COMMENTI di P. Pistoia (premessa), P.F. Bianchi e F. Gherardini ALLA POESIA “LA SOLITA ONDA”, postata, insieme ad altre 13, anche nel post “Poesie di caccia e Natura”; a cura di Piero Pistoia

Caro Francesco Gherardini,

mi piacerebbe che tu leggessi il mio commento alla poesiola allegata, “La solita onda”, quando hai un po’ di tempo e voglia, che vorrebbe tentare di “trasferire” l’onda iniziale umana, descritta all’inizio, a l’intero l’Universo . . . tramite un linguaggio simbolico inventato e criptico trasferendo simboli dalla mitologia, dalla paleontologia e altro, modificando in qualche modo i significati, Se scriverai qualcosa (in positivo o in negativo), come ha fatto il nostro amministratore Pier Francesco (leggere sopra), ti ringrazio in anticipo.

pieropistoia

LA SOLITA ONDA -> LA FILOSOFIA -> LA SCIENZA -> L’UNIVERSO

UN PREGEVOLE E POETICO SALTO!!

Del dott. prof. Francesco Gherardini

DOTT. PROF. FRANCESCO GHERARDINI

APPUNTI E CONSIDERAZIONI SULL’OPERA DI ANTONIO POMARANCIO; del dott. Francesco Gherardini

SINTESI ARTICOLATA

Leggere l’opera di Antonio Pomarancio , anche sotto la guida esperta dell’Accademica Michelotti Lepri, autrice di un libro pubblicato dalla pro-loco, non è semplice; è necessario guardare agli aspetti stilistici, formali, gustarli e cercare di risalire a quelli simbolici o teologici, inserire l’autore nella temperie storico- culturale e politica del suo tempo, pensare anche ai risvolti morali. Ogni opera d’arte in effetti è parte integrante della storia sociale, civile, culturale , religiosa del suo tempo e non può essere avulsa dal suo contesto. Dunque dobbiamo immergerci rapidamente nelle vicende che contornarono la vita di Antonio , dal 1560 al 1629.

Fu quella una stagione terribile in Europa e in Italia, avviata con l’arrivo sulla scena europea di Filippo II di Spagna , artefice della pace di Cateau Cambresis (1559) che sancì la sconfitta della Francia e la conquista spagnola di un’Italia già disastrata. Sono gli anni post Concilio di Trento , quelli della Controriforma che gettò una cappa di piombo sulle arti e le scienze, è il tempo delle lotte vittoriose contro i Turchi (la battaglia di Lepanto) per il predominio del Mediterraneo e la salvezza dell’Europa dall’invasione ottomana.

Ma è anche il periodo più tragico e sanguinoso delle lotte di religione, che registrarono nella notte di San Bartolomeo il momento più crudele , con la strage degli Ugonotti che tinse di rosso la Senna ; è anche il periodo che segna l’avvento al potere del nuovo re di Francia Enrico IV: il re che tradì la sua parte religiosa, si convertì al cattolicesimo e rese celebre il motto “ Parigi val bene una Messa” , ma anche quel re illuminato che promulgò l’Editto di Nantes , col quale finalmente tentò di porre fine alle guerre di religione e affermò il principio della libertà di culto.

Il nuovo secolo- il Seicento -si apriva col predominio sui mari e nella conseguente moltiplicazione dei commerci dell’Inghilterra e dell’Olanda, in Europa con la celebre defenestrazione di Praga e lo scoppio della guerra dei Trent’anni che dilaniò l’Europa centrale , iniziata di nuovo per contrasti di potere religioso e politico . In Italia intanto si inaugurava il nuovo secolo col processo a Galileo e con il rogo di Giordano Bruno in Campo dei fiori a Roma.

Dopo qualche decennio un grande filosofo napoletano Giovan Battista Vico nel volume “La scienza nuova” cercò di individuare un ordine nello sviluppo storico e di spiegare con la formula dei “ corsi e ricorsi” l’idea che l’Umanità percorre dei cicli storici che in qualche modo assomigliano a una lenta salita a spirale che ripercorre sempre le stesse tappe (età della barbarie, età del senso e della fantasia, età della ragione dispiegata)sempre incrementando il progresso civile ; ma in realtà oggi sappiamo che ogni epoca storica ha la sua peculiarità, è transitoria, in ognuna c’è l’eredità del passato e l’anticipazione del nuovo e non è detto che questo futuro sia migliore del recente passato.

In questo humus , che ho descritto per sommi capi, cresce Antonio Pomarancio.

Ci racconta la sua vita Giovanni Baglione (1573-1643) , uno scrittore suo contemporaneo, uno storico dell’arte che (1642) compose il quadro dei migliori artisti del suo tempo nell’opera intitolata, più o meno come quella precedente di Giorgio Vasari, “Vite de’ Pittori, Scultori, Architetti da Gregorio XIII del 1572 infino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642”. Un aspetto interessante di questo libro è lo schema di fondo che suddivide le biografie degli artisti in “giornate” suddivise per papato. Anche solo da questa ripartizione si capisce quale fosse al tempo l’importanza del Papa in Italia e in Europa. Nella prima giornata dedicata a Gregorio XIII compare Matteo Perez da Leccio (a)- che la nostra Nicoletta Lepri conosce molto bene – nella seconda di papa Sisto V si parla di Niccolò Circignani soprannominato il Pomarancio, nella quinta giornata di Papa Urbano VIII arriva finalmente il Nostro, appunto Antonio Pomarancio. Dove l’epiteto toponimo Pomarancio conta assai più del cognome Circignani che viene trascurato .

