MIRABILE E SORPRENDENTE MOSTRA DI PITTURA DELL’ARTISTA PAOLO FIDANZI et al. IN ULIVETA E MACCHIA MEDITERRANEA; Volterra, 12-ottobre-2014; a cura del coordinatore del post dott. Piero Pistoia

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N.B. -I commenti, le divagazioni, l’organizzazione dei testi e delle foto, nel bene e nel male,  sono e sono sempre stati  in ogni caso a cura delle NDC (Note Del Coordinatore P. Pistoia)!

LE IMMAGINI POSSONO ESSERE INGRANDITE CLICCANDOCI SOPRA

Post in via di progetto: tentativi in prova. Affinchè non si perda un valido esperimento. L’artista può decidere come muoversi (aggruppare, spostare…) , per una migliore interpretazione delle tendenze creative; ma anche sopprimere questo post.

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Alcune rapide considerazioni a'pelle' di Anonimo,
il coordinatore (NDC)

LA  NATURA

Un paio di ettari sulle crete plioceniche di prati, ulivete, sprazzi di macchia mediterranea ed altra  flora ad essa associata, come alloro, oleandro, lavanda ed altri arbusti profumati, cipressi toscani, alberi da frutta selvatici o inselvatichiti ecc., che molto lentamente degradano verso valle, aumentando di pendenza attraverso le formazioni  sabbiose, dove albergano  gli improbabili ‘nidi’ dei sassi mammellonati.

 

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DALLA  NATURA  ALL’ARTE

UNA INTERFACCIA FRA NATURA ED ARTE: i sassi mammellonati

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Due foto nei ‘nidi’ dei mammellonati

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NIDI MAMM

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DIVAGAZIONI SCARSAMENTE CONDIVISE E MOLTO APPROSSIMATE SULLA NATURA E  SULL'ARTE
del dott. Piero Pistoia (autore delle NDC)
 

Il sentimento universale del dolore per la perdita di un cucciolo della stessa specie riesce ad esprimerla anche la stessa Natura giocando con il linguaggio criptato di angoli, rapporti aurei e pentagoni (così come intravisto appena dal pensiero razionale), che stranamente, per un processo co-evolutivo, anche l’animo umano riesce a tradurre in emozione!

La Natura costruisce se stessa ponendosi ad ogni passaggio davanti ad infinite scelte; le ‘annusa’, con la velocità che le è naturale (forse quella della luce)e sceglie quel cammino che consuma minore energia, si muove verso quella superficie per raggiungere la quale consuma meno energia, ecc., costruendo tutte le forme del Cosmo attraverso strutture primigenie (forse i frattali che hanno a che fare con numeri aurei, i numeri di Fibonacci). La Natura in questo modo costruisce ogni forma! Costruisce le albe ed i tramonti, le aurore boreali, le foreste, le forme delle foglie, degli animali, i densi occhi delle donne…

i sassi mammellonati, insomma tutto ciò che la scienza con la matematica e la fisica non riesce a spiegare. E di questi oggetti è pieno l’universo! Ciò che la matematica e la fisica invece riescono a razionalizzare è una porzione di spazio-tempo infinitesima rispetto al Cosmo che ci circonda.

E l’Arte? Proprio per la sua natura universale, svincolata dal tempo e dallo spazio, è forse costruita a partire da ‘quanti di emozione’? e l’emozione è forse quantizzabile come la materia e l’energia, il tempo e lo spazio, ecc.? e rimanda forse anch’essa a frattali e numeri aurei come la stessa Natura? L’Arte è probabile che usi una parte del cervello umano estremamente difforme dal razionale, tale da contribuire però, attraverso un transfert-a-specifico, a quei salti creativi che nel corso dei millenni hanno contribuito anche al progresso della scienza e della matematica.

ARTE SCIENZA SACRO ENTRANO IN INTERAZIONE SU FRONTIERE CHE SI PERDONO IN UNA FUGA INFINITA DI FRATTALI?

E…in queste frontiere, lungo alcune linee di flusso di soluzioni bicarbonatiche, la Natura costruisce i ‘nidi’ dei mammellonati.

Dott. Piero Pistoia

Chi volesse leggere che cosa racconta la Scienza sui sassi mammellonati, può scrivere, nella finestra ‘cerca’, la proposizione ‘sassi mammellonati’. Appariranno articoli, discussioni e argomentazioni a nome del dott. Giacomo Pettorali, ing. Rodolfo Marconcini e Piero Pistoia. Si potranno qui leggere anche racconti e  poesie, riflessioni ed altro, da parte di poeti, musicisti, filosofi, scrittori ecc., su questi strani sassi, ben conosciuti anche dagli Etruschi.

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DALL’ARTE  ALLA  NATURA

‘SFIGURIAMO’ UN HAIKU per una pittura di P. Fidanzi

La pittura è  DONNA OSCURA CON OMBRELLO E MARINA TORMENTATA


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L’Haiku sui generis di cui si parla è stato recitato nel film VIVA LA LIBERTA’ ed è possibile leggere l’originale nel blog di Balthazar-Pagani

AIKU RIVISITATO1 con pittura_ok

AIKU RIVISITATO2 con pittura_ok

a cura di anonimo (NDC)

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ALCUNE  DIRETTRICI DEL PERCORSO “ARTE NELLA NATURA”

Il quadro ad ‘ulivi blu’, allungato e stretto fra i rami dei due cipressi del ‘Carducci’, sembra dischiudere un varco verso uno scorcio di paesaggio che non c’è. 

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QUASI UN METAFISICO CONTINUUM PITTURA-NATURA

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Quercus ilex

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I quadri degli edifici turbano per la sensazione di ‘attesa’ che destano. Sono così ‘estroversi’, nell’ accezione primaria del termine, nella terza dimensione che in alcuni contorni sembrano sfuggire ‘altrove’, quasi come nei ‘ritorni’ di Escher.

Chamerops humilis (Palma nana) e Phyllirea angustifolia (Lillatro)

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Laurus nobilis (alloro)

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Lavandula angustifolia (lavanda)

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Quercus ilex (leccio)

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Alcune delle ‘pitture metafisiche’ di P. Fidanzi (per il loro significato, vedere, in questo blog, il post ‘Una nuova Metafisica’)

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ALTRI ESPOSITORI AL MARGINE (poche opere in mostra)

1 – ARTURI, pittore

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2 – ANNA CAMURRI, pittrice emergente figurativa, cartellonista (?), ritrattista (?), pittrice di strada ed altro. Ha il laboratorio presso lo Studio d’Arte CARUSO (Volterra). Mantiene un emozionante VIDEO su internet da visionare (da Google cliccare su: Arte a Volterra -Studio d’Arte CARUSO di Camurri Anna Maria)

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SEDUZIONE pittura emblematica di Anna Camurri

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3 – GIULIANO MANNUCCI, scultore affermato e  pittore sperimentale. Tiene una mostra di scultura permanente a Volterra.

