CURRICULUM DI PIERO PISTOIA
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ART. IN COSTRUZIONE DA TEMPO! LA VIA SI FA CON L’ANDARE E NON SEMPRE LA VIA FACILE E’ LA VERA VIA; NOI FACCIAMO AL MEGLIO QUELLO CHE POSSIAMO, SE SBAGLIAMO SI CORREGGE!
PRESENTAZIONE DELL’ARTICOLO
La presente nota, che si inserisce in un discorso a più ampio raggio di riscoperta e rivalutazione dell’ambiente naturale, vuole focalizzare alcuni problemi emergenti nelle interazioni folclore-cultura simbolica, extrascolastico-scolastico, cultura di massa-cultura disciplinare, aprendo in prospettiva possibilità per una comunicazione culturale efficace. Essa sottolinea, attraverso la ricerca e la raccolta di alcune piante officinali, si possa non solo ritrovare il gusto della tradizione legata al ciclo delle epoche e delle stagioni, ma anche recuperarla attraverso la mediazione della cultura strutturata ( si impara consapevolmente a conoscere perchè quella pianta è diversa dalle altre, perchè possiede quelle proprietà, perchè non si trova in tutti i terreni…). In questo modo la disciplina scolastica potrà uscire dall’ambito ristretto dell’aula per entrare nella casa, nel bar, nella piazza, fornendo modelli di interpretazione e spiegazione e quindi suscitando interessi diversi da quelli spesso alienanti dell’industria culturale.
La riscoperta del folclore e della tradizione, se mediate attraverso il filtro qualificante delle strutture disciplinari, non solo innesca il processo di emancipazione, ma offre, da una parte, l’oppurtunità di un impiego più proficuo del tempo libero, specialmente da parte dei giovani e dall’altra, la consapevolezza della necessità di un rispetto senza condizioni dell’ambiente in tutte le sue componenti, animate ed inanimate.
Infine, in una piccola comunità come la nostra, un discorso di questo tipo ampliato e reso continuativo (dalla camomilla ed altre piante officinali ai funghi, dal comportamento alla conoscenza delle abitudini di certi tipi di selvaggina, ecc.) potrebbe rappresentare forse anche un’occasione per avvicinare la saggezza dell’anziano con i suoi modelli di interpretazione del mondo, con quelli forse più mediati del giovane scolasticizzato, favorendo una maggiore comprensione fra i due mondi.
INTRODUZIONE
Alcune piante officinali vengono ancora raccolte nella Val di Cecina specialmente nelle campagne, anche se con frequenza minore rispetto a qualche anno fa, secondo certe modalità e certi riti che rimandano ad una cultura-folclore tramandata oralmente, ma non trascurabile per qualsiasi discorso di comunicazione culturale-educativa.
L’articolo si pone come tentativo di una riscoperta, da una parte, di certe usanze sempre più disconosciute dalle nuove generazioni e dall’altra, di un inserimento nella cultura di base-folclore per aprirla ad un apporto sempre più simbolico.
Tutti conoscono la “camomilla”. Certamente ognuno almeno una volta ne ha bevuto l’infuso (1) e nei giorni vicini a San Giovanni, 24 giugno, (almeno qualche anno fa quando il clima era più stabile) molti lasciavano il paese per le stazioni di raccolta che ognuno conosceva da sempre, anche per tradizione. Era proprio il giorno di San Giovanni quella della raccolta delle piante officinali. Nei tempi ancora più lontani il 24 giugno maghi e streghe di riversavano nella campagne a mezzogiorno astronomico a raccogliere l’iperico (Iperycum perforatum) e le altre erbe “magiche”. Ma le antiche usanze hanno una loro ragione scientifica: proprio in quel giorno forse la radiazione solare in media è più intensa alle nostre latitudini, se qualche giorno prima, il 21 giugno (solstizio d’estate), i raggi del sole incidevano perpendicolarmente a 23,5° di latitudine nord (Tropico del cancro) e lo sfasamento temporale è dovuto forse all’inerzia al trasferimento di calore all’ambiente. A mezzogiorno, perchè la sintesi clorofilliana (appendix 1) è al massimo. Altri consigliano invece la raccolta delle erbe al sorgere del sole, quando certamente i processi di ossido_riduzione (appendix 1) sono meno intensi, e la pianta è forse “meno viva”. Sembra anche che non si debbano recidere le erbe con oggetti metallici, forse per possibili reazioni chimiche negative fra metallo e succhi vegetali; si consiglia così uno strumento di osso o di plastica inerte. Se è vera la nostra ipotesi però potrebbe servire bene anche un paio di forbici o coltello di buon acciaio inox per sezionare. Ma al di là di un discorso sul rispetto che si deve portare a qualsiasi organismo vivente, non si deve escludere però, nell’accumulo dei principi attivi nella pianta, anche uno sfasamento nel tempo, variabile da pianta a pianta, a) rispetto al mezzogiorna astronomico 2 ) rispetto alla fioritura, tenendo conto che una fase del processo clorofilliano avviene al buio e la sintesi dipende essenzialmente dalla zona verde della pianta (appendix 1).