Dei tre Pomarancio Cristoforo(Cristofano) Roncalli, Niccolò Circignani e Antonio suo figlio, quest’ ultimo è forse quello meno conosciuto, ma è anche quello più attaccato all’attributo di Pomarancio al punto di aver rivendicato il titolo di Pomarancio come un marchio di fabbrica – l’orgoglio di sentirsi pomarancino, lui che era nato a Città della Pieve – con un Atto notarile come ricorda Nicoletta Lepri in questo suo libro. Relativamente meno conosciuto , in realtà molto attivo dopo la morte del padre: molte delle sue opere si trovano in Toscana e in Umbria ,nella Marche e in Emilia , a Roma, alcune sono ospitate a Copenaghen ; è considerato un importante anello di congiunzione tra manierismo e barocco; è accostato da alcuni storici dell’arte per certi aspetti formali all’ideale caravaggesco.

Frescante e disegnatore di stampe, questo era il suo mestiere. Come disegnatore di illustrazioni a bulino , di acqueforti e di intaglio su rame si avvaleva della collaborazione di grandi incisori come il tedesco Johan Frederich Greuter, più giovane di lui e come lui prosecutore delle attività del padre, il giovanissimo francese Claude Mellan, figlio di un fabbricante di lastre di rame o Johan Trotschel, professore di diritto all’Università di Padova e maestro niente meno che di Francesco di Sales.

I temi dei lavori di Antonio Pomarancio (negli affreschi, nelle pitture a olio, nei disegni a bulino) erano per lo più di carattere religioso : Gesù nel tempio, Cristo nel deserto , Miracolo della Resurrezione , La Resurrezione di Lazzaro, Gloria dell’Eucarestia , Lapidazione di Santo Stefano , la Sacra famiglia ecc. Oppure erano Storie di Santi dell’epoca come il cardinale Borromeo o san Filippo Neri o il polacco Stanislao Kotska oppure ancora sfilze di novelle sugli dei e gli eroi del mondo pagano Marte Venere Ercole Pomona Diana Minerva Cibele Nettuno rese con la calcografia oppure rielaborazioni di storie omeriche come “ Alcinoo che assiste con Ulisse alle gare guerresche”, “Achille di ritorno dalla caccia con Teti e il centauro Chirone”,”Diana e le sue ninfe sulle sponde del fiume Eurota”, o infine lavori decisamente encomiastici su Casa Savoia o Cosimo II o l’imperatore Ferdinando II’Absburgo o il re Sigismondo III re di Polonia.

I temi da svolgere ovviamente se li sceglievano i committenti. La Committenza di Antonio Pomarancio era molto ricca, varia e decisamente altolocata , a dimostrazione della considerazione in cui era tenuto questo artista e di quanta stima godesse , evidentemente non era uno dei tanti : era formata da potenti cardinali come i Giustiniani, i Del Monte, i Ludovisi ,i Varallo , notabili romani, gente di Chiesa in genere, famiglie reali o potenti come i Medici e gli Strozzi di Firenze, i Borghese e gli Orsini , i Savoia , alcuni ricchi editori come Girolamo Martelli.

Tra tutte le relazioni intraprese da Antonio per il suo lavoro , c’è una storia che dimostra la sua sensibilità e un po’ di coraggio: è quella del suo rapporto con i ricchissimi nobili austriaci Altemps al tempo dei disegni prodotti per la cappella di Sant’Aniceto e della tragedia che colpì questa famiglia. Qui non si può non inserire una nota sul coraggio di Antonio : avrebbe potuto correre veramente grossi guai , forse rischiare la pelle per il suo atteggiamento di comprensione e di affetto verso una famiglia malvista dal papa Sisto V : Er papa tosto, rugantino e matto – secondo il poeta romano Gioacchino Belli – che si vantava di aver impiccato nel primo mese del suo pontificato quattromila banditi.

Questo papa, feroce repressore senza scrupoli del banditismo e forte accentratore del potere contro cardinali e nobiltà nera, riordinatore della Curia più che riformatore, odiava a tal punto il cardinale Marco Sittico Altemps della corrente più tradizionalista (anche lui naturalmente bene in vista, personaggio molto importante, cugino del grande Carlo Borromeo, figlio di Chiara dei Medici e nipote del papa Pio IV) per aver contrastato la sua elezione nel conclave , da far condannare a morte il suo figlio naturale Roberto ,ventenne e palesemente innocente , una morte atroce per decapitazione dopo un processo montato ad arte per un inesistente adulterio. A nulla valsero neppure le suppliche a favore del marito della giovane moglie Cornelia Orsini e non contò nulla per il Papa il fatto che fosse incinta . Per chiudere la questione , implacabile , papa Sisto V , mentre il Cardinale Altemps si era ritirato definitivamente dalla vita pubblica, fece eseguire la sentenza di morte e contemporaneamente promulgare la Costituzione apostolica con la quale si stabiliva per sempre che chi avesse avuto figli non avrebbe mai più potuto fare il cardinale. In questo clima pesante Antonio Pomarancio non aveva esitato a fare pubblicamente apprezzamenti e complimenti al cardinale Altemps.

Tornando ai committenti, non si può non citare il ruolo dominante della Compagnia di Gesù e il suo controllo sul mercato delle incisioni , allora particolarmente di gran moda tanto da fare concorrenza alla pittura più tradizionale e costosa . La tecnica dell’incisione era già stata messa a punto nel XIV secolo – ne era entusiasta il Vasari, che ne parla come di una grande invenzione – e aveva avuto un grande risveglio con l’incremento esponenziale della vendita delle stampe. Ebbe una grande diffusione perché consentiva di riprodurre e divulgare ad un pubblico più vasto le opere di grandi artisti, in più solleticava quell’interesse per l’alchimia, per gli effetti sorprendenti degli acidi e della chimica , che comincerà a diminuire solo con l’avvento del metodo scientifico con Bacone e Galileo. L’invenzione della stampa (1453-1456 Johan Gutenberg) aveva contribuito in effetti ad alimentare la diffusione dei libri e delle figure – realizzate con sistemi diversi xilografia acquaforte ecc. – che potevano contenere. Si stima che dal 1500 al 1600 si siano stampati oltre 500.000 volumi. Antonio Pomarancio si colloca certamente in questo nuovo mercato, in questo flusso innovatore , con la sua vasta attività di disegnatore per incisioni.