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VORTICE scultura emblematica di Giuliano Mannucci (esposta a Chiaulis, Udine)

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Seguiranno ora le loro pitture in mostra

da continuare…

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1 – Il mondo ‘fabuloso’ nella pittura di Arcuri

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2 – Il ‘femmineo’ nella pittura armoniosa di Anna Camurri, con le sue dolci figure ed i suoi velati paesaggi toscani.

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3- il senso originale della pittura sperimentale di Giuliano Mannucci

A partire dagli ultimi decenni il mondo dei viventi, nelle sue parti generative, viene gravemente danneggiato da un numero esponenziale di ferite beanti e baratri scheggiati-graffianti che richiedono un urgente intervento di ricucitura.

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EPISTEMOLOGIA ED OLTRE a cura del dott. prof. Giacomo Brunetti, del dott. Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia…post aperto ad altri interventi

Curriculum di piero pistoia :

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INDUZIONE E DEDUZIONE: DUE METODI DI INDAGINE SCIENTIFICA

del dott. Giacomo Brunetti

(vers. rivisitata, Il Sillabario, n.1, 1995, X)

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ALCUNI ASPETTI DEL PENSIERO DI K. POPPER ED OLTRE
Spunti per riflessioni e discusssioni personali
A cura del Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia

Le linee argomentative di questo articolo seguono alcuni percorsi di pensiero tracciati nei seguenti testi:
K. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, 1991;
P. Feyerabend, Ambiguità ed armonia, Laterza, 1996;
A.V., Critica e crescita della conoscenza, feltrinelli, 1987.

IN VIA DI REVISIONE

IL MODUS TOLLENS E LA FALLACIA DEL CONSEGUENTE

Popper aveva compreso perfettamente che la proposizione logica relativa alla falsificazione, il modus tollens(1), era logicamente fondata a differenza di quella per la verificazione dei positivisti (fallacia dell’affermazione del conseguente) e la considerò un emblematico riferimento per tutto il suo lavoro. Accettare il modus tollens contro la fallacia dell’affermazione del conseguente suggerisce, se non vogliamo invocare dèi o dèmoni, l’assenza necessaria per l’uomo di qualsiasi fonte o criterio ideale di verità a cui fare riferimento (se ‘H implica Q’ è vera, la conferma di Q non potrà mai avvallare la verità di H, a meno che non ci sia una fonte assoluta di verità per Q; nessun numero di accadimenti di cigni bianchi potrà mai rendere vera l’ipotesi generale: “Tutti i cigni sono bianchi”). La stessa coerenza e logicità di una argomentazione non poteva implicare la sua verità; neppure i criteri cartesiani di chiarezza e distinzione (le idee chiare e distinte) sono criteri di verità per Popper. Semmai i loro contrari sono importanti per la conoscenza: l’oscurità e la confusione, l’incoerenza e la contraddizione possono essere indizi di errore, che è appunto ciò che ci affanniamo a cercare nel soddisfare il processo di falsificazione.

Sia nella Scienza sia nella Politica non esiste garanzia alcuna; nell’una la conoscenza non sarà mai ottimale e definitiva, nell’altra non esisterà mai un capo ideale ai diversi livelli. Non esistono fonti ideali a cui fare riferimento né per la Scienza (né l’intelletto, né i sensi più o meno amplificati) e neppure in Politica (né Capitalisti al governo, né Popolo). Costruire la Scienza a partire dalla ragione oppure a partire dall’osservazione-esperimento non garantisce in ogni caso che una volta o l’altra non saremo indotti in errore. L’intuizione intellettuale , l’immaginazione ispirata e profetica, che psicologicamente ci soddisfano, allo stesso modo dell’osservazione e del ragionamento, sono certo importanti, ma non si deve credere rimandino a qualche autorità assoluta, non criticabile, divina o d’altro tipo. Così in politica eleggere chi è considerato migliore, il più colto, il più saggio, il più mite,…, o chi crede in una certa ideologia, non è garanzia di un ottimo governo.

Ma proprio perchè il modus tollens in logica permetteva di incidere significativamente sulle ipotesi di partenza controllandole, Popper pensò che il suo utilizzo in ambiti più complessi potesse avere più senso di altri escamotages, pur rimanendo il fatto incontrovertibile, come credeva già lo stesso Senofane, che i mortali possono avere solo una conoscenza debole (doxa) e non forte (epistème) che è propria degli dèi (4). L’uso, nell’analisi di un oggetto complesso, di una proposizione logica che funziona non porta forse a qualche vantaggio rispetto ad usare metodi logicamente non corretti? Il processo sperimentale (doxastòn=oggetto di opinione, direbbe Parmenide) non fonda niente in positivo (e neppure in negativo!), perchè è gravido di teoria e abbozzi di teoria, di conoscenza “tacita” alla M. Polanyi, aggiungerebbe Feyerabend e perchè viziato da possibili errori sistematici, dovuti all’interpretazione sistematicamente errata di qualche fatto. “Il livello sperimentale forma una cultura a sé il cui rapporto con la teoria è tutt’altro che chiaro”, preciserà poi Feyerabend. Il lavoro intellettuale, che si esplica in teorie, preconcetti e “pregiudizi”, a differenza delle posizioni platoniche, non fonda niente, in ciò Bacone aveva ragione; infatti se con esso interpretiamo i fatti osservati corriamo il pericolo, qualunque siano questi fatti, di confermali e rafforzarli. Le teorie “rileggono” i fatti a loro favore.

Come spunto per una riflessione,  ci sembra interessante notare un certo parallelismo strano fra l’oggetto della conoscenza, “riletto” continuamente dalle teorie, e l’oggetto poetico, “riletto” continuamente dalla mente del fruitore. Ambedue i processi ad infinitum.

Bacone allora propose di eliminare teorie e preconcetti (i famosi IDOLA) prima di poter “leggere” con obiettività il libro aperto della Natura; come se la mente potesse essere purificata e liberata dai pregiudizi!

Su due fronti dunque l’indeterminatezza: sul fronte dell’esperimento e sul fronte della teoria; sia teoria, sia esperimento sono “inquinati”. Oggi Hume ne avrebbe avuti libri da gettare nel fuoco, contenenti sofisticherie e inganni!(2). Ma non è il tempo di accendere né roghi humiani, né di altro tipo: il nostro obiettivo è convivere al meglio con inganni e sofisticherie!

