‘FARFUGLIAMENTI’ ARGOMENTATIVI, SENZA “LOGICA PROPOSIZIONALE”, SUL SENSO DELLA POESIA E REALTA’ (oggetto poetico-oggetto reale) e DELLA POESIA E SCIENZA POSITIVA (oggetto poetico e oggetto fisico): riflessioni provocatorie e interrogativi aperti al margine; di Piero Pistoia

POST IN VIA DI COSTRUZIONE…

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Altrimenti:

L’oggetto poetico e l’oggetto reale posseggono ambedue infinite sfaccettature, infinite possibilità di significati razionali e/o irrazionali, ambedue non sono riducibili fino in fondo.

L’oggetto poetico ha un disordine intrinseco come quello reale, un disordine ordinato in qualche modo, un caos con il suo ordine interno.

La comprensione dell’oggetto poetico è quindi solo parziale anche per lo stesso poeta, a differenza dell’oggetto fisico che è compreso completamente dallo scienziato che lo ha costruito. L’oggetto fisico infatti, espresso da teorie, è razionalmente comprensibile fino in fondo a differenza dell’oggetto reale. E vero che possono esistere infinite possibilità di vedere razionalmente l’oggetto reale, ma quest’ultimo non sarà mai esprimibile in una teoria che abbia essa stessa infinite possibilità di interpretazione (che comunque sarebbero tutte razionali: infinità di ordine inferiore rispetto alla infinità della classe delle possibili interpretazioni dell’oggetto poetico).

L’oggetto poetico non è comprensibile in senso razionale, né comunque esauribile da parte di qualsiasi persona: tutte le possibili interpretazioni razionali e tutte quelle inesprimibili irrazionali, coglibili solo nell’atto immediato dell’intuito, infiniti punti di vista (come monadi leibniziane?) sarebbero sezioni di un invariante poetico, l’oggetto poetico.

Si può allora concludere che l’oggetto poetico assomiglia (nel senso della complessità) di più all’oggetto reale di quanto assomigli ad esso l’oggetto fisico.

Ne deriva allora che l’oggetto reale, l’alter ego del soggetto, il noumeno kantiano, potrebbe essere capito più in profondità tramite l’oggetto poetico di quanto lo sia tramite l’oggetto fisico?

La risposta a questa domanda non è possibile se non vengono precisate le condizioni di costruzione dell’oggetto poetico e in cosa consista l’oggetto fisico.

D’altro canto, in effetti il coinvolgimento totale del soggetto nell’oggetto, bersaglio dell’atto poetico a costruire l’oggetto poetico, escluderebbe la possibilità di cogliere l’esterno del soggetto stesso, ammesso che esista. Quindi questo oggetto complesso, risultato dell’atto poetico, sembra costituire una fusione quasi mistico-religiosa, del soggetto nell’oggetto, ad animare un oggetto di per sé non coglibile, a meno che non si voglia ammettere che le cose dell’Universo consistano di una congerie di materia e spirito. Solo in tal caso all’oggetto poetico potrebbe corrispondere l’oggetto reale in quanto costituiti dalla stessa sostanza ed ugualmente complessi. Questi due aspetti ancora non garantiscono però un mathing necessario, in quanto può accadere che nonostante ugualmente complessi e della stessa pasta abbiano struttura completamente diversa. E’necessario ammettere ancora qualcosa.

Se quest’ultimo aspetto comunque fosse vero (presenza di mathing), l’atto poetico sarebbe più efficace dell’atto scientifico a cogliere la Realtà dell’Universo. Si verrebbe così a confermare la posizione di Vico che affermava come il noumeno potesse essere colto nell’attità mistica ed artistica e altre posizioni sostenute dalle religioni orientali. Se poi questo aspetto non risultasse vero, allora la suddetta proposizione di Vico dovrebbe essere presa come postulato di partenza per poter sostenere il mathing nella direzione di questo concetto regolativo.

E’ comunque ancora da precisare che, anche se l’ invariante poetico corrispondesse alla realtà, ciò non significa che tale oggetto possa essere compreso completamente nell’esperienza di un solo soggetto, sia esso l’artista od il fruitore.

La questione potrebbe essere però risolta in un altro modo. Ammettiamo che l’Universo consista di un oggetto estremamente complesso in cambiamento evolutivo (crescita? Ontogenesi?); ogni parte di esso è istante per istante in equilibrio con tutte le altre a formare un tutt’uno strutturato finemente. La stessa vita porta il segno di questa struttura nel senso che ogni parte di questo insieme porta scritto in qualche modo informazioni relative al resto dell’ Universo. Pur evolvendo, ogni cosa, che ad un certo stadio, esiste, già c’era in precedenza in qualche altro stato. La stessa mente o spirito deve così essere parte integrante di tutta la materia dell’ Universo. Qualsiasi atto creativo avrà a che fare con archetipi profondi legati a questa struttura universale.

