ARISTOTELE HA FORSE DA DIRCI ANCORA QUALCOSA; del docente Andrea Pazzagli; con Nota al Margine dell’editore (P. Pistoia) ; post aperto

N.B. – Per leggere l’art. in pdf, cliccare sopra il link; poi, per leggere il resto dell’articolo, cliccare sulla freccia in alto a sinistra, che fa tornare indietro!

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NOTA al margine, talora ‘a braccio’, forse un po’ azzardata e poco organizzata del coordinatore-editore (NDC: P. Pistoia), solo per attivare una riflessione-discussione. Reinterpretazione della nozione ‘Buon Senso’.

PREMESSA PROBLEMATICA

Da controllare, ancora in questo blog, per es., il contenuto del tag “L’Opinione” ricordato nell’articolo precedente e su internet cercare il concetto di phrònesis, saggezza, discernimento…,rispetto a sapienza (sofia). Potrebbe significare anche Buon Senso? Qual è la differenza? Il buon senso è una ‘facility istintiva’ che  utilizza la sapienza di background individuale, nel ‘vedere di getto’ percorsi operativi nelle zone complesse, come, per es., nella morale, nell’etica, nell’insegnamento, politica ed altro,  al fine di ordinarle razionalmente, comprendendole, per poi di fatto su esse prendere decisioni? Se sì, sembrerebbero esistessero diversi livelli di buon senso rispetto ai gradi di sapienza posseduti (background di conoscenze teoriche al fine di cogliere le Verità nei diversi contesti), a partire dal ‘buon senso del senso comune’.

Nello scritto successivo, le cui informazioni sono state anche mutuate da vari scritti su Internet (compreso Wikipedia), si fa un tentativo ipotetico di inserire la nozione di Buon Senso nel quadro  aristotelico accennato in questo post. Deve essere considerato come un progetto di lavoro, una successione di appunti per una eventuale lezione-discussione.

BREVI CENNI SUI PROCESSI DI CONOSCENZA IN ARISTOTELE (384-322 a.C.n.)

(Etica Nicomachea)

Tre sono i modi per conoscere in Aristotele: Sofia (Epistème?), Technè e Phrònesis.

Primo modo: la nozione di Sofia-Episteme

Sofia-Epistème è la conoscenza teoretica intellettuale, certa e assoluta, considerata giustificata oltre ogni dubbio; appartiene alla categoria Know why. Questo modo è tradotto con ‘Sapienza’ che ha come unico fine le Verità riguardo la realtà delle cose. Consiste di una intuizione intellettuale potente che permette anche il processo induttivo, costruendo dai dati empirici enti universali (senza l’intervento divino), superando lo stesso processo logico formale limitato dalla possibilità di premesse false che conducono ad inesorabili conclusioni false. Per scoprire di più sulla nozione “induzione” cercare nel blog, per es., con il tag ‘induzione’, appunto. Tale conoscenza intellettuale viene contrapposta alla Doxa, che riguarda la semplice ‘opinione’.

Secondo modo: la nozione di Technè

Denota la Tecnologica (Know how); es., abilità,  colture…e l’arte, che, al tempo, ebbe gioco rilevante anche per l’oggetto tecnico.

Terzo modo: la nozione di Phrònesis

La Phrònesis (parola greca tradotta nella Treccani con ‘Saggezza’ e da Cicerone con ‘Prudentia’…) è una nozione che ha a che fare con la conoscenza e l’etica calate nella pratica. Si tratta forse di un processo  mentale da interfaccia fra l’Episteme e la complessità del reale, per trasferire le nozioni dall’alto attraverso un’azione indirizzata a sbrogliare la densità infinita delle cose del mondo in particolare quello umano (avrebbe buon gioco specialmente nell’Etica, nel processo insegnamento-apprendimento, nel praticare Politica, nella pratica della Giustizia…). La nozione che ha svariati contenuti, aldilà delle svariate zone di intersezioni  (Prudentia , Saggezza, Avvedutezza, Cautela, Discriminazione, Attenzione…) potrebbe richiedere, a monte,  1) una consapevolezza istintiva necessaria, a fronte di una potenzialità molteplice di eventi concreti che concernono un problema e 2) una capacità intuitiva a cogliere in equilibrio gli svariati aspetti dell’etica e della conoscenza rilevanti ai fini della soluzione dello stesso problema, per procedere a tracciarne i relativi percorsi decisionali. Ma, se vogliamo interpretare le cose del mondo tramite Phrònesis non troveremo mai l’Assoluto; di qui, secondo lo scrivente, deriva la nozione di Prudentia, a fronte delle possibili proposte per le soluzioni di problemi complessi e relative scelte decisionali. Si ritiene consistente (forse un po’ forzando)  che lo stesso J. Bruner, rispondendo alla domanda se interpretando il mondo siamo mai capaci di coglierne l’essenza, scrivesse a pag. 126 del testo”La Cultura dell’Educazione” Feltrinelli, che di assoluto, nel mondo interpretato, “c’è [solo] che qualsiasi ricostruzione del passato, del presente o del possibile che sia ben forgiata, ben argomentata, scrupolosamente commentata e prospettivamente onesta merita rispetto”, quindi anche  la nostra ricostruzione insieme a tutte le altre esplicitate e possibili! Allora forse non è preferibile neppure qualcuna costruita col Buon Senso, che potrebbe anche indovinare il mondo? Il Buon Senso non è forse un’attività mentale istintiva-intuitiva che solo alcuni umani la posseggono, e che si attiva sul contenuto delle tre memorie che possediamo (la biologica, la culturale e l’astrologica), nell’interfaccia di trasferimento? Chi volesse leggere qualcosa sulle memorie umane cercare su questo blog  i seguenti tags: “insegnamento della fisica” (Parte Seconda) o “memoria biologica“.

La Saggezza-Phrònesis in questo processo per indirizzare la Sapienza verso la zona delle cose complesse, potrebbe utilizzare un particolare strumento mentale intuitivo rapido ed efficace, che permetta di individuare e comprendere – in tempi brevi quasi impulsivi, nella immediatezza delle decisioni e delle discussioni a ‘caldo’ – percorsi  positivi nel fenomeno complesso, atti a realizzare questi fini pratici in fase decisionale, al fine di migliorare la struttura delle cose concrete in divenire.

A nostro avviso, ha buon senso, per es., chi, in una discussione argomentativa per la soluzione di un problema complesso nel concreto, riesce a cogliere i vari punti strategici rilevanti del dibattito, costruendo intuitivamente in tempo reale, un percorso decisionale efficace e a bassa entropia. In generale potremmo dire che ha buon senso chi riesce in tempo reale ad individuare intuitivamente (quasi indovinare) un percorso plausibile nell’intreccio caotico di un fenomeno complesso. Chi ha buon senso avrà, più di altri, la facoltà di proporre ipotesi creative da mettere poi al vaglio del processo falsificatorio. Il buon senso si ‘gioca’ così in diversi piani a fronte  dei diversi livelli di cultura posseduti.

Si potrebbe concludere con un’ipotesi, anche se  debole, associando i diversi aspetti  delle svariate nozioni attribuite alla parola greca Phrònesis  e confrontando il significato della  nozione-unione con la nozione che abbiamo di Buon Senso: se queste due nozioni venissero mediamente a coincidere significherebbe che chi non possiede buon senso, avrebbe scarsa Phrònesis e quindi difficoltà a utilizzare le proprie conoscenze, anche se ampie e approfondite, per risolvere i problemi della vita (specialmente se è quella degli altri).

Sintetizzando questo scritto largamente ipotetico e forse scarsamente sostenibile, riteniamo che l’ “Einfunlung” (immedesimazione) a lungo protratta su un problema, oltre alle capacità intellettive razionali, attivi anche circuiti cerebrali che possono auto-funzionare,  a piena potenza nell’approccio epistemico (oggi praticamente non accettato a meno di introdurre qualche deus ex-machina esterno, contro i dettami del ‘rasoio di Occam’),  ma anche, in maniera meno stringente, in quello di Phrònesis. Questo fenomeno prettamente umano, deriverebbe da una interazione di tali circuiti sul contenuto delle memorie umane, quella biologica, la culturale e, forse anche la memoria astrologica (dovuta a interferenze sul cervello di qualche proprietà planetaria al momento della nascita). Mentre l’episteme sarebbe capace di agire sul mondo ‘reale’ in maniera assoluta, superando anche la stessa logica; nell’approccio ‘Phronesico’, le svariate interpretazioni del mondo, sotto i criteri conosciuti descritti sopra, fra cui di  particolare rilevanza, il prospettivamente onesto  [la buona fede], porterebbero a scelte di percorsi tutti accettabili (nel migliore dei casi!), ma difficilmente ordinabili per rilevanza (proposizione di Bruner riportata sopra), senza una capacità mentale inconsapevole e predittiva aggiuntiva (Buon Senso). Allora qualche percorso più probabile degli altri potrebbe forse essere individuato con le facilities del Buon Senso? Comunque i limiti della Phrònesis, che è tutto quello che l’uomo riesce a ottenere in materia di conoscenza, sembrano poi gli stessi che l’epistemologia riscontra nei processi scientifici. Rimarrebbe il dubbio da ‘districare’ su come addestrare gli umani al Buon Senso!

Attenzione allora, comunque sia, a collocare umani nei diversi punti di potere chiamati a decidere delle sorti di tutti gli altri, dovendo operare scelte in situazioni complesse!

Se qualcuno volesse rivedere, precisare, correggere, ampliare lo scritto precedente, inviare una mail a ao123456789vz@libero.it, aprendo un confronto.

SULLA DOXA ED EPISTEME
Non è che gli dei abbiano rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo, se cercheremo troveremo ed impareremo a conoscere meglio (Senofane VI secolo a.C. , B 18).
Ma la Verità nessun uomo la conosce né la conoscerà mai, né sugli dèi né sulle cose di cui parlo. E anche se per caso dovesse pronunciare la Verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe: perché tutto è tentativo di indovinare (Senofane, B 34)

APPUNTI DIDATTICI PER UNA RICERCA SULLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA NEL SECOLO XVII (a cavallo del 1600): una specie di ‘dispensa interna’ da distribuire ad alunni ed insegnanti; a cura del dott. Piero Pistoia; post aperto ad altri interventi

INTERVENTO  IN COSTRUZIONE….

QUESTI APPUNTI SONO STATI SCRITTI, ENUCLEANDOLI DAI TESTI DI RIFERIMENTO, PER SERVIRE COME SPUNTI DI DISCUSSIONE IN UNA SERIE DI LEZIONI SUL SEICENTO IN UN TRIENNIO DELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE DA SVOLGERSI A PIU’ VOCI (DOCENTI DI FISICA, LETTERATURA, FILOSOFIA E CHIMICA)

OGNI CONCETTO PROPOSTO VERREBBE CHIARITO E AMPLIATO NELLE LEZIONI  E NEL SUCCESSIVO DIBATTITO. A cura del dott. Piero Pistoia

INTRODUZIONE

Le grandi idee anticipatrici della rivoluzione scientifica del secolo XVII°

La Rivoluzione Scientifica del secolo XVII°, che segna una rottura profonda col passato dell’umanità ed inaugura l’epoca  nella quale noi stessi viviamo, non può essere interpretata correttamente senza un riferimento ai grandi cambiamenti economico-sociali, religiosi, culturali, che, già a partire IV° e V°, ruppero l’orizzonte della società e dell’umanità medioevali, introducendo fermenti potenti e destinati ad operare rivolgimenti sempre più profondi nella vita sociale e nel pensiero.

In sintesi potremmo dire che a livello sociale ciò che emerge sempre più chiaramente è la crisi del vecchio ordinamento feudale e l’affermarsi sulle sue macerie dello stato nazionale e della monarchia assoluta che trovano la loro forza principale nell’alleanza fra il monarca e la borghesia mercantile.

Tutto questo è un processo non lineare, non obbedisce ad un rapporto deterministico fra struttura produttiva e sovrastruttura politico-statuale: ad esempio l’Italia che è un paese la cui base produttiva è tecnologicamente più avanzata e che si pone fra il 1300 e il 1500 all’avanguardia economica, non riesce a costituire una stato moderno e questo rappresenterà un elemento di fragilità che, unitamente alla crisi economica dei secoli seguenti, la porterà ad una fase di decadenza.

Comunque è in Italia che si afferma e dà i suoi frutti più significativi quel profondo rivolgimento culturale che è rappresentato dall’Umanesimo e dal Rinascimento.

A prescindere dai problemi inerenti la distinzione fra i due momenti il contributo complessivo apportato alla cultura umanistico-rinascimentale può identificarsi nei seguenti aspetti:

a) l’affermarsi dell’autonomia del mondo umano rispetto al fondamento religioso come si esprime nel concetto di bellezza assunta quale fine esclusivo dell’operare estetico e del concetto di potere quale fine esclusivo dell’operare politico (Machiavelli);

b) nella riproposta del pensiero antico in tutti i suoi aspetti non più filtrato dai pensatori cristiani, ma ripreso direttamente alle fonti originali; ciò  rompe l’unità culturale del Medio Evo e pone le basi per lo sviluppo della libertà di pensiero (si pensi al Pomponazzi e al Valla…); inoltre il neoplatonismo rinascimentale con il discorso sulla magia pone le basi di una filosofia naturalista e accentua d’altra parte il tentativo i ricercare nella Natura stessa le sue leggi attraverso la matematica. Contemporaneamente in Germania esplode la Riforma Protestante ad opera di Martin Lutero e Giovanni Calvino.

Per certi aspetti può sembrare che le teorie teologiche dei riformatori, con il loro ribadire l’assoluta dipendenza del’uomo da Dio, rappresentino un momento di reazione e non i progresso. Tuttavia non è così. La tesi protestante, dal momento che assoggetta con più forza l’uomo al volere di un Dio remoto, di fatto lo svincola, attraverso il concetto di libero esame delle Scritture, dal potere vicino e reale della Chiesa e ne esalta l’autonomia di giudizio e libertà. In più si consideri come la diffusione dell’istruzione elementare conseguente alla necessità di far leggere la Bibbia a tutti i fedeli abbia creato, per così dire’ un terreno diffuso assai più fertile per il sorgere della mentalità scientifica.

Di fronte alla Riforma, la Chiesa cerca di correre ai ripari  e di restaurare la tradizione attraverso la Controriforma. La Controriforma e l’invasione spagnola pongono praticamente fine all’esperienza rinascimentale in Italia. Tuttavia lo spirito rinascimentale trova la sua ultima e particolarmente coraggiosa espressione nella filosofia della Natura (Telesio, Bruno e Campanella) che traduce in termini di teoria filosofica lo spirito rinascimentale e rivendica apertamente il valore della libertà di pensiero. Questi uomini pagarono duramente di persona.

IL QUADRO CULTURALE IN CUI I REALIZZO’ LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

All’inizio del seicento la cultura europea era ancora in gran parte legata alla tradizione aristotelica formatasi nel Medio Evo, tradizione che aveva le sue roccaforti nell’insegnamento accademico ed universitario, nonchè nel sostegno che riceveva  da parte della Chiesa alla cui teologia la teoria aristotelica, filtrata da Tomismo, faceva supporto.