Il controllo sugli artisti era esercitato soprattutto dai Gesuiti , che potevano aprire o chiudere le porte. I Gesuiti possedevano le stamperie più importanti (i torchi calcografici) e condizionavano gli artisti sugli argomenti da trattare e sulle modalità, potevano essere temi teologici ( la trinità, la vergine Maria, la Resurrezione) ma anche tecnici o scientifici, storici o filosofici. Tutto sempre sotto il loro controllo.

Dopo il Concilio di Trento erano stati fissati gli indirizzi teorici sull’Arte, per ribadire il ruolo della Chiesa come mediatrice tra l’Uomo e Dio e l’intoccabilità del Papa. Erano stati ripristinati il Tribunale dell’Inquisizione e la Censura contro le opere considerate contrarie alla dottrina cattolica. Le immagini assumevano un’importanza fondamentale per la Fede, erano la Bibbia dei poveri e degli analfabeti (che ovviamente coincidevano). Il controllo era esercitato dalle Autorità locali che dovevano constatare se le opere contenevano chiarezza, verità, aderenza alle scritture. Si faceva particolare attenzione alle deformazioni, al lusso eccessivo , alle invenzioni; in particolare questo atteggiamento si intensificò con l’avvento del Manierismo e le sue modalità di presentare la realtà. Non c’erano regole ferree, ma si sollecitavano i custodi dell’ortodossia ad evitare i soggetti scabrosi o le troppe figure che finivano per snaturare il senso mistico degli episodi narrati. Avvenne così ad esempio che Daniela da Volterra fu incaricato di velare con le brache a secco tutte le “vergogne” del Giudizio Universale di Michelangelo.

La cosiddetta Arte della Controriforma è fortemente compressa , costretta a fare grande attenzione e a non superare i limiti stabiliti dalla Chiesa. Allora ci si sbizzarrisce nell’invenzione, sono sempre più spinti i virtuosismi, si punta sull’abilità compositiva, sulla scenografia, gli sfondi architettonici che devono essere sempre presenti, il quadro deve essere finito, si gioca sull’apparato ornamentale, su medaglioni e volute, sugli ornamenti araldici, sui richiami alla scultura greca e romana, sui simbolismi, sugli animali, quelli reali e quelli fantastici come i draghi e gli unicorni, sulle colonne tortili e sui capitelli compositi. I simboli, che oggi comprendiamo con grande fatica , invece erano chiari agli artisti : ad esempio la Mela spesso richiama il peccato originale, il Cetriolo la Resurrezione, il Garofano le nozze, la Ciliegia la dolcezza dei sentimenti, gli Alberi Verdi l’avvento di Cristo, quelli secchi il mondo pagano, il Drago era simbolo di forza e di saggezza e anche di fortuna, veniva assimilato al potere imperiale; l’Unicorno invece richiamava la purezza, la verginità, mentre i frutti usati spesso solo come elementi decorativi indicavano protezione, nutrimento , dolcezza, amore, virtù meritevoli del Paradiso. L’interesse dell’artista si sposta dell’oggetto reale esterno, la Natura, al soggetto che opera nell’arte, non più la conoscenza della realtà ma quella dell’Arte stessa , su cui si lavora e si modifica e si inventano soluzioni strabilianti. L’arte diventa spesso un’operazione puramente mentale e di professionismo tecnico. Le immagini naturali sono sostituite da immagini astratte, fittizie. C’è un irrigidimento in formule bizzarre, ricercate, astruse, la ricerca di originalità, partendo dal classico per arrivare ad aspetti anticlassici e antinaturalistici, con una smania di innovazioni stravaganti. Si pensi , scivolando nel campo contiguo della poesia, ai famosi versi dell’Achillini “Sudate o fuochi a preparar metalli”.

In questo periodo si lavora sulle medesime immagini, si fa riferimento al modo con cui da grandi maestri erano stati affrontati certi temi precisi, si curano le capacità tecniche . Ad esempio si studia la figura del Cristo sotto tanti diversi aspetti : Cristo giovinetto giovanile dolce , che viene incontro ; il Cristo giudice e punitore; il Cristo in compagnia dei quattro evangelisti, il Cristo con le immagini di Giuda impiccato, il Cristo trionfante. Non era certamente facile districarsi tra tante indicazioni di massima e tanti pericoli reali. Se la pittura era dichiarata morta dopo la scomparsa del più grande di tutti, l’insuperabile Michelangelo , come sosteneva Giorgio Vasari che fare? Allora si ricorreva ai manuali che insegnavano il rispetto delle regole dell’espressione (valide sia per la poesia sia per la pittura, come quelle aristoteliche della retorica Imitatio, Inventio, Dispositio,Elocutio, Actio), si studiava scientificamente la luce per mettere in risalto i corpi ( i punti di provenienza, i contrasti con l’ombra) e la pittura degli Antichi oppure come scrive in versi uno storico dell’Arte del tempo Carlo Cesare Malvasia (1616-1693) si seguivano consigli molto pratici:

Chi farsi un buon pittore cerca e desia , il disegno di Roma habbia alla mano; la mossa coll’ombrar veneziano e il degno colorir di Lombardia. Di Michel Angiol la terribil via, il vero natural di Tiziano, del Correggio lo stile puro e sovrano e di Raffael la vera simmetria. Del Tibaldi il decoro ne il fondamento, del dottor Primaticcio l’inventario e un po’ di grazia del Parmigianino.

