MEMORIA, MEMORIA…Poesie di Piero Pistoia: post rivisitato; segue commento “Un poetare che fa rivivere il passato” scritto di Andrea Pazzagli

Vedere su questo blog anche “Sperimentazione poetica; a cura di Paolo Fidanzi”

Curriculum di piero pistoia:

piero-pistoia-curriculumok (#)

PREMESSA NECESSARIA

Per capire meglio questi scritti è necessario precisare che Aquilata non è (o al tempo non era) un piccolo paese, ma solo tre case con solo due piccoli poderi e tutto il resto, macchia mediterranea spontanea ovunque si volga lo sguardo e, per avere idea della zona, sul monte Iquila, vicino a fronte neanche una casa! Dei tre bambini nominati, se ben ricordo, in piena guerra mondiale solo l’autore frequentava la scuola elementare, pluriclasse in casa privata a Massaciuccoli e poi quarta e quinta a Balbano in una scuola dello stato, gli altri lavoravano, per cui gli incontri erano rari e saltuari ed i giochi primitivi ed improvvisati, anche se, di fatto, importanti per la memoria. In quel periodo lontano per l’autore era più un giocare personale con la fantasia  fra le erbe, fra i sassi,  i filari di viti, il salire sugli alberi di leccio, la cerca di nidi…I miei ricordi, pure lontani, ma della scuola media, invece, relativi a quando ritornammo   a Pisa, bombardata dagli americani,  coperta di macerie, appena finita la  seconda guerra mondiale, i miei ricordi, dicevo, assomigliano, ma privi  però di nostalgia, a quelli riportati  nel blog  scritto dal collega Pier Francesco Bianchi  con il titolo “Brevi riflessioni sulla poesia  “memoria, memoria…”. Ma di questo secondo tempo mi rimane grande nostalgia invece per la vita nella Parrocchia  di San Marco alle Cappelle, con coetanei che ricordo ancora con amicizia e affetto (leggere “Ricordi lontani”). Forse ognuno naturalmente ha i suoi ricordi, se le esperienze sono diverse! ma per scrivere  anche un solo verso, ci vuole anima e nostalgia

1-MEMORIA MEMORIA… (con prologo ed epilogo)
2-TEMPI LONTANI DI SCUOLA
3-LA CASA D’INFANZIA

1-PROLOGO DI CARLO MOLINARO

“C’è una morte anche prima”, afferma il poeta emergente Carlo Molinaro, torinese (Lo Specchio N 135, 22-agosto-1998) e prosegue elencando alcune di queste piccole “morti”:

La distanza che si dilata
o la forza che manca per traversare.
Forse una barriera
che si chiude.
Un desiderio spento
lascia, come un falò,
una traccia sporca
sulla pioggia del greto!”

Piccole morti si nascondono anche nella nostalgia irrisolta delle poesie che seguono.

—————————————————————————

verbascum-thapsus-subsp-thapsus-01

MEMORIA, MEMORIA…

Memoria, memoria …
da mezzo secolo ed oltre.
Franchino di Nortola 1,
Giovannino ed Elsa d’Aquilata 2
(o forse Graziella?), ed io,
bimbi dei boschi.
Memoria, memoria …
della casa di roccia,
nella cima radicata 3.
Fiaschi, freschi di fonte di Rotelli 6,
d’acqua lontana di macchia e di macigno.
Sentieri di rupe e di fatica.
Gridi scalzi di bimbi
sulla radura di menta e nepitella.

Memoria, memoria …
La gara a salire il leccio nodoso,
la cerca dei nidi,
rincorse fra file di viti
a caccia di nuvole ed arcobaleni.
Il tasso barbasso improvviso.
Alto, lanoso, giallo splendente.

Verbascum thapsus L (1)

                                                                   fto di FRANCO ROSSI

Lontano d’autunno tramontana
portava branchi di colombi alla Crocetta 4,
e ai Ceracci 5 passeri in nuvole.
Spari di mio padre
e poi a casa per mano… orgoglioso.
Allora il fringuello scandiva le stagioni.

Ed … i passaggi nel cielo!

Memoria, memoria …
i bimbi dei boschi ognuno per la sua strada
e silenzio per oltre mezzo secolo.
Oggi, d’autunno
(la tramontana porta ancora colombi),
per caso passo di lì,  (7)
vecchio bimbo di quei boschi.
Sulla cima una villa,
latrati di cani (a catena?),
la strada asfaltata,
in fondo la sbarra … serrata.

I colombi hanno perso la strada.

Memoria, memoria …
memoria ritrovata,
memoria perduta … per sempre.

Piero Pistoia

1 Nortola, scendendo verso est, piccolo podere a mezza costa fra Aquilata e Balbano (Lu)

2 Aquilata, collina scoscesa coperta da boscaglie, di fronte al monte Iquila, a strapiombo sul lago di Massaciuccoli verso il mare, a ridosso del paese omonimo e con solamente tre case.

3 La “casa che la cima radica e comprende”, della poesia “TEMPI LONTANI DI SCUOLA” dello stesso autore.

4 Incrocio di sentieri a mezza costa.

5 Posto imprecisato ad est nella macchia.

6 Lungo il viottolo impervio che scendeva ad ovest verso Quiesa.

(7) Osservazione dallo scavalco-spartiacque Balbano-Massaciuccoli, fra Aquilata  e Iquila

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

EPILOGO DI CARLO MOLINARO

Ma certamente, prima o poi…,

“Porterà
a valle tutto una piena d’autunno”.

Fto Piero Pistoia

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

Fiume Cecina in Autunno (fto di Piero Pistoia)

——————————————————————————–

2-TEMPI LONTANI DI SCUOLA

Dal poggio isolato,
a scuola,
attraverso la macchia.
Di sasso e di spine la via.

Su rude macigno.
marucole 1 in fiore.
Fatica di pensiero.

Stilla e spina il ricordo lontano:
paure,
preghiere,
scoscesi sentieri
nella vita e nel cuore.
Il “cervo volante” (3)
l’archètipo-insetto.

Animava l’oggetto l’attesa.

Una voce che chiama:
mia nonna.
Un affetto perduto.

Aquilata 2
si dicea quel monte
e quella casa,
che la cima radica e comprende,
ove tanto della vita persi
e tanto guadagnai. (4)

(Piero Pistoia)

1 Marucole: si tratta di strane ginestre con lunghi e robusti aculei (Ulex europeus), alte fino a due metri, diffuse su parte del poggio di Aquilata che, dove sono,  rendono la macchia impenetrabile.

2 Aquilata: vedere nota 2 della precedente poesia.

(3) Coleottero della famiglia dei Lucanidi, Lucanus cervus

(4) Guadagnai i  ‘suoni’ ed misteri della macchia e la determinazione per la sopravvivenza!

3-LA CASA D’INFANZIA

Vecchi muri (1)
spolverano
ricordi.
Nel centimetro
nascose la vita
albe remote.

Quale speranza?

Allora
vecchie e giovani
madri
curavano
i figli.
Sudava il padre
l’albero
alla macchia.

Mute grida
feriscono l’aria
di vite sofferte.

Noi,
la speranza!

Ora i muri
non lasciano pace
nel vuoto
dello spazio antico.
D’umano
calce e sasso
densi trasudano
emozioni.

Noi,
in barbara terra
estirpate radici!

Estinta la casa
stringe l’oggetto ed il cuore,
memoria si perde,
si spenge il bagliore,
singhiozzano tenui parole.

Noi,
quale fine?!