La visione aristotelica della realtà si caratterizza essenzialmente per i seguenti aspetti

a) Una concezione gerarchica e piramidale dell’Universo, dalla materia bruta, potenza senza forma, alle piante dotate di anima vegetativa, agli animali forniti anche dell’anima sensitiva, all’uomo in cui, accanto a quella vegetativa e sensitiva, esiste anche l’anima razionale, fino alle intelligenze pure e angeliche e a Dio, forma pura, motore immobile, causa incausata;

b) una concezione della scienza che vuole descrivere l’essenza delle cose, non si contenta di capire “come” un certo fenomeno avviene, ma pretende di arrivare al “perché” del fenomeno; strettamente connesso a questo è l’aspetto antropomorfico di molte delle “spiegazioni” fornite dalla scienza aristotelica (i corpi pesanti cadono perché spinti a raggiungere il loro logo ideale, naturale…);

c) la riconferma dell’antinomia primitiva fra un “cielo” ed una “terra”, che dà  luogo ad una convinzione secondo cui le leggi scientifiche scoperte per la terra non valgono per il cielo e viceversa;

d) l’incapacità di trovare un aggancio fra teoria ed esperienza, per cui il metodo della scienza aristotelica è il metodo logico-deduttivo, fondato sul sillogismo e sulle altre figure della logica aristotelica stessa.

Proprio quest’ultimo aspetto appare ricco di particolari conseguenze, in quanto spiega il fallimento, o meglio la “non risolutività”, delle critiche speculative portate sia all’aristotelismo nel suo complesso sia a sue particolari dottrine scientifiche da parte di alcun scuole medioevali; in particolare dagli Occamisti.

Agli Occamisti (Occam stesso, Buridano e i loro seguaci continuatori) si deve ad esempio la così detta teoria dell’impeto che spiega il movimento, senza far intervenire intelligenze angeliche motrici delle stelle e dei pianeti, necessarie alla teoria aristotelica, che ammetteva  solo il movimento per contatto. Non est moltiplicanda entia praeter necessitatem. Ma la teoria dell’impeto rimase sempre in minoranza nelle Università; per la semplice ragione che essa, risultando metodo metologicamente omologo alla dottrina aristotelica del moto, doveva cedere le armi di fronte a quest’ultima che aveva dalle sue le forze della tradizione.

Un esempio ancor più importante nello stesso senso lo si può trovare nel carattere di disputa senza fine che inizialmente sembrò assumere anche la polemica fra la Teoria Geocentrica Tolemaica  inglobata nel “corpus” delle dottrine aristoteliche e la nuova Teoria Eliocentrica formulata da Copernico: solo le prove empiriche trovate da Galileo e le conferme matematiche elaborate da Keplero e poi “spiegate” dalla teoria di Newton, nell’ambito del nuovo metodo sperimentale, sanzioneranno, più tardi, la vittoria senza remissione dell’ipotesi copernicana  su quella tolemaica, anche se già nel corso del secolo stesso non mancano le prime intuizioni sulla relatività del movimento e dei punti di vista (Lebnitz).

Questa cultura accademica, chiusa nel castello stregato delle sue certezze, non è tuttavia affatto rappresentativa della cultura degli inizi del seicento nella sua interezza: al di fuori di essa esistono altre realtà culturali.

In primo luogo lo sviluppo dell’artigianato da una parte e dell’ingegneria dall’altra, producono una nuovo cultura in cui, allo stato latente, si ritrovano potenzialità che, poi, la moderna cultura scientifica svilupperà pienamente. Gli artigiani erano sempre esistiti, anche nell’antichità e nel medio Evo: peraltro ora nel XV e XVI secolo l’artigianato assume forme più complesse che, a lungo andare, esigono non solo l’applicazione pratica e la tradizione orale, ma tentativi di sistemazione teorica, di esplicitazione di principi che sono alla base dei vari procedimenti tecnici. Nasce, in questo modo una letteratura artigiana che, sempre più esplicitamente, rivendica in significato del ricorso all’esperienza che produce anche  alcune scoperte scientifiche. Le produce però quasi per caso mancandole del tutto un’adeguata consapevolezza metodologica e teorica: insomma la cultura artigiana non trova ali capaci di volare abbastanza in alto e recidere i legami troppo stretti con la pratica.

Paralleli sono gli sviluppi, realizzatisi specialmente nell’Italia rinascimentale, dell’ingegneria e della meccanica e dei quali le figure più rappresentative sono senza dubbio quelle di L. da Vinci, di N. Tartaglia e del fiammingo Stevino. Ciò che è importante nel contributo da ingegneri e architetti è, senza dubbio, l’uso nuovo che essi fanno della matematica: la matematica era concepita dai greci e sulla loro orma dai medioevali come scienza degli enti puri, priva di qualsiasi aggancio con la pratica e la misurazione; gli ingegneri e gli architetti rinascimentali ne fanno, invece, uno strumento pratico e la usano per la prima volta nella misura.

Tuttavia questo nuovo uso della matematica non è sufficiente da solo a configurare il metodo scientifico:  lo stesso Leonardo non può in alcun modo considerarsi il fondatore del moderno metodo scientifico.

Vi è poi da considerare una terza componente culturale: la filosofia rinascimentale della Natura (Telesio, Bruno e Campanella). Non riteniamo di doverci soffermare su di essa, malgrado l’importanza della rottura con l’aristotelismo, perché trattandosi di una speculazione essenzialmente metafisica, legata ad un concetto mistico di esperienza, questa filosofia ha un peso marginale nello sviluppo del metodo scientifico.

Le nuove filosofie che sorgono nel seicento rappresentano tutte un tentativo di trovare un nuovo e più efficace rapporto fra la teoria  e l’esperienza,fra il mondo dei dotti da una parte e quello degli artigiani e degli ingegneri dall’altra, dal momento che la mentalità ormai cambiata rifiuta di affidarsi alla sola ragione speculativa degli antichi e dei medioevali.

IL SISTEMA FILOSOFICO EMPIRISTA

Una prima elaborazione in questo senso è rappresentato dall’empirismo inglese, che, sorto con Bacone, fu poi continuato da Locke e si risolse, un secolo più tardi, nello scetticismo pragmatico di Hume.

Due sono i postulati fondamentali della concezione empirista. Il primo postulato è rappresentato dalla convinzione che ogni conoscenza derivi dall’esperienza acquistata dalla mente attraverso i sensi secondo la nota formulazione di Locke della “tabula rasa”: in altre parole non esistono che giudizi sintetici a posteriori. Qualsiasi proposizione non direttamente basata su dati dei sensi ha la sua origine o nella memoria o in una certa elaborazione dei dati sensoriali tramite il linguaggio.

Tuttavia l’affermazione del primato dell’esperienza rischierebbe di restare sterile e di far ricadere gli empiristi nella tradizione artigianale e negli errori dell’empirismo greco con la conseguente impossibilità di costruire leggi generali della scienza, se non fosse introdotto un secondo postulato: il Principio di Induzione, grazie al quale si crede di poter generalizzare a partire da casi singoli. Il metodo dell’induzione elaborato da Bacone ha caratteristiche qualitative e in ciò e il segno del suo rapporto esclusivo con la tradizione artigianale, trascurando il rapporto con ingegneri e architetti in direzione della matematica. Esso consiste nella classificazione secondo attributi dei fatti dell’esperienza che permette poi, attraverso la costatazione di aspetti comuni riguardanti l’attributo posseduto, di risalire a proposizioni di carattere generale (leggi di Natura).

Peraltro proprio questo motivo dell’induzione che sembra essere  la forza dell’empirismo moderno introduce al suo interno una profonda contraddizione: come sottolinea con forza Hume l’induzione non è mai giustificabile né in termini empirico-sintetici né in termini analitico-razionali.   Il problema affacciato da Hume è  molto serio : esso ha suggerito a Kant la pseudo-soluzione dell’introduzione dei giudizi sintetici a priori,  successivamente ha trovato una parziale soluzione in termini del probabilismo invocato dai neopositivisti moderni; infine si è chiarito nella moderna prospettiva epistemologica proposta da Popper che lo risolve in una nuova versione del metodo scientifico.

CHI VOLESSE SAPERNE DI PIU’ SUL PROCESSO INDUTTIVO VISIONARE ALTRI ARTICOLI DEL BLOG.

GALILEO ED IL SORGERE DEL METODO DELLA SCIENZA FISICA

Se da un a parte il metodo razionale tradizionale che, nonostante partisse (o presumesse di partire) da “princìpi necessari ed evidenti” ed utilizzasse i metodi della logica, portava invece a dispute filosofiche a non finire, senza riuscire a far luce sulle questioni trattate; dall’altra il metodo induttivo-qualitativo baconiano, trascurando l’utilizzazione della matematica, lasciava ancora in notevole indeterminazione il rapporto teoria-fatti, portando a risultati i scarso valore “intersoggettivo”.

In questo contesto Galilei si accorse da una parte che  i  “princìpi necessari ed evidenti” della tradizione non potevano essere precisati in maniera matematica, per cui si “deduceva”  da proposizioni in effetti vaghe e nebbiose, dall’altra rimaneva imprecisato il rapporto fra le esperienze e le ipotesi indotte, per cui, generalmente, più ipotesi, anche in contraddizione, sembravano essere ugualmente accettabili dall’esperienza (Bacone, per es., non riuscì col suo metodo a decidere sui due sistemi del mondo).

D’altro canto, nella soluzione di problemi, anche se ben più circoscritti, sembrava che l’aritmetica, geometria e la statica archimedea fornissero risultati soddisfacenti, anche in rapporto con gli accadimenti naturali. Quindi sembrò a Galileo che le incertezze ed i dubbi nella conoscenza del mondo fossero in qualche modo imputabili  al trascurare o comunque ad una utilizzazione errata, nella ricerca delle leggi naturali, del metodo matematico. Già ingegneri ed architetti utilizzavano la matematica nella misura e per ricavare semplicemente leggi empiriche riguardanti certi aspetti della meccanica.

Una prima conseguenza dell’uso della matematica condizionò Galileo verso la precisazione del concetto di esperimento come “fenomeno semplificato”. Il passaggio da esperienza ad esperimento implica una rottura qualitativa di una certa importanza, se si pensa che nel passato il concetto di esperimento scientifico non era conosciuto. Si parlava infatti di osservazione, descrizione dell’osservazione, misurazioni empiriche, ma non di “esperimento”. L’esperimento era un modo inventato da Galileo per interrogare la Natura in maniera che la Sua risposta fosse a)  “intellegibile” e b ) il più possibile indipendente dall’uomo stesso. L’esperimento è infatti un intervento attivo, quasi di “costrizione”, sulla Natura del fenomeno perché si realizzino i punti precedenti. Si osserva il fenomeno naturale sul quale influiscono una quantità indefinita di fattori, molti dei quali addirittura sconosciuti: poi si “costruisce”  in laboratorio un fenomeno nuovo (secondo particolari accorgimenti suggeriti, per es., dalla precisione degli strumenti a disposizione, per facilitare la misura, come quello di utilizzare un piano inclinato per studiare la caduta libera), sul quale agiranno solo alcuni fattori, appartenenti anche a quello naturale, scelti dallo sperimentatore (la scelta, alquanto arbitraria, è in parte condizionata e da parametri individuati da uno studio precedente e dalla ” domanda” che si vuol porre alla Natura; certamente verranno trascurati come “inessenziali” i fattori sconosciuti). Se vogliamo poi che la Natura ci “risponda” sul carattere di alcuni dei fatti trascurati nel primo esperimento, “inventiamo” un altro fenomeno da “costruire” in laboratorio, ove agiranno i detti fattori e ricaveremo le uniformità che governano questo secondo aspetto del fenomeno naturale. Chiaramente si ammette che sovrapponendo i due risultati  si possa rilevare il meccanismo del fenomeno complesso che ha luogo quando non vi sia interferenza da parte dell’uomo. Grazie ad eventi artificiali realizzati negli esperimenti, i fenomeni complessi della Natura vengono analizzati sulla base delle loro parti costitutive.

Mentre le correnti neoplatoniche  e neopitagoriche cercano di attribuire numeri ai fenomeni singoli tramite il valore “magico” dei numeri che rappresentavano certi fenomeni  per loro “virtù”, per cui studiando la distribuzione dei numeri si potevano ricavare  le proprietà dei fenomeni, Galileo riesce a compenetrare esperienza e numero tramite la misura. Così la “domanda” viene posta in termini di relazione matematica ammettendo che “le relazioni che intercorrono fra grandezze naturali, possono essere ricondotte a relazioni fra numeri che rappresentano le loro misure”.

L’uso della matematica limitò anche il campo di indagine sulla natura; infatti Galileo non si rivolse alle “massime questioni” e ai problemi generali riguardanti i “perché” dell’Universo, ma spostò invece l’asse della sua ricerca verso il “come” (non le “cause”, ma le “passioni” del moto). La sua indagine si limitò a studiare  una sottoclasse della classe dei moti dell’Universo: il moto dei gravi, giungendo alla soluzione di alcune questioni importanti del moto naturale degli oggetti nei dintorni della terra, inserendole per la prima volta in una teoria scientifica.

Galileo utilizzò il metodo matematico in due forma:

1 – Cercò ipotesi che potessero essere traducibili in simboli matematici e, seguendo e perfezionando il metodo degli ingegneri, tradusse, attraverso l’esperimento e la misura, in matematica le “proposizioni sperimentali, cercando poi dall’ipotesi matematica di partenza di dedurre un’altra confrontabile con quella sperimentale (nel moto di caduta dei gravi propose all’inizio due ipotesi: v=kt  v=ks).

2 – Fece della matematica uno strumento che utilizzo come veicolo di “spiegazione” fra teoria e dati in un sistema teorico scientifico. Utilizzò cioè la matematica per spiegare fenomeni nuovi a partire dai postulati della sua teoria, inquadrando le diverse proposizioni sperimentali in un “corpo” di conoscenze organico e coerente. La scienza non deve solo descrivere ma anche spiegare. Galileo in quest’ultimo senso non si limita a trovare la legge, ma costruire una struttura razionale scientifica che permetta di unificare le diverse leggi sperimentali in un unico sistema di “spiegazione”.  L’importanza di Galileo è di avere impostato il problema in questo senso, anche se il suo sistema riguardava solo una zona di conoscenza molto limitata; non riuscì, ad es., ad inserire neppure la legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo, da lui scoperta, rimanendo così un dato bruto.

L’uso della matematica sembra imposta a Galileo dalla natura: la natura parla il linguaggio matematico, capibile dalla ragione umana (Platonismo galileiano). Oggi ci siamo resi conto che è l’osservatore che impone alla Natura, tramite l’esperimento, di parlare il linguaggio matematico, comprensibile dalla mente umana; questo è un altro modo di esprimere il postulato della “comprensibilità della Natura”.

Le ipotesi, gli assiomi, le definizioni generali non sono ricavati dall’esperienza e solo raramente trovano controllo diretto nell’esperimento: spesso anzi sono lontani dall’esperienza stessa. Basta che le “proposizioni” dedotte matematicamente da tali assiomi abbiamo conferma sperimentale, perché tutto il sistema teorico acquisti significato scientifico. In tal modo la verità o falsità dei postulati è riposta nelle verità o falsità degli “accidenti” da essi edotti. Non ha più significato il problema se essi siano “necessari ed evidenti” anzi Galileo stesso considererà i suoi postulati poco evidenti. In generale Galileo ammetteva tacitamente che i suoi postulati, anche se in ultima analisi fornivano proposizioni conformi a quelle sperimentali, potessero essere scarsamente evidenti, tanto da ammirare “l’eminenza dell’ingegno di quelli che… hanno fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quel che il discorso gli dettava”  (il postulato; nella fattispecie, il Sistema Copernicano) ” a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente contrario” Più oltre si meraviglia come sia stato possibile in Aristarco e Copernico che ” la ragion abbia possuto far tanta violenza al senso”, da far loro accettare che la terra e gli altri pianeti girassero intorno al  sole. E’ spesso il senso e l’esperienza comune, che controllate dalla cultura media del tempo, impediscono e ostacolano la costruzione orizzontale della struttura della scienza. Sembra addirittura che si plauda  ad Aristarco ed a Copernico per aver proceduto “controinduttivamente”; e se è vero che proprio con la dinamica  ed il telescopio di Galileo, i dettami del senso vengono a favorire la teoria copernicana, questo nuovo “senso” è  “superiore e più eccellente” di quello comune e alla utilizzazione di esso Galileo giunge solo perché con la ragione era riuscito a rifiutare i dettami dell’esperienza comune del suo tempo!