Non ci fu più equilibrio quando entrò la costruzione sempre più simbolica da parte della corteccia, aspetto del cervello non completamente in equilibrio con la Natura. Non è facile trovare archetipi legati all’azione della corteccia. L’oggetto creato dalla corteccia non è un oggetto naturale.

Così ogni atto creativo evoca dal profondo spinte archetipiche atte a costruire un oggetto complesso della stesso impasto universale e ad esso corrispondente.

Si potrebbe evincere anche che l’ Homo prima del sapiens, in perfetto equilibrio con l’Universo, potesse provare esperienze di fusioni mistico-magiche-creative con gli oggetti dell’Universo così profonde da poter cogliere la realtà in una sola esperienza personale ovvero in una esperienza condivisa all’unisono (telepatia?) dall’orda, esperienza catalizzata ed evocata dalla presenza dell’oggetto artistico (Nearderthal e pitture relative alla sua cultura).

Non si tratta quindi di due aspetti ambedue radicati profondamente come archetipi nell’animo umano, correlati alle filosofie della causa e del fine (Razionalismo e Irrazionalismo, Scientismo ed Umanesimo, Mano Destra e Mano Sinistra…), da cercare di armonizzare e integrare. La situazione è ben diversa.

IL MONDO DELLA MANO SINISTRA ED IL MONDO DELLA MANO DESTRA E LE LORO RAGIONI

I mondi della logica, della matematica delle scienze positive ed i correlati mondi del ragionamento razionale, delle argomentazioni critiche, degli standards universali, delle prescrizioni, delle tradizioni rigide…rappresentano una sezione artificiosa e riduttiva del complesso pensiero umano.

Essi derivano da una riflessione parziale ed incompleta sui processi mentali atti a rispondere alle richieste della sopravvivenza  e dell’istinto di conservazione.

Questi mondi, i mondi della tecnica, della scienza, della matematica,…costruiti  utilizzando tali processi riduttivi e parziali del pensiero, risultano quindi solo parzialmente umani e stranamente divisi dalla Natura (mondi artificiali costruiti  su dati incompleti relativi al funzionamento del suo pensiero profondo e quindi scarsamente agganciati  all’equilibrio naturale).

Ci siamo accorti infatti non solo che a) il pensiero intuitivo-creativo non è analizzabile in termini di scansioni veloci, automatiche e non consapevoli attraverso percorsi cibernetici – l’atto creativo rappresenta una visione immediata ed orizzontale della soluzione a problemi, ma anche che b) tutti gli altri processi di pensiero umano non seguono sempre e comunque i passi scanditi da un particolare software, atti al raggiungimento di un dato obiettivo (non esiste necessariamente omologia fra pensiero e software).

Da una parte ciò conduce all’impossibilità di cogliere l’oggetto in sé, il noumeno kantiano, dall’altra alla realizzazione operativa-fattiva di opere e strutture sociali in equilibrio né con l’uomo né con la Natura (si pensi in particolare alle posizioni degli efficientisti, ai manichei coerenti fino in fondo, ai possessori di verità con le chiavi dei ghetti e delle camere a gas, che, insieme ai pazzi, sono e sono stati nella storia spesso i soli responsabili dei più efferati genocidi e di guerre universali).

Il disagio che ne deriva ha prodotto alle dualità espresse nelle distinzioni già nominate fra mano sinistra e mano destra, arte e scienza positiva, mondo dei valori e mondo della ragione… ed ultimamente alla individuazione di particolari problemi detti ipercomplessi, le cui soluzioni non sono possibili con i soli strumenti della ragione.

In effetti tutti i problemi che riguardano l’Universo sono di natura ipercomplessa, la cui soluzione è resa possibile solo attraverso la riscoperta dei profondo legami fra ragione e non, coglibili nelle primitive operazioni mosse dall’istinto di conservazione e degli altri archetipi collegati all’ambiente di sopravvivenza (es. caccia e raccolta) in cui il cervello in equilibrio, almeno prima di 2 milioni di anni fa, si era sviluppato. Forse nello studio del pensiero dei Neanderthal prima ancora dei Cromagnon potremmo trovare indizi di questo aspetto mancante ed abbozzare una risposta, se questa mai esiste.

L’inesistenza di risposte a tali dicotomie dovrebbe allora essere ricercata forse nella incompletezza del cervello umano. In tal caso comunque dovrà esistere un controllo capillare delle costruzioni artificiali, siano esse opere o ragionamenti, da parte degli aspetti umani più primitivi, ma certamente più in equilibrio col Tutto.

Con gli ultimi salti evolutivi la capacità di costruire simboli e quindi teorie fornì un nuovo metodo di programmazione e manipolazione dell’ambiente per la sopravvivenza della specie ed oltre: un metodo certamente umano s.l., perché posseduto dall’uomo, ma non naturale, in quanto non previsto dalle esigenze dell’allora cultura in cui si era sviluppato il cervello.