(1) Si parla della casa in Aquilata

(Piero Pistoia)

UN POETARE CHE FA RIVIVERE IL PASSATO; di Andrea Pazzagli

da continuare

Queste poesie di Piero Pistoia che evocano momenti della sua, ormai lontana, infanzia, i tempi della guerra e dello sfollamento, non sono per me nuove: ebbi infatti la fortuna di leggerle molti anni fa, poco dopo che Piero le aveva composte. Anche nomi che vi compaiono e le località che designano, in particolare Aquilata, non mi sono nuovi: ricordo che, parlando di Gerfalco, Piero fece cenno proprio ad Aquilata, località che, nel nome evocano qualcosa di arcano come gli uccelli, i loro voli, i loro nidi, difficilmente raggiungibili. Ricordo che questi versi mi colpirono particolarmente per la loro capacità di far sentire ancora vivente qualcosa di lontano, che il tempo ha cercato di strapparci, di gettare nell’oblio, ma che la parola poetica riesce come per miracolo a far risorgere quasi che tornasse quell’Allora. la medesima impressione la provo ora, anche più intensa, perché molto tempo è passato, tante cose sono successe, eppure quelle parole, quelle impressioni, vivono ancora. Ho letto qualche anno fa un libro del filosofo Rocco Ronchi (libro nel quale questo studioso cercava di delineare un percorso delle storie del pensiero diverso da quello corrente). Tra le altre cose che sosteneva vi era l’affermazione secondo cui il bambino molto piccolo prova una serie di sensazioni e di impressioni che solo in parte, divenuto adulto, ricorderà; anche quelle apparentemente dimenticate restano nel sub-inconscio ed è soltanto la parola poetica che può riportarle alla luce cancellando il muro dell’oblio che il tempo ha frattanto costruito. Come ho detto prima i versi di Piero mi colpirono e mi colpiscono profondamente. Forse perché tutti abbiamo ricordi che portano alla luce anche se poi, non siamo capaci di farlo. Ma forse anche per il linguaggio poetico di Piero che a me sembra rispecchiare quello di importanti poeti nella prima metà del novecento, poche parole tuttavia capaci di dire tante cose e toccarci nell’anima.

RACCONTI DI INGIUSTIZIE DI VITA – scritti del dott. Piero Pistoia; con commenti dei docenti Andrea Pazzagli e Pier Francesco Bianchi

PREMESSA ai versi di satira irriverente di Piero Pistoia

con lettera-commento-consigli dell’insegnante Andrea Pazzagli e mail-commento dell’insegnante Pier Francesco Bianchi (Amministratore del blog)

PERCHE’ UNO SCRITTO SUL ‘SARCASMO DI PIAZZA’ SULL’ESEMPIO DEL CELEBRE PASQUINO, LA STATUA “PARLANTE” DEL PERIODO ELLENISTA (III sec. a.C. n.) ?

La decisione di scrivere con rabbia qualcosa sul Sarcasmo di Piazza nasce in particolare da due situazioni, personali secondo interpretazioni soggettive del sottoscritto, simultanee negative che, in sinergia, mi crearono un forte disagio interno. La prima situazione, se risolta, in qualche modo avrebbe riparato e o mitigato una sconfortevole seconda situazione psicologica che, come accenna Andrea Pazzagli nella sua lettera-commento, messo al centro del post, leggibile sotto, si situa al livello “di un punto di vista violentemente antropocentrico”.

Prima situazione – Un particolare evento relativo ad un fantasioso editto su come costruire i giardinetti di paese che in pratica non avrebbe permesso, con spiate di controllo, di trasformare arbusti mediterranei al nostro confine, in grandi alberi (praticamente si voleva conformare il paese in zone condominiali) e fu la goccia che fece traboccare il vaso! Questo anche per rispettare le raccomandazione europee di arricchire anche i giardini privati di grandi alberi. Ma specialmente perché, a mio avviso, un giardino circondato da grandi alberi, anche trasformati da cespugli o arbusti, è un primo passo del procedere verso la costruzione di “posti” per gli dèi, cioè zone magiche e sacre che aiutano a spengere i dolori e le ingiustizie della vita.

Seconda situazione – Un background che attraversa tutta la mia vita lavorativa e non solo e dura tutt’oggi, una situazione psicologica, pesante dentro, che derivava da aver sopportato, nella mia percezione, per molto tempo un perverso e complesso mobbing a varie vie, costruendo anche fatti ad hoc progettando trappole – come far leggere, per criticare, i miei scritti didattici (schede, questionari, appunti…alcuni di questi scritti sono riportati in questo blog) a colleghi meno qualificati, scritti miei questi ultimi spesso pubblicati su riviste scientifiche a direzione accademica! . . .e molto altro ancora più penoso – mobbing (a varie vie), dicevo, promosso da un gruppetto stabile di ‘brave persone’ sedicenti colonne della scuola e della cultura (sic!), in un ambiente di lavoro di molti pendolari, con attacchi, anche sarcastici, gratuiti dietro le spalle solamente e senza possibilità di difesa, e quando capitava, con corrispondenti malevolenze su di me, sia interne all’ambiente stesso (genitori, alunni e, nel tempo, perfino docenti pendolari, nuovi presidi, pure pendolari, persone dell’Usl e del provveditorato, persino ispettori . . .), sia sulla piazza, a colpi di sarcasmo, in questo caso da parte di ceffi piazzaioli di zona, sul falso costruito ad hoc, opportunamente informati. Come quando – nel contempo ero stato nominato preside incaricato dell’Istituto – detti il permesso ad alcuni alunni di entrare 10 minuti più tardi (necessario per accordi con l’azienda dei trasporti), passando vicino ad una porta sentii qualcuno che contattava il provveditorato denunciando, con voce eccitata, questa mia decisione; ma, questa volta, sentii chiaramente, dalla risposta quasi urlata, che gli fu sbattuta , come si dice, la porta in faccia. Potrei continuare a narrare di flake news, senza alcun intervento di fatto, naturalmente!!! O quando sentii il solito gruppetto, venendo a sapere di una mia probabile nomina a preside incaricato, consigliare ad un altro insegnante, una persona corretta e di valore (questa volta!), di intervenire presso il provveditorato per impedire la nomina; chiaramente l’altro affermò con forza che non voleva essere in nessun modo coinvolto in questa tresca meschina. Per non parlare di molte altre svariate accuse studiate ad hoc, con astio, sempre gratuite, appiccicandomi addosso etichette che non sono le mie e non lo sono mai state!. . . .e sappiamo tutti che cosa accade se passano di bocca in bocca….Per andare avanti, però, bisognava stringere i denti, sopportare e dare concorsi su quasi tutte le discipline scientifiche e vincerli! cosa che, a denti stretti, io ho fatto; non cosa da poco a quel tempo, dove era quasi impossibile superarli, prima dei famigerati corsi abilitanti, superati da tutti, e molto altro ancora a mio favore (per es., anche pubblicazioni di svariate decine di miei articoli scientifici e didattici in riviste a direzione universitaria e diffusione nazionale e, . . . alla frontiera della scuola. . . preparazione accurata delle lezioni con appunti e questionari corretti in classe e a più riprese risomministrati, ri-spiegazioni all’infinito e molti alunni consapevoli, ormai uomini, se le ricordano ancora, interazioni dirette con gli alunni e fra gli alunni (Bruner) per facilitare l’apprendimento in classe . . . vedere curriculum dell’autore e alcuni suoi scritti in questo blog).

L’autore fu iscritto all’albo professionale dei docenti di provincia (PI) per l’insegnamento in qualunque Scuola Secondaria Superiore, di praticamente tutte le discipline scientifiche, come da certificazione posseduta.

Leggere anche l’ “EPILOGO” nel post “Quarant’anni all’ITIS di Pomarance” scritto dalla prof.ssa Ivana Rossi

Però quando fu il tempo di andare in pensione, non avevo più denti da stringere per dare il concorso a preside!!! anche se a lungo preparato. Ma, se crediamo alla teoria della “Profezia che si auto-adempie”, mi sono conquistato, in compenso, con la mia determinazione, ma, in special modo, con gli stimoli, la stima e l’affetto e la comprensione della mia grande compagna della vita, Gabriella Scarciglia – che ha contribuito anche a mantenere unita e in buono stato la nostra famiglia, fino ad ora, per ben 57 anni! e 58 il nove gennaio 2014 – mi sono conquistato, dicevo, delle belle “s-palle-quadrate” e sono ancora in azione, anche se con un po’ d’amaro in bocca, ormai senza denti . . . da stringere! 