La lontananza delle “proposizioni mentali” dall’esperimento, in apparenza talora contrarie all’esperienza, presentando tuttavia la possibilità del loro controllo, lascia aperta alla scienza la possibilità di superare le costrizioni della tradizione religiosa e di quella filosofica, direttrici lungo le quali operava il “principio di autorità” e per le quali il riferirsi all’esperienza significava, se mai avesse avuto significato far riferimento esclusivo al senso comune. Che cos’è allora che suggerisce i princìpi all’intelletto?  Occorre una mente geniale, orientata a lunga riflessione sui problemi in studio (einfunlhung = immedesimazione) ed anche un po’ di fortuna.

Ci domandiamo  ora infine a che punto Galileo fosse convinto che il controllo delle ipotesi riposasse solo sui dati empirici, ottenuti da strumenti allora ben poco precisi. Come già accennato, alcuni interpreti dell’opera di galileo a tendenza neo-platonica sostengono che la garanzia della scientificità derivasse a Galileo da fonti diverse dal dato empirico, come la fiducia istintiva nella semplicità e conoscibilità della Natura, nel concetto di simmetria ecc. Se poi la realtà così investigata rappresentasse la “vera” realtà è un problema che Galileo sembra risolvere in maniera positiva, tramite la distinzione fra qualità primarie e secondarie, anche se sembra non sia suo intendimento pronunciarsi sull’essenza metafisica della realtà.

Lo studio di Galileo si rivolge al movimento degli oggetti sottoposti alla forza di gravità nelle vicinanze della terra, siano essi stati in caduta libera o su traiettoria prestabilite o lanciati.

Prima di Galileo, la caduta dei gravi veniva spiegata tramite il sorgere sull’oggetto di una forza dovuta alla “necessità” di giungere al proprio luogo (teoria aristotelica) o al proprio ” affine” (teorie neoplatoniche). La velocità acquisita veniva considerata proporzionale alla forza e inversamente proporzionale alla resistenza: v=kF/fr; e si ammetteva che fr fosse sempre diversa da zero (orror vacui). Qualcuno passò anche al logaritmo, v=klog(F/fr) per render ragione della quiete. Comunque anche il moto uniforme e rettilineo aveva bisogno di una forza. Il lancio dei proietti veniva spiegato come dovuto ad una azione successiva nel tempo dell’ impetus iniziale (teoria dell’impetus) o di una spinta a contatto da tergo dovuta all’aria che si richiudeva (teoria aristotelica del movimento) e della forza di gravità. Nel 500 infatti, per spiegare la natura della traiettoria, alcuni pensarono di far agire contemporaneamente impetus e gravità.

I postulati della teoria di Galileo furono:

1 – la diretta proporzionalità fra velocità all’istante e tempo nella caduta libera dei gravi, ovvero i gravi in caduta libera si muovono di moto uniformemente accelerato;

2 – la velocità acquistata o perduta da un mobile, vincolato a muoversi lungo una traiettoria prestabilita, quando passa da un punto all’altro, è quella stessa che acquisterebbe o perderebbe discendendo o salendo lungo un tratto verticale uguale alla differenza di quota. Su tale postulato si basa l’equivalenza relativa al tipo di moto fra tutti i piani inclinati (compreso il verticale). Da esso si deduce inoltre, in un esperimento teorico,  che in assenza di forza il corpo perdurerebbe per sempre di moto circolare uniforme (formulazione errata del suo Principio d’Inerzia). Da quest’ultima affermazione, leggermente modificata, discende chiaramente il principio di Relatività Galileiano, per cui tutti gli oggetti appartenenti ad uno “spazio” che si muova di moto uniforme (rettilineo non precisato) non intervengono fenomeni che possono far capire di essere in movimento. Con ciò si veniva a superare anche la più forte obiezione avanzata dai Tolemaici contro il sistema copernicano (e contro Aristarco da Samo), per cui un corpo lanciato verticalmente in aria, se la terra si muovesse doveva necessariamente ricadere spostato verso occidente.

3 – Principio di interdipendenza dei movimenti simultanei. Galileo spiega la traiettoria non verticale dei gravi come risultante dalla combinazione contemporanea di un moto orizzontale uniforme e di uno uniformemente accelerato verticale.

a) Scarsità dello strumento matematico (che non permise, per es., a galileo di inquadrare e ritrovare a partire dai suoi postulati le legge del pendolo).

b) Eccessiva restrizione dei Princìpi.

Nessun collegamento fra meccanica terrestre e meccanica celeste (impedito probabilmente dalla formulazione errata del suo Principio di Inerzia).

d) Ammissione tacita di uno spazio e tempo assoluti.

Huyghens provvide a ” spiegare” con i postulati di Galileo, i problemi particolari lasciati insoluti. Newton estese i principi, ottenendo una unificazione fra meccanica terrestre e meccanica celeste. L’ultimo punto rimase per secoli e secoli oscuro fino all’avvento della relatività einsteniana.

Infine  è da precisare che altre questioni particolari studiate da Galileo non furono mai inquadrate in una teoria scientifica fino al nostro secolo: come per es., quella riguardante l’uguaglianza del periodo del pendolo per oggetti di peso diverso, o, per il II° postulato, il fatto che oggetti diversi cadendo liberamente posseggano la stessa accelerazione (se cadono dalla stessa altezza impiegano lo stesso tempo).

Infine accenniamo al famoso Principio di Continuità di Galileo di grande fecondità scientifica, una specie di metodo mentale che sottende tutto il lavoro scientifico galileiano. Galileo adattava gradualmente i suoi pensieri ai fatti, tenendo fermi  questi pensieri fino alle estreme conseguenze. Variava nella mente gradualmente le circostanze di un caso particolare in studio, tenendo ferma nello stesso tempo l’idea già formulata su esso. Un metodo potente ed economico che facilita la comprensione di tutti i fenomeni naturali con fatica intellettuale minima.

LE CORRENTI RAZIONALISTICHE NELLA FILOSOFIA E NELLA SCIENZA DEL 1600

CARTESIO

Il sorgere e l’affermarsi del metodo sperimentale sulla scena culturale del 1600 provoca la crisi definitiva del pensiero metafisico e del razionalismo tradizionale.

Gli enti metafisici, i postulati su cui si basava tutto l’edificio dell’aristotelismo, dimostravano di non aver affatto quel carattere di necessità e di universalità che si erano attribuiti.  D’altronde anche il sistema di deduzione dalle “verità” prime di “verità” ulteriori si era imostrato inadeguato con la sua necessità continua di far intervenire enti e principi animistici, dei quali la scienza moderna stava dimostrando l’inutilità (Occam).

In questo contesto sorge dal mondo culturale dotto il grande disegno di fondazione i una metafisica razionalistica che non solo non contrasti con la scienza moderna, ma ne sia sostegno. Iniziatore e artefice i tale  tentativo fu Descartes. Questi si pone come l’altra direzione speculare, opposta e complementare, a quella di Bacone Come l’uno aveva ripreso la tradizione artigiana ignorando la matematica, l’altro riprende la tradizione dotta ignorando l’esperienza. Questo impedisce ad entrambi di intravedere il fecondo contatto fra i due mondi trovato da Galileo.

Il procedimento di Descartes consiste nell’eliminare, attraverso il dubbio metodica, tutto quanto nella vecchia metafisica e nel razionalismo tradizionale vi era di superfluo, cercando quei principi primi che, per la loro immediata evidenza alla ragione, avessero carattere di idee chiare e distinte.

La prima di queste idee che secondo Descartes sfugge ad ogni dubbio scettico è l’idea dell’Io: l’Io che dubita e quindi pensa, si pone per lui come evidenza indubitabile. Occorre subito far notare che tale evidenza è solo intuitiva e psicologica, deriva più che altro dalla volontà di autorassicurarsi da un’ansia di stabilità del soggetto stesso, ossia da fattori psicologici non logici. Cartesio ritiene inoltre che all’Io sia presente un’altra verità innata, quella di Dio e tale verità, siccome non può derivare dall’esperienza, deve essere per forza stata messa dalla mente umana da Dio stesso di cui quindi si afferma l’esistenza, come II° postulato del sistema. Ma l’affermazione dell’esistenza di Dio serve a sua volta per fondare la veridicità del mondo esterno a la mente umana, perché altrimenti Dio sarebbe ingannevole, ciò contraddice  l’idea di perfezione implicita nel concetto di Dio. Una volta dimostrata l’esistenza del reale e la possibilità di un rapporto positivo fra la mente ed il mondo, Cartesio costruisce una cosmologia centrata tutta su di un rigoroso dualismo, quello fra res cogitas (pensiero)  e res estensa (materia), definendo in termini razionali le qualità fondamentali di quest’ultimi: estensione, forma e movimento. E’ importante sottolineare questo aspetto, perché, grazie ad esso, Cartesio è riuscito ad immaginare un universo pieno, in quanto estensione è materia, un universo in cui non c’è più bisogno di una agente antropomorfico, giacché il movimento non ha più bisogno di cause, un universo in cui vengono espulse anche la forza e la massa, in quanto al tempo di Cartesio questi due concetti contenevano troppi residui antropomorfici. Viene fuori così un mondo di natura geometrica, matematica e cinematica, privo della dimensione dinamica, Il grande merito storico di Cartesio, quello che fa di lui l’altro padre della scienza moderna, sta nell’avere per sempre cacciato dalla Natura gli spiriti; la res cogitans è separata radicalmente dall’universo fisico e quindi anche dal suo corpo: tutto ciò che dipende dalla relazione mente-corpo e mente-universo, come le cause secondarie (odore, sapore, colore…) non ha nessun significato per la comprensione della materia da parte del pensiero (fisica meccanicistica). Descartes ritiene così di poter costruire una fisica a carattere completamente razionalista, dedotta logicamente dalle qualità prime della materia e a tale costruzione egli mette in effetti mano edificando una costruzione teorica per più aspetti ingegnosa.

Cartesio partì dal postulato che  l’estensione creata da Dio possedesse un movimento rotatorio, in quanto esso era il solo movimento possibile in un universo inteso come totalità. Tale movimento rotatorio porta per attrito a creare vortici interni, generando tre tipi fondamentali di materia:  quella costituente il sole e le stelle (particelle piccole di forma sferica, prima materia), quella costituente lo spazio interplanetario (particelle piccole angolose, seconda materia), e quella costituente i pianeti (frammenti pesanti, terza materia). La gravità e quindi la caduta dei gravi ed i moti planetari, che per la prima volta vengono unificati in un unico  ordine di fenomeni a differenza di Galileo, vengono spiegati in definitiva entro questo ordine di idee da Huyghens come dovuti allo “sforzo che compie questa materia fluida (seconda materia) per allontanarsi dal centro e disporre nei posti dove abbandona quei corpi che non possono seguire questo movimento” (dimostrazione del secchio ruotante con pezzetti di ceralacca).

Tuttavia questo edificio ha numerosi punti deboli, il principale dei quali è da considerarsi la sua inadeguatezza al progetto iniziale di una fisica completamente dedotta: infatti è facile vedere come nella pratica scientifica Cartesio anziché dedurre logicamente faccia spesse volte ricorso all’esperienza quotidiana attraverso analogie esplicative. D’altro canto il ruolo dell’esperimento nel sistema cartesiano è ridotto solo a strumento di conferma delle idee fornite ed elaborate dalla teoria e non ha insomma potere di falsificazione sistematica. Questo mette la fisica cartesiana più indietro di quella di Galileo che attraverso l’esperimento aveva  trovato ben altre  rigorosità. A Cartesio in effetti, e questo lo avvicina a Bacone, nonostante l’ostentata esaltazione della matematica, manca un rapporto positivo proprio con questa, quel rapporto che avrebbe fatto della sua teoria una teoria scientifica. In generale Cartesio cercò di inserire in questa struttura esplicativa anche tutti gli altri fenomeni fisici conosciuti. In effetti tale   trasformazione fu operata a alcuni grandi continuatori delle teorie cartesiane, come Huyghens, ma a questo punto le teorie cartesiane furono falsificate e progressivamente abbandonate a favore di quella newtoniana.

SEGUE ELENCO DEI TESTI CONSULTATI

ALLEGATO A QUESTI APPUNTI L’AUTORE PREPARO’ ANCHE UNA SERIE DI DOMANDE RELATIVE ALLA MATERIA TRATTATA PER FOCALIZZARE UN PERCORSO

QUESTIONARIO DA UTILIZZARE NELLA PROGRAMMAZIONE DELLA RICERCA E DELLA RIFLESSIONE SULL’EPOCA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

1 – Qual era all’inizio del seicento il problema centrale che verrà che verrà poi affrontato da tutte le nuove filosofie?

2 – Quali furono le tre principali linee culturali che cercarono di risolvere il problema precedente?

3 – Quali furono i due postulati su cui si basava la concezione empirica?

4 –  Che cosa si intende per principio di induzione?

5 – L’Empirismo inglese riuscì a riassorbire il dualismo teoria-esperienza, mondo dei dotti- mondo degli artigiani?

6 – Perché Bacone F. non è da considerarsi il fondatore del metodo scientifico moderno?

7 – Quali furono le critiche portate al principio di induzione ed in che modo si tenta di superare, nel corso del tempo, le contraddizioni in esso implicite?

8 – Perché deducendo correttamente dai “Principi necessari ed Evidenti” medioevali non si arrivava a proposizioni capaci di decidere fra le diverse dispute filosofiche?

9 – Quali furono gli avvenimenti che indirizzarono Galileo verso una utilizzazione nuova e più efficiente della matematica nel metodo scientifico?

10 – Quali furono le conseguenze della utilizzazione sistematica della matematica nella ricerca delle leggi della Natura?

11- Nel quadro del superamento del dualismo pensare-operare, teoria -fatti, ipotesi-esperienza, che ruolo ha giocato l’utilizzazione della matematica? (Far riferimento ai Neoplatonici e neopitagorici, agli architetti e ingegneri e a Galileo).

12 – Che cosa si intende per esperimento? Che differenza passa allora fra esperienza ed esperimento? E’ vero che prima di galileo veniva trascurata l’esperienza? Quali furono i motivi per cui l’esperimento prima di Galileo non era conosciuto?

13 – Galileo utilizzò la matematica in due forme; Quali?

14 – Che cosa significa che la scienza oltre a “descrivere” deve anche “spiegare”?

15 – Galileo riuscì a “spiegare” tutto il suo lavoro fisico? Quali leggi “empiriche” trovate da Galileo rimasero allo stadio di “dato bruto”? Perché?

16 – Che significato attribuiva Galileo al fatto che l’uso della matematica “funzionava” nello studio della Natura? Oggi come la pensiamo?

17 – Le ipotesi “sparate” da Galileo erano ricavate dall’esperienza? Trovavano conferma diretta nell’esperienza? I suoi postulati erano “necessari ed evidenti”?

18 – Qual era allora l’unica condizione a cui dovevano sottostare le sue ipotesi perché potessero essere considerate “scientifiche”?