Ma torniamo alla camomilla, cioè alle “camomille”, perchè con la parola camomilla si indicano piante di diverso tipo sia a livello botanico: camomilla comune (Matricaria camomilla), camomilla romana ecc., sia a livello industriale (le varie specie che si prestano a sofisticare la camomilla vera). Molti parenti insomma della “vera” camomilla, dalle “margherite” ai “crisantemi”, hanno avuto il nome di camomilla s.l., aprendo possibilità a falsificazioni e sofisticazioni, da una parte, e a convinzioni errate dall’altra. Si tratta come vedremo di alcune specie del genere Anthemis (Anthemis cotula, Anthemis arvensisi) con foglie frastagliate finemente fino a diventare simili a quelle della camomilla vera, ma anche di specie, che sembra non abbiano nulla a che spartire con la camomilla neppure nell’aspetto esteriore, appartenenti al genere Chrysantemum (C. leucantemum, C. parthenium, C. corymbosum), le cui foglie sono meno settate o addirittura intere. anche nelle nostre zone anche in qualche modo si riflette questa polisemia del nome: si raccolgono infatti almeno due tipi di piante col nome “camomilla” (la “piccola” e la “grande” camomilla). Ma veniamo a precisare concetti e problemi.
TAVOLA SINOTTICA RELATIVA ALL’ARTICOLO
POSIZIONE SISTEMATICA DELLE “CAMOMILLE”
Per capire l’inserimento della camomilla i una strutura di piante più o meno imparentate, è necessario parlare del fiore in generale e di alcune infiorescenze in particolare: quella a capolino e quella a corimbo.
IL FIORE, IL CAPOLINO ED IL CORIMBO
Il fiore delle piante superiori (Fanerogame Angiosperme, cioè piante a fiori i cui ovoli sono protetti in ovari) è una struttura (fig. 1, della T. sinottica)) che deriva da foglie che hanno subito particolari trasformazioni nel corso dell’evoluzione, divenendo completamente diverse da quelle poste sul fusto, formando pezzi come a) lo stame che alla sommità porta l’antera, dove si forma il polline, che si configura come un organismo maschile pluricellulare (forse analogo al fuco delle api), che darà poi luogo al gamete maschile, detto anterozoo, analogo allo spermatozoo degli animali superiori, b) il pistillo che nell’ovario nasconde l’ovolo, individuo femminile, nel quale si differenzia il gamete femminile (oosfera, analogo all’uovo degli animali superiori) e in generale alla periferia del complesso, dall’interno verso l’esterno, c) una corona di foglie delicate a colori vivaci (petali) che costituisce la corolla ed una di foglie meno vistose che costituisce il calice, che però talora è assente. Tutti questi pezzi fiorali sono situati all’estremità di una rametto foglifero più o meno corto (peduncolo) che ha la cima dilatata a formare una specie di piedistallo che si chiama talamo. Se i petali sono saldati otteniamo le corolle gamopetale (altrimenti dialipetale). Tra le corolle gamopetale, per i nostri scopi, ricordiamo la corolla tubolosa (petali saldati a tubo) e la corolla ligulata (fig. 6, della T. sinottica), i cui petali saldati insieme, formano una linguetta molto espansa, ma solo da una parte del fiore.
Alcune piante recano un solo fiore, altre ne hanno molti, ma solitari, in altre ancora essi risultano raggruppati secondo particolari regole, in infiorescenze. Le infiorescenze che ci interessano per il nostro discorso sono: il capolino ed il corimbo.
Infiorescenza a capolino
Molti piccoli fiori, l’uno accanto all’altro, sono inseriti su un grosso talamo comune, ora piano, ora concavo o convesso, con superficie nuda o provvista di pagliette più o meno trasparenti (fig.2, a;b della t. sinottica e fig. 5, b;c della T. sinottica). Il ricettacolo è poi avvolto da un involucro (facente funzione di un calice comune) formato da foglie modificate (brattee), talora spinescenti. I fiori del capolino, se regolari e simmetrici, sono tubolosi, se irregolari sono ligulati (fig.6, T. sinottica). Se esistono i due tipi sulla stessa infiorescenza, i ligulati si trovano al bordo del capolino ed i tubolosi al centro e le linguette assumono funzione vessillare (attirano gli insetti). Il fiore delle margherite, delle camomille e dei girasoli, per es., ha proprio questo aspetto e quelli che vengono comunemente indicati come petali, in effetti sono le linguette a direzione centrifuga dei fiori ligulati periferici.
Infiorescenza a corimbo
E’ costituito da fiori, sostenuti da peduncoli di diversa lunghezza, inseriti ad altezze diverse sull’asse principale, che vengono a raggiungere circa lo stesso livello (fig. 3, T. sinottica). Il peduncolo fiorale si distingue da qualsiasi altro rametto perchè non porta foglie ed è inserito all’ascella di una foglia normale o di una brattea. talora rametti con foglie alla cui estremità si situa un fiore (0 una infiorescenza), inseriti a diversa altezza sull’asse principale, sembrano conformarsi a corimbo; in effetti si tratta di falso-corimbo.
LE “ASTERACEE” E RICONOSCIMENTO IN GENERALE DELLE CAMOMILLE
Le piante che sono raccolte nella Val di cecina come camomilla hanno tutte qualcosa in comune: posseggono un “fiore” che non è un vero fiore e se lo osserviamo con una lente di ingrandimento si presenta costituito da un gran numero di piccoli fiori direttamente attaccati (sessili) su un bottoncino (talamo) sostenuto da un peduncolo; al margine, il talamo è “orlato” da”falsi” petali bianchi, formando un complesso di fiori che si chiama come già accennato “infiorescenza a capolino”. Le piante che presentano questa infiorescenza si chiamano “Asteracee o Composite“. Se continuiamo ad osservare con la lente il capolino, si nota anche (fig. 6), come già detto che i piccoli fiori al bordo (fiori a linguetta, ligulati) sono diversi da quelli al centro (fiori a tubo, tubolosi). Ma il problema centrale è individuare le due specie di camomilla, sottolineandone le caratteristiche i riconoscimento in confronto a quelle di specie affini.