Data l’efficienza e la soddisfazione conseguente a tali processi che facevano morire teorie al posto di organismi, questo metodo affascinò a tal punto che fu dimenticato quasi completamente l’altro. Ed era l’altro quello in equilibrio con l’Universo, quello del rispetto dell’essere vivente in quanto tale, dell’oggetto inanimato e dell’energia; quello del vivere sociale armonico e condiviso, anche se per piccoli gruppi.

Da quel momento le orde non si riunirono più intorno all’opera d’arte a meditare al fine di cogliere l’oggetto reale, il noumeno Kantiano. Da quel momento quel metodo si ridusse in brandelli i cui resti ancora oggi rimangono nebulosi nel profondo del nostro essere e quando ne prendiamo consapevolezza si rimane invischiati in una dualità irrisolvibile.

Dovevamo accorgersi subito che l’altro,non vistoso, era invece il metodo più potente, in quanto alla nostra sopravvivenza avrebbe partecipato consenziente il Tutto, completamente compreso.

Molti scritti sacri delle più disparate religioni non suggeriscono forse di dimenticare la logica, la scienza e le loro opere? E le teorie da queste discipline razionali proposte, non sono forse solo convenzioni, che funzionano sì, ma solo ai nostri scopi a danno del Tutto e quindi anche di noi stessi?

Armonizzare ed integrare questi due aspetti è senza senso: con la mano destra invento costruzioni artificiali per lo più tautologiche e le rendo funzionali ai nostri scopi (Verum Ipsum Factum, di Vico), con la mano sinistra riesco a costruire, ormai malamente, oggetti incompleti i cui significati rimangono nebulosi in un mondo di significati artificiali ed innaturali. Questa è la situazione a cui conduce la nostra argomentazione.

Oggi, (ieri dopo l’Homo sapiens, o come alcuni antropologi, Homo sapiens sapiens) il processo di cogliere l’invariante poetico è solo un tentativo nella direzione dell’esperienza di fusione originale, prima degli strani mondi dispersivi di energia costruiti dalla corteccia.

L’invariante poetico, se vogliamo portare l’argomentazione fino in fondo, potrebbe essere colto da un solo soggetto o da un piccolo gruppo solo se esso, in profonde meditazioni, fosse capace di liberarsi dalla sovrastruttura acquisita nell’ultimo o negli ultimi salti evolutivi.

Concludendo, l’invariante poetico sarebbe una specie di traduzione in chiave umana e naturale dell’oggetto reale, che diventa più accessibile di altre tradizioni allo sguardo della mente umana, in quanto riproposto dal profondo interno dell’uomo, dove c’è nascosto l’Universo, anche se sembra rimanere incomprensibile per la singola persona, a meno che essa non si trovi in situazioni particolari.

PROPOSTE PER L’AZIONE EDUCATIVA

Ad un insegnamento fondato sulla ragione, che ormai, purtroppo ,  continua ad essere necessario per la sopravvivenza in un mondo non naturale, che è stato costruito con il primo metodo descritto e che ormai non può più essere distrutto e modificato (oltre l’80% del Terzo Mondo popperiano controlla e riflette l’ambiente artificiale in cui siamo immersi, e questo Terzo Mondo ha acquisito vita autonoma, con forte istinto di sopravvivenza!), dovremmo affiancare con estrema cura un insegnamento ove si dia spazio alla meditazione e riflessione intuitiva, utilizzando la religione e l’opera d’arte: stiamo attenti molto per es., ai nuovi metodi razionali e strutturali che vengono sempre più usati per ‘leggere’ le opere d’arte!

SPUNTI DI ULTERIORE RIFLESSIONE

Rapporto fra opera d’arte s.l. e poesia.

Con la teoria evolutiva degli Equilibri Punteggiati, si può ancora sostenere una armonia con il Tutto?

PIERO PISTOIA

 

Da continuare…

SCRITTO POETICO “L’EREDITA’ PERDUTA ( 1986)”, di Pedro; a cura di Piero Pistoia

Per leggere in pdf lo scritto poetico cliccare su:

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BREVE COMMENTO CRITICO, UN PO’ AZZARDATO, DI PIERO PISTOIA E GABRIELLA SCARCIGLIA