19 – I dati sperimentali che Galileo forniva, avevano il significato di esperienza nel senso comune?

20 – Quale fu il vantaggio di utilizzare “proposizioni mentali” che, lontane da esperienze ed esperimenti, presentassero però il carattere di proposizioni scientifiche, nella costruzione e sviluppo della scienza fisica?

21 -Che cos’è che suggerisce all’intelletto i “principi”, se non l’esperienza? Da dove derivava a Galileo la garanzia della scientificità del suo metodo e la fiducia nei suoi risultati? (da pensare che i dati empirici e gli strumenti usati a quel tempo erano molto poco precisi!). La realtà così investigata era la realtà “oggettiva”?

22 – In cosa consisteva il famoso Principio di Continuità di Galileo.

DOTT. PIERO PISTOIA

(materia)

EPISTEMOLOGIA ED OLTRE a cura del dott. prof. Giacomo Brunetti, del dott. Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia…post aperto ad altri interventi

Curriculum di piero pistoia :

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INDUZIONE E DEDUZIONE: DUE METODI DI INDAGINE SCIENTIFICA

del dott. Giacomo Brunetti

(vers. rivisitata, Il Sillabario, n.1, 1995, X)

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ALCUNI ASPETTI DEL PENSIERO DI K. POPPER ED OLTRE
Spunti per riflessioni e discusssioni personali
A cura del Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia

Le linee argomentative di questo articolo seguono alcuni percorsi di pensiero tracciati nei seguenti testi:
K. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, 1991;
P. Feyerabend, Ambiguità ed armonia, Laterza, 1996;
A.V., Critica e crescita della conoscenza, feltrinelli, 1987.

IN VIA DI REVISIONE

IL MODUS TOLLENS E LA FALLACIA DEL CONSEGUENTE

Popper aveva compreso perfettamente che la proposizione logica relativa alla falsificazione, il modus tollens(1), era logicamente fondata a differenza di quella per la verificazione dei positivisti (fallacia dell’affermazione del conseguente) e la considerò un emblematico riferimento per tutto il suo lavoro. Accettare il modus tollens contro la fallacia dell’affermazione del conseguente suggerisce, se non vogliamo invocare dèi o dèmoni, l’assenza necessaria per l’uomo di qualsiasi fonte o criterio ideale di verità a cui fare riferimento (se ‘H implica Q’ è vera, la conferma di Q non potrà mai avvallare la verità di H, a meno che non ci sia una fonte assoluta di verità per Q; nessun numero di accadimenti di cigni bianchi potrà mai rendere vera l’ipotesi generale: “Tutti i cigni sono bianchi”). La stessa coerenza e logicità di una argomentazione non poteva implicare la sua verità; neppure i criteri cartesiani di chiarezza e distinzione (le idee chiare e distinte) sono criteri di verità per Popper. Semmai i loro contrari sono importanti per la conoscenza: l’oscurità e la confusione, l’incoerenza e la contraddizione possono essere indizi di errore, che è appunto ciò che ci affanniamo a cercare nel soddisfare il processo di falsificazione.

Sia nella Scienza sia nella Politica non esiste garanzia alcuna; nell’una la conoscenza non sarà mai ottimale e definitiva, nell’altra non esisterà mai un capo ideale ai diversi livelli. Non esistono fonti ideali a cui fare riferimento né per la Scienza (né l’intelletto, né i sensi più o meno amplificati) e neppure in Politica (né Capitalisti al governo, né Popolo). Costruire la Scienza a partire dalla ragione oppure a partire dall’osservazione-esperimento non garantisce in ogni caso che una volta o l’altra non saremo indotti in errore. L’intuizione intellettuale , l’immaginazione ispirata e profetica, che psicologicamente ci soddisfano, allo stesso modo dell’osservazione e del ragionamento, sono certo importanti, ma non si deve credere rimandino a qualche autorità assoluta, non criticabile, divina o d’altro tipo. Così in politica eleggere chi è considerato migliore, il più colto, il più saggio, il più mite,…, o chi crede in una certa ideologia, non è garanzia di un ottimo governo.

Ma proprio perchè il modus tollens in logica permetteva di incidere significativamente sulle ipotesi di partenza controllandole, Popper pensò che il suo utilizzo in ambiti più complessi potesse avere più senso di altri escamotages, pur rimanendo il fatto incontrovertibile, come credeva già lo stesso Senofane, che i mortali possono avere solo una conoscenza debole (doxa) e non forte (epistème) che è propria degli dèi (4). L’uso, nell’analisi di un oggetto complesso, di una proposizione logica che funziona non porta forse a qualche vantaggio rispetto ad usare metodi logicamente non corretti? Il processo sperimentale (doxastòn=oggetto di opinione, direbbe Parmenide) non fonda niente in positivo (e neppure in negativo!), perchè è gravido di teoria e abbozzi di teoria, di conoscenza “tacita” alla M. Polanyi, aggiungerebbe Feyerabend e perchè viziato da possibili errori sistematici, dovuti all’interpretazione sistematicamente errata di qualche fatto. “Il livello sperimentale forma una cultura a sé il cui rapporto con la teoria è tutt’altro che chiaro”, preciserà poi Feyerabend. Il lavoro intellettuale, che si esplica in teorie, preconcetti e “pregiudizi”, a differenza delle posizioni platoniche, non fonda niente, in ciò Bacone aveva ragione; infatti se con esso interpretiamo i fatti osservati corriamo il pericolo, qualunque siano questi fatti, di confermali e rafforzarli. Le teorie “rileggono” i fatti a loro favore.

Come spunto per una riflessione,  ci sembra interessante notare un certo parallelismo strano fra l’oggetto della conoscenza, “riletto” continuamente dalle teorie, e l’oggetto poetico, “riletto” continuamente dalla mente del fruitore. Ambedue i processi ad infinitum.

Bacone allora propose di eliminare teorie e preconcetti (i famosi IDOLA) prima di poter “leggere” con obiettività il libro aperto della Natura; come se la mente potesse essere purificata e liberata dai pregiudizi!

Su due fronti dunque l’indeterminatezza: sul fronte dell’esperimento e sul fronte della teoria; sia teoria, sia esperimento sono “inquinati”. Oggi Hume ne avrebbe avuti libri da gettare nel fuoco, contenenti sofisticherie e inganni!(2). Ma non è il tempo di accendere né roghi humiani, né di altro tipo: il nostro obiettivo è convivere al meglio con inganni e sofisticherie!

Naturalmente Popper era pienamente consapevole che un processo logico, pur fondato come il modus tollens, non poteva tout-court applicarsi a fenomeni così complessi come, per esempio, la costruzione della Scienza e della Politica. Ma il suo principale obiettivo rimase quello per tutta la vita, cioè utilizzare il modus tollens, anche se come goal regolativo in questi ambiti in cui agiscono miriadi di componenti. Come si affronta allora in questa ottica la costruzione della conoscenza? Come si traduce il modus tollens in tali ambiti? E’ possibile farlo? C’è possibilità di controllo dei fenomeni previsti dalle teorie? L’esperimento in particolare sarà in grado di controllare le teorie? A quest’ultima domanda Popper risponde in maniera esplicita che l’osservazione e l’esperimento non possono stabilire nulla di definitivo sia nel senso della verifica di Q sia nel senso della sua falsificazione, come abbiamo accennato. Ma allora come agiscono i fatti sulla teoria? Lo stesso risultato dell’esperimento sarà soggetto ad esame critico stringente e a sua volta esso servirà per criticare aspramente la teoria; in effetti, leggendo fra le righe, sembra che la teoria non si confronti coi fatti, ma criticamente con le teorie ed abbozzi di teoria contenute in osservazioni ed esperimenti! Ciò che viene osservato in laboratorio, afferma esplicitamente Popper, non è qualcosa di più di un mero status ipotetico! Schematicamente, si parte da un problema, da un punto di domanda (P1), si formula un’ipotesi o congettura, un tentativo cioè di teoria (tentative theory, TT), poi si cerca di attaccarla, combatterla, con tutte le forze a disposizione, procedendo in tentativi di eleminazione critica dell’errore (EEerror elimination); nell’ambito della falsificazione nascerà il nuovo problema (P2). In termini più espliciti, Popper pensava che, seguendo il modus tollens, capace di falsificare un’ipotesi di partenza all’interno del mondo pulito e asettico della logica, con un po’ di fortuna, ma anche con sagacia, buon senso, intuizione per immedesimazione ed empatia (Einfhunlung), operando una critica stringente delle teorie e dei tentativi, nostri e degli altri, si potesse indovinare il mondo, audaci tanto da far violenza al senso umano e del tempo, come ben insegna Galileo, e favorendo, curiosi e disponibili, la critica dall’esterno, Popper riteneva, si potesse anche vagliare il mondo delle apparenze e delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, per dirla con Platone(4)  (mito raccontato nella Repubblica), sondarle e talora oltrepassarle, calando in profondità il nostro sguardo, dove, Democrito insegna, si situerebbe la “verità” (aumento della verosimiglianza  popperiana, progresso, nel senso che a parità di contenuto di falsità, quello di verità aumenta).

Riassumendo, “imbracciando” il modus tollens come un’arma, anche se letale solamente in un altro mondo (quello della logica), sarà necessario sottoporre a stringenti critiche anche i processi sperimentali prima di poter criticare aspramente le teorie, senza esclusione di colpi in ambo i campi, utilizzando ogni escamotage (la fortuna, la sagacia, il buon senso, l’immedesimazione empatica…), fidando sulle capacità di indovinare il mondo degli audaci e dei poeti (oì mythietài, quelli del mito, i ribelli di Erodoto), tanto da far violenza talora al senso umano e del tempo (contro le sensate esperienze!), come suggerisce Galileo. Un processo senza requie, ma l’arma logica, non così efficace, a lungo andare darebbe  risultati (ragione o speranza?). Qualche sprazzo di luce al di là delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, come accennato.

A tutti i livelli e in tutti gli ambiti, come si vede, esiste una scaletta delle incertezze. Incertezze sulle teorie sui processi sui protocolli . In quest’ultimo ambito però si annida un possibile “punto fermo”, l’errore. Riconoscerlo è un vantaggio per la conoscenza, amarlo e curarlo è un apprendistato efficiente e forse anche efficace per il futuro, saperlo calcolare rende l’operazione quantitativa densa di significati nuovi, quasi divini. Ci dice che, se tutto il precedente è “indovinato”, nel suo intervallo i pensieri sono degni di essere considerati e quindi degni di rispetto (livello conoscitivo di corroborazione) e, fuori del suo intervallo, si toccherà, qualsiasi cosa voglia significare, il “reale” (livello conoscitivo di falsificazione). Non è tanto, ma è tutto quello che gli umani possono riuscire a realizzare. Agli dèi l’altro! (8)

Come si vede un esperimento da solo non è capace di sfidare una teoria anche isolata, costituita da una sola proposizione; c’è bisogno sempre di istinto metafisico ed estro artistico. Scientifiche comunque saranno quelle teorie per le quali è possibile sapere in anticipo quali asserzioni sperimentali vengano proibite (criterio di demarcazione di Popper), oggetto di continua ed assidua ricerca, perchè rappresentano, se esistenti nell’Universo, l’errore della teoria. La discussione accalorata, l’argomentazione critica (“il discorso”) proposte da Popper, come già accennato, non avevano da fondare niente, anche se si situavano in un contesto logico di falsificazione(5). Popper, come già accennato, era infatti perfettamente consapevole della teoricità implicita nel processo sperimentale, che avrebbe ostacolato la falsificazione diretta, e della complessità ipotetica delle teorie, per cui 1) teorie non falsificabili, non scientifiche per il suo criterio di demarcazione, potevano diventarlo in futuro; 2) teorie falsificate, da buttare, potevano risultare ancora utili da tenere di scorta per eventuali nuove potenti idee ed ipotesi di soluzione di nuovi problemi; 3) era necessario discernere fra ipotesi rilevanti e non nella fase H, come risposta al dogmatismo olistico di Duhem-Quine(6), da parte della mens esperta del ricercatore in empatia con la sua ricerca. Niente di certo quindi; un processo sporco che ha come unica giustificazione l’uso della proposizione logica: [(H-> Q)U(non-Q)]-> non-H, che funziona perfettamente solo nel mondo appunto della logica! Alla fine tutte le teorie così costruite, sottoposte a tutte le sfide possibili, falsificate o corroborate, anche con processi extra-logici (sagacia, intuizione, fortuna), è quanto di meglio nel campo del razionale riusciamo ad ottenere. Esse, insieme a tutte le argomentazioni critiche, vengono a costituire il Terzo Mondo, che, per la sua complessità, sviluppa emergenze, incastri da soddisfare in un dato modo, guidando autonomamente il “progresso” della conoscenza ( sempre però in interazione con il Primo Mondo degli oggetti materiali e col Secondo Mondo della psicologia, per loro natura a scarso contenuto logico). La conoscenza procede a tentoni mettendo sotto seria critica la conoscenza precedente, sia quella innata, ma non nel senso ottimistico dell’anamnesis platonica (7), sia quella fornita dalla tradizione, che viene così modificata, eliminando gli errori se vengono incontrati. Un processo che non avrà mai fine, perchè infinita rimarrà sempre la nostra ignoranza. Si tratta di logica o di speranza? Di ragione o religione? Si tratta in effetti di un metodo logico alla ricerca dell’errore nei nostri pensieri, calato cioè nell’ambiente dei fenomeni dove i percorsi non sono così determinati, dove si moltiplicano le possibilità e le soluzioni, dove le previsioni si perdono spesso in vortici, per cui può stare anche nell’errore la verità. L’oscurità, la confusione, l’incoerenza e la contraddizione saranno solo indizi di errore. Mettiamo pure da parte le teorie falsificate su questi indizi, ma ricordiamo che l’indizio non significa certezza! Teniamole ancora e difendiamole con forza, forse sta proprio in questo il progresso. Progresso in che cosa? “Nel portare la pace o nel rendere le persone più capaci di amare? Neanche per sogno!”. Progresso “nel trovare leggi generali che a loro volta hanno portato ad individuare tecnologie interessanti”. Interessanti in che senso? Le Grandi Menti del nostro tempo seguono sempre di più il percorso del denaro, che spesso significa ricerca militare!

Abbiamo voluto accennare anche ad alcune battute di Feyerabend, per focalizzare l’attenzione del lettore sulla drammatica spaccatura fra natura e sentimenti, fra mondo delle idee e mondo delle fedi, interland scosceso dove tenta di insinuarsi timidamente anche il nostro Blog!

“Da principio gli dèi non hanno rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo, se cercheremo troveremo e impareremo a conoscere meglio” (Senofane, VI secolo a.C.n., B 18).

“Ma la verità (epistème) nessun uomo la conosce mai: nè sugli dèi nè delle cose di cui parlo. Ed anche se per caso dovesse pronunciare la verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe; perché tutto è tentativo di indovinare (dòxa)” (Senofane, B 34).

(Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia)

BIBLIOGRAFIA E NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q       H      Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della fallacia nell’affermare il conseguente, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se H implica Q1,Q2…Qn è vera,
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H implica Qi) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro risulta che Qi è falso
————————————————————-
H è logicamente falsa

2 – “[…] quando scorriamo i libri di una biblioteca, […] che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto sulle quantità e sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale? No. E allora gettiamolo nel fuoco, perchè non contiene che sofisticherie ed inganni!” (Hume, Ricerche sull’intelletto umano, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957).

3 – “Nè posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l ‘ hanno ricevuta e l’hannostimata vera (Teoria Elicentrica) ed hanno con la vivacità dell’intelletto fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario” (G. Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, 3a giornata).