Infine nel nuovo secolo compare, anche nel Pomarancio, un nuovo tema inaspettato : quello del Magnetismo. La calamità compare un po’ dappertutto, suscita enorme interesse, ci si chiede che cosa sia questa forza misteriosa che attrae i metalli. Il magnete simboleggia il legame tra gli Uomini e Dio, quell’amore invisibile , ma efficace e potente di Dio verso l’Umanità. E’ la vis vitalis, una sorta di anima che sta in tutte le cose. Nel Pomarancio del resto non mancarono la curiosità e gli spunti scientifici o l’attenzione alla tecnologia. Antonio Pomarancio al passo coi tempi s’interessava anche di metallurgia (fig.36 pag.98) e di colonne tortili di bronzo come si vede dai suoi disegni; colonne volute da papa Urbano VIII, quello di Galileo, realizzate poi dal Bernini nel baldacchino della Basilica di San Pietro negli ultimi anni di vita del Pomarancio. Antonio Pomarancio era interessato anche da un altro tema (fig.33 pag.74) : ad esempio nell’Allegoria di Roma e Firenze Antonio disegna il sistema geocentrico , allora vivacemente contestato da Copernico Keplero e Galileo; è curioso che l’ argomento fosse stato al centro del lavoro di un altro grande pomarancino, Antonio Santucci , che costruì dal 1588 al 1593 una “ sfera armillare”, l’oggetto ordinato da Ferdinando I dei Medici che doveva rappresentare la macchina universale del mondo secondo il sistema geocentrico.

Vorrei chiudere questa presentazione con una nota divertente, di leggerezza, un aneddoto che ho trovato nel libro e mi ha divertito. Antonio Pomarancio protesta in modo veemente con la Curia volterrana per il mancato pagamento di una “ Madonna con i Santi “ commissionatagli per la Chiesa della Leccia. Anche allora un artista aveva bisogno di quattrini per campare. Lo documenta con ironia una lapide posta nella Cappella di San Lorenzo della Chiesa dei SS. Pietro e Stefano che dice : “ Francesco Fazzuoli , Antonio Circignani e Camillo Campani quando si fé la cappella di San Lorenzo e si dipinse il coro essendo discepoli di Messer Niccolao Circignani el quale fece tal lavoro 1589” e più sotto in corsivo TUTTI SECCHI PER LO STENTO.

MEDIO ORIENTE: appunti di base per una serie di lezioni onde rendere più comprensibili le informazioni fornite dai mezzi di comunicazione di massa su un ‘groviglio’ di cronache a ‘bassa emergenza’ e ad alta frequenza di cambiamento; a cura del dott. Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

Post in via di costruzione…

SCHEMA MEDIO ORIENTE0001

 

Dallo schema ‘impasticciato’ che segue, da notare che il confine ad est di Israele coincide circa col fiume Giordano che, proveniente dal Libano, entra come immissario nel Mar Morto, circa alla stessa latitudine del sud della Cisgiordania e di Gaza e riesce come emissario sfociando nel golfo di Agaba nei pressi della città di Elat.

Dati per le lezioni enucleati dalla lettura dei paragrafi 14.7, 19.3 … a seguire del testo universitario G. Sabbatucci- V. Vidotto “Storia Contemporanea – il Novecento”, usato nelle classi all’Accademia Navale di Livorno, Editori Laterza, 2018; testo da consultare per approfondimenti, chiarimenti ed espansione delle cronache a tutto il Medio Oriente.

Ringraziamo autori ed Editori se ci permetteranno di mantenere gli appunti di questo post, che, in caso contrario, avvertiti alla mail: ao123456789vz@libero.it,  in breve sopprimeremo.

Per leggere gli appunti iniziali della prima parte (1948-1974) in Pdf, cliccare su:

MEDIO ORIENTE (parte prima)

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In attesa  di sintetizzare le successive cronache, che col tempo elaboreremo, vogliamo farvi leggere intanto un trafiletto del Corriere della sera, secondo noi significativo, scritto quasi mezzo secolo dopo la cronaca precedente, sempre sugli scontri Israele_Palestina e dintorni:

UNO RAPIDO SGUARDO  DA UNA FINESTRA APERTA SUL FUTURO

Siamo nel 2019

Nei giorni successivi Israele bombarda i lancia-missili di Hamas! e….la storia continua. ! Il 19-11-2019 Trump dichiara legali gli insediamenti israeliani in Gisgiordania……e così via in questa terra travagliata.

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Il link MEDIO ORIENTE (parte prima), precedente,verrà nel tempo scritto per esteso di seguito in odt; una volta terminato lo memorizzeremo in pdf.

MEDIO ORIENTE: appunti di base per una serie di lezioni per rendere più comprensibili le informazioni, fornite dai mezzi di comunicazione di massa, sul succedersi quasi quotidiano di rapidi cambiamenti di eventi e di cronache parziali in questa zona calda dell’Africa N-E

PARTE PRIMA

Dati enucleati dalla lettura del paragrafo 14.7, 19.3 ….a seguire del testo G. Sabbatucci- V. Vidotto “Storia contemporanea – il Novecento”, Editori Laterza, 2018

Dal 1948 verso la crisi del 1973-74: la guerra dei sei giorni (1967) e sue conseguenze, l’OLP e la lotta fratricida della Giordania (1970) contro i palestinesi (settembre nero), la guerra di Kippur (1973).

Dopo la costituzione dello Stato di Israele del 1948 (secondo il progetto ONU), il Medio Oriente divenne un continuo focolaio di tensione e perché gli arabi iniziarono a contestare la presenza per loro ingiusta, e non solo per loro, del popolo israeliano nei loro territori e per l’ingerenza antitetica di Stati Uniti e Unione Sovietica su questa zona. Nel 1967 l’Egitto con Nasser chiese all’ ONU, a presidio del Sinai, di ritirarsi da questa penisola, chiuse il golfo di Agaba, danneggiando i rifornimenti israeliani e strinse un patto con la Giordania. Il 5 giugno Israele, rispose con la distruzione al suolo dell’intera aviazione egiziana, attaccò Egitto, Giordania e Siria e conquistò in sei giorni il Sinai, tutta la riva occidentale del Giordano (Cisgiordania) compresa la parte orientale di Gerusalemme e le alture del Golan della Siria. Gli arabi contarono più di 30000 morti e 400000 ripararono in Giordania. Morirono invece pochi Israeliani come spesso accadeva in circostanze analoghe, in relazione fra attentati e rappresaglie.