Oggi quasi al termine della vita (più di 86 anni), infatti, finalmente sono riuscito a circondarmi da cespugli e arbusti della macchia mediterranea diventati veri alberi giganti (Rhamnus alaternus, Viburnum tinus, Pistacea lentiscus, la Phyllirea angustipholia (Lillatro), l’antico migrato dal nord Laurus nobilis ed altre specie ospitate come Prunus laucerasus, . . naturalmente anche con alberi già esistenti cipressi, tigli e lecci, l’acero ‘trilobo’ e altri alberi importati da lontano. Oggi, all’inizio (da via del Poderino) della strada Don Mazzolari, proprio davanti al nostro muro verde, sembra affacciarsi (lo spero) anche qualcosa di simile a riformare “due argini di verde, liberi, a fare anima”, e, proprio oggi, ormai vecchio, ho ripercorso nella mente la storia di questo sofferente scritto, vedere dopo, forse al limite della poesia, modificandolo per l’ultima volta. La fine della storia avverrà però quando avremo terminato la costruzione del nostro giardino dove gli dei, nella mia mente, saranno tornati a mitigare, per poi spengere, rabbie e sofferenze per noi.

Da continuare….

LA LETTERA_COMMENTO_CONSIGLI

dell’insegnante Pazzagli

PRIMO GIUGNO A POMARANCE

IL SARCASMO DI PIAZZA

Versi di satira irriverente di Piero Pistoia, suggerita da un personale sentire

Breve libello in risposta al tacito ‘Editto condominiale esteso’ per uniformare i giardinetti di paese

————————————————–

Sono a Pomarance tutto il giorno oggi.

In via Mazzolari due argini di verde.

Liberi a fare anima.

Gli uomini piccoli ricamano geometrie

in giardini pelati rapati costretti.

Come le idee. Quelle loro. Naturalmente.

Macchia mare cielo rispettano forme!

non geometrie.

Galileo aveva forse torto!? (1)

Ma qualcuno farà la spia. Certamente.

In questo paese. Anche sul nulla.

Più che altrove. Forse.

Vedere qualsiasi sia è confermare (2).

In questo paese ideatore di Etica.

Col sarcasmo di piazza.

Ricòniugano, sempre a colpa,

parole e atteggiamenti.

Il Certo al servizio dell’aspettativa.

Il Vero dell’invidia (3).

La Cultura del potere (4).

La Presunzione della ricchezza.

E giurano :<<La Norma è questa!!!

se non è così si brucia’ i libri!>>:

In chi, assiduo, lo cerca alberga il Male.

In chi lo vede. Spesso.

Più che altrove. Certamente.

Per meno di trenta denari. Molto meno.

Prima che il gallo canti.

Arriverà la guardia femmina con la sola Ragione.

Sua e del Codice. Le è congeniale.

Divino Ermes dove sei nascosto!? (5)

La stagione è avanzata per le piante.

Forse rimanderemo a Settembre.

Non prometto nulla. Farò quello che posso.

In questo ambito senza contesto!

NOTE

  1. Da questi giardinetti gli dei migrano in cerca di ‘posti’ (non geometrie) dove nascondersi e Ermes ne traccia i sentieri, ‘annusando’ il magico e il sacro nella Natura.
  2. Nel processo di conoscenza, non si deve cercare di verificare ipotesi, ma di falsificarle! perché questo è il solo percorso logico verso la Verità, vista come concetto regolativo (K. Popper)
  3. Diventa Vero ciò che ‘inventa’ l’invidia.
  4. Potere è Cultura e indirizza la Cultura ai suoi fini. Ma il Potere non assimila a sé solo la Cultura! Circola in paese uno slogan :“Potere è Podere”. Non so che cosa significhi esattamente. Ma qualcosa significa di sicuro!
  5. Ermes umanizza il dio apollineo (Apollo) della ragione e della bellezza, solari e codificate, fornendo i suoi nuovi codici estetici.

Se vogliamo capire il senso di Posto sacro nei giardini, leggere il Post “Poesie di ‘Cose’ del Mito”. In questo blog.

Ma

“Anche se vieni da altri ferito nulla ti serve a legartela al dito, perché, sovente, chi umilia di più vorrebbe avere le cose che hai tu!!! da GIROSBLOG” e, d’altra parte…”OMNIA MEA MECUM SUNT!” dai LATINI. Inoltre qualcuno ha anche detto “se conosci i tuoi nemici e conosci te stesso supererai tutte le battaglie” e mi viene, da nonno, anche a mente il motto della Folgore (uno dei miei nipoti, dopo 4 anni nella Folgore, vince il concorso, ed ora lavora nella Polizia di Stato): <<VINCE SEMPRE – CHI PIU’ CREDE – E PIU’ A LUNGO SA PATIR>>.

Oggi ripensando a quei piccoli gruppetti di umani “stabili”, nominati all’inizio, di brave persone (si ritengono anche buonisti!) forse non odiano gli altri e neppure soffrono di invidia per essi, ma interagendo con loro, “godono” nel vedere “traballare” la vittima e, rubandoli energia, si sentono aumentare la qualità della propria vita e forse anche la lunghezza. C’è una specie di stornello toscano ad hoc che dice: “Muore la pecora e la cavalla, muore la vacca nella stalla, muore la gente piena di guai, ma i pezzi di merda non muoiono mai” e rimanendo tali per continuare a vivere, si indebolisce anche la possiblità del perdono.

Infine, come ha detto qualcuno, se ti alzi e ti gira la testa, è la pressione; se ti alzi e ti gira tutto storto, è la sfiga; se ti alzi e ti girano i “coglioni” é l‘ INGIUSTIZIA DI VITA. Uno sfogo-opinione personale: Questi buonisti ladri di anime!? la peggiore genìa!!! i quali, se questo fosse il caso, secondo il mio pensiero personale affranto, in una comunità corretta, non avrebbero dovuto essere ascoltati.

In ultimo mi ricordo di un mio grande amico, ingegnere laureato con 110 su 110 e lode di Pomarance, e di grande valore anche umano, che, purtroppo ci la lasciati, quando ci si incontrava a parlare, anche al bar, di problemi fisici da risolvere ed altro, più volte si lamentava che le persone di piazza denigravano spesso gli altri, anche se da questi non avevano mai ricevuto nessuna ingiuria o malevolenza; io, se ben ricordo, risposi pressappoco così, che il problema è legato al girare il cappello, qui si vive tranquilli se riesci a far girare il cappello agli altri, altrimenti sei tu che lo devi girare con rassegnazione; anch’io non sono mai riuscito a far girare il cappello a un altro, ma nemmeno a girarlo davanti a qualcuno!

I precedenti versi della poesia furono fatti leggere, a suo tempo, alla polizia municipale che li approvò

MAIL-COMMENTO Del dott. PIER FRANCESCO BIANCHI (amministratore del blog)

Caro Piero  

Ho letto e riletto il tuo ultimo scritto. Mi sarebbe piaciuto leggere anche le altre poesie del libello come “Al bar di primo mattino”. In questa poesia e nello scritto precedente fai una analisi un po’ della tua vita. Te sempre costretto a fare concorsi , a darti da fare per insegnare nel modo migliore,   mentre altri, penso per invidia, a metterti i bastoni fra le ruote.  Certamente l’ editto sui giardini sarebbe stata una cosa davvero scandalosa, come il comune volesse entrare nella vita privata dei cittadini per dettare le sue leggi.  Nei paesi e in particolare a Pomarance vi sono varie cricche di persone che cercano di fare mobbing su chi non la pensa come loro e certamente come diceva Dante, il modo migliore per vivere e sopravvivere è  “Non ti curar di loro ma guarda e passa”. Nel posto di lavoro certamente queste voci hanno un peso, ma fuori di esso il peso si alleggerisce di molto. Ritrova le tre poesie che hai scritto . Mi farebbe piacere rileggerle.