4- In una grande caverna vi sono prigionieri incatenati fin dall’infanzia in maniera tale da essere costretti la parete di fondo. Alle spalle dei prigionieri è acceso un enorme fuoco e fra il fuoco ed i prigionieri, nella direzione a 90°  alla linea della loro visione , si articola un sentiero lungo il quale dei personaggi alzano davanti al fuoco forme-sagome dei vari oggetti del mondo fisico, animali, piante e persone, che proiettano le loro ombre sulla parete di fondo, osservata continuamente dai prigionieri. (vedere figura). Se i personaggi parlano, le parole rimbombano dando l’impressione ai prigionieri che provengano dalle ombre. Tali ombre costituirebbero il solo mondo conoscibile nell’immediato. All’esterno della caverna brilla la luce del sole, che rappresenta l’idea del Bene, forse come una divinità creativa e indipendente, Chi riesce a liberarsi risale con difficoltà (abbagliato dal fuoco) traballando procede dubbioso verso l’uscita fino ad incontrare la luce del sole molto più intensa. Abituatosi alla situazione, dapprima distingue le ombre dei personaggi, e le loro immagini riflesse nell’acqua, per passare col tempo a sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi ( entra nell’intelligibile) e di notte volgere lo sguardo alle stelle e alla luna (mondo della pura intellezione). Infine sarebbe capace di scorgere la presenza del sole (idea del Bene) e capirebbe che esso è il responsabile di tutte le cose del mondo (si tratta della faticosa salita del filosofo verso la vera conoscenza). Resosi conto della situazione vorrebbe tornare a liberare i compagni (filosofo che prova ad educare gli altri uomini), scendere cioè dalla luce al buio in un travaglio inverso simmetrico, che crea però sospetto da parte dei prigionieri, per cui si oppongono drammaticamente alla liberazione. L’allegoria tratta del percorso drammatico  del filosofo attraverso il processo di conoscenza della verità delle cose, in particolare quello che il filosofo Socrate dovette subire nel risalire la strada verso la verità (epistème). Venne poi ucciso per aver tentato di portarla agli uomini incatenati al mondo dell’opinione (doxa)

5 – E’ interessante notare che fin dal tempo dei Greci esistevano tre tipi di argomentazione: la dimostrazione (simile ai teoremi di geometria); l’argomentazione dialettica (opinioni di scienziati e non a confronto); l’argomentazione retorica che cerca di far passare opinioni indipendentemente dalla loro verità o falsità (come nelle relazioni pubbliche e nei discorsi politici e di propaganda).

6 – L’implicazione si trasforma in: H U (h1,h2,…h1…hn) → Q, dove le h1 riassumono la nostra conoscenza nella sua globalità

7 – Anamnesi significa reminescenza, risveglio della memoria, attivata dalla percezione degli oggetti sensibili. Numeri e forme geometriche non esistono nella Realtà per cui di essi non si può avere conoscenza tramite la percezione empirica, ma solo attraverso l’anamnesi (di qui la parola “ottimismo” ad essa associata) che permette all’anima di scoprire le “verità” che sono presenti in lei.

(8) Rimandiamo al post, firmato dagli autori, dove si fornisce un metodo di calcolo dell’errore su grandezze derivate assistito dal computer in Qbasic.

(Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1999, II)

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA

IPERBOLI SU  NATURA  COMUNICAZIONE-CULTURALE  POESIA

a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perchè riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perchè conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perchè il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perchè funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anzichè all’esterno, perchè da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilita personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Dott. Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988

 

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”: i sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale; a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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Testo rivisitato da ‘Il Sillabario’ n.  3 1995

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”
I sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale
A cura del Dott. Piero Pistoia 

RIASSUNTO

Una critica affilata su fatti e processi nell’acquisizione di conoscenza ha condotto al mondo delle “narrazioni”,  dove le varie “tradizioni” devono  essere rispettate in quanto tutte essenziali, e ha soffiato ossigeno su un  vivere sociale reso asfittico dall’unica tradizione razionale.

……………………………………………………………………………………………

Nelle sue linee essenziali,  analizzeremo, insieme ad altro,  il processo  d’acquisizione di conoscenza con l’accademico Pera [1]. Fino a qualche tempo fa – e ancora oggi nella maggior parte degli ambienti culturali e didattici di ogni tipo e a qualsiasi livello (escludendo gli specialisti) – eravamo sicuri che l’episteme (la scienza) permettesse l’osservazione al di sopra e al di fuori (epi-stànai) del mondo, secondo convinzioni certe le cui radici si perdono lontane nel profondo della Grecia antica. Lo schema essenzialmente razionale, che riassume questa convinzione, considera due poli in interazione più o meno intensa connotata storicamente: da una parte l’osservatore o ciò che l’osservatore produce (l’ipotesi H) e dall’altra la natura indagata o i dati D che essa in qualche modo fornisce. Una serie di processi operativi, talora ritualizzati (metodi scientifici), “interposti” fra i due poli a guisa di interfaccia, avrebbero dovuto garantire il trasferimento cognitivo, cioè i metodi assiomatici, induttivi, ipotetico-deduttivi…

Ma una attenta riflessione critica sui meccanismi in gioco in queste interazioni a due termini, ancora ben lontana dai normali canali di comunicazione culturale – es., dal senso comune, ma anche dall’attività didattica e altro (si pensi alle argomentazione manichee di certi politici e sindacalisti, di certi storici, di avvocati, magistrati e giudici ..) – ha fortemente indebolito, in questi ultimi anni, le sicurezze, e introdotto in ogni passaggio, nei meandri della relazione H-D, come azione sui metodi e nell’esplicitazione di D, come azione sui protocolli, elementi soggettivi che sembrano ineliminabili alla ragione. Guai per chi rimane intrappolato nelle maglie dei  cicli perversi del sillogismo strumentale [5], cioè il linguaggio della scienza, delle leggi e dei codici, ma anche della malevolenza e della calunnia! “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini”, recita un saggio e antico detto Sioux. Questo sillogismo non è conforme neppure al falsificazionismo popperiano, che, pur indebolito, poteva rappresentare, per la libertà, la giustizia e la democrazia, una conquista non trascurabile in campo legale, sociale ed umano!

Così, per quanto riguarda il rapporto H-D, nessun processo induttivo [1], sostenuto dalla logica, può portare da D ad H (Popper), nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da D, senza interventi del soggetto, nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il modus tollens popperiano, [(H -> D) U non-D] -> non-H, permette la falsificazione univoca (Duhem) [2], data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non si sa cos’è che viene in effetti falsificato) ecc.. (1)

Per quanto riguarda poi il versante dei dati, la sicurezza di D, il cosiddetto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso funzionamento dello strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso D non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili [2] possono essere sostenute dallo stesso D (Quine): svariati percorsi razionali “fanno attrito” con il mondo!

A sostegno di questa breve sintesi sulla debolezza razionale dei processi di acquisizione di conoscenza, costruiti su due termini e riferiti alla scienza, riporto di seguito una carrellata di illuminanti passaggi individuati sempre dal docente M. Pera [3], che, a colpi di flasch, colgono le posizioni attualmente rilevanti sull’argomento. Si riscopre così l’ affermazione nietzscheana che “i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni” tradotto poi da Nerida in “non c’è fuori-testo”, da Hanson in “hypotheses facta fingunt”  o in “i fatti sono teorie di piccola taglia” (Goodman); “i fatti sono socialmente costruiti” (Latour); “ogni teoria possiede la sua esperienza” (Feyerabend); “i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi diversi” (Kuhn); “entro quadri concettuali diversi le stesse esperienze prendono la forma di fatti e prove diverse” (Polanyi).

E’ interessante notare come in molti scritti di autori di diverse discipline si rinviene spesso un percorso culturale analogo. Si veda per esempio lo sviluppo del pensiero dello psicologo e pedagogista J. Bruner: dal Cognitivismo “duro” degli anni ’60 (“Verso una teoria dell’istruzione”, Armando), attraverso “Saggi per la mano sinistra” e “Significato dell’educazione” (Armando), dove si afferma anche che differenti culture “vedono” il mondo con occhi differenti, si giunge a “La mente a più dimensioni” (Laterza) e infine a “La ricerca del significato” (Bollati Boringhieri), con riferimenti pedagogici alla co-educazione, interazione motivazione extra-cognitiva dell’apprendimento, ponendo più volte l’accento sulla valenza psicologica e pedagogica delle narrazioni.

Anche con interazioni a più poli (più teorie contro l’empirico) la conoscenza rimarrà inevitabilmente e tragicamente infondata. Ad analoghe conclusioni si arriverebbe se considerassimo come poli in interazione l’Io (osservatore) e la Natura. A differenza del discorso analitico su H e D, l’interazione Io-Natura rimanda a riflessioni su filosofie orientali e/o alla scoperta, nelle pieghe del rapporto, di confini-frattali senza possibilità di uscire fuori dal ciclo vizioso: Io-Natura-Io [4].

E’ da notare come questa esplosione ramificata di posizioni critiche abbia avuto come sorgente la revisione della struttura categoriale kantiana delle forme a priori. In particolare si pensi alla rivoluzione mentale scatenata dopo l’invalidazione del “sintetico a priori” kantiano, e la percezione che la geometria euclidea non era l’ unica geometria possibile del mondo.

Questa posizione nata all’interno di una meta-riflessione da parte delle stesse scienze umane, viene stranamente avvallata dalle ultime argomentazioni nate all’interno della scienza stessa.

Se l’Universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrebbe provocare soluzioni impreviste e imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico [5].

Una esatta prevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperti dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora onde elettromagnetiche di energia inferiore alle soglie del misurabile potrebbero produrre ugualmente effetti vistosi. Così il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice e addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perchè come affermava Vico (Verum Ipsum Factum), abbiamo “inventato” leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi, estremamente ammaestrati nel tempo e nello spazio, della realtà, funzionasse, cioè fosse “vero” per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso e disordinato.

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili  con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva e interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva, come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva “leggere” le influenze del cielo sulla vita) voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al “semplice”, cioè la maggior parte del mondo (ci sono molte più nubi, alberi e cose simili che cristalli nel cosmo), che poteva venir colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico [6] che quasi mai ripiegava sull’esperimento, e che usava invece il teorema e il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare del mistico-magico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo mare non se ne può parlare (indicibile), usando i linguaggi della ragione (primo Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà “lì fuori” (secondo Wittgenstein), anticipando le posizioni drammatiche attuali. E’ vero che gli elettroni esistono ed hanno carica negativa? Li abbiamo “individuati” con i nostri criteri, con i nostri requisiti etici, le nostre esigenze estetiche, nell’ambito del nostro linguaggio, proprio come i Greci antichi “individuarono” Afrodite!  E’ vero (Vico): esistono ed hanno carica negativa; però solo nel nostro mondo linguistico e culturale, dove il consenso rinforzato è l’unica condizione di verità, come lo fu per Afrodite.

E così il Progresso (meglio la parola più neutrale Modificazione ambientale) – cioè la capacità di sezionare e guarire i corpi aumentando la speranza di vita, di scoprire dietro pieghe spazio-temporali le particelle più strane che o prima o poi potrebbero servire per trasferirci ancora più energia a nostro uso e consumo ormai esponenziali (qualità e speranza di vita) ecc. – è tale solo rispetto ai nostri criteri manipolativi, operativi e tecnologici e ai valori su cui questi si fondano e quindi, in ultima analisi, ai nostri valori etici, politici ed estetici. Questi criteri sorti all’interno del nostro mondo, potranno garantirci al massimo questo nostro mondo, non “il Mondo” [3] ! In società “fredde” i valori sono altri e gli obiettivi si spostano, con l’importanza e la densità dei nessi, al fuori dell’io, nei loro cieli chiusi.

Quando i fatti, le prove, l’esperienza scientifica “costruita” in laboratorio, in base a precisi presupposti (esperimento), non sono più termini di confronto neutrali e la stessa falsificazione fallisce non riuscendo ad individuare ciò che di fatto viene negato, si perdono i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, metafisica, religione, magia s.l.). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove.

Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (trappola di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. Accettare una teoria scientifica invece di un’altra, allo stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte, magia s.l. sono tutte favole  che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico e il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi e il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece di 35, non significa un bene in assoluto!). Guarda caso, come abbiamo già accennato, il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso!

Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io (non l’io singolo) più evoluto, consapevole e vigoroso, a fronte di una mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’universo. In ognuno di questi mondi, senza onde nè codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli a quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli uomini, quando i greci credevano negli dei! Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente,  spinge fino ai limiti dell’universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri il fragile meccanismo proprio dèi mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi, divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi e altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel regno dell'”empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

Non è allora fuori luogo la ricerca di modi alternativi [4] alla scienza nel cogliere il mondo, sui quali da secoli la nostra cultura non ha mai investito seriamente, limitandosi invece a criticare, punire e uccidere. Parlo della magia, della esperienza religiosa e mistica (esiste davvero il miracolo?), dell’esperienza empatica con l’oggetto osservato (filosofie orientali) ed è da sperare che funzionino in qualche modo al di là delle semplici “narrazioni” della scienza ufficiale!

Non è trascurabile, per terminare, il fatto che, dalle nostre parti, la tradizione dominante per eccellenza, quella razionale, sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata, dove tutto sia previsto e ogni azione vagliata e se non conforme punita, secondo una interna giustizia. Si tratta del virus della violenza della “società dell’organizzazione totale”, permessa da tutte le culture che si proclamano uniche e che, alla ricerca dell’essenza, eliminano continuamente il “caduco”; società che, come afferma G. Vattimo, sembrano essere legate a tutti gli essenzialismi metafisici, quelli più immediati del passato e quelli nascosti anche nelle pieghe del pensiero scientifico. Non c’è “una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” [6].

Lo stesso Caos Deterministico ci insegna che l’Universo è colmo di informazioni molto di più di quello che si credeva e tutte essenziali (di qui l’estrema difficoltà nel predire)!

Invece fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o qualche volta di calpestare un’aiuola o fare una fotocopia in più di un articolo. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere solo pochissimi sentieri e il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. Se a questo aggiungiamo che sta perdendo legami anche con i suoi simili e si sente solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, psichiatri, fattucchiere, preti di diverse religioni e pranoterapisti, pronti, a pagamento, ad ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzioneranno (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società  del cemento e del lungo tempo di vita, di banche e profitto e di ragionieri!

(Dott. Piero Pistoia)

Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1995, VII

BIBLIOGRAFIA E NOTE

[1] M. PERA “Induzione e metodo scientifico”, Editrice Tecnico Scientifica,1978.

[2] A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976.

[3] M. PERA “Il Mondo la Scienza e Noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

[4] P. PISTOIA “La Teoria, la Realtà ed i limiti della conoscenza” (in questo blog).

[5] E. BENCIVENGA “Oltre la Tolleranza”, Feltrinelli, 1992.

P. PISTOIA “Frattali, Logica e senso comune: considerazioni iperboliche” (in questo blog).

[6] A. KOYRE’ “Galileo e Platone” in “Le radici del pensiero scientifico”,  Feltrinelli, 1977.

[7] G. VATTIMO “La società trasparente”, Garzanti, 1989.

NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q     H        Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-
H è falsa

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA: considerazioni provocatorie a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA
Considerazioni provocatorie
a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perché riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perché conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perché il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perché funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988

FRATTALI, LOGICA E SENSO COMUNE: CONSIDERAZIONI IPERBOLICHE del dott. Piero Pistoia,… post aperto ad altri contributi (Soldateschi)

Curriculum di piero pistoia

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FRATTALI, LOGICA E SENSO COMUNE: CONSIDERAZIONI IPERBOLICHE
I germi di una nuova Educazione    del DOTT. PIERO PISTOIA

RIASSUNTO

La scoperta di un mondo disseminato di “turbolenze”, non solo individua la necessità di un nuovo paradigma per la Scienza, ma avrà certamente riflessi non trascurabili nell’ambito sociale, didattico-educativo e, prima o poi, sul senso comune. Il sillogismo di reminiscenza aristotelica con le sue estensioni simboliche (scienza attuale) è indicabile come con-causa della grave situazione del Pianeta, per mancanza, connaturata al pensiero occidentale, di “responsabilità” che può nascere solo all’interno di una “ecologia profonda”.
Una tale presa di consapevolezza fa intravedere l’uscita dalla “trappola” della nostra inadeguatezza conoscitiva (vedere post sulla trappola di Witgenstein).
Dal profondo del tempo riecheggiano suggerimenti di antiche filosofie orientali che propongono, a fronte dell’azione separatrice e semplificatrice della ragione occidentale, un controllo, anche se rituale, della COMPLESSITA’, unico aspetto rilevante in un mondo in balia del caso.
Si perviene ad accennare ad alcuni aspetti significativi del nuovo paradigma correlato al Caos Deterministico, precisando le differenze con la tradizionale visione del mondo, in cui per lungo tempo ha dominato quasi incontrastata la causa efficiens e la legge dell’energia.
In questo contesto si pongono le basi per un nuovo modo di educare, che veda l’uomo più tollerante, in direzione di un superamento della stessa tolleranza, per mantenere attivo e stimolante il “dialogo interno”.

PREMESSA

Lo scopo di questo intervento è quello di forzare, onde suscitare perplessità, curiosità e quindi dibattito, alcune posizioni rilevabili all’interno di quella parte della Cultura Occidentale che permette spiragli all’influsso del Pensiero Orientale, ponendo qua e là interrogativi sulle possibili direttrici che vengono a dischiudersi.
La nuova visione del mondo che ne deriva lascia intravedere nuovi percorsi e orientamenti anche in ambiti educativi: per esempio, l’”apertura” dei “Tecnicismi” alla “qualità”, alla “Storia” e alla “Narrazione (25)”. Pur nelle differenze riscontrabili fra i diversi autori, all’interno dell’ Io plurimo di Bencivenga (5), dell’ Io a più tradizioni di Feyerabend (24), della Mente a più dimensioni di Bruner (26), il “racconto” scambiato fra i diversi personaggi non riguarda solo il fisico, ma coinvolge, fra gli altri, il filosofo, lo psicologo, il sociologo, l’artista e forse anche lo shamano.
Queste nuove pulsioni non devono essere rifiutate a priori; scandalizzarci se ci ritroviamo a rivestire ancora il ruolo di “apprendista stregone” (sensu stricto) (16), non risolve i problemi!
Il nuovo non deve essere ignorato per troppo tempo in nome di vecchi paradigmi, ma va vagliato, filtrato, trasformato in “narrazione interna” e successivamente, per tentativi guidati, calato nell’attività didattica a qualsiasi livello: i ricercatori di domani non si chiameranno più Fisici, Matematici, Etologi, Epistemologi, Artisti…., ma Filosofi della Natura, nella accezione letterale delle parole, come nei tempi lontani !

I PROBLEMI PLANETARI E I LIMITI DEL “SILLOGISMO STRUMENTALE”

Oggi siamo tutti d’accordo nell’ammettere che il Pianeta Terra è sofferente insieme a tutte le specie viventi che vi coabitano. E se è vero che si tratta dell’Organismo Gaia (1), con i suoi potenti sistemi di autoregolazione, è anche vero che sta oscillando oltre i limiti per riassorbire le sue variazioni interne e ci aspettiamo prima o poi la catastrofe.
La coltre di protezione atmosferica si sta lacerando, le soglie critiche degli inquinanti, rifissate continuamente dai diversi Stati, fanno fatica ormai a rincorrere il progressivo inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua, dolce e salata; il manto verde, l’unico filtro attivo che trasferisce praticamente l’unica energia primaria, quella solare, al pianeta, è ridotto a brandelli, vuoi per l’intensiva deforestazione, vuoi per l’ambiente sempre più asfittico in cui la vegetazione costretta a vivere. Migliaia di specie animali e vegetali sono già scomparse e migliaia spariranno nel prossimo futuro. Se è vero quello che afferma nell’ultimo suo libro il sociobiologo Wilson di un equilibrio armonico adattivo e geneticamente impresso, magico e telepatico, fra tutte le specie viventi (2) l’estinzione di migliaia di esse potrebbe disturbare fortemente la psiche umana, oltre naturalmente ai gravi effetti sul corpo provocati dalla critica situazione nel suo complesso.
In questa età della tecnica avanzata, le nostre azioni possono ripercuotersi ben oltre il “qui” e l’ “ora”, facendo sorgere difficoltà nel tener conto di conseguenze lontane dal nostro agire; ne derivano “il principio di responsabilità” (6) (28) e il concetto di “sostenibilità” (7), che si riferiscono a coloro che nel futuro potranno sopravvivere o no secondo il nostro comportamento attuale.
Gli uomini dal loro canto continuano a balbettare di formule e a brancolare presentando tentativi a caso e qua e là progetti parziali per risolvere problemi immediati (targhe alterne, limitazione di specie cacciabili, limitazione della produzione di bombolette spray…), mentre continuano a blaterare nel linguaggio del profitto, dell’economia, dell’interesse personale e di specie (la maggiore longevità è un bene? (3)).
Come siamo potuti arrivare ad una situazione come questa, nonostante il nostro grande cervello, le nostre logiche simboliche e la nostra scienza di avanguardia?
Quando iniziammo a costruire il nostro artificiale mondo tecnologico, avevamo le nostre certezze logiche, eravamo sicuri che le cose sarebbero andate per il meglio e che comunque la Terra e il Cielo erano nostri, erano stati creati per noi, a nostro favore, per il nostro godimento e diletto.
A nulla valsero le proteste, per esempio, degli Indiani d’America che continuarono a gridare, finchè non li fecero tacere estinguendoli praticamente come razza, che la Terra era della Terra e che su questo Pianeta e in questo Universo niente ci apparteneva (4)!).
Ma noi sapevamo già controllare la materia e l’energia (senza sapere che cosa davvero fossero!) e, giocando con esse come un bambino con una bomba, abbiamo continuato col nostro metodo, allora giudicato infallibile, del “Sillogismo strumentale a corto raggio” (5) di reminiscenza aristotelica, con tutte le sue amplificazioni simboliche. In questa prospettiva l’Io e la Mente non esistono o sono ridotti ad un complesso computer-cervello che con i suoi terminali e il suo software “tocca” il mondo, analizza e “razionalizza” i dati. Il funzionamento di questo metodo è del tipo: voglio raggiungere il fine X; per questo ci vuole il comportamento Y; metto in atto il comportamento Y. Certamente quasi tutti i lettori giureranno sulla sua efficacia! Infatti ancora oggi tale ragionamento va per la maggiore, sostenuto, come è stato, dal dominio dell’Analisi Matematica e della Meccanica Razionale per quasi tutto il dopo-guerra e non solo, dominio mantenuto dalla potenza delle equazioni lineari, che ammettevamo fossero le equazioni del Mondo.
Questo “monismo” riappare stranamente a partire dal “dualismo gerarchico” di Descartes, che, come afferma V. Hosle (6), svaluta e riduce la “res exstensa” (mondo naturale, le bestie e il corpo umano) a vantaggio della “res cogitans”, aprendo un baratro profondo fra i due aspetti della realtà e dischiudendo la porta al dominio dello sfruttamento della natura da parte dell’uomo, ridotto in pratica solo alla sua mente. Così la Filosofia ha dato un contributo non secondario al sorgere e all’affermarsi della visione del mondo propria dell’Occidente, che è alla base del progresso tecnico-scientifico, ma ugualmente del processo di distruzione della natura. Il pensiero simbolico dell’uomo, riflesso della sua capacità di Auto-consapevolezza – afferma Fritjof Capra nel suo stimolante libro (7) che riassume un dibattito con due religiosi su mente, corpo, universo e Dio – comporta la tendenza alla proiezione lineare su tempi lunghi, che spesso conduce alla distruzione di qualche tipo di ambiente. Solo quando la parte si rapporta al Tutto, quando la libertà, che corrisponde alla parte e all’esercizio della ragione, si pone con saggezza a disposizione del Tutto (responsabilità (28)), allora la nostra scelta di vita sarà in armonia con la Natura. Un dubbio comunque permane: l’armonia della parte col Tutto è raggiungibile con la ragione? Nel migliore dei casi come possiamo essere “responsabili” se non conosciamo razionalmente le conseguenze delle nostre azioni? Non si aprono forse spiragli alla visione dei mistici, che riflette l’idea di un uomo che diventa parte della Natura alla ricerca di un Dio immanente (Spinoza) o trascendente verso l’interno (S. Agostino)? Non sta forse qui la distinzione fra ecologia superficiale, permessa dalla scienza saggia e illuminata, e ecologia profonda?
Lo stesso filosofo Hosle parla di “idealismo oggettivo”, che situa “lo spirito nella natura e la natura nello spirito”, di rivalutazione ontologica e poi etica della natura, di una natura non riducibile a mera oggettualità e in qualche modo soggetto di diritti.
Sulla stessa linea di pensiero, P.Feyerabend nel suo stimolante articolo (29) argomenta con astuzia come il mito, la scienza e l’arte siano tutti prodotti della Natura, creati in condizioni particolari, corrispondenti ad atti di individui, gruppi culture, dotati di qualità complesse e spesso non ben definibili. La Natura è attiva e reagisce (tramite processi istintuali?), producendo arte e scienza, a certe condizioni costituite da interventi umani, “oggetti” diversi dipendenti da essa e da queste stesse azioni.
Il processo di costruzione di opere d’arte, miti e dèi, opinioni scientifiche e progetti di esperimenti… è il risultato provvisorio di un’evoluzione storica complessa e caratterizzata da idiosincrasie imprevedibili, che appaiono solo a posteriori (impossibilità di individuare la frontiera fra corpo e mente, fra Uomo e Dio ecc.). Così anche se nè la Natura nè il Dio
potranno mai essere compresi fino in fondo, queste condizioni catalizzanti la reazione naturale avranno una certa autonomia attribuibile a individui singoli o intere culture, che però rappresentano solo un dono transitorio e non un presupposto assoluto di qualsiasi pensiero o azione. Ne derivano diverse teorie del mondo ugualmente reali nella prospettiva di un relativismo ontologico. Tornano così gli dèi; gli dèi omerici e gli altri. Dèi, i quarks, le particelle-onde… riempono il Cosmo e occhieggiano fra le pieghe dello spazio-tempo di una Natura che, capace anche di produrre dèi acquista caratteristiche ‘personali’: è deus-sive-natura, per dirla con Spinoza.
L’errore fu proprio questo, cioè di pensare che il futuro fosse prevedibile e previsto linearmente dal passato. La certezza che il sole sorgerà domani, è stata la proposizione paradigmatica che ha provocato il disastro! Avevamo le nostre condizioni iniziali, che ritenevamo sufficientemente conosciute, avevamo le nostre equazioni, costruimmo così “secondo logica” il nostro mondo artificiale su cui giuravamo e le previsioni erano rosee. Eravamo proprio in buona fede, ma non ci accorgemmo della trappola in cui eravamo. Il processo conoscitivo avviene infatti attraverso una successione di trappole “per mosche”, a guisa di una nassa da pesca indefinita. La trappola per mosche, la cui metafora rappresenta la nostra attuale inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi, è costituita da una bottiglia con la sommità a imbuto rovesciato. Come sottolinea L. Wittgenstein (8), scopo principale dell’epistemologia è appunto “mostrare alla mosca la via d’uscita dalla trappola”, uscita che, dall’interno, appare come una pericolosa strettoia ancor più difficile da affrontare della situazione di trappola (9). P. Watzlawick, curatore del libro (9), continua, nel senso della metafora di Wittgenstein, affermando che l’unica soluzione al dilemma della mosca è convincerla a cercare nelle zone che a prima vista sembrano le meno probabili e più irte di pericoli. Il mondo lineare costruito dall’uomo è un progetto all’interno della trappola: l’adeguatezza nell’immediato non garantisce e non garantì altrettanta adeguatezza nel futuro, che oggi è il nostro presente! Le nicchie ecologiche infatti esplosero (eppure al tempo e per un lungo tempo le specie vissero floride!), l’atmosfera si è strappata, la sintesi clorofilliana è sofferente, le cappe grigie sulle megalopoli sono indice di morte.
Forse non fu uno sbaglio, ma un errore (una specie di sbaglio in buona fede, per ragioni indipendenti dal soggetto), forse non si tratto di colpa, ma certamente di grande presunzione!
Nel pensiero orientale queste ragioni, oggi riaffiorate, si perdono nel buio dei millenni. Le relazioni di causalità e quindi le leggi scientifiche trovano la loro validità solo all’interno dei laboratori con le loro incisive restrizioni, afferma Jung nella sua introduzione a I CHING (scritto ben 6000 anni fa, molto prima dei libri biblici!) (27). “Se lasciamo che la Natura faccia da sè… ogni processo subisce interferenze parziali o totali ad opera del caso, in misura tale che, in circostanze naturali, un corso di eventi conforme a leggi rappresenta quasi un’eccezione”. Anche se Jung sembra si riferisse solo al semplice “rumore di fondo” e non al “caos” provocato annidato anche nelle pur semplici leggi fisiche, la sua intuizione rimane profonda.
Alla fine del secolo scorso, lo stesso Nietzsche, “profeta del futuro”, ritiene che l’uomo, se Dio è morto e con Lui ogni ragione, debba abituarsi a vivere in un mondo senza fondamenti e perpetuamente scosso da cambiamenti; non c’è fondamento (nihilismo) perchè tutto è divenire a caso. H. Poincarè, all’inizio del secolo (9), colpì praticamente nel segno affermando che la conoscenza approssimata delle condizioni iniziali può provocare errori enormi nei fenomeni finali e le previsoni si perdono così nel mare tempestoso del caso.
Anche se un evento è imprevedibile, si legge nel libro I CHING, possiamo però osservarlo in tutte le sue potenzialità, nella sua “totalità”; ciò che conta è la “configurazione” che gli eventi accidentali assumono al momento dell’osservazione (sincronicità junghiana contrapposta al principio di causalità) e non le ragioni ipotetiche che apparentemente rendono conto delle coincidenze. Mentre la mentalità e la ragione occidentale tendono a vagliare, pesare, scegliere, classificare, separare e semplificare, l’immagine, che l’orientale si fa del momento, racchiude ogni cosa fino al più minuto e assurdo particolare, perchè l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti, comprese le condizioni psichiche degli osservatori (il Complesso a fronte del Semplice della ragione occidentale). Le corrispondenze fra microcosmi e macrocosmi, fra mappe mentali e ambiti di natura, animano gli oggetti dell’Universo mobilizzando coincidenze e affinità (l’oracolo de I CHING funziona, afferma Jung, perchè l’”esagramma” a differenza di altri”indicatori di istante” (orologi, calendari…) partecipa con più intensità alla qualità del momento diventandone l’emblema e così funzionano le sperimentazioni di agopuntura e gli altri interventi di medicina alternativa!). “Qualsiasi cosa nasce o viene fatta in un dato momento, ha le qualità di questo istante del tempo” afferma C.G.Jung in più occasioni e i momenti possono lasciare tracce di lunga durata (vedere anche il post “Alla ricerca di un metodo di conoscenza alternativo”).