Nel drammatico scritto emotivo di Pedro, prezioso, paradigmatico e  predittivo, pulsa a sprazzi tutta la sapienza nostalgica ed efficace accumulata dall’Homo sapiens agricoltore nel corso dei millenni (almeno a partire da 12000 anni fa). Oggi il mestiere nelle mani dell’agricoltore si sta perdendo – come sta accadendo per tutti gli altri mestieri più o meno professionali – si pensi, per es. al medico condotto, al meccanico dei veicoli, all’ingegnere dei ponti… -; l’avvento della meccanizzazione sempre più sofisticata, tecnologicamente fondata e dei prodotti di una chimica sempre più aberrante sta scardinando la “Grande Ruota che gira”; gli alberi non porteranno più frutti idonei e freschezza, pur scelti non più nella macchia, ma in laboratori sofisticati ed innestati con “le qualità migliori”, ma solo presunte – e fra “i ragazzini schiamazzanti sull’aia della vita”, al nostro imbrunire, ormai consapevoli di un futuro incerto, è difficile trovare “un testimone” (o affidare  “il testimone”) per tramandare l’antica conoscenza che sta ‘evaporando’ da tutti i contesti. La stessa convulsa comunicazione attraverso i mezzi di massa  su questi problemi, che sembra ‘frullare’, con intensità crescente, il vecchio con il nuovo, apertamente discontinui e forse scarsamente miscelabili, non crediamo apra spiragli (si pensi alle continue e sempre più frequenti individuazioni in ritardo,  di molecole chimiche dannose impreviste – forse infinite! – nei più svariati contesti). Basta la modifica di una sola molecola per rendere nebbioso il futuro! Che la conoscenza crescente delle cose costruite dall’uomo (Verum ipsum factum) – conoscenza lineare – stia soffocando la saggezza (conoscenza globale, complessa, intuitiva, in risonanza con la Natura e forse telepatica) dell’uomo cacciatore-raccoglitore (ben oltre 12000 anni fino al buio dei tempi) ancora nascosto dentro di noi?

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IL PERCORSO DI PENSIERO DI J. S. BRUNER: DAL COGNITISMO COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO, di Andrea Pazzagli

J. BRUNER: DAL COGNITIVISMO  COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO
di Andrea Pazzagli

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Per leggere l’articolo in pdf cliccare sul link sopra

 

Art. rivisitato dall’inserto ‘Il Sillabario’ cartaceo.

CERCARE ANCHE LE PAROLE  ‘BRUNER’, ‘EPISTEMOLOGIA’  da questo blog, per trovare altri articoli ed informazioni sul Mentalismo Americano, Feyerabend, Popper ed altri, a cura dei docenti Piero Pistoia, Gabriella Scarciglia, Giacomo Brunetti.

 

LETTERA SPEDITA AL CICAP, “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudo-scienze”, PER ESPRIMERE UN PENSIERO PERSONALE ALTERNATIVO; dott. Piero Pistoia, prof. di ruolo ordinario in Fisica

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TRACCIA DEL CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

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Per vedere l’articolo in pdf possiamo anche cliccare sotto:

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CICAP è acronimo di “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sul Paranormale”. La parola “Paranormale” oggi è stata sostituita da “Pseudo-scienze”

Dopo aver letto anni fa alcuni scritti pubblicati dal CICAP decisi di esprimere alcune mie opinioni in proposito che inviai loro per posta, oggi un po’ rivisitate per precisarne alcuni passaggi [frammenti fra parentesi quadre]. Ricevetti una lunga lettera dal CICAP, scritta da un dott. prof. di Fisica Teorica di una Università del Nord, che devo ricercare in mezzo al caos della mia libreria e quando l’avrò trovata, la trascriverò volentieri in questo post.

LETTERA SPEDITA AL CICAP PER ESPRIMERE UN PERSONALE PENSIERO ALTERNATIVO, SPESSO FORZATO SU QUALCHE RAMO DI IPERBOLE, ONDE CREARE QUALCHE DUBBIO IN UN BACKGROUND DI CERTEZZE

dott. Prof. Piero Pistoia

Spett.le REDAZIONE,

leggendo la Vostra rivista si rimane colpiti dalla semplicità, chiarezza e coerente armonia – senza mai contrasti che potrebbero finire in dibattito – con cui vengono trattati e risolti i diversi problemi affrontati di cui si forniscono sempre sicure soluzioni. Sembra quasi di seguire uno dei tanti articoli di scienza pubblicato in molti giornali quotidiani e non o in una delle tante trasmissioni televisive di cultura dove tutto è descritto in maniera coerente, armonica, semplice, conchiusa e colorata [(senza un riferimento agli errori di percorso durante il travaglio (trouble) di quella conquista raccontata)], quando invece ad ogni passo del percorso si dovrebbero aprire svariati interrogativi. Se “imparare è risolvere problemi” [(e nella fattispecie, fare conti!)] da queste comunicazioni a mio avviso, pur appassionate e talora coinvolgenti, si impara ben poco. [Anzi, spesso, la chiarezza ad oltranza e l’assenza di dubbi penalizzano la memoria, la riflessione personale e quindi l’apprendimento]. Per questa ragione vorrei esprimere sulla scienza e la non-scienza o pseudo-scienza il mio personale pensiero, anche se spesso volutamente forzato lungo un ramo di iperbole, per provocare l’interlocutore e far sorgere qua e là interrogativi. Il mio intervento, di cui mi scuso in anticipo se qualcuno dovesse prendersela (absit iniuria verbis), si articolerà nei quattro seguenti punti:

1 – Se la maggior parte dell’universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrà provocare soluzioni impreviste ed imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico. Una esatta imprevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperte dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora, onde elettromagnetiche di energia inferiore alla soglia del misurabile potrebbero produrre lo stesso effetti vistosi. Non è da escludere, infatti, che nelle condizioni iniziali, come accadeva al di sopra della soglie dell’errore, una grandezza possa acquistare due valori molto vicini, ma all’interno della soglia dell’errore potrebbe accadere che, per uno dei due, la traiettoria descritta dal sistema in un opportuno spazio delle fasi diverga esponenzialmente da un certo istante in poi, ottenendo dopo un tempo opportuno una interferenza macroscopica (o nello stesso istante ad una certa distanza?). Il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice ed addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perché, come affermava Vico (Verum ipsum factum), abbiamo ‘inventato’ leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi della realtà, estremamente ammaestrati del tempo e dello spazio, funzionasse, cioè fosse ‘vero’ per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli, se ci imbattiamo in una turbolenza): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso (e forse disordinato).

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva ed interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva ‘leggere’ le influenze del cielo sulla vita), voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al ‘semplice’, cioè la maggior parte del mondo, che poteva venire colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico che quasi mai ripiegava sull’esperimento e che usava invece il teorema ed il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare tempestoso del mistico-magico che circonda, oscuro, la piccola isola del razionale, anche se poi di questo ignoto mare non se ne può parlare (è “indicibile”), usando i linguaggi della ragione (I° Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà “la fuori” (II° Wittgenstein).

2 – I fatti, le prove, l’esperienza scientifica ‘costruita’ in laboratorio in base a precisi presupposti teorici (esperimento), non sono termini di confronto neutrali. La falsificazione (Popper) diventa impossibile non riuscendo ad individuare ciò che viene di fatto falsificato. Si perdono così i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, magia s.l., metafisica, religione…). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove. Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (si ricordi la bottiglia di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. In una iperbole, accettare una teoria scientifica invece di un’altra, nello stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte magia s.l., astrologia sono tutte favole che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

3 – Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico ed il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e, se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi ed il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece che 35, non significa un bene assoluto!). Guarda caso il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso! Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io più evoluto, consapevole e vigoroso a fronte di un mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’Universo. In ognuno di questi mondi, senza onde di probabilità né codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli da quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’Universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli umani, quando i Greci credevano negli dèi. Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente, spinge fino ai limiti dell’Universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri, il fragile meccanismo proprio dei mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi , divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi, ed altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel segno della “empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo non solo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie, ma all’aumento oltre ogni limite della sua qualità della vita! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

4 – Dalle nostre parti la tradizione dominante per eccellenza è quella razionale che sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata dove tutto sia previsto e ogni azione vigilata e se non conforme punita. Fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o, [in una metafora banale di mini-ragioneria], qualche volta calpestare un’aiola o fare una fotocopia di un articolo; [più grave superare un limite di velocità, ma sembra comunque che fra poco metteranno meccanismi registratori su qualche satellite o scatole nere all’interno delle auto; per non parlare della tendenza generalizzata ad aggiungere ad ogni carta di identità il codice DNA di ciascuno, o , magari, a misurare l’aria che ciascuno respira, perché consuma ossigeno e riempie l’atmosfera di anidride carbonica od altro gas (es. metano (sic!)… un gas serra 20 volte più potente della CO2, come afferma P. Wadhams, Univ. di Cambridge !).   Molti, seconda la strana morale occidentale, diranno scandalizzati che non si devono sostenere, per es., i primi due eventi delle aiuole e delle fotocopie (esempio metaforico, insieme ad altri, di piccole cose ragionieristiche), ma nessuno di essi potrà affermare di aver sempre rispettato il terzo evento (cose che riguardano invece la vita e la morte! Come a dire si punisce la ragioneria e si ignora la guerra! Per non parlare dei vari imposti catechismi senza un contemporaneo controllo costante sulle filiere senso lato. Naturalmente  i controllori controlleranno tutti, eccetto se stessi! Mi vengono a mente paradossi russelliani che iniziano così, per finire in contraddizioni]. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere ormai pochissimi sentieri ed il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. I molti sentieri infatti che non si lasciano percorrere, anche se di scarsa rilevanza, portano in nessun posto e la vita quotidiana si riempie così di una miriade di vuoti, anche se piccoli! Se a questo aggiungiamo che l’Homo sapiens sta perdendo i legami anche con i suoi simili e si sente sempre più solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, astrologi, psichiatri, fattucchiere, preti delle diverse religioni, pranoterapisti, tecnici dell’ago puntura …, pronti a pagamento a ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzionano sempre (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società globalizzata del profitto e della ragioneria atomizzata, del cemento e del lungo tempo di vita. E’ giusto denunciare i profittatori (maghi, psicologi e preti…… che siano), ma pagare il giusto prezzo per i curatori di anime, mi sembra un fatto accettabile.

