati in condizioni particolari, corrispondenti ad atti di individui, gruppi culture, dotati di qualità complesse e spesso non ben definibili. La Natura è attiva e reagisce (tramite processi istintuali?), producendo arte e scienza, a certe condizioni costituite da interventi umani, “oggetti” diversi dipendenti da essa e da queste stesse azioni.
Il processo di costruzione di opere d’arte, miti e dèi, opinioni scientifiche e progetti di esperimenti… è il risultato provvisorio di un’evoluzione storica complessa e caratterizzata da idiosincrasie imprevedibili, che appaiono solo a posteriori (impossibilità di individuare la frontiera fra corpo e mente, fra Uomo e Dio ecc.). Così anche se nè la Natura nè il Dio
potranno mai essere compresi fino in fondo, queste condizioni catalizzanti la reazione naturale avranno una certa autonomia attribuibile a individui singoli o intere culture, che però rappresentano solo un dono transitorio e non un presupposto assoluto di qualsiasi pensiero o azione. Ne derivano diverse teorie del mondo ugualmente reali nella prospettiva di un relativismo ontologico. Tornano così gli dèi; gli dèi omerici e gli altri. Dèi, i quarks, le particelle-onde… riempono il Cosmo e occhieggiano fra le pieghe dello spazio-tempo di una Natura che, capace anche di produrre dèi acquista caratteristiche ‘personali’: è deus-sive-natura, per dirla con Spinoza.
L’errore fu proprio questo, cioè di pensare che il futuro fosse prevedibile e previsto linearmente dal passato. La certezza che il sole sorgerà domani, è stata la proposizione paradigmatica che ha provocato il disastro! Avevamo le nostre condizioni iniziali, che ritenevamo sufficientemente conosciute, avevamo le nostre equazioni, costruimmo così “secondo logica” il nostro mondo artificiale su cui giuravamo e le previsioni erano rosee. Eravamo proprio in buona fede, ma non ci accorgemmo della trappola in cui eravamo. Il processo conoscitivo avviene infatti attraverso una successione di trappole “per mosche”, a guisa di una nassa da pesca indefinita. La trappola per mosche, la cui metafora rappresenta la nostra attuale inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi, è costituita da una bottiglia con la sommità a imbuto rovesciato. Come sottolinea L. Wittgenstein (8), scopo principale dell’epistemologia è appunto “mostrare alla mosca la via d’uscita dalla trappola”, uscita che, dall’interno, appare come una pericolosa strettoia ancor più difficile da affrontare della situazione di trappola (9). P. Watzlawick, curatore del libro (9), continua, nel senso della metafora di Wittgenstein, affermando che l’unica soluzione al dilemma della mosca è convincerla a cercare nelle zone che a prima vista sembrano le meno probabili e più irte di pericoli. Il mondo lineare costruito dall’uomo è un progetto all’interno della trappola: l’adeguatezza nell’immediato non garantisce e non garantì altrettanta adeguatezza nel futuro, che oggi è il nostro presente! Le nicchie ecologiche infatti esplosero (eppure al tempo e per un lungo tempo le specie vissero floride!), l’atmosfera si è strappata, la sintesi clorofilliana è sofferente, le cappe grigie sulle megalopoli sono indice di morte.
Forse non fu uno sbaglio, ma un errore (una specie di sbaglio in buona fede, per ragioni indipendenti dal soggetto), forse non si tratto di colpa, ma certamente di grande presunzione!
Nel pensiero orientale queste ragioni, oggi riaffiorate, si perdono nel buio dei millenni. Le relazioni di causalità e quindi le leggi scientifiche trovano la loro validità solo all’interno dei laboratori con le loro incisive restrizioni, afferma Jung nella sua introduzione a I CHING (scritto ben 6000 anni fa, molto prima dei libri biblici!) (27). “Se lasciamo che la Natura faccia da sè… ogni processo subisce interferenze parziali o totali ad opera del caso, in misura tale che, in circostanze naturali, un corso di eventi conforme a leggi rappresenta quasi un’eccezione”. Anche se Jung sembra si riferisse solo al semplice “rumore di fondo” e non al “caos” provocato annidato anche nelle pur semplici leggi fisiche, la sua intuizione rimane profonda.
Alla fine del secolo scorso, lo stesso Nietzsche, “profeta del futuro”, ritiene che l’uomo, se Dio è morto e con Lui ogni ragione, debba abituarsi a vivere in un mondo senza fondamenti e perpetuamente scosso da cambiamenti; non c’è fondamento (nihilismo) perchè tutto è divenire a caso. H. Poincarè, all’inizio del secolo (9), colpì praticamente nel segno affermando che la conoscenza approssimata delle condizioni iniziali può provocare errori enormi nei fenomeni finali e le previsoni si perdono così nel mare tempestoso del caso.