IL CAOS DETERMINISTICO: SUGGERIMENTI EDUCATIVI

Che cosa sappiamo oggi di nuovo? Che cosa abbiamo imparato? Col senno di poi si intravede l’uscita dalla trappola, speriamo che non sia troppo tardi.
Oggi, naturalmente in ambito accademico, la proposizione “domani sorgerà il sole” non solo è una proposizione non fondata logicamente, illogica (critica humiana all’induzione), ma è proprio falsa!
La convinzione illuministica sosteneva che l’uomo poteva, almeno in linea di principio, prevedere e magari controllare gli eventi futuri. “Datemi lo stato attuale dell’Universo e vi predirò il futuro” pontificava Laplace.
Questo determinismo illuministico si rafforzò nei secoli successivi non solo con gli sviluppi della Meccanica Classica e Razionale, ma anche con la scoperta dell’Elettromagnetismo, con l’avvento della Relatività e, caso strano, col lo stesso trionfo della Meccanica Quantistica, anche se per quest’ultima il discorso si fa particolare. Nonostante che essa sia una teoria intrinsecamente probabilistica, data la sua natura stabile, ci permette di prevedere il futuro in un certo modo (10). Date le leggi del moto e lo stato iniziale Fi(0), è possibile, almeno in linea di principio, prevedere lo stato futuro Fi(t) al tempo t, anche se conoscere Fi(t) significa solamente conoscere la probabilità che eseguendo una misura su una data grandezza al tempo t, si ottenga un determinato valore. Nel “lancio del dado quantistico”, anche se non può essere previsto un singolo caso, possiamo conoscere con precisione assoluta quale sarà in ogni momento la nostra probabilità di vittoria (33).
Da circa vent’anni invece si sta minando la certezza di poter prevedere e non solo ai livelli del Principio di Indeterminazione della Meccanica Quantistica, ma proprio all’interno della Meccanica Classica deterministica che, fino ad ieri, era capace di predire il futuro!
Quando Jung, nell’introduzione a I CHING nel 1949, fece riferimento al Principio di Indeterminazione non poteva certo prevedere quanto fondate fossero le proprie previsioni: tale principio si estende in qualche modo anche alla Meccanica Classica!
I germi dell’imprevedibilità sono stati addirittura scorti già all’interno di sistemi semplici come il lancio di un missile sulla luna o di un satellite in orbita. Anche se il missile cade davvero sulla luna e il satellite descrive l’orbita, queste soluzioni relative alle equazioni del  moto non sono esatte, riguardando sistemi dinamici a più di due corpi, anche se, nella fattispecie, le diverse traiettorie possibili quasi mai si allontanano molto fra loro, mantenendo quasi sempre la prevedibilità di fatto (assenza di Attrattori Strani e “Attrattori all’infinito” (34), che invece giocano un ruolo non trascurabile quando il sistema si fa più complesso).
Le due equazioni non lineari che costituiscono le così dette correlazioni di Henon (11) possono rappresentare infatti oggetti orbitanti intorno al Sole (per esempio, satelliti, asteroidi…) e le corrispondenti “orbite” nello spazio delle fasi presentano talora aspetti caotici, anche se non siamo in presenza di un vero e proprio Attrattore Strano, dato il carattere non dissipativo di questi moti. Si notano infatti “isole” che rappresentano, nel caso di oggetti orbitanti, bande di risonanza dovute a perturbazioni nell’orbita provocate da corpi di maggiori dimensioni presenti nel sistema solare come Giove e sfilacciature e spruzzate casuali di punti fino a sfociare nel vero e proprio caos. Nelle regioni caotiche le grandezze, che sono le coordinate nello spazio delle fasi e che individuano lo stato del sistema ad ogni istante (per esempio, velocità radiale e distanza dal sole), variano a caso, il movimento si fa imprevedibile e “praticamente può accadere quasi qualsiasi cosa”. Se poi il sistema diventa appunto più complesso (fenomeni biologici, chimici, economici, sociali e ecologici) la prevedibilità diventa sempre più scarsa (in metafora, il missile mancherà certamente la luna) e le equazioni differenziali diventano sempre meno lineari. Impossibili allora saranno gli interventi per correggere la “traiettoria” durante l’evoluzione del sistema come accade per missili e satelliti.
La nuova scoperta, che si configura come una vera e propria rivoluzione del pensiero, un nuovo paradigma strano e impensato, e che individua l’uscita dalla trappola, consiste nel fatto che le regole e le leggi della fisica classica, perfettamente deterministiche, possono produrre un moto completamente caotico e assolutamente imprevedibile (Caos Deterministico).
Si dice infatti che si ha una situazione di Caos quando le equazioni del sistema  diventano non lineari e una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie di errore, provocherà prima o poi soluzioni impreviste e non prevedibili. Il caos non nasce così da processi stocastici, ma è associato a
comportamenti casuali generati da leggi deterministiche (13). Una esatta prevedibilità in sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe assegnare numeri reali alle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali, il che implicherebbe misurare quantità fisiche con precisione infinita. Anche un computer grande come l’intero Universo esaurirebbe la capacità di calcolo. Così anche lo stesso Universo, il simulatore più veloce di se stesso, non sarebbe capace di calcolare l’evoluzione futura neppure di una piccola sua parte, lasciata libera (33) (si ritrovano così le conclusioni di Jung). L’Universo acquista caratteristiche personali, diventa autenticamente creativo, capace di far emergere un “nuovo”, non implicito nei suoi stati pregressi e riposto nell’immaginifico dei numeri reali (33). L’Universo, nel suo complesso, dotato di capacità creativa e in qualche modo di libero arbitrio, potrà allora considerarsi non solo un essere vivente, nel senso della “macchina autopoietica” degli accademici H. Maturana e F. Varela (36), ma addirittura un vero e proprio essere pensante, capace di creare arte e scienza nell’accezione di Feyerabend (29)?
La turbolenza amplifica anche una modificazione piccolissima (una fluttuazione microscopica) fino a renderla macroscopica (qualche centimetro) in breve tempo (14).
Dove c’è turbolenza (per es., fenomeni climatici), variazioni di appena un centimetro (battito di ali di qualche insetto), possono interessare nell’arco di un giorno distanze dell’ordine di decine di chilometri, cioè, per es., perturbare l’atmosfera in un temporale locale. In una o due settimane la stessa variazione di un centimetro iniziale, potrebbe ribaltare completamente la struttura metereologica dell’intero pianeta, cambiando completamente la faccia della terra (effetto farfalla). Così un aumento, per esempio, dello 0.1% dell’inquinamento di un fiume quasi mai porterà ad un peggioramento solo dello 0.1% delle condizioni ecologiche; se ci troviamo vicini all’ “impennata”, il danno ecologico potrà essere enorme e catastrofico (problema dei microinquinanti)! Per non parlare delle analisi chimiche delle acque, che, sempre più spesso, un giorno risultano potabili, un altro, non potabili, per esempio, per eccesso di magnesio, un altro ancora, per eccesso di solfato di calcio o addirittura arsenico, rendendo impossibile la previsione anche a breve termine della potabilità!
Oppure, perchè gli stessi interventi idrogeologici sul bacino dei fiumi, che prima funzionavano, ora non reggono più le piene e le inondazioni diventano ogni anno sempre più pericolose? E’ inutile colpevolizzare amministratori e tecnici: la colpa è nei nostri modelli di previsione, che continuano a vedere situazioni lineari in un mondo che improvvisamente è diventato non lineare.
Per dirla con uno dei maggiori poeti della Val di Cecina, la poetessa Giannina Prato Zanella, “…l’incognita negli strati delle ere/…fa uno sberleffo al rigore della matematica” (dalla poesia “Colline Metallifere”).
”Io vedo sotto il sole”, si legge nell’Ecclesiaste (9,11), “che non è degli agili la corsa, nè dei forti la vittoria, nè dei saggi e di chi ha intendimento le ricchezze, nè quelli che hanno conoscenza hanno favore, perchè il Tempo e l’avvenimento imprevisto si frappongono a tutto”.
L’affermazione di E. Morin (15) che “le forme a priori sotto il profilo ontogenetico sono a posteriori sotto quello filogenetico”, una specie di legge di Haeckel sul piano mentale, verrebbe a significare quindi che le teorie e i modelli “inventati” dal cervello umano sono in grado di funzionare ed adattarsi (fitting, ma non matching (16)), in termini di comprensione, spiegazione e modifica, al mondo – alla cui evoluzione lo stesso cervello era partecipe – attraverso un processo di dematerializzazione (17), mediato da sistemi di rappresentazione sempre pi simbolici e codificati. Il fine ultimo di questo processo sembrerebbe essere la costruzione “a cipolla” (18) di un oggetto complesso dotato di memoria e percezione, che ricorda quel vertiginoso concentrato magico del mondo che è la monade leibniziana. Dire questo però non vuol significare che questa congerie di materia e spirito risulti in armonia con la Natura (mancanza di corrispondenza o assenza di matching), visto, da una parte, le infinite strade percorribili che si aprono ad ogni stadio (Costruttivismo Radicale in alternativa al Razionalismo Critico di Popper), implicanti continue scelte (“se hace camino al andar….Caminante no hay camino, sino estelas en la mar” A. Machado (19)), e dall’altra, la “turbolenza” che forse aumenta col tempo in funzione dello stress cui continua ad essere sottoposta la Natura. L’approssimazione lineare è peggiore quando il sistema sta per “rompersi”!. Una tale visione del mondo esclude che la causa efficiens (l’energia) da sola spieghi tutto. Non ci si accorse che questo errore avrebbe portato all’impossibilità di “districarsi dal circolo vizioso di tecnocrazia, espansione, corsa agli armamenti, potere e paura” (16), aspetti che continuano a germogliare sulla “presunta misurabilità dell’efficienza, della produzione, della comunicazione e perfino dell’intelligenza”. La negazione conseguente di qualsiasi fine (causa finalis (20)) sta privando l’uomo e la sua civiltà di qualsiasi significato.
Sarebbe allora molto facile per un Demone interferire “di brutto” negli affari umani ed è difficile pensare che non sia così! Basterebbe una modificazione energetica minima! Lo spazio dell’imprevedibile, la zone d’ombra nel futuro per la ragione, aprono possibilità al ritorno di nuove mitologie, delle religioni e della fede. Non siamo forse portati a pregare
quando qualcosa sembra piombarci addosso a caso? Gli dèi sono stati davvero smascherati come illusioni? Sono le argomentazioni o la storia, con le sue idiosincrasie, a rendere la vita difficile agli dèi? Perchè gli dèi si possono rintracciare difficilmente con l’esperimento? Afrodite davvero non esiste in nessun luogo o, con le caratteristiche che le attribuisce Omero, riesce tranquillamente ad eludere i metodi sperimentali inventati per scoprirla, che invece, un metodo diverso per ogni “oggetto”, bene individuano s.l. pianeti, elettroni, quark, ecc.? Le idee della scienza spiegano epidemie, terremoti, inondazioni e tempeste meglio delle idee contenute nei miti?
P.Feyerabend argomenta e risponde, non senza una nota di sarcasmo, a questi stimolanti interrogativi (29), concludendo che “l’asserzione che a molti dèi contrappone una natura unitaria descritta dalle scienze e studiata in dettaglio non è un’affermazione fattuale, ma un postulato metafisico”!
L’Uomo, novello Prometeo, libera e riattiva, nell’emisfero destro della sua mente “bicamerale” (31), quel canale previlegiato di comunicazione empatica con il Cosmo forse attivo all’alba della sua origine, come già tentò G. Bruno pagando con la vita (32), onde poter ascoltare di nuovo la “voce degli dèi”.
Gli umani tornano ad essere umani! Dopo secoli di dominio più o meno incontrastato della ragione, oggi si aprono spazi incontrollati che, al momento, sembra che la ragione non potrà mai più recuperare completamente. All’interno di questa nuova trappola però rimarranno per questo paradigma imprevedibili i singoli stadi evolutivi, è facile che pure qualche previsione sarà permessa magari di tipo globale, nel senso che qualcosa accadrà oppure no.
Contro la complessità di un mondo fenomenico imprevedibile abbiamo scatenato uno strumento matematico altrettanto complesso e imprevedibile: le equazioni non lineari le cui soluzioni, non analitiche, riportate su piani cartesiani opportuni, danno vita a figure geometriche strane e complesse, i frattali, figure che in qualche modo, si pensano adeguate a controllare l’evoluzione dei fenomeni stessi.
La nuova adeguatezza (fitness) del paradigma legato al Caos Deterministico provocherà in qualche decina di anni le nuove certezze, le nuove sicurezze, le nuove “verità”. Noi però non dovremo mai crederci fino in fondo, nonostante i successi che ci saranno: saremo ancora dentro una trappola e tutto il nostro interesse sarà nuovamente di uscire per predire meglio (9).
E’ in questa ottica che si individua una relazione stretta fra sistemi di non-equilibrio (Caos), irreversibilità, Freccia del Tempo (vedere post relativo sul blog) e probabilità (Prigogine (37)). Nel passato l’irreversibilità fu considerata dipendere dalle nostre approssimazioni, dalla nostra ignoranza e dai limiti della nostra pazienza (Feynman (38)): le leggi della natura sono sempre reversibili e, a guisa del pensiero di Dio, guardano nello stesso modo al presente, al passato e al futuro. L’irreversibilità e la freccia del tempo sarebbero così illusioni.
Con la struttura di non-equilibrio si rivaluta l’evento, la creatività e il “nuovo” non previsto (aspetti caratteristici fino ad ieri della vita e oggi anche della non-vita). L’evoluzione di questi sistemi lontani dall’equilibrio (che nell’Universo rappresentano la norma e non l’eccezione), presentano biforcazioni simmetriche labili in situazione ideale, soggette a rompersi al variare minimo delle condizioni iniziali (le biforcazioni e la rottura delle simmetrie rappresentano il nuovo e la creatività).
L’irreversibilità porta così a nuovi fenomeni di ordine, cioè ad una miscela di determinismo e probabilità.
Mentre nei fenomeni di equilibrio (es. cristalli) ogni elemento della struttura “sente” solo quelli vicini, nelle situazioni di non-equilibrio si hanno correlazioni a lunga portata che hanno reso possibile la vita e il cervello. Bisognerebbe attribuire il funzionamento della vita alla nostra ignoranza? Per vedere come questi nuovi concetti abbiano influito sulle
Teorie Evolutive, vedere E. Laszlo (39).
I fenomeni irreversibili non si riducono così ad un aumento di ”disordine”, come si pensava prima, ma al contrario hanno un ruolo costruttivo importantissimo (il tempo che crea di Bergson!). Così l’irreversibilità non sarà più collegata alla nostra ignoranza e all’aumento del disordine, ma alla struttura delle leggi della dinamica classica o
quantistica riformulate per i sistemi instabili e caotici (lavoro intrapreso da I. Prigogine).
Per tener conto delle limitazioni della fisica attuale, altri autori hanno introdotto nelle leggi quantitative parametri di forma (come il parametro PSI di E. Laszlo (42)): così la qualità, da tempo esecrata, entra di nuovo e a pieno diritto nel mondo della conoscenza umana.
Intanto il nuovo paradigma ci insegna che le attività di pensiero rivoluzionarie, che sempre servono per uscire dalle trappole e passare a teorie più adeguate (9), devono ora essere considerate attività normali, quotidiane, di interesse comune: ecco i nuovi germi per un’educazione rinnovata.
Staremo tutti di gran lunga più tranquilli (affermava il biologo teorico R. M. May) se più persone, non solo nel campo della ricerca, ma anche nel mondo quotidiano della politica, dell’ economia amministrativa e dell’educazione, capissero la non linearità dei sistemi con i quali operano e che semplici sistemi non lineari non possiedono necessariamente semplici proprietà dinamiche (21) (35), nel senso dell’estrema delicatezza, in ogni caso, del processo del prevedere.
In un mondo non lineare, dove zone di caos possono essere disseminate ovunque nel corso della sua evoluzione imprevedibile di principio, è meglio tenere in ballottaggio vari tipi di posizioni e di punti di vista, mutuati dai pensieri degli uomini attuali (5) e passati e non solo degli uomini (memoria biologico-culturale, memoria storica del cosmo). Il soggetto a più sistemi di riferimento, l’ “Io” come plurale, come molti, è il dialogo stesso, il dramma (5) recitato dagli innumerevoli personaggi sorti dalla memoria del mondo (22), dalle molteplici tradizioni e punti di vista (23).
Attraverso l’incessante interrogarci e risponderci con la consapevolezza che nessuna risposta sarà definitiva e nessun interlocutore interno previlegiato, si lancia la Storia, la Tradizione, il Passato evolutivo più profondo contro il Futuro, in una esplosione di innumerevoli e contrastanti indirizzi, vere e proprie opere d’arte nel campo della scienza, del sociale e della vita.