Concludendo, se non fosse possibile alimentare le più svariate tradizioni (scienza, arte, magia s.l., religione…) in ogni testa, sarebbe necessario farlo nella società (relativismo democratico), perché ogni tradizione porta con sé una sua visione dell’oggetto, anche se parziale, incompleta, inventata e falsa; ma l’insieme di tutti i punti di vista creerà un invariante di vita umana, un’emergenza, in particolare per l’uomo occidentale, la migliore possibile. Anche le tradizioni più squalificate e considerate negative e non degne di credibilità (es., le ‘streghe’, bruciate sul rogo a migliaia,  dal primo Medioevo alle soglie dell’Illuminismo), vanno lasciate, magari isolate in attesa, in modo che, in quel momento fuori tempo, non disturbino (J. P. Feyerabend, l’epistemologo anarchico), perché nessuno è in grado di dire quanto bene ci sia ancora nel male e in che misura l’esistenza del bene sia stata legata ai crimini più atroci (enantiodromia eraclitea); [il Bene ed il Male sono connotati dalla storia e se la Storia (Historia) è  ‘oggetto’ complesso, nessuno potrà mai prevedere quanto, per es., l’evento ‘streghe’ possa aver  ‘perturbato’ la Storia futura (in particolare le res gestae, o humanae res), nei millenni successivi, cioè nel tempo lontano. Il filosofo medioevale Tommaso d’Aquino affermava  che <<Multae utilitates impedirentur si omnia peccata districte proibentur>>.

L’oggetto della conoscenza si fa analogo ad una pozzanghera di fango, dove sono cadute alcune gemme razionali ed a intervalli si aprono e si richiudono delle bolle oscure indicibili attraverso le quali è possibile gettare un rapido sguardo nelle zone più profonde.

Ho ritenuto di non aggiungere alcuna bibliografia, sicuro che il lettore di questa missiva sarà in grado senz’altro di riconoscere dietro lo scritto i nomi degli autori a cui si fa tacito riferimento.

DISTINTI SALUTI

piero pistoia

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”: i sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale; a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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Testo rivisitato da ‘Il Sillabario’ n.  3 1995

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”
I sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale
A cura del Dott. Piero Pistoia 

RIASSUNTO

Una critica affilata su fatti e processi nell’acquisizione di conoscenza ha condotto al mondo delle “narrazioni”,  dove le varie “tradizioni” devono  essere rispettate in quanto tutte essenziali, e ha soffiato ossigeno su un  vivere sociale reso asfittico dall’unica tradizione razionale.

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Nelle sue linee essenziali,  analizzeremo, insieme ad altro,  il processo  d’acquisizione di conoscenza con l’accademico Pera [1]. Fino a qualche tempo fa – e ancora oggi nella maggior parte degli ambienti culturali e didattici di ogni tipo e a qualsiasi livello (escludendo gli specialisti) – eravamo sicuri che l’episteme (la scienza) permettesse l’osservazione al di sopra e al di fuori (epi-stànai) del mondo, secondo convinzioni certe le cui radici si perdono lontane nel profondo della Grecia antica. Lo schema essenzialmente razionale, che riassume questa convinzione, considera due poli in interazione più o meno intensa connotata storicamente: da una parte l’osservatore o ciò che l’osservatore produce (l’ipotesi H) e dall’altra la natura indagata o i dati D che essa in qualche modo fornisce. Una serie di processi operativi, talora ritualizzati (metodi scientifici), “interposti” fra i due poli a guisa di interfaccia, avrebbero dovuto garantire il trasferimento cognitivo, cioè i metodi assiomatici, induttivi, ipotetico-deduttivi…

Ma una attenta riflessione critica sui meccanismi in gioco in queste interazioni a due termini, ancora ben lontana dai normali canali di comunicazione culturale – es., dal senso comune, ma anche dall’attività didattica e altro (si pensi alle argomentazione manichee di certi politici e sindacalisti, di certi storici, di avvocati, magistrati e giudici ..) – ha fortemente indebolito, in questi ultimi anni, le sicurezze, e introdotto in ogni passaggio, nei meandri della relazione H-D, come azione sui metodi e nell’esplicitazione di D, come azione sui protocolli, elementi soggettivi che sembrano ineliminabili alla ragione. Guai per chi rimane intrappolato nelle maglie dei  cicli perversi del sillogismo strumentale [5], cioè il linguaggio della scienza, delle leggi e dei codici, ma anche della malevolenza e della calunnia! “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini”, recita un saggio e antico detto Sioux. Questo sillogismo non è conforme neppure al falsificazionismo popperiano, che, pur indebolito, poteva rappresentare, per la libertà, la giustizia e la democrazia, una conquista non trascurabile in campo legale, sociale ed umano!