Naturalmente Popper era pienamente consapevole che un processo logico, pur fondato come il modus tollens, non poteva tout-court applicarsi a fenomeni così complessi come, per esempio, la costruzione della Scienza e della Politica. Ma il suo principale obiettivo rimase quello per tutta la vita, cioè utilizzare il modus tollens, anche se come goal regolativo in questi ambiti in cui agiscono miriadi di componenti. Come si affronta allora in questa ottica la costruzione della conoscenza? Come si traduce il modus tollens in tali ambiti? E’ possibile farlo? C’è possibilità di controllo dei fenomeni previsti dalle teorie? L’esperimento in particolare sarà in grado di controllare le teorie? A quest’ultima domanda Popper risponde in maniera esplicita che l’osservazione e l’esperimento non possono stabilire nulla di definitivo sia nel senso della verifica di Q sia nel senso della sua falsificazione, come abbiamo accennato. Ma allora come agiscono i fatti sulla teoria? Lo stesso risultato dell’esperimento sarà soggetto ad esame critico stringente e a sua volta esso servirà per criticare aspramente la teoria; in effetti, leggendo fra le righe, sembra che la teoria non si confronti coi fatti, ma criticamente con le teorie ed abbozzi di teoria contenute in osservazioni ed esperimenti! Ciò che viene osservato in laboratorio, afferma esplicitamente Popper, non è qualcosa di più di un mero status ipotetico! Schematicamente, si parte da un problema, da un punto di domanda (P1), si formula un’ipotesi o congettura, un tentativo cioè di teoria (tentative theory, TT), poi si cerca di attaccarla, combatterla, con tutte le forze a disposizione, procedendo in tentativi di eleminazione critica dell’errore (EEerror elimination); nell’ambito della falsificazione nascerà il nuovo problema (P2). In termini più espliciti, Popper pensava che, seguendo il modus tollens, capace di falsificare un’ipotesi di partenza all’interno del mondo pulito e asettico della logica, con un po’ di fortuna, ma anche con sagacia, buon senso, intuizione per immedesimazione ed empatia (Einfhunlung), operando una critica stringente delle teorie e dei tentativi, nostri e degli altri, si potesse indovinare il mondo, audaci tanto da far violenza al senso umano e del tempo, come ben insegna Galileo, e favorendo, curiosi e disponibili, la critica dall’esterno, Popper riteneva, si potesse anche vagliare il mondo delle apparenze e delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, per dirla con Platone(4)  (mito raccontato nella Repubblica), sondarle e talora oltrepassarle, calando in profondità il nostro sguardo, dove, Democrito insegna, si situerebbe la “verità” (aumento della verosimiglianza  popperiana, progresso, nel senso che a parità di contenuto di falsità, quello di verità aumenta).

Riassumendo, “imbracciando” il modus tollens come un’arma, anche se letale solamente in un altro mondo (quello della logica), sarà necessario sottoporre a stringenti critiche anche i processi sperimentali prima di poter criticare aspramente le teorie, senza esclusione di colpi in ambo i campi, utilizzando ogni escamotage (la fortuna, la sagacia, il buon senso, l’immedesimazione empatica…), fidando sulle capacità di indovinare il mondo degli audaci e dei poeti (oì mythietài, quelli del mito, i ribelli di Erodoto), tanto da far violenza talora al senso umano e del tempo (contro le sensate esperienze!), come suggerisce Galileo. Un processo senza requie, ma l’arma logica, non così efficace, a lungo andare darebbe  risultati (ragione o speranza?). Qualche sprazzo di luce al di là delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, come accennato.

A tutti i livelli e in tutti gli ambiti, come si vede, esiste una scaletta delle incertezze. Incertezze sulle teorie sui processi sui protocolli . In quest’ultimo ambito però si annida un possibile “punto fermo”, l’errore. Riconoscerlo è un vantaggio per la conoscenza, amarlo e curarlo è un apprendistato efficiente e forse anche efficace per il futuro, saperlo calcolare rende l’operazione quantitativa densa di significati nuovi, quasi divini. Ci dice che, se tutto il precedente è “indovinato”, nel suo intervallo i pensieri sono degni di essere considerati e quindi degni di rispetto (livello conoscitivo di corroborazione) e, fuori del suo intervallo, si toccherà, qualsiasi cosa voglia significare, il “reale” (livello conoscitivo di falsificazione). Non è tanto, ma è tutto quello che gli umani possono riuscire a realizzare. Agli dèi l’altro! (8)

Come si vede un esperimento da solo non è capace di sfidare una teoria anche isolata, costituita da una sola proposizione; c’è bisogno sempre di istinto metafisico ed estro artistico. Scientifiche comunque saranno quelle teorie per le quali è possibile sapere in anticipo quali asserzioni sperimentali vengano proibite (criterio di demarcazione di Popper), oggetto di continua ed assidua ricerca, perchè rappresentano, se esistenti nell’Universo, l’errore della teoria. La discussione accalorata, l’argomentazione critica (“il discorso”) proposte da Popper, come già accennato, non avevano da fondare niente, anche se si situavano in un contesto logico di falsificazione(5). Popper, come già accennato, era infatti perfettamente consapevole della teoricità implicita nel processo sperimentale, che avrebbe ostacolato la falsificazione diretta, e della complessità ipotetica delle teorie, per cui 1) teorie non falsificabili, non scientifiche per il suo criterio di demarcazione, potevano diventarlo in futuro; 2) teorie falsificate, da buttare, potevano risultare ancora utili da tenere di scorta per eventuali nuove potenti idee ed ipotesi di soluzione di nuovi problemi; 3) era necessario discernere fra ipotesi rilevanti e non nella fase H, come risposta al dogmatismo olistico di Duhem-Quine(6), da parte della mens esperta del ricercatore in empatia con la sua ricerca. Niente di certo quindi; un processo sporco che ha come unica giustificazione l’uso della proposizione logica: [(H-> Q)U(non-Q)]-> non-H, che funziona perfettamente solo nel mondo appunto della logica! Alla fine tutte le teorie così costruite, sottoposte a tutte le sfide possibili, falsificate o corroborate, anche con processi extra-logici (sagacia, intuizione, fortuna), è quanto di meglio nel campo del razionale riusciamo ad ottenere. Esse, insieme a tutte le argomentazioni critiche, vengono a costituire il Terzo Mondo, che, per la sua complessità, sviluppa emergenze, incastri da soddisfare in un dato modo, guidando autonomamente il “progresso” della conoscenza ( sempre però in interazione con il Primo Mondo degli oggetti materiali e col Secondo Mondo della psicologia, per loro natura a scarso contenuto logico). La conoscenza procede a tentoni mettendo sotto seria critica la conoscenza precedente, sia quella innata, ma non nel senso ottimistico dell’anamnesis platonica (7), sia quella fornita dalla tradizione, che viene così modificata, eliminando gli errori se vengono incontrati. Un processo che non avrà mai fine, perchè infinita rimarrà sempre la nostra ignoranza. Si tratta di logica o di speranza? Di ragione o religione? Si tratta in effetti di un metodo logico alla ricerca dell’errore nei nostri pensieri, calato cioè nell’ambiente dei fenomeni dove i percorsi non sono così determinati, dove si moltiplicano le possibilità e le soluzioni, dove le previsioni si perdono spesso in vortici, per cui può stare anche nell’errore la verità. L’oscurità, la confusione, l’incoerenza e la contraddizione saranno solo indizi di errore. Mettiamo pure da parte le teorie falsificate su questi indizi, ma ricordiamo che l’indizio non significa certezza! Teniamole ancora e difendiamole con forza, forse sta proprio in questo il progresso. Progresso in che cosa? “Nel portare la pace o nel rendere le persone più capaci di amare? Neanche per sogno!”. Progresso “nel trovare leggi generali che a loro volta hanno portato ad individuare tecnologie interessanti”. Interessanti in che senso? Le Grandi Menti del nostro tempo seguono sempre di più il percorso del denaro, che spesso significa ricerca militare!