Anche se un evento è imprevedibile, si legge nel libro I CHING, possiamo però osservarlo in tutte le sue potenzialità, nella sua “totalità”; ciò che conta è la “configurazione” che gli eventi accidentali assumono al momento dell’osservazione (sincronicità junghiana contrapposta al principio di causalità) e non le ragioni ipotetiche che apparentemente rendono conto delle coincidenze. Mentre la mentalità e la ragione occidentale tendono a vagliare, pesare, scegliere, classificare, separare e semplificare, l’immagine, che l’orientale si fa del momento, racchiude ogni cosa fino al più minuto e assurdo particolare, perchè l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti, comprese le condizioni psichiche degli osservatori (il Complesso a fronte del Semplice della ragione occidentale). Le corrispondenze fra microcosmi e macrocosmi, fra mappe mentali e ambiti di natura, animano gli oggetti dell’Universo mobilizzando coincidenze e affinità (l’oracolo de I CHING funziona, afferma Jung, perchè l’”esagramma” a differenza di altri”indicatori di istante” (orologi, calendari…) partecipa con più intensità alla qualità del momento diventandone l’emblema e così funzionano le sperimentazioni di agopuntura e gli altri interventi di medicina alternativa!). “Qualsiasi cosa nasce o viene fatta in un dato momento, ha le qualità di questo istante del tempo” afferma C.G.Jung in più occasioni e i momenti possono lasciare tracce di lunga durata (vedere anche il post “Alla ricerca di un metodo di conoscenza alternativo”).

IL CAOS DETERMINISTICO: SUGGERIMENTI EDUCATIVI

Che cosa sappiamo oggi di nuovo? Che cosa abbiamo imparato? Col senno di poi si intravede l’uscita dalla trappola, speriamo che non sia troppo tardi.
Oggi, naturalmente in ambito accademico, la proposizione “domani sorgerà il sole” non solo è una proposizione non fondata logicamente, illogica (critica humiana all’induzione), ma è proprio falsa!
La convinzione illuministica sosteneva che l’uomo poteva, almeno in linea di principio, prevedere e magari controllare gli eventi futuri. “Datemi lo stato attuale dell’Universo e vi predirò il futuro” pontificava Laplace.
Questo determinismo illuministico si rafforzò nei secoli successivi non solo con gli sviluppi della Meccanica Classica e Razionale, ma anche con la scoperta dell’Elettromagnetismo, con l’avvento della Relatività e, caso strano, col lo stesso trionfo della Meccanica Quantistica, anche se per quest’ultima il discorso si fa particolare. Nonostante che essa sia una teoria intrinsecamente probabilistica, data la sua natura stabile, ci permette di prevedere il futuro in un certo modo (10). Date le leggi del moto e lo stato iniziale Fi(0), è possibile, almeno in linea di principio, prevedere lo stato futuro Fi(t) al tempo t, anche se conoscere Fi(t) significa solamente conoscere la probabilità che eseguendo una misura su una data grandezza al tempo t, si ottenga un determinato valore. Nel “lancio del dado quantistico”, anche se non può essere previsto un singolo caso, possiamo conoscere con precisione assoluta quale sarà in ogni momento la nostra probabilità di vittoria (33).
Da circa vent’anni invece si sta minando la certezza di poter prevedere e non solo ai livelli del Principio di Indeterminazione della Meccanica Quantistica, ma proprio all’interno della Meccanica Classica deterministica che, fino ad ieri, era capace di predire il futuro!
Quando Jung, nell’introduzione a I CHING nel 1949, fece riferimento al Principio di Indeterminazione non poteva certo prevedere quanto fondate fossero le proprie previsioni: tale principio si estende in qualche modo anche alla Meccanica Classica!
I germi dell’imprevedibilità sono stati addirittura scorti già all’interno di sistemi semplici come il lancio di un missile sulla luna o di un satellite in orbita. Anche se il missile cade davvero sulla luna e il satellite descrive l’orbita, queste soluzioni relative alle equazioni del  moto non sono esatte, riguardando sistemi dinamici a più di due corpi, anche se, nella fattispecie, le diverse traiettorie possibili quasi mai si allontanano molto fra loro, mantenendo quasi sempre la prevedibilità di fatto (assenza di Attrattori Strani e “Attrattori all’infinito” (34), che invece giocano un ruolo non trascurabile quando il sistema si fa più complesso).