Così, per quanto riguarda il rapporto H-D, nessun processo induttivo [1], sostenuto dalla logica, può portare da D ad H (Popper), nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da D, senza interventi del soggetto, nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il modus tollens popperiano, [(H -> D) U non-D] -> non-H, permette la falsificazione univoca (Duhem) [2], data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non si sa cos’è che viene in effetti falsificato) ecc.. (1)

Per quanto riguarda poi il versante dei dati, la sicurezza di D, il cosiddetto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso funzionamento dello strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso D non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili [2] possono essere sostenute dallo stesso D (Quine): svariati percorsi razionali “fanno attrito” con il mondo!

A sostegno di questa breve sintesi sulla debolezza razionale dei processi di acquisizione di conoscenza, costruiti su due termini e riferiti alla scienza, riporto di seguito una carrellata di illuminanti passaggi individuati sempre dal docente M. Pera [3], che, a colpi di flasch, colgono le posizioni attualmente rilevanti sull’argomento. Si riscopre così l’ affermazione nietzscheana che “i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni” tradotto poi da Nerida in “non c’è fuori-testo”, da Hanson in “hypotheses facta fingunt”  o in “i fatti sono teorie di piccola taglia” (Goodman); “i fatti sono socialmente costruiti” (Latour); “ogni teoria possiede la sua esperienza” (Feyerabend); “i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi diversi” (Kuhn); “entro quadri concettuali diversi le stesse esperienze prendono la forma di fatti e prove diverse” (Polanyi).

E’ interessante notare come in molti scritti di autori di diverse discipline si rinviene spesso un percorso culturale analogo. Si veda per esempio lo sviluppo del pensiero dello psicologo e pedagogista J. Bruner: dal Cognitivismo “duro” degli anni ’60 (“Verso una teoria dell’istruzione”, Armando), attraverso “Saggi per la mano sinistra” e “Significato dell’educazione” (Armando), dove si afferma anche che differenti culture “vedono” il mondo con occhi differenti, si giunge a “La mente a più dimensioni” (Laterza) e infine a “La ricerca del significato” (Bollati Boringhieri), con riferimenti pedagogici alla co-educazione, interazione motivazione extra-cognitiva dell’apprendimento, ponendo più volte l’accento sulla valenza psicologica e pedagogica delle narrazioni.

Anche con interazioni a più poli (più teorie contro l’empirico) la conoscenza rimarrà inevitabilmente e tragicamente infondata. Ad analoghe conclusioni si arriverebbe se considerassimo come poli in interazione l’Io (osservatore) e la Natura. A differenza del discorso analitico su H e D, l’interazione Io-Natura rimanda a riflessioni su filosofie orientali e/o alla scoperta, nelle pieghe del rapporto, di confini-frattali senza possibilità di uscire fuori dal ciclo vizioso: Io-Natura-Io [4].

E’ da notare come questa esplosione ramificata di posizioni critiche abbia avuto come sorgente la revisione della struttura categoriale kantiana delle forme a priori. In particolare si pensi alla rivoluzione mentale scatenata dopo l’invalidazione del “sintetico a priori” kantiano, e la percezione che la geometria euclidea non era l’ unica geometria possibile del mondo.

Questa posizione nata all’interno di una meta-riflessione da parte delle stesse scienze umane, viene stranamente avvallata dalle ultime argomentazioni nate all’interno della scienza stessa.

Se l’Universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrebbe provocare soluzioni impreviste e imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico [5].

Una esatta prevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperti dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora onde elettromagnetiche di energia inferiore alle soglie del misurabile potrebbero produrre ugualmente effetti vistosi. Così il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice e addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perchè come affermava Vico (Verum Ipsum Factum), abbiamo “inventato” leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi, estremamente ammaestrati nel tempo e nello spazio, della realtà, funzionasse, cioè fosse “vero” per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso e disordinato.

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili  con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva e interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva, come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva “leggere” le influenze del cielo sulla vita) voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al “semplice”, cioè la maggior parte del mondo (ci sono molte più nubi, alberi e cose simili che cristalli nel cosmo), che poteva venir colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico [6] che quasi mai ripiegava sull’esperimento, e che usava invece il teorema e il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare del mistico-magico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo mare non se ne può parlare (indicibile), usando i linguaggi della ragione (primo Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà “lì fuori” (secondo Wittgenstein), anticipando le posizioni drammatiche attuali. E’ vero che gli elettroni esistono ed hanno carica negativa? Li abbiamo “individuati” con i nostri criteri, con i nostri requisiti etici, le nostre esigenze estetiche, nell’ambito del nostro linguaggio, proprio come i Greci antichi “individuarono” Afrodite!  E’ vero (Vico): esistono ed hanno carica negativa; però solo nel nostro mondo linguistico e culturale, dove il consenso rinforzato è l’unica condizione di verità, come lo fu per Afrodite.