Ora, una breve riflessione personale fra parentesi. Ma di fatto però è certo che gli israeliani, in ‘morti’, circa 25 anni prima, ‘avessero già dato in grande quantità’ …, ed, è  nostra opinione, gratuitamente, senza una ragione umanamente plausibile, ma … ai Tedeschi e  loro alleati!!). Prendere decisioni pesanti in un ambiente storico, che sta diventando sempre più complesso, per offrire un futuro migliore agli umani, è davvero molto difficile! quando dati ed informazioni di background di tutti i tipi si moltiplicano  all’infinito in ogni scelta;   lo è stato nel passato e lo sarà ancor più per il futuro. Sarà necessario andare ben oltre il voto di maggioranza! meglio muoversi in nome dei valori, ignorando gli egoismi e gli opportunismi politici. Comunque, a nostro avviso, i morti fra fazioni in guerra non vengono, di fatto, quasi mai ‘pesati’  in relazione ad un giudizio storico e morale oggettivo, spesso perfino in casi di strage e genocidi. Sempre a nostro parere, per una legge morale, in una guerra con mezzi tecnologici davvero dannosi, dopo la pace, vincitori e vinti dovrebbero pressappoco avere bilanciato il numero di morti! Chiusa parentesi.

L’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) liberatosi dai controlli dei regimi arabi si ricostituì sotto Arafat in Giordania. Nel 1970 (settembre nero), sotto ricatto israeliano, il re di Giordania, Hussein si scagliò ‘a denti stretti’ contro i Feddayn (combattenti palestinesi) e i profughi palestinesi che, dopo avere avuto ancora migliaia di morti, ripararono infine in Libano, dove, ancora con l’OLP, estesero le loro ‘battaglie di liberazione’ (il terrorismo) sul piano internazionale.

Dal 1974 verso il 2008… Sadat e la guerra del Kippur del 1973, il blocco, petrolifero, Sadat ed accordi di Camp David fra Sadat e Begin del 1978, uccisione di Sadat nel 1981, gli accordi 1985, Arafat e tentativi di accordo per uno stato palestinese: falliti, Antifada1 del 1987, tensioni fra fazioni politico-religiose in Libano 1975, intervento della Siria in Libano, Saddam e la guerra del golfo (la prima) del 1980, elezione del laburista Rabin 1991, accordo fra Rabin ed Arafat, 1993,  da aggiungere altri brevi richiami nei successivi anni

Nel 1970 Nasser morì, il successore Sadat, deciso a riconquistare il Sinai il 6 ottobre del 1973, festa ebraica del Kippur, attaccò le linee israeliane penetrando nel Sinai. Gli Israeliani, col supporto rilevante dall’aviazione americana, cambiarono le sorti della battaglia e riconquistarono il Sinai. Alla fine della scontro però di fatto non ci furono vantaggi territoriali per gli Israeliani e il Sinai passò di nuovo agli Egiziani (1978) che si sentirono sul piano politico e psicologico vincitori, pensando di aver vendicato l’onta del 1967. Inoltre fu chiuso il canale di Suez e si propose il blocco petrolifero, da parte degli Stati Arabi, fra i quali i maggiori produttori di petrolio come Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, contro i paesi occidentali amici di Israele, con successivo aumento drammatico del prezzo del petrolio (shock petrolifero) con forte crisi economica per i popoli industrializzati della terra con forti aumenti di tutti i prezzi (inflazione) in un ciclo vizioso ‘aumento dei prezzi, aumento conseguente dei salari e quindi sempre maggiore inflazione’.

All’indomani della crisi del mondo industrializzato per il petrolio (il 60% della risorsa era concentrata nella regione medio-meridionale), l’aggravarsi della soluzione del conflitto arabo-israeliano e il diventare sempre più integralista del fondamentalismo islamico, trasformarono il Medio Oriente nell’area più pericolosa del mondo. L’indomani della “guerra del Kippur” nell’intorno del 1975, il presidente egiziano Sadat attivò tentativi di pacificazione con Israele, contattando gli Stati Uniti e tagliando i ponti con l’Urss; infine si recò personalmente in Israele per offrire la pace al leader Begin della destra nazionalista, allora presidente. Si giunse così agli accordi di Camp David nel 1978, per i quali all’Egitto fu restituita la penisola del Sinai, conquistata nel 1967, fino al trattato di pace, l’anno dopo, con lo Stato Ebraico del 1979. Poco dopo Sadat, in disaccordo con gli Stati Arabi, fu ucciso nel 1981.

A partire circa dagli anni 1985, gli Stati Arabi più moderati (Giordania, Arabia Saudita e Arafat con la dirigenza dell’OLP), contro le posizioni del fronte del rifiuto, (Siria, Iraq, Libia e le organizzazioni radicali palestinesi), decisero di accettare l’esistenza dello Stato di Israele, in cambio del suo ritiro dai territori occupati (Cisgiordania e Striscia di Gaza) in maniera da poter costituire uno Stato Palestinese. Ma uno Stato Palestinese a ridosso di Israele ben presto fu considerato una minaccia alla sua esistenza, per cui Israele si oppose e la tensione aumentò alla fine del 1987, quando il popolo palestinese di questi territori si ribellò (Antifada1 = risveglio), mettendo in difficoltà i governi israeliani.

Di questi movimenti e contrasti risentì anche il Libano finora rimasto al margine dei conflitti arabo-israeliani, “dove l’OLP aveva trasferito le sue basi” dopo “il settembre nero” del 1970, come precisato precedentemente. La guerriglia che si attivò fece saltare l’equilibrio fra le diverse comunità libanesi: Cristiani, Musulmani sunniti, sciiti e drusi, (da Google si possono trovare informazioni su questi gruppi politico-religiosi ). Dal 1975 tutte le fazioni si attivarono in una guerra intestina a danno anche della popolazione civile. Nell’estate del 1982 Israele invase il paese fino a Beirut, scacciando in sanguinosi combattimenti la base dell’OLP. La forza multinazionale di pace (Stati Uniti, Francia, Italia e Gran Bretagna) consentì ai combattenti dell’OLP di rifugiarsi a Tunisi, ma la calma nel paese non si realizzò a causa di attentati contro America e Francia. Le forze straniere lasciarono il Libano nel 1981. Queste lotte intestine permisero alla vicina Siria di entrare in Libano, instaurandovi una specie di “protettorato”.