Abbiamo voluto accennare anche ad alcune battute di Feyerabend, per focalizzare l’attenzione del lettore sulla drammatica spaccatura fra natura e sentimenti, fra mondo delle idee e mondo delle fedi, interland scosceso dove tenta di insinuarsi timidamente anche il nostro Blog!

“Da principio gli dèi non hanno rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo, se cercheremo troveremo e impareremo a conoscere meglio” (Senofane, VI secolo a.C.n., B 18).

“Ma la verità (epistème) nessun uomo la conosce mai: nè sugli dèi nè delle cose di cui parlo. Ed anche se per caso dovesse pronunciare la verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe; perché tutto è tentativo di indovinare (dòxa)” (Senofane, B 34).

(Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia)

BIBLIOGRAFIA E NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q       H      Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della fallacia nell’affermare il conseguente, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se H implica Q1,Q2…Qn è vera,
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
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H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H implica Qi) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro risulta che Qi è falso
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H è logicamente falsa

2 – “[…] quando scorriamo i libri di una biblioteca, […] che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto sulle quantità e sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale? No. E allora gettiamolo nel fuoco, perchè non contiene che sofisticherie ed inganni!” (Hume, Ricerche sull’intelletto umano, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957).

3 – “Nè posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l ‘ hanno ricevuta e l’hannostimata vera (Teoria Elicentrica) ed hanno con la vivacità dell’intelletto fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario” (G. Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, 3a giornata).

4- In una grande caverna vi sono prigionieri incatenati fin dall’infanzia in maniera tale da essere costretti la parete di fondo. Alle spalle dei prigionieri è acceso un enorme fuoco e fra il fuoco ed i prigionieri, nella direzione a 90°  alla linea della loro visione , si articola un sentiero lungo il quale dei personaggi alzano davanti al fuoco forme-sagome dei vari oggetti del mondo fisico, animali, piante e persone, che proiettano le loro ombre sulla parete di fondo, osservata continuamente dai prigionieri. (vedere figura). Se i personaggi parlano, le parole rimbombano dando l’impressione ai prigionieri che provengano dalle ombre. Tali ombre costituirebbero il solo mondo conoscibile nell’immediato. All’esterno della caverna brilla la luce del sole, che rappresenta l’idea del Bene, forse come una divinità creativa e indipendente, Chi riesce a liberarsi risale con difficoltà (abbagliato dal fuoco) traballando procede dubbioso verso l’uscita fino ad incontrare la luce del sole molto più intensa. Abituatosi alla situazione, dapprima distingue le ombre dei personaggi, e le loro immagini riflesse nell’acqua, per passare col tempo a sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi ( entra nell’intelligibile) e di notte volgere lo sguardo alle stelle e alla luna (mondo della pura intellezione). Infine sarebbe capace di scorgere la presenza del sole (idea del Bene) e capirebbe che esso è il responsabile di tutte le cose del mondo (si tratta della faticosa salita del filosofo verso la vera conoscenza). Resosi conto della situazione vorrebbe tornare a liberare i compagni (filosofo che prova ad educare gli altri uomini), scendere cioè dalla luce al buio in un travaglio inverso simmetrico, che crea però sospetto da parte dei prigionieri, per cui si oppongono drammaticamente alla liberazione. L’allegoria tratta del percorso drammatico  del filosofo attraverso il processo di conoscenza della verità delle cose, in particolare quello che il filosofo Socrate dovette subire nel risalire la strada verso la verità (epistème). Venne poi ucciso per aver tentato di portarla agli uomini incatenati al mondo dell’opinione (doxa)

5 – E’ interessante notare che fin dal tempo dei Greci esistevano tre tipi di argomentazione: la dimostrazione (simile ai teoremi di geometria); l’argomentazione dialettica (opinioni di scienziati e non a confronto); l’argomentazione retorica che cerca di far passare opinioni indipendentemente dalla loro verità o falsità (come nelle relazioni pubbliche e nei discorsi politici e di propaganda).

6 – L’implicazione si trasforma in: H U (h1,h2,…h1…hn) → Q, dove le h1 riassumono la nostra conoscenza nella sua globalità

7 – Anamnesi significa reminescenza, risveglio della memoria, attivata dalla percezione degli oggetti sensibili. Numeri e forme geometriche non esistono nella Realtà per cui di essi non si può avere conoscenza tramite la percezione empirica, ma solo attraverso l’anamnesi (di qui la parola “ottimismo” ad essa associata) che permette all’anima di scoprire le “verità” che sono presenti in lei.

(8) Rimandiamo al post, firmato dagli autori, dove si fornisce un metodo di calcolo dell’errore su grandezze derivate assistito dal computer in Qbasic.

(Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1999, II)

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA

IPERBOLI SU  NATURA  COMUNICAZIONE-CULTURALE  POESIA

a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perchè riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perchè conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perchè il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perchè funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anzichè all’esterno, perchè da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilita personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Dott. Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988

 

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”: i sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale; a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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Testo rivisitato da ‘Il Sillabario’ n.  3 1995

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”
I sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale
A cura del Dott. Piero Pistoia 

RIASSUNTO

Una critica affilata su fatti e processi nell’acquisizione di conoscenza ha condotto al mondo delle “narrazioni”,  dove le varie “tradizioni” devono  essere rispettate in quanto tutte essenziali, e ha soffiato ossigeno su un  vivere sociale reso asfittico dall’unica tradizione razionale.

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Nelle sue linee essenziali,  analizzeremo, insieme ad altro,  il processo  d’acquisizione di conoscenza con l’accademico Pera [1]. Fino a qualche tempo fa – e ancora oggi nella maggior parte degli ambienti culturali e didattici di ogni tipo e a qualsiasi livello (escludendo gli specialisti) – eravamo sicuri che l’episteme (la scienza) permettesse l’osservazione al di sopra e al di fuori (epi-stànai) del mondo, secondo convinzioni certe le cui radici si perdono lontane nel profondo della Grecia antica. Lo schema essenzialmente razionale, che riassume questa convinzione, considera due poli in interazione più o meno intensa connotata storicamente: da una parte l’osservatore o ciò che l’osservatore produce (l’ipotesi H) e dall’altra la natura indagata o i dati D che essa in qualche modo fornisce. Una serie di processi operativi, talora ritualizzati (metodi scientifici), “interposti” fra i due poli a guisa di interfaccia, avrebbero dovuto garantire il trasferimento cognitivo, cioè i metodi assiomatici, induttivi, ipotetico-deduttivi…

Ma una attenta riflessione critica sui meccanismi in gioco in queste interazioni a due termini, ancora ben lontana dai normali canali di comunicazione culturale – es., dal senso comune, ma anche dall’attività didattica e altro (si pensi alle argomentazione manichee di certi politici e sindacalisti, di certi storici, di avvocati, magistrati e giudici ..) – ha fortemente indebolito, in questi ultimi anni, le sicurezze, e introdotto in ogni passaggio, nei meandri della relazione H-D, come azione sui metodi e nell’esplicitazione di D, come azione sui protocolli, elementi soggettivi che sembrano ineliminabili alla ragione. Guai per chi rimane intrappolato nelle maglie dei  cicli perversi del sillogismo strumentale [5], cioè il linguaggio della scienza, delle leggi e dei codici, ma anche della malevolenza e della calunnia! “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini”, recita un saggio e antico detto Sioux. Questo sillogismo non è conforme neppure al falsificazionismo popperiano, che, pur indebolito, poteva rappresentare, per la libertà, la giustizia e la democrazia, una conquista non trascurabile in campo legale, sociale ed umano!