LE FOTO E DISEGNI DELLE CAMOMILLE SONO STATI RIPRESI DA INTERNET: SI RINGRAZIANO INTANTO GLI AUTORI (da precisare) LE FIGURE RIPORTATE COMUNQUE VERRANNO SOSTITUITE DA FOTOGRAFIE QUANDO DISPONIBILI
RICONOSCIMENTO SUL CAMPO DELLA PRIMA SPECIE DI CAMOMILLA E SUA DISTINZIONE DALLE SPECIE AFFINI
TAV. 1
Matricaria chamomilla, Wikipedia
Matricaria recutita plate 182 in A. Masclef: Atlas des plantes de France Paris (1891)
TAV. 2
Anthemis cotula
http://www.ct-botanical-society.org
Non è così facile per i non raccoglitori abituali riconoscere la “piccola” camomilla, la “vera” camomilla, cioè la Matricaria camomilla. Nella nostra zona spesso vivono, l’una accanto all’altra, piante molto simili alla camomilla, come l’ Anthemis cotula (camomilla mezzana, falsa camomilla) e l’Anthemis arvensis (camomilla bastarda, rara dalle nostre parti) e alcune specie del genere Matricaria che non sono ‘camomille’. Le differenze a prima vista non sono molto evidenti (fig. 4;5, T. sinottica), anche per la presenza di varietà di cotola che tende ad erigere i rami verso l’alto con foglie sempre più filiformi (differenze probabilmente dovute all’esposizione).
Tutte queste specie presentano infatti fiori agli estremi dei rami in forme di capolini gialli con pseudo petali bianchi, a loro volta riuniti in un corimbo o falso-corimbo molto lasso. Anche la convessità del capolino non è una caratteristica di classificazione sicura: varia più o meno con la stessa modalità in tutte le specie. le stesse foglie che , bi-tri-pennato-sette tendono a divenire filiformi nella M. camomilla, presentano una tendenza analoga per certe forme di cotola (cotola più eretta). Il carattere invece distintivo centrale per il ricercatore rimane il talamo che in sezione presenta un vuoto in forma di cono acuto (fig. 2 a, della Tavola sinottica e Tav. 1), mentre il talamo della A. cotula e dell’ A. arvensis è nettamente pieno (fig. 5 c; T. sinottica). Il fiore della camomilla acquista così l’aspetto delicato e cedevole alla pressione delle dita. Come carattere di distinzione secondario indichiamo l’odore: il profumo aromatico della camomilla vera si distingue nettamente dal fetore della maleodorante cotola e della quasi inodora A. arvensis. Un terzo elemento di distinzione, anche se meno accessibile, lo scopriamo nella presenza sul talamo, privato dei fiori (questa operazione è più facile quando il capolino è più maturo), di piccole formazioni simili a squamette nella cotola (prevalentemente nella parte superiore, fig. 5 c) e nell’ A. arvensis, mentre sono completamente assenti nella camomilla.
ASTERACEAE A CLASSIFICAZIONE INCERTA
Foto di Asteraceae eseguite da Piero Pistoia, forse ancora una cotula, per puzzo e pagliette sopra il ricettacolo, anche se lacinie foglie non filiformi (Maggio-Giugno, dal Ponte di Ferro a sinistra verso podere S. Giovanni subito prima del bivio per impianti Granchi, sopra strada a destra)
Foto di Asteraceae forse del genere Matricaria, non succedanee della camomilla, eseguite da Piero Pistoia, classificate da Angelo Bianchi, Erborista (Maggio-Giugno, lungo strada Gabbri). L’infiorescenza è tendenzialmente a CORIMBO?
Foto scattata da Pf. Bianchi di fiori degli individui precedenti
RICONOSCIMENTO SUL CAMPO DEL SECONDO TIPO DI ‘CAMOMILLA’ E SUA DISTINZIONE DALLE SPECIE AFFINI
TAV. 3
Chrysantemum leucantemum
da Wikipedia, l’enciclopedia libera (it.wikipedia/wiki/Leucantemum_vulgare)
COPYRIGHT SCADUTO
Due Foto di Crysantemum leucantemum di CRISTINA MORATTI
Non c’è nessuna possibilità di confusione nel riconoscimento fra “piccola” e “grande” camomilla (Chysantemum leucantemum nel linguaggio dei botanici), se non altro per il taglio della pianta e del fiore molto più grandi, per il talamo per il talamo piccolo e solo leggermente convesso e le foglie praticamnete intere; insomma sono due oggetti molto diversi. E’ comunque anche abbastanza facile riconoscere questo crisantemo dagli altri pià simili in dimensione. Il leucantemo presenta una foglia (fig. 7; T. sinottica e TAV. 1) oblunga un po’ dilatata alla base più o meno leggermente dentata (“simile alla foglia dell’olivo” dicono i nostri vecchi), mentre per es., il C. corimbosum ha foglie pennato sette (fig. 8 b; T. sinottica) e in alcune varietà bipennatosette e il C. parthenium ha fogli da pennatofide a pennatosette (fig. 9; T. sinottica), ma fiori più piccoli, a linguette più corte e larghe. Ma cerchiamo di precisare alcuni di questi aspetti e distinzioni.
Chrysantemum leucantemum
Pianta erbacea annua con fiori ligulati non sviluppati di colore bianco (il centro del capolino è giallo). Ha fusti eretti più alti della vera camomilla, poco ramificati che sorreggono capolini terminali, sempre più grandi della M. chamomilla, con fiori del disco tubolosi e gialli e quelli del bordo ligulati e bianchi. Le foglie inferiori sono lungamente picciolate (fig. 8 a; T. sinottica e TAV. 3) e le altre sessili (fig. 8 b; T. sinottica) di forma oblunga spatolata con dimensioni decrescenti lungo i rami laterali e dentate leggermente al margine. La pianta fresca è praticamente inodora, ma acquista l’odore classico della camomilla, anche se meno intenso, dopo che i capolini sono stati seccati all’ombra.