Nell’Estate del 1990 Saddam Hussein, dotato di un buon arsenale dall’URSS e da alcuni paesi occidentali compresa l’Italia, usati anche per invadere nel 1980 l’Iran, conquistò il piccolo Emirato del Kuwait filo-occidentale prospiciente al Golfo Persico, grande produttore di petrolio. Motivò questo intervento prendendo per esempio Israele con i suoi territori occupati, e si proclamò come promotore di una “guerra santa contro l’occidente”, ottenendo plausi anche dal mondo arabo, che non gli era poi così congeniale (per es. i palestinesi dell’OLP con Arafat).

Condannarono da subito l’invasione delle Nazioni Unite e gli Stati Uniti e inviarono in Arabia Saudita oltre 400000 miliziani appoggiati anche da contingenti europei (Francia, Gran Bretagna e Italia in minor misura) e una parte dei paesi Arabi (Egitto e Siria), costituendo una forza multinazionale. Stranamente l’URSS e Gorbaciov, per una crisi interna che portò poi al suo smembramento, bisognosi appunto dell’appoggio occidentale, si limitarono solo a tentare una debole mediazione presso l’ONU. ‘Eliminato’ l’URSS la forza multinazionale si mosse sotto supervisione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Comunque l’ONU impose a Saddam di ritirarsi dal Kuwait, minacciando la guerra, che ai primi del 1991 iniziò lo scontro: l’aviazione della multinazionale bombardò il territorio iracheno e le sue postazioni nel Kuwait e Saddan lanciò missili che caddero sulle città dell’Arabia Saudita e di Israele (che ora non c’entrava niente!), minacciando anche di usare armi chimiche che, di fatto, non possedeva, come fu poi dimostrato (vedere NOTA 1). Con la successiva offensiva di terra sempre della forza multinazionale sotto la copertura ONU, Saddam ed i suoi eserciti senza protezione nelle aree del deserto, dopo aver incendiato gli impianti petroliferi, in fretta si ritirarono dal Kuwait.

Dopo la liberazione del Kuwait il presidente G. Bush bloccò la forza multinazionale per paura di complicazioni diplomatiche e di un’espansione pericolosa del conflitto, ma riuscì in qualche modo a rivalutare la sua struttura militare, sottolineata anche dal contemporaneo collasso della potenza dell’URSS, a fronte della perdita di prestigio nella vicenda Vietnam. Questa situazione favorevole agli USA, permise loro di tentare un processo di pace nel Medio Oriente, favorito anche da un indebolimento del fronte arabo radicale; ma…ebbe scarso successo, come si vedrà. Nonostante tentativi di rivolta degli Sciiti e dei Curdi (da Google informazioni sul popolo Curdo, o il futuro articolo a nome dott. F. Gherardini in via di scrittura su CURDI e la loro poesia), Saddam sopravvisse politicamente alla sconfitta.

Nell’anno 1991 il presidente americano Bush convocò, in Spagna come primo tentativo di pace in Medio Oriente, rappresentanti dei territori occupati e delegazioni dei paesi confinanti che non riconoscevano lo stato di Israele.

Nell’anno 1992 nelle elezioni Israeliane vinse, dopo 20 anni di governo del Fronte Nazionalista (il partito del Likud), Rabin del partito laburista, che blocco l’espansione degli insediamenti di Israele nel territorio occupato e dimostrò aperture su concessioni territoriali ai paesi confinanti in cambio della pace.

Nell’anno 1993 il primo ministro Rabin e il ministro degli esteri Peres decisero di contattare, per la pace, direttamente l’OLP di Arafat, ormai indebolito e isolato nel mondo arabo per l’aiuto dato a Saddan durante la conquista del Quwait. Questo accordo prevedeva, oltre al riconoscimento reciproco, un parziale autogoverno degli arabi nei territori occupati “a partire da Gerico in Cisgeordania e dalla striscia di Gaza”. Questa accordo fu sottoscritto da Rabin ed Arafat in presenza di Bill Clinton. Esistevano di fatto però numerose situazioni di tensione sull’accordo, 1) a partire da come estendere l’autogoverno arabo sui territori occupati, 2) come comportarsi con gli insediamenti ebraici in questi territori, 3) come gestire il possesso di Gerusalemme, 4) l’ostilità della Siria e dell’Iran, 5) l’opposizione dell’ala intransigente dell’OLP e della destra israeliana e 6) la minaccia degli integralisti islamici. Queste numerose ragioni portarono ad numerosi attentati suicidi fra le forze armate ed i civili in Israele, che maturarono la strage di palestinesi operata nel 1994 da un colono nazionalista israeliano nella moschea di Hebron in Cisgiordania e terminò con l’uccisione di Rabin nel 1995 a tel Aviv. Nelle successive elezioni nel 1996 vinse il leader del partito del Likud, Netanyahu.

La vittoria della destra israeliana rallentò l’opera di pace, ma non la bloccò.

Nell’anno 1998, un nuovo accordo fra Netanyahu ed Arafat, sollecitato dall’America, fu firmato negli Stati Uniti: si fissarono tempi di ritiro da parte di Israele dai territori occupati in cambio di un impegno palestinese nel reprimere il terrorismo.

Nell’anno 1999, fu eletto un laburista della coalizione centro-sinistra.