Così, per quanto riguarda il rapporto H-D, nessun processo induttivo [1], sostenuto dalla logica, può portare da D ad H (Popper), nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da D, senza interventi del soggetto, nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il modus tollens popperiano, [(H -> D) U non-D] -> non-H, permette la falsificazione univoca (Duhem) [2], data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non si sa cos’è che viene in effetti falsificato) ecc.. (1)

Per quanto riguarda poi il versante dei dati, la sicurezza di D, il cosiddetto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso funzionamento dello strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso D non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili [2] possono essere sostenute dallo stesso D (Quine): svariati percorsi razionali “fanno attrito” con il mondo!

A sostegno di questa breve sintesi sulla debolezza razionale dei processi di acquisizione di conoscenza, costruiti su due termini e riferiti alla scienza, riporto di seguito una carrellata di illuminanti passaggi individuati sempre dal docente M. Pera [3], che, a colpi di flasch, colgono le posizioni attualmente rilevanti sull’argomento. Si riscopre così l’ affermazione nietzscheana che “i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni” tradotto poi da Nerida in “non c’è fuori-testo”, da Hanson in “hypotheses facta fingunt”  o in “i fatti sono teorie di piccola taglia” (Goodman); “i fatti sono socialmente costruiti” (Latour); “ogni teoria possiede la sua esperienza” (Feyerabend); “i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi diversi” (Kuhn); “entro quadri concettuali diversi le stesse esperienze prendono la forma di fatti e prove diverse” (Polanyi).

E’ interessante notare come in molti scritti di autori di diverse discipline si rinviene spesso un percorso culturale analogo. Si veda per esempio lo sviluppo del pensiero dello psicologo e pedagogista J. Bruner: dal Cognitivismo “duro” degli anni ’60 (“Verso una teoria dell’istruzione”, Armando), attraverso “Saggi per la mano sinistra” e “Significato dell’educazione” (Armando), dove si afferma anche che differenti culture “vedono” il mondo con occhi differenti, si giunge a “La mente a più dimensioni” (Laterza) e infine a “La ricerca del significato” (Bollati Boringhieri), con riferimenti pedagogici alla co-educazione, interazione motivazione extra-cognitiva dell’apprendimento, ponendo più volte l’accento sulla valenza psicologica e pedagogica delle narrazioni.

Anche con interazioni a più poli (più teorie contro l’empirico) la conoscenza rimarrà inevitabilmente e tragicamente infondata. Ad analoghe conclusioni si arriverebbe se considerassimo come poli in interazione l’Io (osservatore) e la Natura. A differenza del discorso analitico su H e D, l’interazione Io-Natura rimanda a riflessioni su filosofie orientali e/o alla scoperta, nelle pieghe del rapporto, di confini-frattali senza possibilità di uscire fuori dal ciclo vizioso: Io-Natura-Io [4].

E’ da notare come questa esplosione ramificata di posizioni critiche abbia avuto come sorgente la revisione della struttura categoriale kantiana delle forme a priori. In particolare si pensi alla rivoluzione mentale scatenata dopo l’invalidazione del “sintetico a priori” kantiano, e la percezione che la geometria euclidea non era l’ unica geometria possibile del mondo.

Questa posizione nata all’interno di una meta-riflessione da parte delle stesse scienze umane, viene stranamente avvallata dalle ultime argomentazioni nate all’interno della scienza stessa.

Se l’Universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrebbe provocare soluzioni impreviste e imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico [5].

Una esatta prevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperti dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora onde elettromagnetiche di energia inferiore alle soglie del misurabile potrebbero produrre ugualmente effetti vistosi. Così il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice e addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perchè come affermava Vico (Verum Ipsum Factum), abbiamo “inventato” leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi, estremamente ammaestrati nel tempo e nello spazio, della realtà, funzionasse, cioè fosse “vero” per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso e disordinato.

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili  con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva e interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva, come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva “leggere” le influenze del cielo sulla vita) voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al “semplice”, cioè la maggior parte del mondo (ci sono molte più nubi, alberi e cose simili che cristalli nel cosmo), che poteva venir colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico [6] che quasi mai ripiegava sull’esperimento, e che usava invece il teorema e il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare del mistico-magico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo mare non se ne può parlare (indicibile), usando i linguaggi della ragione (primo Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà “lì fuori” (secondo Wittgenstein), anticipando le posizioni drammatiche attuali. E’ vero che gli elettroni esistono ed hanno carica negativa? Li abbiamo “individuati” con i nostri criteri, con i nostri requisiti etici, le nostre esigenze estetiche, nell’ambito del nostro linguaggio, proprio come i Greci antichi “individuarono” Afrodite!  E’ vero (Vico): esistono ed hanno carica negativa; però solo nel nostro mondo linguistico e culturale, dove il consenso rinforzato è l’unica condizione di verità, come lo fu per Afrodite.

E così il Progresso (meglio la parola più neutrale Modificazione ambientale) – cioè la capacità di sezionare e guarire i corpi aumentando la speranza di vita, di scoprire dietro pieghe spazio-temporali le particelle più strane che o prima o poi potrebbero servire per trasferirci ancora più energia a nostro uso e consumo ormai esponenziali (qualità e speranza di vita) ecc. – è tale solo rispetto ai nostri criteri manipolativi, operativi e tecnologici e ai valori su cui questi si fondano e quindi, in ultima analisi, ai nostri valori etici, politici ed estetici. Questi criteri sorti all’interno del nostro mondo, potranno garantirci al massimo questo nostro mondo, non “il Mondo” [3] ! In società “fredde” i valori sono altri e gli obiettivi si spostano, con l’importanza e la densità dei nessi, al fuori dell’io, nei loro cieli chiusi.

Quando i fatti, le prove, l’esperienza scientifica “costruita” in laboratorio, in base a precisi presupposti (esperimento), non sono più termini di confronto neutrali e la stessa falsificazione fallisce non riuscendo ad individuare ciò che di fatto viene negato, si perdono i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, metafisica, religione, magia s.l.). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove.

Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (trappola di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. Accettare una teoria scientifica invece di un’altra, allo stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte, magia s.l. sono tutte favole  che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico e il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi e il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece di 35, non significa un bene in assoluto!). Guarda caso, come abbiamo già accennato, il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso!

Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io (non l’io singolo) più evoluto, consapevole e vigoroso, a fronte di una mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’universo. In ognuno di questi mondi, senza onde nè codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli a quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli uomini, quando i greci credevano negli dei! Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente,  spinge fino ai limiti dell’universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri il fragile meccanismo proprio dèi mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi, divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi e altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel regno dell'”empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

Non è allora fuori luogo la ricerca di modi alternativi [4] alla scienza nel cogliere il mondo, sui quali da secoli la nostra cultura non ha mai investito seriamente, limitandosi invece a criticare, punire e uccidere. Parlo della magia, della esperienza religiosa e mistica (esiste davvero il miracolo?), dell’esperienza empatica con l’oggetto osservato (filosofie orientali) ed è da sperare che funzionino in qualche modo al di là delle semplici “narrazioni” della scienza ufficiale!

Non è trascurabile, per terminare, il fatto che, dalle nostre parti, la tradizione dominante per eccellenza, quella razionale, sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata, dove tutto sia previsto e ogni azione vagliata e se non conforme punita, secondo una interna giustizia. Si tratta del virus della violenza della “società dell’organizzazione totale”, permessa da tutte le culture che si proclamano uniche e che, alla ricerca dell’essenza, eliminano continuamente il “caduco”; società che, come afferma G. Vattimo, sembrano essere legate a tutti gli essenzialismi metafisici, quelli più immediati del passato e quelli nascosti anche nelle pieghe del pensiero scientifico. Non c’è “una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” [6].

Lo stesso Caos Deterministico ci insegna che l’Universo è colmo di informazioni molto di più di quello che si credeva e tutte essenziali (di qui l’estrema difficoltà nel predire)!

Invece fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o qualche volta di calpestare un’aiuola o fare una fotocopia in più di un articolo. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere solo pochissimi sentieri e il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. Se a questo aggiungiamo che sta perdendo legami anche con i suoi simili e si sente solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, psichiatri, fattucchiere, preti di diverse religioni e pranoterapisti, pronti, a pagamento, ad ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzioneranno (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società  del cemento e del lungo tempo di vita, di banche e profitto e di ragionieri!

(Dott. Piero Pistoia)

Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1995, VII

BIBLIOGRAFIA E NOTE

[1] M. PERA “Induzione e metodo scientifico”, Editrice Tecnico Scientifica,1978.

[2] A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976.

[3] M. PERA “Il Mondo la Scienza e Noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

[4] P. PISTOIA “La Teoria, la Realtà ed i limiti della conoscenza” (in questo blog).

[5] E. BENCIVENGA “Oltre la Tolleranza”, Feltrinelli, 1992.

P. PISTOIA “Frattali, Logica e senso comune: considerazioni iperboliche” (in questo blog).

[6] A. KOYRE’ “Galileo e Platone” in “Le radici del pensiero scientifico”,  Feltrinelli, 1977.

[7] G. VATTIMO “La società trasparente”, Garzanti, 1989.

NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q     H        Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-
H è falsa

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA: considerazioni provocatorie a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA
Considerazioni provocatorie
a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perché riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perché conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perché il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perché funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988

LA POESIA ‘ Non chiederci la parola’ di E. Montale: commenti di F. Gherardini, P. Fidanzi, P. Pistoia

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

 COMMENTO DELE DOTT. PROF. FRANCESCO GHERARDINI

Tre quartine di varia lunghezza con rima baciata nelle prime due e alternata nell’ultima, con versi endecasillabi e alessandrini (vv. 2 e 10). Presenza di alcune figure retoriche: enjambements (vv. 3-4 croco/perduto), similitudine (v. 10 storta sillaba secca come un ramo), anafora (v.12 ciò…ciò), rima interna (siamo…vogliamo),epifonema finale.

Celeberrima lirica, da  mezzo secolo letta e commentata in scuole di ogni ordine e grado, sminuzzata, sviscerata in ogni sua parte, suggestiva  perché fissa la condizione umana e spinge anche alla riflessione storico-filosofica; al punto che , dopo tante dissezioni forse non resterebbe ad un nuovo commentatore che produrre “citazioni” di esegeti più o meno noti. Un’ avvertenza:    sostiene Edoardo Sanguineti  [Ideologia e linguaggio, Milano, 2001]  che  il primo gesto di chi spiega  è citare, ma il discorso critico finisce sempre  al di là del  testo e delle citazioni  perché “il commentatore parla di sé: non spiega il classico, ma si spiega”. E’ grosso modo quello che  sta accadendo anche a me  in un percorso accidentato di riflessione interiore.

Già dal titolo le domande si affollano: “Non chiederci”. Imperativo negativo. Chi chiede a chi? Chiederci equivale chiedere a noi. Noi  chi? Chi sono i noi? I coetanei del poeta? L’intera  sua generazione? I poeti del suo tempo? Ci sono forse persone che  pretendono da questi poeti una parola definitiva? I poeti l’hanno già cercata/trovata? L’hanno già espressa e quando? La riflessione sottesa ai versi non riguarda evidentemente lui soltanto, ma molti; Montale usa sempre riferimenti al plurale (chiederci, domandarci, possiamo, siamo, vogliamo). La lirica ha dunque  un’attinenza speciale alla realtà di  quel tempo, gli anni venti, i primi anni venti del  “secolo breve”?

Montale  scrisse il testo  nel luglio 1923 e lo pubblicò – eliminando qualche variante   dissonante “croco/ di margherita” sostituito con “croco/ perduto” –  nel 1925 in “Ossi di seppia”. Il 1923. L’anno in cui Freud pubblicava “Das Ich und das Es” e Svevo “La coscienza di Zeno”; l’anno del Putch nazista di Monaco di Baviera e dell’assassinio di Don Minzoni; l’anno in cui nasceva la Costituzione sovietica dopo il terribile bagno di sangue del primo conflitto mondiale e della Rivoluzione d’Ottobre;  un anno in cui emergeva prepotentemente la  crisi dell’Io e si manifestava già con sufficiente chiarezza la barbarie dei Totalitarismi; un tempo nel quale esplodeva la crisi della Ragione, mentre avanzava, tracotante e sicuro di sé, un Nuovo di cui pochi avevano compreso il pericolo. E’ allora una poesia “politica”? Qualcuno l’ha sostenuto, Montale l’ha sempre negato (”Leopardi non si è mai occupato di politica”). Resta il fatto che a posteriori spesso è stata interpretata sotto questa luce.

La poesia si  articola in tre quartine, che forse potrebbero meglio essere rappresentate come una sorta di  sillogismo (III) con la premessa maggiore [Noi, alcuni uomini (poeti?), non abbiamo  certezze taumaturgiche], la minore [Altri ne hanno fin troppe] e la conclusione [Noi possiamo solo dire ciò che non vogliamo]. “Nessuno chieda a me / alla mia generazione di spiegare come e perché il mio animo sia così privo di  certezze, né pretenda da me parole di fuoco  ”afferma  in sostanza Montale nella prima quartina. Il poeta è ben consapevole  del suo stato d’animo; sa di non possedere verità, di vivere in un mondo e in un tempo in cui  ogni certezza assoluta è crollata o sta crollando, in cui  vacillano la Religione, i valori Assoluti e la Ragione è  in piena crisi; un tempo in cui il Dubbio  domina e sovrasta la scena, perfino nelle Scienze, nella matematica. In quegli anni non si capisce più neppure quale sia la realtà materiale circostante; che evapora: l’atomismo  diventa la tesi filosofica fondamentale per lo studio della realtà; la costituzione atomica della materia con i sempre più nuovi e numerosi costituenti [di questi anni è la scoperta di elettroni e protoni], con la prevalenza  degli spazi interatomici, dà l’idea di una materia inafferrabile e mutevole senza che si possa giungere a un punto fermo. Questa concezione scientifica finisce per estendersi  alla società , atomismo diventa pluralismo, ci si apre all’idea di una pluralità di elementi etici ed esistenziali senza che vi sia la prevalenza di nessuno; si avvia un indirizzo ontologico che vede la conoscenza come approssimazione continua, come processo; una conoscenza di natura congetturale, ipotetica, probabilistica senza più certezze universali. Si afferma anche un’idea critica nei confronti dello storicismo e dell’ idea positivistica/marxista di progresso infinito, di un’ideologia che potrebbe  portare al dogmatismo, all’autoritarismo, al totalitarismo.