Le due equazioni non lineari che costituiscono le così dette correlazioni di Henon (11) possono rappresentare infatti oggetti orbitanti intorno al Sole (per esempio, satelliti, asteroidi…) e le corrispondenti “orbite” nello spazio delle fasi presentano talora aspetti caotici, anche se non siamo in presenza di un vero e proprio Attrattore Strano, dato il carattere non dissipativo di questi moti. Si notano infatti “isole” che rappresentano, nel caso di oggetti orbitanti, bande di risonanza dovute a perturbazioni nell’orbita provocate da corpi di maggiori dimensioni presenti nel sistema solare come Giove e sfilacciature e spruzzate casuali di punti fino a sfociare nel vero e proprio caos. Nelle regioni caotiche le grandezze, che sono le coordinate nello spazio delle fasi e che individuano lo stato del sistema ad ogni istante (per esempio, velocità radiale e distanza dal sole), variano a caso, il movimento si fa imprevedibile e “praticamente può accadere quasi qualsiasi cosa”. Se poi il sistema diventa appunto più complesso (fenomeni biologici, chimici, economici, sociali e ecologici) la prevedibilità diventa sempre più scarsa (in metafora, il missile mancherà certamente la luna) e le equazioni differenziali diventano sempre meno lineari. Impossibili allora saranno gli interventi per correggere la “traiettoria” durante l’evoluzione del sistema come accade per missili e satelliti.
La nuova scoperta, che si configura come una vera e propria rivoluzione del pensiero, un nuovo paradigma strano e impensato, e che individua l’uscita dalla trappola, consiste nel fatto che le regole e le leggi della fisica classica, perfettamente deterministiche, possono produrre un moto completamente caotico e assolutamente imprevedibile (Caos Deterministico).
Si dice infatti che si ha una situazione di Caos quando le equazioni del sistema  diventano non lineari e una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie di errore, provocherà prima o poi soluzioni impreviste e non prevedibili. Il caos non nasce così da processi stocastici, ma è associato a
comportamenti casuali generati da leggi deterministiche (13). Una esatta prevedibilità in sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe assegnare numeri reali alle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali, il che implicherebbe misurare quantità fisiche con precisione infinita. Anche un computer grande come l’intero Universo esaurirebbe la capacità di calcolo. Così anche lo stesso Universo, il simulatore più veloce di se stesso, non sarebbe capace di calcolare l’evoluzione futura neppure di una piccola sua parte, lasciata libera (33) (si ritrovano così le conclusioni di Jung). L’Universo acquista caratteristiche personali, diventa autenticamente creativo, capace di far emergere un “nuovo”, non implicito nei suoi stati pregressi e riposto nell’immaginifico dei numeri reali (33). L’Universo, nel suo complesso, dotato di capacità creativa e in qualche modo di libero arbitrio, potrà allora considerarsi non solo un essere vivente, nel senso della “macchina autopoietica” degli accademici H. Maturana e F. Varela (36), ma addirittura un vero e proprio essere pensante, capace di creare arte e scienza nell’accezione di Feyerabend (29)?
La turbolenza amplifica anche una modificazione piccolissima (una fluttuazione microscopica) fino a renderla macroscopica (qualche centimetro) in breve tempo (14).
Dove c’è turbolenza (per es., fenomeni climatici), variazioni di appena un centimetro (battito di ali di qualche insetto), possono interessare nell’arco di un giorno distanze dell’ordine di decine di chilometri, cioè, per es., perturbare l’atmosfera in un temporale locale. In una o due settimane la stessa variazione di un centimetro iniziale, potrebbe ribaltare completamente la struttura metereologica dell’intero pianeta, cambiando completamente la faccia della terra (effetto farfalla). Così un aumento, per esempio, dello 0.1% dell’inquinamento di un fiume quasi mai porterà ad un peggioramento solo dello 0.1% delle condizioni ecologiche; se ci troviamo vicini all’ “impennata”, il danno ecologico potrà essere enorme e catastrofico (problema dei microinquinanti)! Per non parlare delle analisi chimiche delle acque, che, sempre più spesso, un giorno risultano potabili, un altro, non potabili, per esempio, per eccesso di magnesio, un altro ancora, per eccesso di solfato di calcio o addirittura arsenico, rendendo impossibile la previsione anche a breve termine della potabilità!
Oppure, perchè gli stessi interventi idrogeologici sul bacino dei fiumi, che prima funzionavano, ora non reggono più le piene e le inondazioni diventano ogni anno sempre più pericolose? E’ inutile colpevolizzare amministratori e tecnici: la colpa è nei nostri modelli di previsione, che continuano a vedere situazioni lineari in un mondo che improvvisamente è diventato non lineare.