Chrysantemum corimbosum
Fiore simile al C. leucantemum. I capolini sono avvicinati in una struttura corimbosa rada e povera; nei posti dove si trova si dice di esso che non è camomilla perchè i fiori “non sono da soli”, volendo significare che la pianta possiede infiorescenza a corimbo, mentre il leucantemo si presenta spesso come un solo ramo fiorifero, anche se talora presenta più rami a falso-corimbo (ogni rametto fiorifero infatti ha le foglie, per cui non si configura come peduncolo). La pianta in osservazione ha foglie a perimetro allungato bipennatosette a lacinie quasi lineari con fiori più grandi della camomilla vera e simili al leucantemo: ha per questo le caratteristiche di qualche varietà di C. corymbosum.
TAB. 4
Chrysantemum parthenium
https://www:google.it/?gws_rd=ssl#q=chrysantemum+parthenium
commons.wikipedia.org/wiki/File:Chrysanthemum_parthenium_-_Flora_Batava_-_Volume_v10.jpg
IN QUALI TERRENI SI DEVONO CERCARE LE DUE CAMOMILLE
Il controllo delle ipotesi prospettate in questo paragrafo derivano da scarse osservazioni dirette, visto anche il numero limitato di stazioni floristiche visitate; per cui dovrebbero essere raccolti ulteriori dati.
L’autore ha tovato la Matricaria chamomilla in terreni argillosi acidi del neoautoctono (appendix 2), meglio se azotati e/o nei terreni silicei (pietrisco e terre a diaspri e, anche se meno vigorosamente in calcari silicei e calcari palombini); allo scrivente sembra addirittura che nel secondo caso il fattore azoto influisca molto meno. Nei terreni (appendix 2) a gabbro e diabase alterati (rocce verdi dell’alloctono trasgressivo e/o calcarei o su terricci derivati da substrato calcareo (calcari detritici conchigliari del Pliocene medio, volgarmente e localmente detti “tufo”) ci sembra inutile cercare la M. chamomilla.
Anche il C. leucantemum si trova raramente in terreni gabbrici basici, preferisce i pendii argillosi e scarsamente azotati, come sulle terre di riporto delle scarpate lungo le strade, sugli argini calancosi, nei dintorni dei fori dell’Enel, sempre in terre argillose e secche. Forse la sua sopravvivenza è meno critica sul calcare. Lo scrivente, per quello che vale, non ha mai trovato insieme le due specie di camomilla (forse anche per la rarità della Matricaria).
Il C. corymbosum si trova invece in terreno gabbrico e questo potrebbe essere un ulteriore elemento di distinzione.
CENNI ALLA UTILIZZAZIONE DELLE “CAMOMILLE” NELLA MEDICINA POPOLARE
Questo paragrafo verrà aggiornato in itinere.
Si accennerà ora alle proprietà officinali della Matricaria camomilla postulando che la “grande” camomilla abbia proprietà analoghe anche se meno efficaci.
Sono officinali i fiori da seccare all’ombra in ambiente ventilato; contengono un’essenza di composizione complessa il cui principio attivo fondamentale però è ritenuto sia l’azulene. L’azulene è una sostanza caratterizzata da una molecola con formula grezza C10 H8; è un isomero del naftalene (comune naftalina), e la sua struttura deriva dalla condensazione di un anello a cinque con uno a sette atomi di carbonio (fig. 10 a della T. sinottica). Nella camomilla esiste uno speciale azulene: il camazulene, capace di stimolare le funzioni dei sistemi preposti al mantenimento della sanità dei tessuti sia interni che esterni, favorendo i processi riparativi. Si capisce così come la camomilla sia impiegata in cosmesi, nella terapia cicatrizzante, nelle gastriti ed in alcune malattie della pelle. Il naftalene a sua volta è un idrocarburo aromatico (C10H8) con struttura derivata dalla condensazione di due nuclei del benzene (in commercio benzolo, termine fondamentale della serie degli idrocarburi aromatici) (fig. 10 b). Il colorante giallo della camomilla è dovuto invece a glucosidi flavonici. Il glucoside corrisponde ad una formula composta da uno zucchero semplice con un gruppo detto aglicone, di aspetto diverso che caratterizza il composto: se l’aglicone è uno steroide, abbiamo i glucosidi cardiocinetici (Digitale, Adonide, Oleandro…), se è un derivato dell’alcol salicilico, abbiamo i glucosidi della serie salicilica (corteccia del salice, Pioppo, Betulla…) ecc. Nel nostro caso l’aglicone è un flavone o soui derivati ed il composto presenta allora effetto diuretico e diaforetico e promuove in alcuni casi la crescita in resistenza dei capillari e la diminuzione della loro permeabilità (vitamina O). E’ da notare che all’azione di questi composti forse si affianca quella analgesica di qualche altro glucoside ancora poco conosciuto che agirebbe direttamente sulle terminazioni nervose.
Un pizzico di fiori di camomilla secchi (un cucchiaio da minestra colmo) per una tazza d’acqua da far bollire per due minuti circa (il semplice infuso talora non è efficace) preso prima di addormentarci, è un buon rimedio nelle nevralgie, mal di testa e manifestazioni dolorose dell’apparato digerente. Il decotto (1) (due pizzichi di camomilla per tazza tenuti a bollire per 5-6 minuti) è un ottimo rimedio se usato per sciacqui e gargarismi, nelle infiammazioni della bocca, mal di denti e mal di gola. In un numero imprecisato di decotti e infusi entra la camomilla per esercitare azione affiancante alle droghe. Citerò solo un decotto per sciacqui e gargarismi sperimentato dal sottoscritto che ha dato risultati ottimi nel mal di gola: Una manciata di foglie di salvia (5 gr), 4 foglie di menta (piperita o comune), un rametto fiorito con tre o quattro foglie di malva, un pizzico di camomilla, in un tazza di acqua e far bollire per 5-6 minuti.