Un caro saluto

Pier Francesco Bianchi

Curriculum di Piero Pistoia

Vedere in questo blog in altri curriculum dello scrivente.

NOTE DI FILOSOFIA: OLTRE IL MITO DEL DATO, DA CARNAP A QUINE; del docente Andrea Pazzagli

(quattro paragrafi)

Post in via di sviluppo

Per leggere l’articolo scorrere le tre pagine sotto o si può anche cliccare, sotto il riquadro di 3 pagine, sul link: “pazzagli-note- filosofiche-1”

Per integrare alcune notizie e chiarimenti su Quine (a nome di Piero Pistoia ed altri), cliccare dal sito il tag “Quine”

LE EMOZIONI POETICHE DI PIERO PISTOIA: commenti a più voci, post aperto; docente Andrea Pazzagli e dott.ssa Stefania Ragoni, al tempo dirigente scolastico

Post già pubblicato il 19-agosto 2014, ma riproposto per renderlo di nuovo visibile.

PREMESSA DI PIERO PISTOIA (editore del blog) eventuale da scrivere

PER INGRANDIRE LO SCRITTO CLICCARCI SOPRA
I commenti che seguono sono stati rivisitati dall’inserto cartaceo ‘Il Sillabario’

ASPETTI DIONISIACI DELLA POESIA

DI PIERO PISTOIA

Dott.ssa  STEFANIA RAGONI 

piero_pistoia_poesiek1

Leggere, per es., in questo blog “Poesie di caccia e Natura” di Piero Pistoia

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI 

piero_pistoia_comk

SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO  (es. TERREMOTO IN MOLISE- Vangelo secondo Luca…),   ALLE SEGUENTI VOCI (tags)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti

APPUNTI SU STRUMENTI UTILI PER UNA LEZIONE SCOLASTICA EFFICACE PER L’APPRENDIMENTO, di Andrea Pazzagli; a cura di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

(lezioni per preparazione a concorsi)

Un buon insegnamento per un apprendimento efficace e quindi per una ‘costruzione’ di una buona lezione partecipata, richiedono almeno strumenti offerti dallo studio della Pedagogia e della Filosofia.

A TAL FINE OFFRIAMO AL LETTORE GLI SCRITTI IN PIU’ PARTI DI ANDREA PAZZAGLI

______________________________________

POST DA CONTINUARE……

PARTE PRIMA

(3 paragrafi)

1° PARAGRAFO: La Pedagogia Strutturale nei suoi motivi fondamentali (DEWEY – BRUNER)

Verso la fine degli anni ’50 il mondo culturale e giornalistico fu scosso da accese polemiche. Di fronte agli improvvisi successi spaziali dell’URSS un noto personaggio dell’establischement militare, l’ammiraglio Richover denunciava la presunta decadenza scientifica dell’USA, attribuendola al ruolo grandemente negativo per la formazione intellettuale dei giovani giocato dall’educazione attiva, predicata da John Dewey, e preoccupata solo dell’equilibrio affettivo e del buon adattamento sociale dell’individuo. Poco tempo dopo la pedagogia di Dewey era fatta oggetto, nel libro appunto intitolatao “Dopo Dewey, di un nuovo attacco critico da parte dello psicologo Jerome Bruner. Le argomentazioni di quest’ultimo erano certo fondate su fatti non meno contingenti. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere di quelle su cui aveva fatto leva l’Ammiraglio Richover, ma un punto in comune era costituito dal rimprovero rivolto a Dewey di trascurare l’aspetto intellettuale, l’istruzione in nome dell’adattamento sociale. Anche se egli si cautela con il riconoscimento del grande ‘valore storico’ dell’opera e del pensiero del Dewey, Bruner ne critica radicalmente le concezioni più significative, proponendo una vera e propria svolta pedagogica. Come è noto il primo articolo di fede del ”Credo Deweiano” postula l’educazione come funzione esclusiva dell’adattamento dell’individuo alla società, la struttura grazie alla quale egli riesce a partecipare della cultura del gruppo cui appartiene. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere valida allorché il Dewey la formulò, ma non lo è certo oggi, nel contesto di una società sollecitata da un tanto più intenso dinamismo e nella quale all’individuo è richiesto di continuo un alto coefficiente di creatività intellettuale: proprio la formazione di un intelletto in grado di rispondere e reagire alla società piuttosto che adattarsi ad essa passivamente dovrebbe, per Bruner, costituire il fine primario dell’educazione nel mondo contemporaneo. D’altra parte Bruner critica il punto di vista sociale della pedagogia deweiana anche da un’altra angolazione che potremmo definire conservatrice: sulla scorta della concezione dell’uomo che si configura oggi, dopo le scoperte di Freud e della psicanalisi che nella natura umana hanno scorto ineliminabili lati oscuri, negativi, sfuggenti al controllo razionale della volontà, Bruner ritiene di non poter condividere l’ottimismo di Dewey circa la possibilità di creare una società migliore per mezzo di una migliore educazione. L’educazione non può più essere dunque nè come l’organo dell’adattamento né come l’organo della trasformazione sociale: essa deve configurarsi come istruzione e fornire l’individuo dei più ampi poteri intellettuali possibili.

Conseguentemente Bruner rifiuta la tesi di Dewey ed in genere della educazione progressiva che tende ad identificare la scuola con la vita, l’esperienza dell’apprendimento con l’esperienza “tout-court”. Per la verità egli non ritorna alle tesi tradizionali della separazione della scuola dalla vita, dà piuttosto al problema una soluzione nuova: per lui la scuola deve ben essere vita, ma un tipo particolare di vita, o se si vuole, momento particolare finalizzato. Si avverte in questa idea l’eco delle suggestioni montessoriane del bambino “mente assorbente”, dell’età evolutiva, e specialmente dell’infanzia, come età dell’apprendere. A questo tema se ne rifà immediatamente un altro: quello dell’interesse. Per Dewey infatti la scuola deve essere vita perché l’interesse ad apprendere nasce solo dai bisogni vitali e in vista della loro soluzione. L’interesse muove, insomma, dalla prassi ed in essa si risolve, pur contribuendo al progredire della prassi stessa verso livelli sempre più alti. Invece per Bruner l’interesse non si lega necessariamente alla prassi né necessariamente in essa si risolve, esiste l’interesse motivato dal bisogno d’apprendere come tale, da una misteriosa “curiosità” insaziabile e senza scopo apparente, un desiderio di sapere disinteressato nella misura in cui non è collegato a problemi pratici, ma tutt’altro che artificioso e innaturale, perché anzi il suo senso affonda nella dimensione più profonda dell’uomo. Bruner ci rivela un altro volto dell’uomo: l’uomo naturalmente cognitivo.

Il nostro percorso peraltro, focalizzato sull’insegnamento delle scienze naturali e della fisica, è giusto si interessi ad altri aspetti emergenti dalla problematica bruneriana: la prospettiva strutturale delle singole discipline.