Per dirla con uno dei maggiori poeti della Val di Cecina, la poetessa Giannina Prato Zanella, “…l’incognita negli strati delle ere/…fa uno sberleffo al rigore della matematica” (dalla poesia “Colline Metallifere”).
”Io vedo sotto il sole”, si legge nell’Ecclesiaste (9,11), “che non è degli agili la corsa, nè dei forti la vittoria, nè dei saggi e di chi ha intendimento le ricchezze, nè quelli che hanno conoscenza hanno favore, perchè il Tempo e l’avvenimento imprevisto si frappongono a tutto”.
L’affermazione di E. Morin (15) che “le forme a priori sotto il profilo ontogenetico sono a posteriori sotto quello filogenetico”, una specie di legge di Haeckel sul piano mentale, verrebbe a significare quindi che le teorie e i modelli “inventati” dal cervello umano sono in grado di funzionare ed adattarsi (fitting, ma non matching (16)), in termini di comprensione, spiegazione e modifica, al mondo – alla cui evoluzione lo stesso cervello era partecipe – attraverso un processo di dematerializzazione (17), mediato da sistemi di rappresentazione sempre pi simbolici e codificati. Il fine ultimo di questo processo sembrerebbe essere la costruzione “a cipolla” (18) di un oggetto complesso dotato di memoria e percezione, che ricorda quel vertiginoso concentrato magico del mondo che è la monade leibniziana. Dire questo però non vuol significare che questa congerie di materia e spirito risulti in armonia con la Natura (mancanza di corrispondenza o assenza di matching), visto, da una parte, le infinite strade percorribili che si aprono ad ogni stadio (Costruttivismo Radicale in alternativa al Razionalismo Critico di Popper), implicanti continue scelte (“se hace camino al andar….Caminante no hay camino, sino estelas en la mar” A. Machado (19)), e dall’altra, la “turbolenza” che forse aumenta col tempo in funzione dello stress cui continua ad essere sottoposta la Natura. L’approssimazione lineare è peggiore quando il sistema sta per “rompersi”!. Una tale visione del mondo esclude che la causa efficiens (l’energia) da sola spieghi tutto. Non ci si accorse che questo errore avrebbe portato all’impossibilità di “districarsi dal circolo vizioso di tecnocrazia, espansione, corsa agli armamenti, potere e paura” (16), aspetti che continuano a germogliare sulla “presunta misurabilità dell’efficienza, della produzione, della comunicazione e perfino dell’intelligenza”. La negazione conseguente di qualsiasi fine (causa finalis (20)) sta privando l’uomo e la sua civiltà di qualsiasi significato.
Sarebbe allora molto facile per un Demone interferire “di brutto” negli affari umani ed è difficile pensare che non sia così! Basterebbe una modificazione energetica minima! Lo spazio dell’imprevedibile, la zone d’ombra nel futuro per la ragione, aprono possibilità al ritorno di nuove mitologie, delle religioni e della fede. Non siamo forse portati a pregare
quando qualcosa sembra piombarci addosso a caso? Gli dèi sono stati davvero smascherati come illusioni? Sono le argomentazioni o la storia, con le sue idiosincrasie, a rendere la vita difficile agli dèi? Perchè gli dèi si possono rintracciare difficilmente con l’esperimento? Afrodite davvero non esiste in nessun luogo o, con le caratteristiche che le attribuisce Omero, riesce tranquillamente ad eludere i metodi sperimentali inventati per scoprirla, che invece, un metodo diverso per ogni “oggetto”, bene individuano s.l. pianeti, elettroni, quark, ecc.? Le idee della scienza spiegano epidemie, terremoti, inondazioni e tempeste meglio delle idee contenute nei miti?
P.Feyerabend argomenta e risponde, non senza una nota di sarcasmo, a questi stimolanti interrogativi (29), concludendo che “l’asserzione che a molti dèi contrappone una natura unitaria descritta dalle scienze e studiata in dettaglio non è un’affermazione fattuale, ma un postulato metafisico”!
L’Uomo, novello Prometeo, libera e riattiva, nell’emisfero destro della sua mente “bicamerale” (31), quel canale previlegiato di comunicazione empatica con il Cosmo forse attivo all’alba della sua origine, come già tentò G. Bruno pagando con la vita (32), onde poter ascoltare di nuovo la “voce degli dèi”.
Gli umani tornano ad essere umani! Dopo secoli di dominio più o meno incontrastato della ragione, oggi si aprono spazi incontrollati che, al momento, sembra che la ragione non potrà mai più recuperare completamente. All’interno di questa nuova trappola però rimarranno per questo paradigma imprevedibili i singoli stadi evolutivi, è facile che pure qualche previsione sarà permessa magari di tipo globale, nel senso che qualcosa accadrà oppure no.