COME SI RACCOGLIE LA CAMOMILLA
Poichè la droga corrisponde ai soli fiori, basta staccare i capolini con le dita aperte infilate delicatamente fra i fusti, senza danneggiare le pianticelle in maniera da far continuare la fioritura fina alla disseminazione. Raccogliere l’intera pianta significa diminuire la potenza della stazione di raccolta e, specialmente per la M. camomilla che è una pianta non molto diffusa nelle nostre zone, si rischia di farla completamente scomparire dalla Val di Cecina.
DOVE SI PUO’ RACCOGLIERE CAMOMILLA
Fra le stazioni della M. camomilla che lo scrivente conosce ricordo: a Saline, oltre la fabbrica ENI andando verso Volterra; prima del podere S. Giovanni venendo dal ponte di ferro, ma, a causa di lavori, oggi la stazione è sparita; oltre Libbiano, lungo la strada di Monterufoli, prima della bandita.
La “grande” camomilla è più diffusa e si può raccogliere in generale nelle zone aride di riporto; la stazione più ricca è situata oltre il bivio per la Leccia, andando verso Serrazzano; sulle scarpate e campi lungo la strada (purtroppo ultimamente lavori nei dintorni del bivio hanno cancellato la stazione floristica). L’autore ha trovato invece a giugno del 2015 il leucantemum oltre Ponteginori, venendo verso Saline: dopo 100-200 m dalla rotonda, a destra sotto strada in un campo incolto (stazione a rischio). Per chi volesse osservare la varietà del corimboso, esso si trova oltre la “Casina Seconda”, sotto Micciano sul gabbro.
CONLUSIONI
L’autore spera di essere riuscito, almeno in parte, nel tentativo di lanciare un ponte fra folclore e cultura simbolica, fra mondo delle teorie del senso comune e strutture disciplinari, fra mondo della scuola e cultura richiesta dal vivere quotidiano, aprendo anche alcune prospettive alla soluzione dei problemi posti dall’educazione permanente.
APPENDICI
Questo paragrafo verrà aggiornato in itinere.
Appendix 1: alcuni aspetti del processo fotosintetico e cenni alla sua evoluzione a corto raggio.
I disegni sotto riportati, replicati più volte su Internet in svariati altri interventi e appunti di diversi autori di altri blogs, sono stati ritrasferiti rivisitati anche su questo. Se ci sono problemi verranno soppressi.
CENNI ALLA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA (Appunti e pensieri così come vengono, ripresi a spirale)
PREMESSA
La fotosintesi clorofilliana è un meccanismo che fornisce nutrimento ed energia e quindi è condizione necessaria e spesso sufficiente per mantenere in vita la pianta e la vita sulla terra. Infatti dalla sua efficienza dipendono la garanzia della riproduzione di tutti i viventi e la continuità stessa della vita.
Le piante verdi sono organismi autotrofi, cioè riescono, a partire da composti inorganici (sali minerali del terreno, acqua e anidride carbonica), a formare composti organici che servono a mantenere e costruire il loro corpo (organicazione): da H2O+CO2 si arriva ad un composto del gruppo degli zuccheri che può condensarsi in amido e insieme a sostanze nitriche e ammoniacali darà composti azotati. Gli animali in genere sono invece eterotrofi, cioè riescono solo a organizzare il materiale costruito dagli autotrofi. Il processo di organicazione del materiale inorganico è permesso da un insieme complesso di reazioni chimiche non ancora completamente capite che si chiama fotosintesi clorofilliana. La fotosintesi perciò è il processo mediante il quale la materia organica, immersa in una atmosfera di ossigeno, si oppone alla sua completa e veloce “combustione” in CO2 + H2O. La respirazione stessa è una specie di “combustione controllata” che l’organismo è riuscito a ‘progettare’ durante la sua evoluzione e utilizzare per i suoi fini.
Ma per passare da materiali semplici (inorganici) a quelli complessi, che si configurano come “mattoni” per costruire la materia vivente, c’è bisogno di un grosso quantitativo di energia, ma anche un “meccanismo strutturato” progettato e costruito dall’evoluzione per utilizzarla in un processo mirato a tale lavoro. La pianta cattura tale energia da una sorgente storicamente inesauribile: il sole. La cosa sembra semplice, ma in effetti, in generale, scaldare più molecole semplici (quelle inorganiche) al sole non provoca nessuna reazione utile, come nessun oggetto si muove se ci limitiamo a trasformare acqua in vapore (vedere il 2° principio della termodinamica)!