E così il Progresso (meglio la parola più neutrale Modificazione ambientale) – cioè la capacità di sezionare e guarire i corpi aumentando la speranza di vita, di scoprire dietro pieghe spazio-temporali le particelle più strane che o prima o poi potrebbero servire per trasferirci ancora più energia a nostro uso e consumo ormai esponenziali (qualità e speranza di vita) ecc. – è tale solo rispetto ai nostri criteri manipolativi, operativi e tecnologici e ai valori su cui questi si fondano e quindi, in ultima analisi, ai nostri valori etici, politici ed estetici. Questi criteri sorti all’interno del nostro mondo, potranno garantirci al massimo questo nostro mondo, non “il Mondo” [3] ! In società “fredde” i valori sono altri e gli obiettivi si spostano, con l’importanza e la densità dei nessi, al fuori dell’io, nei loro cieli chiusi.

Quando i fatti, le prove, l’esperienza scientifica “costruita” in laboratorio, in base a precisi presupposti (esperimento), non sono più termini di confronto neutrali e la stessa falsificazione fallisce non riuscendo ad individuare ciò che di fatto viene negato, si perdono i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, metafisica, religione, magia s.l.). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove.

Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (trappola di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. Accettare una teoria scientifica invece di un’altra, allo stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte, magia s.l. sono tutte favole  che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico e il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi e il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece di 35, non significa un bene in assoluto!). Guarda caso, come abbiamo già accennato, il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso!

Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io (non l’io singolo) più evoluto, consapevole e vigoroso, a fronte di una mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’universo. In ognuno di questi mondi, senza onde nè codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli a quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli uomini, quando i greci credevano negli dei! Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente,  spinge fino ai limiti dell’universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri il fragile meccanismo proprio dèi mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi, divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi e altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel regno dell'”empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

Non è allora fuori luogo la ricerca di modi alternativi [4] alla scienza nel cogliere il mondo, sui quali da secoli la nostra cultura non ha mai investito seriamente, limitandosi invece a criticare, punire e uccidere. Parlo della magia, della esperienza religiosa e mistica (esiste davvero il miracolo?), dell’esperienza empatica con l’oggetto osservato (filosofie orientali) ed è da sperare che funzionino in qualche modo al di là delle semplici “narrazioni” della scienza ufficiale!

Non è trascurabile, per terminare, il fatto che, dalle nostre parti, la tradizione dominante per eccellenza, quella razionale, sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata, dove tutto sia previsto e ogni azione vagliata e se non conforme punita, secondo una interna giustizia. Si tratta del virus della violenza della “società dell’organizzazione totale”, permessa da tutte le culture che si proclamano uniche e che, alla ricerca dell’essenza, eliminano continuamente il “caduco”; società che, come afferma G. Vattimo, sembrano essere legate a tutti gli essenzialismi metafisici, quelli più immediati del passato e quelli nascosti anche nelle pieghe del pensiero scientifico. Non c’è “una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” [6].

Lo stesso Caos Deterministico ci insegna che l’Universo è colmo di informazioni molto di più di quello che si credeva e tutte essenziali (di qui l’estrema difficoltà nel predire)!

Invece fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o qualche volta di calpestare un’aiuola o fare una fotocopia in più di un articolo. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere solo pochissimi sentieri e il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. Se a questo aggiungiamo che sta perdendo legami anche con i suoi simili e si sente solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, psichiatri, fattucchiere, preti di diverse religioni e pranoterapisti, pronti, a pagamento, ad ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzioneranno (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società  del cemento e del lungo tempo di vita, di banche e profitto e di ragionieri!

(Dott. Piero Pistoia)

Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1995, VII

BIBLIOGRAFIA E NOTE

[1] M. PERA “Induzione e metodo scientifico”, Editrice Tecnico Scientifica,1978.

[2] A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976.

[3] M. PERA “Il Mondo la Scienza e Noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

[4] P. PISTOIA “La Teoria, la Realtà ed i limiti della conoscenza” (in questo blog).

[5] E. BENCIVENGA “Oltre la Tolleranza”, Feltrinelli, 1992.

P. PISTOIA “Frattali, Logica e senso comune: considerazioni iperboliche” (in questo blog).

[6] A. KOYRE’ “Galileo e Platone” in “Le radici del pensiero scientifico”,  Feltrinelli, 1977.

[7] G. VATTIMO “La società trasparente”, Garzanti, 1989.

NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q     H        Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
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H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-
H è falsa

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA: considerazioni provocatorie a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA
Considerazioni provocatorie
a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perché riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perché conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perché il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perché funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988