Contro la complessità di un mondo fenomenico imprevedibile abbiamo scatenato uno strumento matematico altrettanto complesso e imprevedibile: le equazioni non lineari le cui soluzioni, non analitiche, riportate su piani cartesiani opportuni, danno vita a figure geometriche strane e complesse, i frattali, figure che in qualche modo, si pensano adeguate a controllare l’evoluzione dei fenomeni stessi.
La nuova adeguatezza (fitness) del paradigma legato al Caos Deterministico provocherà in qualche decina di anni le nuove certezze, le nuove sicurezze, le nuove “verità”. Noi però non dovremo mai crederci fino in fondo, nonostante i successi che ci saranno: saremo ancora dentro una trappola e tutto il nostro interesse sarà nuovamente di uscire per predire meglio (9).
E’ in questa ottica che si individua una relazione stretta fra sistemi di non-equilibrio (Caos), irreversibilità, Freccia del Tempo (vedere post relativo sul blog) e probabilità (Prigogine (37)). Nel passato l’irreversibilità fu considerata dipendere dalle nostre approssimazioni, dalla nostra ignoranza e dai limiti della nostra pazienza (Feynman (38)): le leggi della natura sono sempre reversibili e, a guisa del pensiero di Dio, guardano nello stesso modo al presente, al passato e al futuro. L’irreversibilità e la freccia del tempo sarebbero così illusioni.
Con la struttura di non-equilibrio si rivaluta l’evento, la creatività e il “nuovo” non previsto (aspetti caratteristici fino ad ieri della vita e oggi anche della non-vita). L’evoluzione di questi sistemi lontani dall’equilibrio (che nell’Universo rappresentano la norma e non l’eccezione), presentano biforcazioni simmetriche labili in situazione ideale, soggette a rompersi al variare minimo delle condizioni iniziali (le biforcazioni e la rottura delle simmetrie rappresentano il nuovo e la creatività).
L’irreversibilità porta così a nuovi fenomeni di ordine, cioè ad una miscela di determinismo e probabilità.
Mentre nei fenomeni di equilibrio (es. cristalli) ogni elemento della struttura “sente” solo quelli vicini, nelle situazioni di non-equilibrio si hanno correlazioni a lunga portata che hanno reso possibile la vita e il cervello. Bisognerebbe attribuire il funzionamento della vita alla nostra ignoranza? Per vedere come questi nuovi concetti abbiano influito sulle
Teorie Evolutive, vedere E. Laszlo (39).
I fenomeni irreversibili non si riducono così ad un aumento di ”disordine”, come si pensava prima, ma al contrario hanno un ruolo costruttivo importantissimo (il tempo che crea di Bergson!). Così l’irreversibilità non sarà più collegata alla nostra ignoranza e all’aumento del disordine, ma alla struttura delle leggi della dinamica classica o
quantistica riformulate per i sistemi instabili e caotici (lavoro intrapreso da I. Prigogine).
Per tener conto delle limitazioni della fisica attuale, altri autori hanno introdotto nelle leggi quantitative parametri di forma (come il parametro PSI di E. Laszlo (42)): così la qualità, da tempo esecrata, entra di nuovo e a pieno diritto nel mondo della conoscenza umana.
Intanto il nuovo paradigma ci insegna che le attività di pensiero rivoluzionarie, che sempre servono per uscire dalle trappole e passare a teorie più adeguate (9), devono ora essere considerate attività normali, quotidiane, di interesse comune: ecco i nuovi germi per un’educazione rinnovata.
Staremo tutti di gran lunga più tranquilli (affermava il biologo teorico R. M. May) se più persone, non solo nel campo della ricerca, ma anche nel mondo quotidiano della politica, dell’ economia amministrativa e dell’educazione, capissero la non linearità dei sistemi con i quali operano e che semplici sistemi non lineari non possiedono necessariamente semplici proprietà dinamiche (21) (35), nel senso dell’estrema delicatezza, in ogni caso, del processo del prevedere.
In un mondo non lineare, dove zone di caos possono essere disseminate ovunque nel corso della sua evoluzione imprevedibile di principio, è meglio tenere in ballottaggio vari tipi di posizioni e di punti di vista, mutuati dai pensieri degli uomini attuali (5) e passati e non solo degli uomini (memoria biologico-culturale, memoria storica del cosmo). Il soggetto a più sistemi di riferimento, l’ “Io” come plurale, come molti, è il dialogo stesso, il dramma (5) recitato dagli innumerevoli personaggi sorti dalla memoria del mondo (22), dalle molteplici tradizioni e punti di vista (23).