RACCONTO A LIVELLO ZERO
E’ necessario così prima capire che cosa si intende per ossidazione e riduzione, perché la maggior parte dei passaggi nel processo fotosintetico sono reazioni di ossido-riduzione. E’ inoltre richiesta una minima conoscenza della chimica elementare. Una molecola chimica si ossida quando cede elettroni e si riduce quando ne acquista; nelle reazioni dove entrano in gioco ossigeno e idrogeno, una combinazione con ossigeno significa ossidazione e con idrogeno riduzione (infatti, per es., se l’elemento Ca (neutro, ossidazione 0) si combina con l’elemento ossigeno (neutro) a dare CaO, cioè Ca(2+) O(2-), si vede che si è ossidato cedendo due elettroni negativi; si dice anche che è aumentato il suo numero di ossidazione da 0 a 2, mentre O si riduce. L’ossidazione è una specie di piccola combustione e libera energia nei dintorni; la riduzione invece ne assorbe. Una molecola che si riduce acquista dentro di sé energia chimica. Così l’energia solare può essere catturata da molecole che si riducono e trasportata da una molecola all’altra in una catena di ossido-riduzioni con salti energetici in discesa (vedere schemi dei due sistemi fotosintetici). Cerchiamo di capire. La luce spacca una molecola di acqua (fase luminosa della fotosintesi) liberando ossigeno molecolare ( da H2O, i due idrogeno del composto hanno numero di ossidazione 2+, si formano 2H+ (cioè due protoni, atomi di idrogeno senza elettroni), che rimangono liberi; mentre l’ossigeno passa da -2 a zero: 1/2*O2; si dice che l’acqua si è ossidata liberando due protoni). Durante la fase al buio della fotosintesi avrò disponibili varie molecole di ATP e NADPH ad alta energia chimica costruite durante la fase luminosa (vedere schema Z) che saranno capaci di operare le reazioni chimiche di riduzione ad alto assorbimento energetico richiesto dal passaggio dall’inorganico all’organico. Rimane comunque il problema sul modo in cui la luce del sole riesca a spaccare la molecola d’acqua; sembra che l’energia luminosa ecciti una molecola di clorofilla, contenuta nelle parti verdi della pianta (fase luminosa), portandola ad uno stato altamente energetico (salto di elettroni su livelli elevati) così da determinare la scissione dell’acqua, bombardata da quanti di ‘luce’ opportuni, quando ritorna al suo stato iniziale, con il conseguente passaggio dell’energia anche ai trasportatori di elettroni liberati fino alla zona dove sarà utilizzato per i processi di organicazione del carbonio (ciclo di Calvin). Così all’interno di cellule opportune delle parti verdi della pianta (cloroplasti), che contengono vari tipi di clorofille, avvengono complicate reazioni di ossido-riduzione in due sistemi fotosintetici, vedere dopo foto (fase luminosa), che conducono alla formazione di molecole di trasporto ricche di energia nei loro legami chimici (ATP e NADPH, vedere dopo) che, nella fase oscura (ciclo di CALVIN), serviranno a costruire le molecole carboniose (organicazione della CO2) utili a produrre poi protidi, lipidi…
Così, nella scissione dell’acqua si libera ossigeno nell’atmosfera. Un riassunto sulle tappe principali del processo fotosintetico è dato nel così detto “SCHEMA H” di fig. 11 della T. sinottica e ‘SCHEMA ZETA’ che cercheremo di illustrare meglio. Vedremo meglio introducendo anche la distinzione fra la fotosintesi delle piante di tipo C3 e di tipo C4 ed accennando ai vari passaggi ipotetici che, per ora, non sono completamente conosciuti.
Come già accennato le piante verdi sono autotrofe, cioè riescono a produrre molecole organiche complesse (con alta energia nei loro legami) a partire da semplici composti inorganici ed acqua (poveri di energia) con in più energia luminosa che bilanci almeno la differenza.
Per far questo utilizzano un meccanismo chimico a struttura complessa ancora non completamente compreso, la fotosintesi clorofilliana, che avviene all’interno delle cellule delle foglie verdi dette cloroplasti o plastidi entro cui è contenuta la clorofilla nelle sue diverse forme. Attraverso complicate reazioni durante la fase luminosa, in particolare di ossido-riduzione nel trasferimento energetico, che avvengono in due fotosistemi collegati, vengono prodotte molecole energetiche come l’ATP e NADPH, che serviranno poi alle altre cellule del cloroplasto per sintetizzare nel Ciclo di Calvin, le molecole carboniose, zuccheri, cioè i mattoni di partenza per produrre proteine, lipidi, ….
Il processo globale sembra essere sintetizzato con la reazione:
nCO2 + nH2O + nNhn (?) → (CH2O)n + nO2
Energia per ogni mole = Nhn
N=numero di Avogadro=6*10^23 molecole/mole; h=costante di Plank=6.62*10^(-34) joule*sec; ν=frequenza del fotone
IL CLOROPLATO
Questo processo avviene appunto nei cloroplasti o plastidi (simili a mitocondri, gli organuli_fabbrica dell’energia cellulare). Un cloroplasto è un organello all’interno delle cellule delle foglie o delle parti verdi, circondate da una doppia membrana che racchiude un mezzo semifluido, lo stroma. Nello stroma vi è un sistema di membrane ripiegate a formare dischetti, detti tilacoidi (vedi fig. IL CLOROPLASTO ). Un gruppo di tilacoidi sovrapposti formano delle pile in cilindretti detti grana (plurale di granum). Nello spessore della membrana dei tilacoidi ci sono tutti i pigmenti: dalle clorofille nelle loro diverse forme (verdi), ai carotenoidi (gialli rossi porpora) …. Nella parte della membrana dei tilacoidi che contiene anche i trasportatori di elettroni, gruppi di pigmenti formano, insieme ad una sequenza di molecole (catena fotosintetica), i due SISTEMI FOTOSINTETICI II e I.
RACCONTO DI PRIMO LIVELLO
Il racconto è in via di costruzione e correzione.