Nell’anno 2000 Clinton fissò un nuovo incontro di pace a Camp David, dove nel 1978 fu negoziato il primo accordo fra Egitto ed Israele. Furono trattati problemi nuovi come quelli relativi alla capitale Gerusalemme e al ritorno dei profughi palestinesi nell’ipotizzato stato palestinese. Ma anche allora scoppiarono disaccordi sulla gestione dei luoghi santi a Gerusalemme: la visita di Sharon alla spianata delle moschee di Gerusalemme fu considerata una provocazione ed i palestinesi iniziarono una “Seconda Intifada” più cruenta della prima coinvolgendo Gaza e Cisgiordania per la presenza di insediamenti ebraici al loro interno e in molte città israeliane ci furono svariati attentati suicidi contro i civili attivati da Hamas. Questa situazione di paura ed incertezza attivò la crisi di governo.

Nel l’anno 2001 fu eletto Sharon che rafforzò la risposta militare; fu considerato inaffidabile Arafat nel bloccare il terrorismo e tutti i tentativi pace degli Stati fallirono; vi furono un susseguirsi di attentati e rappresaglie con ulteriori radicalizzazioni del terrorismo fondamentalista a danno dell’Occidente insieme  anche allo scoppio della Crisi Irachena (vedere MEDIO ORIENTE parte seconda).

Nell’anno 2002 fu costruita una barriera difensiva contro il terrorismo anche tracciata attraverso parti del territorio palestinese, diminuendo gli attentati, ma facendo esplodere proteste da tutto il mondo arabo e di parte della comunità internazionale.

Nell’anno 2005 fu costituito proprio da Sharon, in accordo con i laburisti di Peres, un governo di Unità Nazionale, per cui fu deciso unilateralmente il ritiro dell’esercito, e lo smantellamento delle colonie ebree nella striscia di Gaza. I coloni ebrei e la destra del Likut si opposero allora aspramente e Sharon decise di spaccare il suo partito costruendo una politica di centro.

Nell’anno 2004 moriva Arafat leader storico dei Palestinesi.

Nell’anno 2006 moriva anche Sharon, ma il suo partito si confermò ancora alle elezioni a guida di Olmert.

Nell’anno 2006 a Gaza ed in Cis-geordania le elezioni favorirono gli estremisti di Arafat che negavano l’esistenza di Israele, per cui l’effetto della successione del moderato Abu Mazen ad Arafat venne vanificato. Da Gaza non più occupata, partivano missili contro Israele che rispondeva con rappresaglie, mentre si creavano rivalità in seno all’Autorità Nazionale palestinese fra Amas ed Al Fatah, che esplosero in una vera e propria guerra civile nella Striscia di Gaza.

Nell’anno 2007 la Striscia passò sotto il controllo degli integralisti e la realizzazione di una stato palestinese in pace con Israele si allontanò. Solo alla fine del 2007 gli USA sarebbero riusciti ad organizzare una conferenza fra i principali paesi arabi in modo che Olmert e Abu Mazen si impegnassero per un nuovo accordo entro il 2008.

Nel frattempo il Libano già forzatamente pacificato dalla Siria rimase sempre diviso in due componenti politiche-etnico-religiose.

Nell’anno 2005 fu assassinato il primo ministro siriano sunnita, provocando movimenti di popolo e la Siria fu costretta a ritirare le truppe dal Libano, ma continuò a far sentire la sua influenza tramite il movimento integralista sciita Hezbollah, aiutato ed armato dall’Iran sciita.

Nell’anno 2006 Israele reagì ai lanci di missili di Hezbollah, entrando a sud del Libano e bombardando con gli aerei quartieri della capitale ed altre aree controllate dagli integralisti.

Seguì un tregua per intervento dell’ONU, con partecipazione determinante anche dell’Italia, con il ritiro delle truppe israeliane dal Libano. Israele in questo contesto fu accusata di inefficacia, e restarono ancora più precari gli equilibri del libano e dell’intera area del sud.

FINE PARTE PRIMA

NOTE

1 – per leggere un articolo sulla relazione del Presidente della Commissione di Controllo sulle ipotetiche armi chimiche di Saddam, cliccare sul link per leggere l’art. di Massimo Novelli, giornalista della REPUBBLICA in pdf:

Saddam_armi chimiche_biologiche

Saddam_armi chimiche2

Altrimenti in jpg:

parte o dall’altra, a seconda delle interpretazioni che ne vengono date>>

MASSIMO NOVELLI

Divisione Stampa Nazionale GEDI – Gruppo Editoriale S.p.A.-P.Iva 00906801006  Società soggetta all’attività di direzione coordinamento di CIR spa

Ancora una riflessione. Gli Stati Uniti, certi di trovare le armi furono un po’ seccati dal risultato della commissione di controllo, come i servizi segreti, anche se quest’ultimi dissero poi di non averle mai viste; ma la pressione forte provenne di fatto dai mass media che continuarono per lungo tempo  ad alimentare questo dubbio (?), sostenuto sembra ancora oggi. Comunque riflettendo, sembra proprio che la certezza  di certi eventi, politicamente rilevanti e densi di pathos, non possa essere dimostrata in maniera definitiva. Il ‘grande’ tiranno Saddam fu comunque ridicolizzato e poi impiccato (fine del 2006), gli uccisero i suoi  figli, uno dei quali di quattordici anni e noi … speriamo che fosse stato davvero colpevole!! Dal fatto concreto espresso dalla proposizione “non siamo riusciti a trovare armi chimiche e biologiche” non ne deriva, però, logicamente l’altra proposizione “Saddam non le ha mai usate”.