Dal suo punto di vista, già lo stesso filosofo francese J.F.Lyotard sosteneva (30) che non solo marxismo, democrazia e liberalismo, ma anche la stessa scienza, che da sempre si autoproclama conoscenza oggettiva e razionale per eccellenza, non è altro che una “grande narrazione”, mitologia travestita, se è vero che condivide con l’Illuminismo il mito del progresso incessante e garantito dell’umanità e che la sua fondatezza razionale non è superiore, come afferma Feyerabend, ai saperi non e pre-scientifici (il fare scienza degli scienziati non obbedisce ad alcun criterio razionale). In tal senso il linguaggio, il discorso, il sapere altro non esprimono che la volontà di potenza, quella stessa volontà di potenza di cui parlò F.Nietzsche e che M.Heidegger ha visto dispiegarsi nella nostra età della tecnica. L’anarchia dei diversi discorsi trova la possibilità di esprimersi per la prima volta senza essere subito soffocata dalla pretesa di un discorso di presentarsi più razionale degli altri e per questo espressione di volontà di potenza. Oggi le differenze rifiutano di riconciliarsi a sintesi!
Certamente i sistemi di riferimento ortodossi (sostenuti dalle varie televisioni, rimbalzati da una testata di giornale all’altro e da un bar all’altro), specialmente se collegati da una omogeneità di fondo, sono quelli a più alto rischio, che spingono nella trappola precedente.
Risalendo lungo un ramo di iperbole, sarà allora meglio considerare più attendibili per il futuro i punti di vista che riteniamo più strani ed assurdi, quelli che nella trappola precedente venivano sostenuti, nell’ambito della conoscenza, dagli isolati, dalle minoranze più malviste ed aggredite, dagli “shamani” e dalle ”streghe”?. Ciò che appare oggi poco strumentale, apparentemente non finalizzato, poco adeguato ai dati letti dalle nostre teorie più accreditate, forse anche dannoso (esempio caccia), domani può improvvisamente risultare armonico, adeguato efficace e salvare il mondo e con esso noi stessi (la caccia con i suoi archetipi catalizzanti (20)). Non commettiamo più gli sbagli dei nostri predecessori logici e razionali dai quali abbiamo ereditato questo pianeta malato! Se è vero che il sonno della ragione genera mostri, somministriamole qualche tranquillante!
Insegnare per formare menti “adatte” è un procedimento certamente non lineare che si applica a situazioni estrememente complesse. L’evoluzione della mente e delle conoscenze all’”interno” di essa si configura come evoluzione di un sistema estremamente complesso, fortemente sensibile alle azioni esterne e quindi scarsamente prevedibile. Dall’altra parte la stessa società è controllata da equazioni non lineari e perciò soggetta a divergenze esponenziali, divenendo sempre più difficile omologare cittadini adatti alle società del futuro.
L’oggetto mente/cervello per la sua possibilità di gestire quantità enormi di simboli, in continua interazione con la super-sfera del terzo mondo popperiano, comporta per il soggetto umano un intreccio di algoritmi assai più libero, indeterminato e arbitrario di qualsiasi altra specie (I. Illich, (40)). Ciò obnubila la possibilità di una percezione immediata e univoca dei segni della Natura, portando ad un mondo a-biologico, la cui appartenenza al mondo naturale diventa un requisito nullo o trascurabile (ragione distante dalla biologia e dalla Natura). La sezione razionale operata dalla ragione taglia i “nessi” e si perde il senso ecologico profondo. Sembra allora che solo il sistema inconscio rimanga a difendere ancora l’appartenenza alla logica del vivente: se vogliamo valorizzare l’aspetto biologico-naturale dell’uomo, dobbiamo renderci consapevoli, anche in termini educativi, delle dinamiche sottese ai processi istintivi e archetipici.
Si propone così in sede pedagogico-didattica una multimetodologia che preveda per la stessa disciplina un’azione educativa che si esplichi in vari modi e secondo diversi metodi. Lo stesso metodo che vede il razionalismo critico popperiano come sua base teorica e che proprio ora – ironia della sorte! – inizia anche in Italia la sua diffusione ufficiale e consapevole, non sarà produttivo a lungo, dovendosi favorire “un metodo senza metodo”, un modo libero ed anarchico, anche se geniale e creativo, di intervenire sul mondo, di inventare modelli di interpretazione anche fantasiosi, vere opere d’arte, per “rileggere” il dato sperimentale e costruire nuovi fatti e informazioni al fine di formulare idee non precostituite nella scienza, nell’arte, nella storia e nella vita.
Il fatto didattico-educativo non deve prevedere processi lineari e precostituiti (programmazione a più vie?), che condurrebbero sempre, anche nel migliore dei casi, alla “banalizzazione” (J. Foerster in S. Manghi (41)), nè gli inputs devono condurre all’”esattezza”, ma alla “complessita’”: le idee trasmesse non sono da proporre come “informazioni”, ma come ”perturbazioni”. Le prove scolastiche tradizionali più che un mezzo per misurare il grado delle conoscenze, in questa ottica, si ridurrebbero ad “un mezzo per misurare il grado di banalizzazione”. Chi ha successo nella scuola tradizionale, avrebbe subito un insegnamento banalizzante e per questo prevedibile. Un punteggio massimo significherebbe allora perfetta banalizzazione, studente perfettamente prevedibile e quindi ben accetto alla società, le cui esigenze ammettiamo sempre indipendenti dal tempo. Esso non sarà fonte di sorprese, né di problemi, ma solo finché si manterrà lo Statu Quo. L’elemento informativo trasmesso deve invece perturbare il sapere in generale. E’ la perturbazione l’elemento critico che scuote lo Statu Quo, il precostituito, a proporre alternative e nuovi punti di vista sui vari campi del sapere. Una buona banca-dati, di tutti i tipi, anche i più strani, per non iniziare sempre daccapo, verrà certamente fornita dai pensieri degli uomini del passato, anche il più lontano e non solo degli uomini (la stessa etologia potrebbe fornire stimoli creativi), che, pur riempendo l’Universo di ”posti” e “oggetti” mitici e strani, non sono da ritenersi meno geniali e affidabili dei nostri migliori stamani (nella accezione letterale del termine) della scienza. Alimentiamo l’immaginazione e la creatività fuori norma, a spese del solito metodo logico-razionale freddo, amorale, scarsamente naturale (si pensi ai danni irreversibili che ha provocato al mondo!) e per nulla coinvolgente, che funziona solo nel semplice, nell’artificiale e nel ”vicino” tempo e spazio (e a volte nemmeno in queste circostanze, se ci imbattiamo in una turbolenza e ciò capita sempre più spesso!). Perturbiamo il pensiero comune di cui sono impregnati i cervelli dei giovani studenti (e non solo loro!), sollecitiamo l’inconscio istintuale o il guscio rettiliano dell’encefalo (secondo il “modello triunico” del cervello di Mac Lean), introducendo aspetti rituali nell’insegnamento (ancora lo studio etologico e antropologico suggerirà come), evochiamo dall’inconscio collettivo (o dal guscio limbico?) le brillanti costellazioni archetipiche delle grandi emozioni, che risalgono alla notte del tempo umano e determinano simboli potenti, creazioni artistiche, religioni, colossali movimenti di pensiero intuitivo.
Così si propongono nuovi giochi linguistici, si costruiscono opere d’arte e su modelli anche fantasiosi si evincono nuove informazioni dai dati sperimentali e magari si prevedono e “costruiscono” nuovi fatti. Se l’Universo fisico ed umano a tutti i livelli evolve lungo traiettorie imprevedibili e verso ordini che riflettono le geometrie dei frattali e se questo è la regola e non l’eccezione, come si credeva prima, allora non si tratterà più di comunicare le competenze tradizionali o non solo quelle, ma specialmente insegnare a “giocare” con i simboli e no, creando; forse allora prepareremo le persone giuste per un mondo che procede su linee esponenziali.
Più possibilità teniamo in riserva e più aumenteranno le probabilità di sopravvivenza e meno il nostro insegnamento sarà banale.
A differenza delle parole di una nuova canzone “Il Mostro” (Samuele Bersani), che descrive appunto ciò che la società fa agli “alieni culturali” secondo il paradigma logico-deterministico della trappola precedente, il “mostro” sarà ora allevato nel nostro seno, andrà curato e proposto a modello. Il ritornello triste: “l’unica cosa certa è il mostro ha paura” e il suggerimento pedagogico che ne consegue, sono indici di questo nuovo modo di vedere. La paura dell’alieno rappresenta infatti il rischio per noi di insuccesso, di perdere le coincidenze nel prevedere il futuro; la sua paura indica la nostra presunzione al momento, le nostre certezze infondate, il rischio certo di catastrofe. Il pensiero diverso e divergente, ancorché ribelle, strano e addirittura alieno è, e rimarrà per un bel po’ di tempo, l’interlocutore più attendibile nel dramma recitato fra i diversi personaggi che costituiscono l’Io (5).
Restando sull’iperbole, saranno allora le “streghe” a salvare il mondo? Data la natura della storia, chi sa se averle bruciate vive nel Medioevo e oltre non abbia provocato, quasi dieci secoli dopo, lungo linee di flusso di un qualche frattale, le assurde certezze dei nostri costruttori di mondi e quindi l’attuale “turbolenza” e oggi magari il rifiuto di collaborare o qualche altro aspetto non individuato! Il Male è parte della vita proprio come fu parte della Creazione; non gli si dà il benvenuto e lo si limita, ma lo si lascia sopravvivere nel suo dominio, perché nessuno è in grado di dire quanto Bene ci sia ancora in esso e in che misura l’esistenza del Bene sia legata ai crimini più atroci (enantiodromia Eraclitea)(24).
Quasi mai Logica, Ragione, Teologia e Bene astratto hanno impedito nella Storia azioni atroci e genocidi, mentre solo istinti irragionevoli come la Fratellanza spesso hanno costruito valide difese contro la violenza e l’ingiustizia. “Un procedimento il cui scopo principale è quello di sbarazzarsi di tutti gli elementi umani deve per forza condurre ad azioni inumane” (24).
Le turbolenze, i vortici, i frattali, considerati eccezioni, fenomeni secondari di disturbo, limiti trascurabili della ragionevolezza del mondo, ne sono invece i principali artefici e la regolarità sancita dalla fisica tradizionale e dal senso comune è solo un sogno e la statistica un placebo, valide forse in aree estremamente addomesticate della nostra esperienza e in molti casi neppure in quelle. Educhiamo più spesso al rischio come rischiano i bambini nel gioco; estendiamo l’attività ludica, la cui portata è di natura genetica, al pensiero dell’intellettuale adulto; non drammatizziamo più le differenze di pensiero e puntiamo su quelle anomale ed eccezionali: un mondo caotico si salva con un pensiero meno ordinato.
Quando un elettrone sparirà al limite estremo dell’Universo conosciuto, noi saremo pronti.

DOTT. PIERO PISTOIA

Vedere anche il post “FRATTALI…ED ALTRO” del dott. Prof. Loris Mannucci, che tratta l’argomento dal punto di vista fisico-matematico.

BIBLIOGRAFIA

1 – J. Lovelock “Le nuove età di Gaia” Boringhieri, 1991.
2 – E. O. Wilson “The diversity of the life” da PANORAMA, 03-01-1993.
3 – A. V. “La maggiore longevità è un bene?” da SVEGLIATEVI! 8-02-1993.
4 – A. Ortiz et al. “Miti e leggende degli Indiani d’America” CDE, 1992.
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6 – V. Hosle “Filosofia della crisi ecologica” Einaudi, 1992.
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10- G. Casati “Introduzione” da IL CAOS, LE SCIENZE quaderni, 1991.
11- A. K. Dewdney “Alla scoperta delle strane attrattive del Caos” da IL
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12- O. Casella “Fenomeni di riconduzione all’equilibrio” in DIDATTICA
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13- F. Luccio e L. Pagli “Caos” in LE SCIENZE quaderni, Sett. 1992.
14- D. Ruelle “Determinismo e predicibilit…” da IL CAOS, LE SCIENZE
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20- P. Pistoia “Origine dell’Uomo” in DIDATTICA DELLE SCIENZE, La Scuola,
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21- D. R. Hofstadter “Attrattori strani: enti fra ordine e caos” da IL
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22- H. Bergson “L’Evoluzione creatrice” dall’Oglio, 1991.
23- P. Feyerabend “Contro il metodo” Lampugnani Nigri, 1973.
24- P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando, pag. 295-310, 1990.
25- J. Bruner “La ricerca del Significato” Bollati Boringhieri, 1990.
26- J. Bruner “La mente a pi— dimensioni” Sagittari Laterza, 1988.
27- R. Wilhelm (a cura di) “I CHING” Adelphi, 1991.
28- Per approfondire il modo in cui questo senso di responsabilità umana
deve allargarsi nel tempo e nello spazio, vedere H.Jonas “Il principio di
responsabilità- Un’etica per la civilt… tecnologica” Einaudi, 1990.
29- P. Feyerabend “Dialogo con la Natura” da PROMETEO, Maggio, 1991
30- F. Lyotard “La condizione post-moderna” Feltrinelli, 1981.
31- J. Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988.
32- S. Lerner et al. “Giordano Bruno” LE SCIENZE, N.58.
33- P. Davis “L’Universo è una macchina?” in N. Hall (a cura di) “Caos”
Franco Muzzio Editore, 1992.
34- A. McRobie et al. “Caos, Catastrofi e Ingegneria” in N. Hall (a cura
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35- R. May “I ritmi caotici della vita” in N. Hall (a cura di) “Caos”
Franco Muzzio Editore, 1992.
36- H. Maturana e F. Varela “Macchine ed esseri viventi” Astrolabio, 1992.
F. Varela et al. “La via di mezzo della conoscenza” Feltrinelli, 1992.
37- I. Prigogine “Le leggi del caos” Laterza, 1993.
38- R. Feynman “La legge fisica” Boringhieri, 1971.
39- E. Laszlo “Evoluzione” Feltrinelli, 1980.
40- I. Illich “Nello specchio del passato” Red Edizioni, 1993.
41- S. Manghi “Il gatto con le ali” Feltrinelli, 1990.
42- E. Laszlo “L’ipotesi del campo PSI” Lubrina Editore, 1987.

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