La pedagogia pre-attivistica insisteva notoriamente in modo esclusivo sulle materie di studio, su contenuti dati e conclusi che la mente dell’allievo dovrebbe semplicemente assimilare: in poche parole essa si curava solo della grammatica e della matematica, trascurando del tutto Gianni. Dewey, e in genere l’attivismo, aveva ribaltato questa impostazione sottolineando l’importanza assolutamente preminente della conoscenza della psicologia dell’allievo: per restare all’esempio di sopra contava Gianni soltanto e si trascuravano la grammatica e la matematica. Bruner, rifacendosi ai risultati da lui raggiunti nel corso di lunghi anni di studio sui processi di apprendimento, perviene ad una nuova formulazione che non è, si badi, la somma delle due precedenti richiamate: non si tratta, infatti, di badare alle materie di studio e, in termini di giustapposizione, alla psicologia del discente, ma di conoscere Gianni in situazione di apprendimento della matematica o della fisica o della grammatica, ciò in quanto il pensiero adotta strategie e diverse strutture che delimitano e specificano le varie materie, i vari campi della conoscenza. Bruner non si schiera affatto a favore di un ritorno al nozionismo tradizionale: anzi egli ribadisce con forza l’esigenza, resa del resto imprescindibile dal moltiplicarsi attuale delle nozioni e dalla loro rapida obsolescenza, di non sovraccaricare la mente del bambino con molta merce di scarto, ma di riversarci poco oro. Quest’oro è costituito dalle così-dette idee madri, dalle strutture portanti di ciascuna materia, che il discente può scoprire solo se, fin dall’inizio, verrà condotto a lavorare mentalmente come lavora lo scienziato di quella determinata branca della scienza: soltanto facendo realmente fisica si apprende la fisica, soltanto procedendo come i matematici la matematica e così come ogni altro ramo del sapere. C’è un’eco, in questa identificazione tra apprendimento e struttura, fra metodo per apprendere una scienza e metodo di quella scienza, dall’idea comeniana dell’”insegnare tutto a tutti”, ma c’è anche, per quanto nel contesto di un discorso diverso e per certi versi opposto, un’assonanza con l’identità didattica e cultura postulata da Gentile e dall’idealismo pedagogico. Conviene ora esplicitare, comunque, le più importanti conseguenze di tale principio: non è tanto un metodo che si deve ricercare quanto una pluralità di metodi che rifletta la pluralità delle strutture e dei procedimenti che caratterizzano e distinguono le varie discipline; nessun programma di studio di una disciplina determinata è formulabile se non con la collaborazione degli scienziati che coltivano la materia oggetto del programma. L’elaborazione di un programma di biologia abbisogna dell’apporto dei biologi, di chimica dei chimici, di antropologia degli antropologi. C’è soprattutto bisogno di sapere che cosa è una scienza, quali sono la sua struttura e il suo metodo caratterizzanti. L’apprendimento della fisica non è un’eccezione: è richiesta preliminarmente una definizione della teoria e del metodo fisico, problema difficile che ha costituito l’oggetto di gran parte delle discussioni di filosofia della scienza in questo secolo, come appunto ci proponiamo di sommariamente ricostruire.

L’altro aspetto di cui pare opportuno ancora accennare è la concezione dell’esperienza in questo secolo, a proposito della quale Bruner insiste, in accordo con molti tra gli orientamenti più significativi della psicologia contemporanea, sul carattere non primario e “selvaggio”dei dati esperienziali, che si presenterebbero, invece, già essi filtrati secondo particolari strutture e schemi percettivi. Concezione che pone, evidentemente, difficili interrogativi a quelle filosofie (com’è il neo-positivismo del Circolo di Vienna) che dell’evidenza sensoriale fanno il loro unico fondamento e delineano, al contrario, una convergenza con tendenze come quella di Popper che assegnano un ruolo autonomo e importante all’ipotesi.

Note bibliografiche:

1 ) J. Bruner, “Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture”, Armando, Roma

2 ) J. Dewey, “Il mio credo pedagogico (antologia di scritti)”, Nuova Italia, Firenze

3 ) J. Bruner, “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando, Roma

______________________________________________________________________________________________

N.B.Per leggere altre informazioni su BRUNER di A. Pazzagli, cliccare, in questo blog, sul tag “Percorso di pensiero di Bruner”; per le leggere qualcosa sulla epistemologia di Feyerabend e ancora su Bruner, di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia, cliccare, in questo blog, sul tag “Cose alla ‘rinfusa’ di Bruner e Feyerabend.

_______________________________________________________________________________________________

2° PARAGRAFO: Principio di Verificazione e Circolo di Vienna

IL neo-positvismo (o empirismo logico) nasce per iniziativa di un gruppo di scienziati, prevalentemente fisici o matematici, riuniti, all’inizio egli anni ‘2, nel Circolo di Vienna (anche poi, a causa delle leggi raziali, quasi tutti saranno costretti a migrare negli USA). Essi intendono contrapporsi alle filosofie idealiste e irrazionaliste, all’inizio del secolo avevano posto fine all’egemonia del Positivismo Storico; al tempo stesso, però, abbandonarono alcuni aspetti del Positivismo Classico che ne fecero una metafisica mascherata, ispirandosi piuttosto al pensiero di Mach e di Arvenius (1) , Tra i rappresentanti di maggior spicco sono da ricordare Otto Neurath, Rudolph Carnap e Maurito Schlick (quest’ultimo ucciso da uno studente reazionario nel 1932), alle riunioni del Circolo parteciparono per un certo periodo anche Godel, Wittgenstein (le cui tesi, come esposte nel Tractatus, sembravano coincidere con quelle dei positivisti) (2) e Karl Popper, filosofi che in seguito si allontanarono decisamente dagli orientamenti del Circolo. Il neo-positivismo si caratterizza in primo luogo con la sua radicale critica di ogni metafisica. Esistono enunciati, quali quelli della matematica e della logica, che possono essere veri/falsi ma che non dicono nulla sul mondo ed altri enunciati, quelli dell’esperienza empirica, che dicendo qualcosa del mondo, possono essere veri/falsi; gli enunciati della fisica o della teologia, invece, nn sono nè veri nè falsi, semplicemente non hanno senso (3) . Asserire che “l’Essere è uno” o che “Dio esiste” nn è nè vero nè falso, è solo insensato.

Riprendendo un’idea già formulata da Bertran Russel i neo-positivisti pensano i grandi problemi filosofici altro non siano equivoci generati da un uso errato del linguaggio. La scienza a partire dalla fisica che è vista come la scienza per eccellenza, si fonda solo sull’osservazione e sulla successiva formulazione di teorie che possono essere messe alla prova di esperimenti che le verificheranno o falsificheranno, verificando/falsificando gli enunciati empirici da essi estrapolati. L’epistemologia neo-positivista ha dunque il suo principio base nella verificazione ed è esplicitamente verificazionista, Se una teoria viene verificata diventa pietra angolare dell’edificio della scienza che si presenta quindi come una costruzione solida e stabile alla quale si aggiungono sempre nuovo “mattoni”, nuove teorie. Ciò presuppone naturalmente che i neo-positivisti sostengano proprio il principio di induzione, non tenendo conto delle critiche che da esso aveva mosso Hume e che saranno invece alla base degli sviluppi del pensiero di Popper, del suo distacco e, poi, della sua contrapposizione al neo-positivismo.

Note bibliografiche:

  1. Reichenbach ” Nascita della filosofia scientifica” Il Mulino,Bologna.

2. Wittgenstein “Tractatus logicus-philosophicus” Einaudi, Torino

3. Ayer “Linguaggio, verità e logica” Feltrinelli, Milano

3° PARAGRAFO: L’impossibilità induttiva di Karl Popper e il Principio di Falsificazione [fra parentesi quadre appaiono, qua e là, note dell’editore del blog, Piero Pistoia]

L’empirismo classico e, nelle sue orme, il positivismo logico, insistono molto sull’osservazione ponendola a base della stessa scienza come avrebbe del resto fatto lo stesso Galileo (in realtà gli studiosi più recenti del grande pisano ritengono ben più complessa la questione). Conseguentemente quando si chiede di dare più spazio alla scienza nella scuola si ritiene prioritario educare gli alunni allo spirito di osservazione. Karl Popper nell’opera “Logica della scoperta scientifica” che nel 1935 ne segna il distacco dal neo-positivismo, manifesta il suo disaccordo chiedendosi “Osservare…, ma cosa? E perché?” Non si può osservare il mondo nella sua totalità indifferenziata, l’osservazione che pure ci sarà, verrà dopo. Prima sarà necessario individuare un aspetto della realtà che richiami il nostro interesse, che susciti curiosità, insomma cogliere un problema, quindi cercare di risolverlo osservandone attentamente le dinamiche (ecco il momento dell’osservazione) e alla fine formulare l’ipotesi che, successivamente corroborata, darà risposta ai nostri interrogativi. [ Non sarà però ‘verificata’ perché non è ancora certo che il risultato sia vero! come vedremo dopo! Per indicare questa incertezza useremo il verbo corroborare; nota dell’editore del blog]. Il pensiero di Popper, il razionalismo critico, appare quindi più vicino al pragmatismo che non al positivismo logico. Ma Popper non si ferma qui, una teoria scientifica per essere davvero tale deve indicare quali eventi, quali circostanze, potranno corroborarla o al contrario falsificarla. Ne “La società aperta e i suoi nemici” lo scienziato austriaco accusa l’astrologia e la psicanalisi, ma anche il Marxismo di essere pseudo-scienze in quanto mancano di precisare a quali condizioni le loro teorie risulteranno falsificate (lo stesso Popper riconosce che Marx aveva indicato alcune condizioni, ma i suoi seguaci di fronte al loro non verificarsi, hanno modificato le teorie così da renderle “sempre corroborate”, ciò equivale a renderle “sempre false”.