Attraverso l’incessante interrogarci e risponderci con la consapevolezza che nessuna risposta sarà definitiva e nessun interlocutore interno previlegiato, si lancia la Storia, la Tradizione, il Passato evolutivo più profondo contro il Futuro, in una esplosione di innumerevoli e contrastanti indirizzi, vere e proprie opere d’arte nel campo della scienza, del sociale e della vita.

Dal suo punto di vista, già lo stesso filosofo francese J.F.Lyotard sosteneva (30) che non solo marxismo, democrazia e liberalismo, ma anche la stessa scienza, che da sempre si autoproclama conoscenza oggettiva e razionale per eccellenza, non è altro che una “grande narrazione”, mitologia travestita, se è vero che condivide con l’Illuminismo il mito del progresso incessante e garantito dell’umanità e che la sua fondatezza razionale non è superiore, come afferma Feyerabend, ai saperi non e pre-scientifici (il fare scienza degli scienziati non obbedisce ad alcun criterio razionale). In tal senso il linguaggio, il discorso, il sapere altro non esprimono che la volontà di potenza, quella stessa volontà di potenza di cui parlò F.Nietzsche e che M.Heidegger ha visto dispiegarsi nella nostra età della tecnica. L’anarchia dei diversi discorsi trova la possibilità di esprimersi per la prima volta senza essere subito soffocata dalla pretesa di un discorso di presentarsi più razionale degli altri e per questo espressione di volontà di potenza. Oggi le differenze rifiutano di riconciliarsi a sintesi!
Certamente i sistemi di riferimento ortodossi (sostenuti dalle varie televisioni, rimbalzati da una testata di giornale all’altro e da un bar all’altro), specialmente se collegati da una omogeneità di fondo, sono quelli a più alto rischio, che spingono nella trappola precedente.
Risalendo lungo un ramo di iperbole, sarà allora meglio considerare più attendibili per il futuro i punti di vista che riteniamo più strani ed assurdi, quelli che nella trappola precedente venivano sostenuti, nell’ambito della conoscenza, dagli isolati, dalle minoranze più malviste ed aggredite, dagli “shamani” e dalle ”streghe”?. Ciò che appare oggi poco strumentale, apparentemente non finalizzato, poco adeguato ai dati letti dalle nostre teorie più accreditate, forse anche dannoso (esempio caccia), domani può improvvisamente risultare armonico, adeguato efficace e salvare il mondo e con esso noi stessi (la caccia con i suoi archetipi catalizzanti (20)). Non commettiamo più gli sbagli dei nostri predecessori logici e razionali dai quali abbiamo ereditato questo pianeta malato! Se è vero che il sonno della ragione genera mostri, somministriamole qualche tranquillante!
Insegnare per formare menti “adatte” è un procedimento certamente non lineare che si applica a situazioni estrememente complesse. L’evoluzione della mente e delle conoscenze all’”interno” di essa si configura come evoluzione di un sistema estremamente complesso, fortemente sensibile alle azioni esterne e quindi scarsamente prevedibile. Dall’altra parte la stessa società è controllata da equazioni non lineari e perciò soggetta a divergenze esponenziali, divenendo sempre più difficile omologare cittadini adatti alle società del futuro.
L’oggetto mente/cervello per la sua possibilità di gestire quantità enormi di simboli, in continua interazione con la super-sfera del terzo mondo popperiano, comporta per il soggetto umano un intreccio di algoritmi assai più libero, indeterminato e arbitrario di qualsiasi altra specie (I. Illich, (40)). Ciò obnubila la possibilità di una percezione immediata e univoca dei segni della Natura, portando ad un mondo a-biologico, la cui appartenenza al mondo naturale diventa un requisito nullo o trascurabile (ragione distante dalla biologia e dalla Natura). La sezione razionale operata dalla ragione taglia i “nessi” e si perde il senso ecologico profondo. Sembra allora che solo il sistema inconscio rimanga a difendere ancora l’appartenenza alla logica del vivente: se vogliamo valorizzare l’aspetto biologico-naturale dell’uomo, dobbiamo renderci consapevoli, anche in termini educativi, delle dinamiche sottese ai processi istintivi e archetipici.
Si propone così in sede pedagogico-didattica una multimetodologia che preveda per la stessa disciplina un’azione educativa che si esplichi in vari modi e secondo diversi metodi. Lo stesso metodo che vede il razionalismo critico popperiano come sua base teorica e che proprio ora – ironia della sorte! – inizia anche in Italia la sua diffusione ufficiale e consapevole, non sarà produttivo a lungo, dovendosi favorire “un metodo senza metodo”, un modo libero ed anarchico, anche se geniale e creativo, di intervenire sul mondo, di inventare modelli di interpretazione anche fantasiosi, vere opere d’arte, per “rileggere” il dato sperimentale e costruire nuovi fatti e informazioni al fine di formulare idee non precostituite nella scienza, nell’arte, nella storia e nella vita.