Questo primo livello precisa brevemente i diversi stadi della fotosintesi clorofilliana. Cerca di esplicitare alcuni passaggi delle reazioni, a partire dalla foto-scissione dell’acqua, che avvengono nei due fotosistemi durante la fase luminosa (vedere schema Z) e precisa alcuni processi del ciclo di CALVIN. Nelle ore diurne sulla superficie dei tilacoidi (vedere schema relativo) si attivano molti pigmenti, costituiti da clorofilla-a e l’insieme dei pigmenti-antenna in particolare la clorofilla b. La clorofilla-a assorbe direttamente dalla luce del sole una data lunghezza d’onda che le compete, e dai pigmenti-antenna, dopo che sono stati attivati dall’energia solare, una lunghezza d’onda analoga. Essa si ossida liberando 2 elettroni che passano ad un accettore primario di elettroni che riducendosi acquisisce un alto livello energetico di partenza per il processo. Sotto questi due impulsi energetici, la clorofilla-a riuscirà a ‘rompere’ anche una molecola d’acqua in 1 atomo di ossigeno, in due ioni H+(protoni) e due elettroni che ricaricheranno di energia al momento giusto la molecola di clorofilla-a. Si formerà anche una molecola di ossigeno che andrà a contribuire al 21% di ossigeno nell’aria. I due protoni dell’acqua completeranno infine la riduzione dell’ ADP in ATP e dell’NADP in NADPH, che si troveranno carichi di energia alla fine del processo. Nel contempo dall’accettore primario ad alta energia si distacca una catena di ossido-riduzione con il passaggio in una successione dei due elettroni ricevuti ad una serie di molecole, ognuna delle quali si ossida (una specie di ‘sbruciacchiamento’) riducendo la successiva che a sua volta si carica di energia, ma ad un livello ancora inferiore e così via, mentre la maggior parte dell’energia liberata ad ogni passaggio va a ridurre trasversalmente una mole di ATP che immagazzina energia per gli altri scopi della pianta. (da rivedere)
UNO SGUARDO FUNZIONALE ALL’INTERNO DI UN CLOROPLASTO
I DUE SISTEMI FOTOSINTETICI: SCHEMA ZETA (P. Pistoia)
LA FOTOLISI DELL’ACQUA, LA ‘POMPA PROTONICA’ E il ‘MECCANISMO CHEMIOSMOTICO’ DEGLI IONI IDROGENO (Ipotesi chemiosmotica di Mitchell).
Seguire lo scritto sui disegni molto approssimati, ‘INTERNO DI UN CLOROPLATO a e b, sopra riportati
L’energia luminosa assorbita direttamente e, di riflesso indirettamente convogliata ad imbuto, dalla clorofilla-a (diventata una specie di trappola per l’energia), tramite i pigmenti antenna, provoca salti di alcuni suoi elettroni (per es. 4 se la fotolisi interessa 2 molecole di acqua ossidate a O2) a livelli energetici superiori e subito dopo si ossida trasferendo tali elettroni eccitati ad un accettore primario che si riduce caricandosi a sua volta di energia. Definiamo risonanza induttiva un percorso per cui una molecola eccitata può trasferire la sua energia ad un’altra molecola adiacente che resta anch’essa eccitata. Così, anche se la clorofilla-a del fotosistema II non può assorbire direttamente quelle frequenze assorbite invece dai pigmenti antenna, quest’ultimi tramite fluorescenza e risonanza induttiva riemettono quanti luce con una lunghezza d’onda conforme alla clorofilla-a (680 nanometri). Il fotosistema II è siglato appunto P680. Nel contempo 4 fotoni sprigionati dal ‘cuore’, centro di reazione del P680 (?), colpiscono 2 molecole di acqua ossidandole a O2 (che si perderanno in atmosfera) con liberazione, nell’intorno, di 4 protoni (ioni H+), man mano trascinati nel lume del tilacoide, e 4 elettroni che andranno a ricoprire i 4 vuoti interni aperti nella clorofilla-a, che aveva perso 4 elettroni.
La corrente di elettroni lungo i trasportatori sulla membrana del tilacoide ‘pompa’ gli ioni H+, liberati dai quanti di luce nell’ossidazione dell’acqua, nello spazio interno (lume) del tilacoide. Così la densità degli H+ aumenta ed il PH diminuisce nel lume del tilacoide rendendo più acido l’ambiente rispetto allo STROMA del cloroplasto. Gli H+, spinti poi dal gradiente elettrochimico, possono uscire nello stroma fino ad incontrare, uscendo attraverso un canale proteico dove è attivo un enzima per la sintesi di ATP e NADPH, le molecole da ridurre ADP e NADP+ di ritorno dal Ciclo di Calvin, venendo a favorire questa sintesi.