La poesia di Montale si muove in questo mare, risente di questa temperie culturale. Il poeta confessa la sua inquietudine  insieme con l’incapacità di comprenderla fino in fondo. Così  nella seconda quartina rileva, con una punta di invidia e insieme di disprezzo, che  mentre  in molti  è presente il “male di vivere”, ci sono soggetti sicuri di sé, concentrati sul proprio interesse personale, individualistico e capaci di aggregare  altre persone, soggetti che non si rendono neppure conto della loro “ombra”  ossia del loro lato oscuro e  della loro precarietà.  Come non pensare a quanto gli sta accadendo intorno; spuntano gli interpreti del “volksgeist”, nascono i nuovi regimi totalizzanti e totalitari, che si basano su valori non negoziabili a priori e sulla “convinzione coatta”, costruita con l’uso della forza ; viene contestata e annientata la pur traballante democrazia.

Infine la conclusione. Non c’è una formula magica che possa sconfiggere il male di vivere, che è connaturato con l’esistenza stessa dell’uomo, né che possa  vincere il dubbio; noi uomini (ma anche i poeti) possiamo soltanto abbozzare  qualche risposta, avanzare nel dubbio sempre incombente qualche proposta, ma in definitiva possiamo dire semplicemente ciò che non vogliamo essere e ciò che desideriamo che non accada.  La verità non è data, va ricercata proprio grazie al dubbio metodico: questa è la condizione umana e da questo ambito l’uomo non può, ma anche non deve uscire; non ci sono verità assolute, incontrovertibili, definitive; alla verità ci si avvicina per gradi ed è sempre provvisoria; l’uomo deve avere la consapevolezza piena dei suoi limiti (qualche storta sillaba) e di una ricerca che non ha fine, deve vivere nel e del dubbio. Non c’è nessuna catarsi, né nessun “uomo nuovo”, ma solitudine esistenziale e parzialità. Non ci sono parole che possano assolverci dall’obbligo di pensare, di lasciare spazio alle nostre emozioni, alla nostra sensibilità, anche se molti presuntuosi e superficiali, che non conoscono neppure se stessi e la realtà difficile che li circonda, credono di avere e diffondono sicurezze incrollabili. Non c’è  nessun poeta, nessun vate, in grado di fornire la parola risolutiva!

Questa conclusione (l’epifonema) che ha indotto i critici a parlare di “angoscia esistenzialistica” e di “teologia negativa”, di una mentalità pessimistica scaturita dalla sua intransigenza morale, dal suo sentirsi un isolato, un uomo perennemente perplesso e in fondo cinico, oggi possiamo valutarla in un modo meno drammatico; Montale ha tratteggiato la realtà effettuale, quella realtà (il vero) che sfugge ad ogni  tentativo razionale di penetrarne la segreta essenza, di trovarne il senso ultimo.

Ad illuminare questa realtà  è uscito nel 1979  un saggio di Jean François Lyotard (nato nel 1924!)“ La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, una nuova visione della società fondata sulla fine delle credenze nei sistemi speculativi ed emancipativi assoluti e una disillusione e liquidazione del progetto dell’Aufklarung” ; un pamplhet  suggestivo e paradossalmente chiarificatore. Lyotard, il teorico della postmodernità,  non prova alcun rimpianto per l’unità e la totalità perduta (il monismo contrapposto all’atomismo). Egli ritiene  che si debba  prendere atto del  processo in corso, contribuire alla sua affermazione  attraverso pratiche di “regionalizzazione” dei campi del sapere, sono finite le credenze e i sistemi emancipativi assoluti, insieme con la concezione cumulativa del sapere, sono ormai liquidate le Ideologie; la società è sempre più complessa; è impossibile conoscere tutto, siamo nell’ epoca che Max Weber definì del “disincanto”. Allora diventa indispensabile ritrovare/riconoscere la positività : essa sta in ciò che è molteplice, frammentato, polimorfo e instabile.

Queste tesi  si contrappongono  con forza a sistemi di pensiero globalizzanti (es. le fedi religiose, il  marxismo); sono finiti i grandi sistemi teorici.  “Quella che stiamo vivendo è una stagione sconvolgente, attraversata da mutamenti rapidissimi, che lasciano in piedi le condizioni di stabilità per tratti brevissimi, lo spazio di un mattino travolto dalle trasformazioni scientifico-tecnologiche. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, è proprio la negazione della capacità umana di chiarificazione: questa condizione si fonda sul disconoscimento della sussistenza di valori ultimi, in grado appunto di chiarire, cioè di fondare, giustificare, legittimare un qualsiasi ordinamento della società, di motivare e orientare comportamenti, di conferire un senso unitario e quindi un’effettiva intelligibilità alla vita umana e alla società. […] Il sapere postmoderno produce l’ignoto, ovverosia conosce la “regionalità” delle proprie conoscenze e le “catastrofi” in cui cade nel momento in cui tenti di comprendere più di quanto le sia consentito dai propri strumenti e dal proprio “localismo”.”

E Zygmunt Bauman (nato nel 1925!) precisa ancora meglio che non ci sono più contorni nitidi,  definiti, fissati una volta per tutte; anche le relazioni umane sono diventate precarie, gli uomini non si vogliono più sentire ingabbiati; non c’è nessun mondo perfetto e nessuna ideologia è capace di crearlo…e nel 2003 in TV in poche battute  attacca  l’idea dell’armonia e del consenso universale, la considera superata: ”in essa c’è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie…alla fine questa è un’idea mortale perché se davvero ci fosse armonia e consenso che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla Terra? Ne basterebbe una, lui o lei  avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba  essere realisti. Probabilmente dobbiamo considerare incurabile la diversità   del modo di essere umani, si può essere persone in tanti modi e questa è una benedizione.”.

Alla luce di queste considerazioni anche la chiusa  “negativa” di Montale cambia aspetto.  “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./Codesto solo oggi possiamo dirti,/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” diventa un invito a vivere in un mondo “vero”.