Il punto nodale è, però, un altro: corroborazione e falsificazione sono a-simmetriche [verificazione e falsificazione non lo sarebbero! nota dell’editore], nel senso che se una teoria è stata corroborata non è detto rimanga vera in tempi diversi, la falsificazione non è ancora arrivata, ma potrebbe arrivare. (I cigni che ho visto finora sono bianchi, ma in futuro potrei vedere cigni neri). E’ il principio di induzione che Popper nega decisamente e la scienza è scienza su palafitte, scienza in cui di continuo alcune teorie cessano di essere corroborate, mentre altre lo diventano , ma soltanto momentaneamente. Lo scienziato allora possiede verità temporanee (cioè corroborate) non verità assolute. [Se non riusciamo a falsificare una teoria in nessun modo, Popper dice che essa ha grande “verisimiglianza” ( vedere con il tag: Dario Antiseri), un neologismo, concetto regolativo della verità; così le teorie da secoli accettate si avvicinano sempre più al vero, cioè alla realtà delle cose; il concetto neologico popperiano di “verisimiglianza” così sembra salvi la fisica! nota dell’editore]

Anche l’atteggiamento di Popper verso la metafisica diverge da quello dei neo-positivisti: le teorie dei Pre-socratici, ad esempio, hanno avuto il merito di porre problemi che poi sono stati oggetto della ricerca scientifica, quindi la metafisica non è affatto un residuo inutile.

Il principio di falsificazione acquista valore nell’insegnamento delle scienze. L’epistemologia di Popper offre interessanti suggestioni per il rinnovamento della didattica della fisica e dell’insegnamento scientifico in generale, suggestioni che convergono con le impostazioni avanzate della pedagogia bruneriana accennata all’inizio.

In primo luogo se è vero che le stesse teorie scientifiche non debbono essere corroborate [la verificazione è un concetto regolativo! nota editore], ma falsificate, allora l’immagine della scienza da trasmettere ai discenti non è più quella di un sapere dogmatico e indiscutibile, bensì quella di un sapere che continuamente muta, che si de-costruisce cercando il nuovo piuttosto che ribadire le vecchie certezze. La scienza insomma non è certezza , ma ricerca continua e se, la si trasforma in dogma, non è più autentica scienza. [naturalmente nessuno nega che il mondo della tecnica e della tecnologia, che costruiscono meccanismi fondati sulla scienza, siano sempre più verisimili alla realtà, e, dicevamo, nessuno nega che funzionino, ma solo in una dimensione di spazio-tempo relativo a dove possono o potranno arrivare gli umani! nota editore] Si è detto che Popper, non diversamente dal pragmatismo, fa iniziare il procedimento scientifico dalla scoperta dei problemi. La medesima realtà può essere vista scontata, ovvia, e quindi non problematizzata o al contrario incuriosirci e porci domande per far nascere problemi. Educare alla scienza a fare i primi passi sulla via della scienza, significa quindi educare a vedere problemi e porsi domande. [ es., nei bienni superiori ci rechiamo nei laboratori avendo già individuati e discussi problemi e formulate già ipotesi in classe e così domande da sottoporre agli esperimenti; consapevoli che i risultati che otterremo hanno un intervallo di errore; noi valuteremo i risultati corroborati nell’ambito dell’errore; naturalmente sveleremo ai discenti anche i dati corrispondenti più verisimili riportati nei testi quelli più vicini al vero! nota editore]

Dal problema nascono a loro volta le ipotesi: studiata la situazione, fissatene i termini, si passa alla formulazione di ipotesi, si cerca di rendere consapevoli i discenti che un’ipotesi, per essere davvero tale, deve prevedere sia i fatti che potrebbero corroborarla sia quelli che la falsificherebbero, sottolineando come, in caso venga corroborata, ciò non implica affatto che non possano esserci situazioni impreviste che potranno falsificarla in futuro.

Al di là della comprensione dei concetti fondamentali della disciplina (della fisica come di qualsiasi altra scienza) l’obbiettivo vero dell’insegnamento formativo [diciamo fino al biennio superiore; a differenza della formazione tecnica o tecnologica; nota editore] deve essere la creazione di menti critiche che si pongono punti interrogativi e formulano ipotesi, piuttosto che accontentarsi di dogmi consolidati.

Note bibliografiche:

  1. Popper “Logica della scoperta scientifica” Einaudi, Torino
  2. Popper “La società aperta e i suoi nemici ” Armando, Roma
  3. Popper “La ricerca non ha fine” Armando , Roma

____________________________________________________________________________________

N.B.

[Per chi volesse guardare da altra prospettiva la teoria “verificazionista” espressa dalla proposizione logica falsa della “fallacia nell’affermare il conseguente [(H->Q) U (Q)->H]” ( falsa è la proposizione: se l’ipotesi H prevede lo stato sperimentale Q e si realizza Q allora è vera H) o la teoria “falsificazionista” espressa dalla proposizione logica vera del “modus tollens [(H->Q) U (non-Q) -> (non-H)]”, cercare in questo blog il tag “Manichei e Iperboli” (autore Piero Pistoia), ovvero della stesso autore, cercare anche il tag “Dalla Scienza alla Narrazione” e “Breve riflessione ed epilogo epistemologico”, e, in qualche modo, anche “La teoria e la realtà”. Nello stesso post di Manichei ed iperboli si può leggere anche qualcosa degli interventi critici sulle ipotesi e dati sperimentali del pensiero di K. Popper, con il tag “Duhem – Quine” (forse, per integrare, leggere anche “NOTE DI FILOSOFIA” specialmente il 4° paragrafo che parla di Quine; di A. Pazzagli).

Per quanto riguarda l’insegnamento della fisica tenendo conto dell’epistemologia di Popper, cercare sempre su questo blog il tag “Insegnamento della fisica” (ancora autore Piero Pistoia) in particolare nella parte IV.

Se interessati, da non trascurare di leggere anche l’articolato post “Appunti sul pensiero di J. Bruner prima 1988 ed altro sull’auto-aggiornamento” a cura di Andrea Pazzagli e P. Pistoia, per non accennare agli altri interventi di Pazzagli in particolare sulla filosofia moderna (basta in questo blog cercare: Pazzagli).]

_____________________________________________________________________________________________

Andrea Pazzagli

“MITO E POESIA DI PIERO PISTOIA” e “SENTIMENTO DELLA NATURA NELLA POESIA DI PIERO PISTOIA'”; due commenti del docente Andrea Pazzagli

Per leggere i due articoli in pdf, cliccare sotto:

COMMENTO POESIE PIERO PISTOIA _PAZZAGLI

Ovvero, continuare la lettura…

Riproponiamo questo denso commento alle poesie di Pistoia, a nome di Andrea Pazzagli, per renderlo più visibile, data anche la stringente dissertazione fondata sui concetti della Philosophia Naturalis, per cui lo stupore e la meraviglia, per rendere il mondo sempre meno banale, pervadono l’umano di fronte alla Natura, attivando una rivalutazione anche personale del mito, efficace strumento psicologico di sopravvivenza.

IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI

piero_pistoia_comk

 

SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche Pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

 

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO, ALLE SEGUENTI VOCI (tag)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti

LA LETTERATURA DISTOPICA di Andrea Pazzagli

La letteratura riscrive modelli distopici di cultura sociale in divenire (indesiderabili, spaventosi, opposti all’utopia),  a partire dal ventesimo secolo e nei primi anni del secolo successivo fino ad oggi, aperti, sembra, ad un futuro sempre più incerto per l’umanità.

L’Editore

Per leggere l’articolo di Pazzagli in pdf cliccare su:

DISTOPIA

Dello stesso autore sono in programmazione ulteriori riflessioni e precisazioni al margine dell’articolo precedente e un’analisi e commento sul film-icona nominato, “Blade Runner”.

ARISTOTELE HA FORSE DA DIRCI ANCORA QUALCOSA; del docente Andrea Pazzagli; con Nota al Margine dell’editore (P. Pistoia) ; post aperto

N.B. – Per leggere l’art. in pdf, cliccare sopra il link; poi, per leggere il resto dell’articolo, cliccare sulla freccia in alto a sinistra, che fa tornare indietro!

ARISTOTELE10001

Per leggerlo in jpg continuare

NOTA al margine, talora ‘a braccio’, forse un po’ azzardata e poco organizzata del coordinatore-editore (NDC: P. Pistoia), solo per attivare una riflessione-discussione. Reinterpretazione della nozione ‘Buon Senso’.

PREMESSA PROBLEMATICA

Da controllare, ancora in questo blog, per es., il contenuto del tag “L’Opinione” ricordato nell’articolo precedente e su internet cercare il concetto di phrònesis, saggezza, discernimento…,rispetto a sapienza (sofia). Potrebbe significare anche Buon Senso? Qual è la differenza? Il buon senso è una ‘facility istintiva’ che  utilizza la sapienza di background individuale, nel ‘vedere di getto’ percorsi operativi nelle zone complesse, come, per es., nella morale, nell’etica, nell’insegnamento, politica ed altro,  al fine di ordinarle razionalmente, comprendendole, per poi di fatto su esse prendere decisioni? Se sì, sembrerebbero esistessero diversi livelli di buon senso rispetto ai gradi di sapienza posseduti (background di conoscenze teoriche al fine di cogliere le Verità nei diversi contesti), a partire dal ‘buon senso del senso comune’.

Nello scritto successivo, le cui informazioni sono state anche mutuate da vari scritti su Internet (compreso Wikipedia), si fa un tentativo ipotetico di inserire la nozione di Buon Senso nel quadro  aristotelico accennato in questo post. Deve essere considerato come un progetto di lavoro, una successione di appunti per una eventuale lezione-discussione.

BREVI CENNI SUI PROCESSI DI CONOSCENZA IN ARISTOTELE (384-322 a.C.n.)

(Etica Nicomachea)

Tre sono i modi per conoscere in Aristotele: Sofia (Epistème?), Technè e Phrònesis.

Primo modo: la nozione di Sofia-Episteme

Sofia-Epistème è la conoscenza teoretica intellettuale, certa e assoluta, considerata giustificata oltre ogni dubbio; appartiene alla categoria Know why. Questo modo è tradotto con ‘Sapienza’ che ha come unico fine le Verità riguardo la realtà delle cose. Consiste di una intuizione intellettuale potente che permette anche il processo induttivo, costruendo dai dati empirici enti universali (senza l’intervento divino), superando lo stesso processo logico formale limitato dalla possibilità di premesse false che conducono ad inesorabili conclusioni false. Per scoprire di più sulla nozione “induzione” cercare nel blog, per es., con il tag ‘induzione’, appunto. Tale conoscenza intellettuale viene contrapposta alla Doxa, che riguarda la semplice ‘opinione’.

Secondo modo: la nozione di Technè

Denota la Tecnologica (Know how); es., abilità,  colture…e l’arte, che, al tempo, ebbe gioco rilevante anche per l’oggetto tecnico.

Terzo modo: la nozione di Phrònesis

La Phrònesis (parola greca tradotta nella Treccani con ‘Saggezza’ e da Cicerone con ‘Prudentia’…) è una nozione che ha a che fare con la conoscenza e l’etica calate nella pratica. Si tratta forse di un processo  mentale da interfaccia fra l’Episteme e la complessità del reale, per trasferire le nozioni dall’alto attraverso un’azione indirizzata a sbrogliare la densità infinita delle cose del mondo in particolare quello umano (avrebbe buon gioco specialmente nell’Etica, nel processo insegnamento-apprendimento, nel praticare Politica, nella pratica della Giustizia…). La nozione che ha svariati contenuti, aldilà delle svariate zone di intersezioni  (Prudentia , Saggezza, Avvedutezza, Cautela, Discriminazione, Attenzione…) potrebbe richiedere, a monte,  1) una consapevolezza istintiva necessaria, a fronte di una potenzialità molteplice di eventi concreti che concernono un problema e 2) una capacità intuitiva a cogliere in equilibrio gli svariati aspetti dell’etica e della conoscenza rilevanti ai fini della soluzione dello stesso problema, per procedere a tracciarne i relativi percorsi decisionali. Ma, se vogliamo interpretare le cose del mondo tramite Phrònesis non troveremo mai l’Assoluto; di qui, secondo lo scrivente, deriva la nozione di Prudentia, a fronte delle possibili proposte per le soluzioni di problemi complessi e relative scelte decisionali. Si ritiene consistente (forse un po’ forzando)  che lo stesso J. Bruner, rispondendo alla domanda se interpretando il mondo siamo mai capaci di coglierne l’essenza, scrivesse a pag. 126 del testo”La Cultura dell’Educazione” Feltrinelli, che di assoluto, nel mondo interpretato, “c’è [solo] che qualsiasi ricostruzione del passato, del presente o del possibile che sia ben forgiata, ben argomentata, scrupolosamente commentata e prospettivamente onesta merita rispetto”, quindi anche  la nostra ricostruzione insieme a tutte le altre esplicitate e possibili! Allora forse non è preferibile neppure qualcuna costruita col Buon Senso, che potrebbe anche indovinare il mondo? Il Buon Senso non è forse un’attività mentale istintiva-intuitiva che solo alcuni umani la posseggono, e che si attiva sul contenuto delle tre memorie che possediamo (la biologica, la culturale e l’astrologica), nell’interfaccia di trasferimento? Chi volesse leggere qualcosa sulle memorie umane cercare su questo blog  i seguenti tags: “insegnamento della fisica” (Parte Seconda) o “memoria biologica“.

La Saggezza-Phrònesis in questo processo per indirizzare la Sapienza verso la zona delle cose complesse, potrebbe utilizzare un particolare strumento mentale intuitivo rapido ed efficace, che permetta di individuare e comprendere – in tempi brevi quasi impulsivi, nella immediatezza delle decisioni e delle discussioni a ‘caldo’ – percorsi  positivi nel fenomeno complesso, atti a realizzare questi fini pratici in fase decisionale, al fine di migliorare la struttura delle cose concrete in divenire.

A nostro avviso, ha buon senso, per es., chi, in una discussione argomentativa per la soluzione di un problema complesso nel concreto, riesce a cogliere i vari punti strategici rilevanti del dibattito, costruendo intuitivamente in tempo reale, un percorso decisionale efficace e a bassa entropia. In generale potremmo dire che ha buon senso chi riesce in tempo reale ad individuare intuitivamente (quasi indovinare) un percorso plausibile nell’intreccio caotico di un fenomeno complesso. Chi ha buon senso avrà, più di altri, la facoltà di proporre ipotesi creative da mettere poi al vaglio del processo falsificatorio. Il buon senso si ‘gioca’ così in diversi piani a fronte  dei diversi livelli di cultura posseduti.