Il fatto didattico-educativo non deve prevedere processi lineari e precostituiti (programmazione a più vie?), che condurrebbero sempre, anche nel migliore dei casi, alla “banalizzazione” (J. Foerster in S. Manghi (41)), nè gli inputs devono condurre all’”esattezza”, ma alla “complessita’”: le idee trasmesse non sono da proporre come “informazioni”, ma come ”perturbazioni”. Le prove scolastiche tradizionali più che un mezzo per misurare il grado delle conoscenze, in questa ottica, si ridurrebbero ad “un mezzo per misurare il grado di banalizzazione”. Chi ha successo nella scuola tradizionale, avrebbe subito un insegnamento banalizzante e per questo prevedibile. Un punteggio massimo significherebbe allora perfetta banalizzazione, studente perfettamente prevedibile e quindi ben accetto alla società, le cui esigenze ammettiamo sempre indipendenti dal tempo. Esso non sarà fonte di sorprese, né di problemi, ma solo finché si manterrà lo Statu Quo. L’elemento informativo trasmesso deve invece perturbare il sapere in generale. E’ la perturbazione l’elemento critico che scuote lo Statu Quo, il precostituito, a proporre alternative e nuovi punti di vista sui vari campi del sapere. Una buona banca-dati, di tutti i tipi, anche i più strani, per non iniziare sempre daccapo, verrà certamente fornita dai pensieri degli uomini del passato, anche il più lontano e non solo degli uomini (la stessa etologia potrebbe fornire stimoli creativi), che, pur riempendo l’Universo di ”posti” e “oggetti” mitici e strani, non sono da ritenersi meno geniali e affidabili dei nostri migliori stamani (nella accezione letterale del termine) della scienza. Alimentiamo l’immaginazione e la creatività fuori norma, a spese del solito metodo logico-razionale freddo, amorale, scarsamente naturale (si pensi ai danni irreversibili che ha provocato al mondo!) e per nulla coinvolgente, che funziona solo nel semplice, nell’artificiale e nel ”vicino” tempo e spazio (e a volte nemmeno in queste circostanze, se ci imbattiamo in una turbolenza e ciò capita sempre più spesso!). Perturbiamo il pensiero comune di cui sono impregnati i cervelli dei giovani studenti (e non solo loro!), sollecitiamo l’inconscio istintuale o il guscio rettiliano dell’encefalo (secondo il “modello triunico” del cervello di Mac Lean), introducendo aspetti rituali nell’insegnamento (ancora lo studio etologico e antropologico suggerirà come), evochiamo dall’inconscio collettivo (o dal guscio limbico?) le brillanti costellazioni archetipiche delle grandi emozioni, che risalgono alla notte del tempo umano e determinano simboli potenti, creazioni artistiche, religioni, colossali movimenti di pensiero intuitivo.
Così si propongono nuovi giochi linguistici, si costruiscono opere d’arte e su modelli anche fantasiosi si evincono nuove informazioni dai dati sperimentali e magari si prevedono e “costruiscono” nuovi fatti. Se l’Universo fisico ed umano a tutti i livelli evolve lungo traiettorie imprevedibili e verso ordini che riflettono le geometrie dei frattali e se questo è la regola e non l’eccezione, come si credeva prima, allora non si tratterà più di comunicare le competenze tradizionali o non solo quelle, ma specialmente insegnare a “giocare” con i simboli e no, creando; forse allora prepareremo le persone giuste per un mondo che procede su linee esponenziali.
Più possibilità teniamo in riserva e più aumenteranno le probabilità di sopravvivenza e meno il nostro insegnamento sarà banale.
A differenza delle parole di una nuova canzone “Il Mostro” (Samuele Bersani), che descrive appunto ciò che la società fa agli “alieni culturali” secondo il paradigma logico-deterministico della trappola precedente, il “mostro” sarà ora allevato nel nostro seno, andrà curato e proposto a modello. Il ritornello triste: “l’unica cosa certa è il mostro ha paura” e il suggerimento pedagogico che ne consegue, sono indici di questo nuovo modo di vedere. La paura dell’alieno rappresenta infatti il rischio per noi di insuccesso, di perdere le coincidenze nel prevedere il futuro; la sua paura indica la nostra presunzione al momento, le nostre certezze infondate, il rischio certo di catastrofe. Il pensiero diverso e divergente, ancorché ribelle, strano e addirittura alieno è, e rimarrà per un bel po’ di tempo, l’interlocutore più attendibile nel dramma recitato fra i diversi personaggi che costituiscono l’Io (5).