IL RACCONTO DI SECONDO LIVELLO: la ‘piccola’ evoluzione fotosintetica
Durante l’evoluzione delle piante, ad un certo punto del loro albero filetico, la vita che evolve riesce ad attivare un primo processo fotosintetico a clorofilla detto C3. La pianta C3 è una fotosintetica di primo ‘tentativo’, nel senso che, forse per una leggera modifica ambientale, si troverà, almeno in alcune zone, in difficoltà. L’evoluzione del processo fotosintetico può essere considerata nell’ambito delle ‘piccole’ evoluzioni o a corto raggio, rispetto alla generale evoluzione delle piante, anche se ‘sommatorie integrate’ di eventi evolutivi a corta raggio ‘indirizzeranno’ la grande evoluzione. La pianta C3 è una fotosintetica che fornisce come primo prodotto organicato un composto a tre atomi di carbonio (triosio). In effetti questa pianta, in funzione della disponibilità di CO2, che diminuisce aumentando la temperatura ambientale, insieme al loro rapporto CO2/O2, può incepparsi in corrispondenza del funzionamento di un enzima (il rubisco, RuBP), che invece di legarsi alla CO2 , si lega a O2 bloccando il ciclo di Calvin al buio e quindi non organica la CO2, entra in foto-respirazione invece di foto-sintetizzare, ‘bruciando’ molecole energetiche invece di costruirle. In effetti l’enzima Rubisco (RuBP) è poco efficiente nel discriminare fra CO2 e O2 , per cui, quando la temperatura dell’aria raggiunge per es., 27-30 °C a salire, la CO2 in atmosfera diventa sempre più rarefatta, il rapporto CO2/O2 diminuisce, il Rubisco tende sempre più a legarsi con l’O2 e sempre meno con la CO2. E’ allora che l’enzima entra in difficoltà nell’iniziare l’ “organicazione” (cioè trasformare la molecola inorganica CO2 in una molecola organica più complessa ricca di energia) – es., emblematico: per ottenere un esoso come il glucosio alla fine del ciclo – si rafforza la fase di foto-respirazione, tendendo ad esaurire la riserva di molecole energetiche, invece di costruirle, bloccando o indebolendo, nel migliore dei casi, il ciclo di Calvin. Se la situazione non cambiasse, la pianta soffrirebbe fino a morire. L’evoluzione, a temperatura ambientale elevata (clima caldo-arido), tenderà allora ad intervenire cercando di rafforzare la concentrazione di CO2 dove sta agendo l’enzima, onde impedire il blocco del ciclo di Calvin. Appariranno così le prime ‘piante intermedie C3-C4’ e poi le C4, inventando un meccanismo che permetta durante la fase oscura, a stomi aperti, la raccolta di molecole CO2 (attraverso l’aggancio con un composto chimico) anche nelle cellule parenchimatiche del mesofillo, trasferendole alle cellule dei cloroplasti, per poi convogliarle alle cellule fotosintetiche, per rendere la CO2 disponibile all’enzima Rubisco (dopo una una reazione di idrolisi sul composto precedentemente accennato) e continuare il percorso C3 fino alla ‘organicazione’ della CO2. Le piante C4 sono una correzione evolutiva (ancora in trasformazione?) delle piante C3. E’ nelle piante CAM (di clima caldo e secco) che il processo si perfeziona in un meccanismo che risparmia acqua, diviso in due tempi; nel primo, al buio a stomi aperti (bassa traspirazione), si raccoglie e si accumula la CO2 nei vacuoli delle cellule dei cloroplasti; nel secondo tempo, alla luce ma a stomi chiusi (risparmio acqua), continua il vecchio processo C3, col l’enzima Rubisco che aggancia le molecole, questa volta, di CO2 dai vacuoli, ora in concentrazione giusta e procede al buio col ciclo di Calvin. Insomma, la pianta C3, perfettamente funzionante quando la composizione atmosferica era quella di una volta, ora con il mutare delle temperature medie e delle concentrazioni di CO2 e O2 nell’aria e con la diminuzione del loro rapporto dovuti all’inquinamento, si trova fortemente disadattata per cui si riattiva il processo evolutivo.
DA INTEGRARE E CONTINUARE associando i grafici.
Appendix 2: cenni alle formazioni rocciose nei dintorni di Pomarance
Su una serie toscana ridotta dove sono rimaste solo le formazioni evaporitiche, calcari dolomitici e quarziti del Trias (si pensi che la serie toscana completa terminava col Macigno Oligocenico!), si sovrappongono le falde alloctone liguri e al di sopra si situano le formazioni del così detto Neoautoctono (vedere articolo su questo blog cliccando: neoautoctono e vedere anche articolo dello scrivente: Geologia di Pomarance, pubblicato sul numero unico della Comunità, se lo trovate!).
A partire dall’alto, il Neoautoctono (Miocene sup-Pliocene) è costituito prevalentemente da calcari detritici, conglomerati, argille e gessi; l’alloctono ligure è costituito, specialmente dal complesso ofiolitifero (gabbri, diabasi e serpentine), argille, calcari silicei e diaspri, calcari palombini e calcari marnosi.
Faglie ed erosione hanno messo a nudo nelle diverse parti del paese le diverse formazioni.
NOTE
1) INFUSO – Si getta dell’acqua bollente su fiori, foglie o radici e si lasciano in infusione per qualche minuto. Se le parti della pianta sono delicate bastano pochi minuti (addirittura per piante delicatissime, come il crescione, si utilizza acqua tiepida), altrimenti si lascerà in infusione per 10-20 minuti. In alcuni casi è necessario mantenere in ebollizione l’acqua per qualche minuto (camomilla non trattata). per la camomilla industriale (Bonomelli) bastano 4 minuti in infusione.
DECOTTO – Si lasci bollire l’erba in acqua per alcuni minuti (in media 5-6 gr in 100 gr d’acqua per 5-6 minuti.
BIBLIOGRAFIA da aggiornare
Alcuni testi consultati:
Zangheri – Flora italica vol. 1°, vol 2° – Cedam, Padova
E. Thommen – Atlas de poche dela flore suisse – Birkhauser bale
C. Cappelletti – Botanica 1° – Utet
G. Negri – Nuovo erbario figurato – Hoepli
W. Thomson – salute della terra – Idea Libri, Milano
F. Bianchini et al. – Le piante della salute – Mondadori
M. Messegue – Il mio erbario – Mondadori
Giorgio da Cartosio – La salute nelle piante e nelle erbe – Ed. Paoline
D. Manta et al. – Le erbe nostre amiche Vol. 1°, 2° 3° – Ed. Ferni, Givra
E. G. Vaga – Raccogliere le erbe aromatiche e medicinali – De Vecchi
U. Pratolongo – Chimica vegetale ed agraria – Ramo editoriale agricoltori
-In herbis salus- a cura della Ditta Minardi – Bagnacavallo (RA)
PIERO PISTOIA