Si potrebbe concludere con un’ipotesi, anche se  debole, associando i diversi aspetti  delle svariate nozioni attribuite alla parola greca Phrònesis  e confrontando il significato della  nozione-unione con la nozione che abbiamo di Buon Senso: se queste due nozioni venissero mediamente a coincidere significherebbe che chi non possiede buon senso, avrebbe scarsa Phrònesis e quindi difficoltà a utilizzare le proprie conoscenze, anche se ampie e approfondite, per risolvere i problemi della vita (specialmente se è quella degli altri).

Sintetizzando questo scritto largamente ipotetico e forse scarsamente sostenibile, riteniamo che l’ “Einfunlung” (immedesimazione) a lungo protratta su un problema, oltre alle capacità intellettive razionali, attivi anche circuiti cerebrali che possono auto-funzionare,  a piena potenza nell’approccio epistemico (oggi praticamente non accettato a meno di introdurre qualche deus ex-machina esterno, contro i dettami del ‘rasoio di Occam’),  ma anche, in maniera meno stringente, in quello di Phrònesis. Questo fenomeno prettamente umano, deriverebbe da una interazione di tali circuiti sul contenuto delle memorie umane, quella biologica, la culturale e, forse anche la memoria astrologica (dovuta a interferenze sul cervello di qualche proprietà planetaria al momento della nascita). Mentre l’episteme sarebbe capace di agire sul mondo ‘reale’ in maniera assoluta, superando anche la stessa logica; nell’approccio ‘Phronesico’, le svariate interpretazioni del mondo, sotto i criteri conosciuti descritti sopra, fra cui di  particolare rilevanza, il prospettivamente onesto  [la buona fede], porterebbero a scelte di percorsi tutti accettabili (nel migliore dei casi!), ma difficilmente ordinabili per rilevanza (proposizione di Bruner riportata sopra), senza una capacità mentale inconsapevole e predittiva aggiuntiva (Buon Senso). Allora qualche percorso più probabile degli altri potrebbe forse essere individuato con le facilities del Buon Senso? Comunque i limiti della Phrònesis, che è tutto quello che l’uomo riesce a ottenere in materia di conoscenza, sembrano poi gli stessi che l’epistemologia riscontra nei processi scientifici. Rimarrebbe il dubbio da ‘districare’ su come addestrare gli umani al Buon Senso!

Attenzione allora, comunque sia, a collocare umani nei diversi punti di potere chiamati a decidere delle sorti di tutti gli altri, dovendo operare scelte in situazioni complesse!

Se qualcuno volesse rivedere, precisare, correggere, ampliare lo scritto precedente, inviare una mail a ao123456789vz@libero.it, aprendo un confronto.

SULLA DOXA ED EPISTEME
Non è che gli dei abbiano rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo, se cercheremo troveremo ed impareremo a conoscere meglio (Senofane VI secolo a.C. , B 18).
Ma la Verità nessun uomo la conosce né la conoscerà mai, né sugli dèi né sulle cose di cui parlo. E anche se per caso dovesse pronunciare la Verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe: perché tutto è tentativo di indovinare (Senofane, B 34)

ASPETTI DELLA CULTURA TEDESCA DEL NOVECENTO: Oswald Spengler ed il Tramonto dell’Occidente; a cura di Andrea Pazzagli

ASPETTI DELLA CULTURA TEDESCA DEL NOVECENTO: Oswal Spengler ed il Tramonto dell’Occidente a cura di A. Pazzagli

Chi volesse leggere l’intervento in odt, cliccare su:

SPENGLER0001

DA CONTINUARE…

 

(rivisitato dall’inserto cartaceo Il Sillabario, 3 1999)

LE EMOZIONI POETICHE DI PIERO PISTOIA: commenti a più voci, post aperto

PER INGRANDIRE LO SCRITTO CLICCARCI SOPRA
I commenti che seguono sono stati trasferiti dall’inserto ‘Il Sillabario’

ASPETTI DIONISIACI DELLA POESIA

DI PIERO PISTOIA

Dott.ssa  STEFANIA RAGONI 

piero_pistoia_poesiek1

IL MITO E LA POESIA DI PIERO PISTOIA

Insegnante ANDREA PAZZAGLI 

piero_pistoia_comk

SENTIMENTO DELLA NATURA DI PIERO PISTOIA

 di ANDREA PAZZAGLI

La filosofia, dicevano i Greci, promana dallo stupore che pervade l’uomo di fronte al mondo, al libero manifestarsi (alèteia) di quella phisys che non si lascia mai completamente comprendere dalla ragione calcolante della scienza, della tecnica, delle metafisiche razionalistiche.

Non diverso dal filosofo è il poeta: è poeta chi sempre di nuovo sa meravigliarsi e dire la sua meraviglia davanti allo spettacolo del mondo, sempre uguale eppure sempre diverso, se nuovo sa essere l’occhio che lo contempla.

A ciò probabilmente pensava anche pascoli quando paragonava i poeti ai fanciulli (poetica del fanciullino); i poeti ed i fanciulli condividono la prerogativa di sapersi ancora stupire, sanno, ancora, non essere banali e non rendere banale il mondo circostante.

Questi pensieri si affacciano alla mente mentre leggo o ascolto le poesie di Piero Pistoia. Sono versi, appunto, mai banali e riescono ad esprimere, spesso con forte efficacia, un senso di profonda partecipazione all’Essere, di comunione con la Natura ( intesa nell’accezione greca di phisys, non quella oggettivante dei Positivisti) non facile da trovarsi. Non c’è in questi versi alcuna imitazione di D’Annunzio e dei suoi panismi, piuttosto l’espressione del legame fra noi e ed il mondo, tra noi e la Natura, che, una volta, era forse dato dal senso comune, ma che, oggi, solo le parole della poesia sanno ancora esprimere. La campagna, il bosco, il fiume, i declivi, le piagge: ecco i luoghi della poesia di Pistoia, luoghi dove ora va a caccia e che, nella memoria e nei versi, tuttavia si confondono con quelli, geograficamente e temporalmente lontani, dell’infanzia già remota. Luoghi, visioni: ma, va notato che, per Pistoia il dato visivo non è mai isolato, si arricchisce, si sostanzia di altre sensazioni, più forti, più carnali, più animali quasi, soprattutto uditive e olfattive. Chi (e anche Pistoia è fra questi) ha varcato il limite della maturità, raramente è esente da una vena di nostalgia per un passato sentito perduto e irrecuperabile: nostalgia si respira in effetti anche in talune di queste poesie, ma senza che mai divenga tono dominante, che mai riesca a spegnere la corposa energia di vivere che rimane tratto distintivo.

Resta da dire del linguaggio poetico. Non voglio azzardare giudizi ed analisi, ma credo che i lettori converranno nel riconosce la sciolta, agile eleganza di questi versi che, senza riferimenti troppo espliciti, mostrano però come l’autore abbia fatto propria la lezione della poesia del primo Novecento.

Gli interessi scientifici  di Pistoia, le sue incursioni in svariati campi del pensiero, non sono senza eco nelle sue poesie: numerosi i rimandi a teorie scientifiche e matematiche, frequenti le parole tratte da vocabolari settoriali. Ma (ed è questa una riprova della solidità del linguaggio poetico dell’autore) queste parole. questi rimandi, non stridono affatto, si inseriscono anzi nel contesto, lo arricchiscono e ne fanno esempio della necessità, oggi centrale, di ibridare discipline, esperienze e vocabolari.

 

LE POESIE DI PIERO PISTOIA SUL BLOG SONO RAGGRUPPATE, FRA L’ALTRO, ALLE SEGUENTI VOCI (tags)

Riflessioni non conformi

Poesie di paese

Fatica di vivere

Memoria memoria…

Poesie di caccia e Natura

Poesie di “cose” del mito

Solo rassegnazione

Tempi perduti