Dott. Prof. FRANCESCO GHERARDINI

COMMENTO DEL DOTT.  PAOLO FIDANZI ALLA POESIA “NON CHIEDERCI LA PAROLA” di E. MONTALE

Non chiederci la parola…… è un osso di seppia( 1925-1928) particolarmente suggestivo, forse il più indicativo della fase iniziale della poesia montaliana, impegnato nella ricerca di nuova musicalità (Minstral di Debussy) e coinvolto nel pre-esistenzialismo d’incipit (botroux , bergson….) quale era e forse rimane a lungo la caratteristica principale della sua spinta creatrice. D’altra parte Montale afferma come sua prerogativa, e siamo già nel 1971, in un’auto intervista sul Corriere della Sera di un lasciarsi scrivere da qualcuno.”IN UN CERTO SENSO IO MI LASCIO SCRIVERE….DA LUI, E NON E’ NECESSARIO DARE UN SIGNIFICATO MISTICO AL MIO INTERLOCUTORE. TUTTAVIA E’ VERO CHE IO SOTTINTENDO SEMPRE LA PRESENZA DI QUALCUNO CHE IL LETTORE PUO’ IDENTIFICARE A PIACER SUO.”
Ecco arrivati al soggetto del primo verso della nostra poesia”NON CHIEDERCI……”, che ci introduce nella richiesta di chiarezza (parola) che il poeta fa a se stesso e agli altri riguardo all’essenza dell’animo umano, ma ancora più precisamente riguardo al senso della nostra vita.
Studia e scandaglia lo spazio preferito (un’umile polveroso prato) per declamare qualcosa che altro non può essere che sillabato, (l’auroralità infantile di zanzottiana memoria), seppur modulando il ritmo e addolcendo l’armonia. Ma questo non basta che a denunciare la vana sicurezza dell’uomo moderno (ah, l’uomo che se ne va sicuro…) che pur nella sua goffa cominicazione resta preso dalla solitudine di massa che ha sostituito l’idea sentimento dell’uomo originale con l’idea-mente alla ricerca della sopravvivenza fisica e materiale.
E termina con la desolante certezza, non c’è grande ottimismo ancora in questo Montale, neppure quello suggerito dalla ragione, chiedendo che l’uomo sia risparmiato dalla constatazione dura della sua impossibilità e del suo limite. Ma in questo percorso è costretto invece ad ammettere qualcosa, anche se è solo negazione, ritrovando però, nel dubbio esistenziale la speranza che un domani qualcosa possa cambiare:” solo questo OGGI possiamo dirti..”
Tanto è vero che a distanza di quasi cinquanta anni dalla scrittura degli “Ossi” Montale alla domanda:”Come guardi oggi al tuo libro giovanile? E’ molto cambiato il tuo raporto con il mondo, da allora?” risponde:”SONO UN PO’ MENO PESSIMISTA (PER ME) MA MOLTO DI PIU’ PER QUANTO RIGUARDA IL MONDO. IL MONDO E’ NATO DA UN’ESPLOSIONE(IL BIG BANG DI UNA MIA POESIA) O DA UN’INTENZIONE? NESSUNA DELLE DUE IPOTESI SODDISFA. TUTTAVIA UNA VOLTA ELABORATO IL CONCETTO DI DECENZA, IO HO ACCETTATO COME OBBLIGO QUESTO CONCETTO.”

Dott. Paolo Fidanzi

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NOTE E RIFLESSIONI AL MARGINE DELLA POESIA DI MONTALE ”NON CHIEDERCI LA PAROLA”
Il significato filosofico
di Piero Pistoia

In generale ritengo che le idee spesso espresse sul senso filosofico della poesia di Montale siano condivisibili e d’altro canto riassumano la nota tendenza della Filosofia della Conoscenza attuale.
Mi piace però ancora pensare che il “tacere” (<<Di quello di cui non si può parlare si deve tacere>>, settima ed ultima proposizione del “Tractatus logico-philosophicus”) di Wittgenstein si riferisca all’impossibilità di un’analisi logica delle esperienze del mistico, lasciando aperte altre possibilità. D’altra parte sarebbe forse da distinguere 1) il modo in cui il mistico attua l’esperienza, 2) il contenuto e la descrizione dell’esperienza e 3) il significato di essa: non sono un esperto e non so se questi tre aspetti siano da considerarsi allo stesso modo dal punto di vista del linguaggio. Non dovrebbero essere trascurate inoltre le esperienze degli Sciamani (Lucien Levy-Bruhl “La mentalità primitiva” Einaudi, 1966).
Credo anche che le società moderne per loro natura non abbiano mai investito sufficienti energie e risorse in questi campi di ricerca.
Spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive: “il Tao che può essere espresso non è il vero Tao”. Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung (immedesimazione) nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche sillaba, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.
Comunque il ricercatore non accetterà mai l’idea che ciò che cerca non esista, al massimo potrà convenire di non essere ancora riuscito a guardare nel posto giusto fra un’infinità di posti in cui cercare.
Ma forse siamo davvero intrappolati in un “trabocchetto per mosche” (Wittgenstein), costituito da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato. Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.
Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresenta la nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini di pensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente spesso ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.
All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: E’ allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.
E’ possibile con un atto creativo (mistico o magico o di altra natura non logica) uscire dall’insieme indefinito di “trappole per mosche”? Non lo so; il Costruttivismo Radicale ed altri che hanno interpretato la poesia di Montale affermano di no; io spero di sì.
Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura anche cercando Galleria di Stampe nel Blog), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa), che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire: se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).
Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due professori-medici (il Corvo e la Civetta) del libro  ‘Pinocchio’, spesso ricordati con maestria e precisione, avessero ragione ambedue sulla strana diagnosi circolare sul burattino.
Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile saltar “fuori”? Dio è in grado di trarci da questa trappola in cui ci troviamo inesorabilmente da sempre? Sta qui il Guadagno nell’ammettere ogni tanto, contro il “Rasoio di Occam” (Non est multiplicanda entia praeter necessitatem“), anche se a probabilità quasi zero, qualche Messaggero di Dio che ci illumini. O forse anche Dio fa parte di questo circolo e non esiste realtà “là al di fuori” del ciclo? O, ancora, Dio potrebbe far parte di un Circolo a livello superiore inglobante il precedente (Dio-Creazione-Dio), fornendo altri significati all’Universo?
Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo? Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni, speranze, è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita definitiva? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se fosse l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare,
senza contraddire Lao Tse, forse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sé stesso, infine costruisce l’Io a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo!
Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.
Il testo sul Costruttivismo Radicale (Vàrela ed altri), a cui nell’articolo faccio continuamente riferimento, ora per descrivere, ora per commentare e argomentare, è: A.V. “La Realtà inventata” Feltrinelli, 1990.
Per evitare fraintendimenti, vorrei infine sottolineare che lo scopo ultimo di questi interventi, volutamente provocatori, non è tanto quello di raccontare o insegnare qualcosa, ma è quello di suscitare perplessità fino a perturbare e quindi suscitare curiosità tali da spingere, in principal modo i giovani intellettuali, a leggere i titoli indicati o le opere degli autori nominati ed altri simili  (libri disponibili in qualsiasi Biblioteca Comunale che si rispetti), anche al solo scopo di poter affermare che ne ho travisato completamente i significati.

Piero Pistoia