Restando sull’iperbole, saranno allora le “streghe” a salvare il mondo? Data la natura della storia, chi sa se averle bruciate vive nel Medioevo e oltre non abbia provocato, quasi dieci secoli dopo, lungo linee di flusso di un qualche frattale, le assurde certezze dei nostri costruttori di mondi e quindi l’attuale “turbolenza” e oggi magari il rifiuto di collaborare o qualche altro aspetto non individuato! Il Male è parte della vita proprio come fu parte della Creazione; non gli si dà il benvenuto e lo si limita, ma lo si lascia sopravvivere nel suo dominio, perché nessuno è in grado di dire quanto Bene ci sia ancora in esso e in che misura l’esistenza del Bene sia legata ai crimini più atroci (enantiodromia Eraclitea)(24).
Quasi mai Logica, Ragione, Teologia e Bene astratto hanno impedito nella Storia azioni atroci e genocidi, mentre solo istinti irragionevoli come la Fratellanza spesso hanno costruito valide difese contro la violenza e l’ingiustizia. “Un procedimento il cui scopo principale è quello di sbarazzarsi di tutti gli elementi umani deve per forza condurre ad azioni inumane” (24).
Le turbolenze, i vortici, i frattali, considerati eccezioni, fenomeni secondari di disturbo, limiti trascurabili della ragionevolezza del mondo, ne sono invece i principali artefici e la regolarità sancita dalla fisica tradizionale e dal senso comune è solo un sogno e la statistica un placebo, valide forse in aree estremamente addomesticate della nostra esperienza e in molti casi neppure in quelle. Educhiamo più spesso al rischio come rischiano i bambini nel gioco; estendiamo l’attività ludica, la cui portata è di natura genetica, al pensiero dell’intellettuale adulto; non drammatizziamo più le differenze di pensiero e puntiamo su quelle anomale ed eccezionali: un mondo caotico si salva con un pensiero meno ordinato.
Quando un elettrone sparirà al limite estremo dell’Universo conosciuto, noi saremo pronti.

DOTT. PIERO PISTOIA

Vedere anche il post “FRATTALI…ED ALTRO” del dott. Prof. Loris Mannucci, che tratta l’argomento dal punto di vista fisico-matematico.

BIBLIOGRAFIA

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2 – E. O. Wilson “The diversity of the life” da PANORAMA, 03-01-1993.
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4 – A. Ortiz et al. “Miti e leggende degli Indiani d’America” CDE, 1992.
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11- A. K. Dewdney “Alla scoperta delle strane attrattive del Caos” da IL
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13- F. Luccio e L. Pagli “Caos” in LE SCIENZE quaderni, Sett. 1992.
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20- P. Pistoia “Origine dell’Uomo” in DIDATTICA DELLE SCIENZE, La Scuola,
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23- P. Feyerabend “Contro il metodo” Lampugnani Nigri, 1973.
24- P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando, pag. 295-310, 1990.
25- J. Bruner “La ricerca del Significato” Bollati Boringhieri, 1990.
26- J. Bruner “La mente a pi— dimensioni” Sagittari Laterza, 1988.
27- R. Wilhelm (a cura di) “I CHING” Adelphi, 1991.
28- Per approfondire il modo in cui questo senso di responsabilità umana
deve allargarsi nel tempo e nello spazio, vedere H.Jonas “Il principio di
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29- P. Feyerabend “Dialogo con la Natura” da PROMETEO, Maggio, 1991
30- F. Lyotard “La condizione post-moderna” Feltrinelli, 1981.
31- J. Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988.
32- S. Lerner et al. “Giordano Bruno” LE SCIENZE, N.58.
33- P. Davis “L’Universo è una macchina?” in N. Hall (a cura di) “Caos”
Franco Muzzio Editore, 1992.
34- A. McRobie et al. “Caos, Catastrofi e Ingegneria” in N. Hall (a cura
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35- R. May “I ritmi caotici della vita” in N. Hall (a cura di) “Caos”
Franco Muzzio Editore, 1992.
36- H. Maturana e F. Varela “Macchine ed esseri viventi” Astrolabio, 1992.
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37- I. Prigogine “Le leggi del caos” Laterza, 1993.
38- R. Feynman “La legge fisica” Boringhieri, 1971.
39- E. Laszlo “Evoluzione” Feltrinelli, 1980.
40- I. Illich “Nello specchio del passato” Red Edizioni, 1993.
41- S. Manghi “Il gatto con le ali” Feltrinelli, 1990.
42- E. Laszlo “L’ipotesi del campo PSI” Lubrina Editore, 1987.

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