Infatti riflettendo su alcuni passi struggenti delle poetesse e dei poeti Curdi e gli emozionanti commenti del dott. prof. Gherardini sulle stragi disumane ivi descritte e subite sulla loro pelle, operate da Saddam con indicazioni di eventi precisi, fa davvero pensare il contrario! Leggere questi passi e commenti su questo blog, per es. cercando col tag “Curdi”

Fine parte prima

PARTE SECONDA

PREMESSA

L’11 settembre 2001 due aerei di linea americani si schiantarono contro le torri gemelle  a New York sequestrati da commandos suicidi. I camikaze erano arabi, alcuni di essi appartenenti ad una organizzazione terroristica internazionale detta Al Quaeda (la base, la rete), operativa in Afghanistan, guidata da Osama Bin Laden. Solo, quattro settimane dopo l’attentato,  si attivarono le operazioni militari contro l’Afghanistan condotte da Nordamericani, Britannici (in campi logistici) ed altri paesi della Nato compresa l’Italia. Gli Stati Uniti ed alleati si limitarono a bombardare con aerei i territori, mentre le azioni di terra furono condotte dalle fazioni afghane avverse ai Talebani. L’offensiva fu rapida e vittoriosa. Alla fine del 2001 si stabilì il nuovo governo. Difficile  fu però, come accade spesso in questi territori, il consolidamento  del nuovo regime; i Talebani, usando le basi del vicino Pakistan ed i guadagni del commercio dell’oppio ripresero il controllo di parti del paese attivando contro i locali reparti e quelli stranieri, attentati sanguinosi e sequestri rendendo difficoltoso dare risposte efficaci, anche perché gli Stati Uniti erano contemporaneamente impegnati in Iraq guidato da Saddam, accusato di fiancheggiare il terrorismo e di nascondere armi di distruzione di massa.

LA GUERRA ALL’IRAQ (Seconda guerra del Golfo)

La comunità internazionale, se nel 1990-91 fu unita contro Saddam, in questa occasione (2001) si divise in due schieramenti: il primo per l’intervento  militare urgente (Stati Uniti e Gran Bretagna), il  secondo a  favore (Francia, Germania, Russia, Cina, Stati Arabi), propose una azione democratica. Comunque all’inizio del 2003, fallendo una nuova risoluzione ONU e dopo un breve ultimatum, le truppe angloamericane invasero l’Iraq da sud. Come nel 1991 la resistenza  irachena fu inefficiente ed in pochi giorni venne conquistato il paese e Saddam fuggì. Il paese esplose subito:”bande di Iracheni  compirono saccheggi e razzie negli edifici pubblici, negli uffici dei partiti, nelle scuole, nei musei con difficoltà di mantenere l’ordine da parte delle forze di occupazione“. Le intenzioni dei contingenti stranieri che volevano contribuire a ristabilire l’ordine erano  quelle di diffondere la democrazia in MEDIO ORIENTE per la costruzione di un nuovo equilibrio sociale favorevole all’Occidente, in particolare per il rifornimento di petrolio; un Iraq filo-occidentale  avrebbe messo in disparte l’Arabia Saudita, autoritaria tradizionalista e sospettata di avere legami con correnti fondamentaliste.

I neo-conservatori USA ritenevano strategico il progetto di coniugazione esportazione della democrazia e del rilancio della politica di potenza americana, indipendentemente dal consenso della comunità internazionale e degli alleati europei (unilateralismo). Nonostante interventi degli stabilizzatori dell’Iraq (cattura degli esponenti del vecchio regime e dello stesso Saddam (fine 2003), sostenitori di Saddam e gruppi integralisti arabi, ispiratisi ad AlQaeda, misero in atto suicidi contro i ‘sè dicenti pacificatori’.

In questa situazione “il 12 novembre 2003, morirono 19 italiani: dodici carabinieri, 5 soldati del contingente militare della città di Nassirya e 2 civili“. Neanche la formazione di un governo provvisorio costituito da sciiti, sunniti, curdi (gruppi etnico religiosi del paese) nè il varo nel 2004 di una costituzione, che tentò di mediare la fedeltà all’Islam con il rispetto di un pluralismo politico-religioso, bastarono per un mantenimento di un auto-governo.

Oltre a questo stillicidio di attentati, gruppi integralisti di Al Quaeda, dei seguaci del vecchio regime e bande criminali attivarono sequestri su personaggi considerati legati al nuovo regime, spesso terminati con esecuzioni trasmesse su internet.

I paesi occidentali erano divisi circa l’opportunità di un loro intervento in Iraq anche perché non si trovavano le armi di distruzione di massa che erano la principale motivazione sbandierata per un intervento. Intanto si moltiplicavano, nei paesi dell’Occidente, gli attentati ad opera del terrorismo islamico: ci fu l’attentato nel 2004 Spagna a fianco degli USA, tanto che nelle elezioni spagnole vinsero i socialisti che volevano il ritiro immediato dall’Iraq. Ci furono successivamente altri attentati in Europa ad opera del fondamentalismo islamico tanto che questi provocarono nell’opinione pubblica sempre più opposizioni verso interventi in Iraq; solo negli Stati Uniti rimase una diffusa volontà interventista, tanto che nelle elezioni presidenziali fu rieletto Bush. Durante il 2005, ci fu una svolta in Iraq, furono indette le elezioni per l’Assemblea Costituente e in seguito fu trovato l’accordo tra Sciiti e Curdi per l’approvazione di una Costituzione Federale confermato poi da un referendum popolare; intanto Saddam era sotto processo e nel Dicembre del 2006 fu ucciso.

Nemmeno tutto ciò però servì a rendere stabile a situazione in Iraq; c’era nel paese una cruda guerra civile,agli attentati di matrice fondamentalista si aggiungevano le proteste da parte di gruppi scontenti del nuovo assetto politico del paese. I Sunniti, che erano potenti al tempo di Saddam, si trovarono messi da parte sia politicamente sia nel controllo dei pozzi petroliferi. Intanto il prolungarsi del conflitto creava sempre più scontento e opposizione anche degli Stati Uniti, anche perché non furono mai trovate le tante famigerate armi di distruzione totale Bush perse le elezioni!

Intanto il terrorismo fondamentalista aveva trovato in Iraq un terreno fertile e contemporaneamente nel visino Iran si sviluppava, con l’elezione del nuovo presidente, un nuovo fondamentalismo che rilanciava le teorie intransigenti del vecchio Comeini, con slogan antisemiti, minacciando Israele e proclamando la volontà di sviluppare un grande programma nucleare, indifferenti alle condanne della Comunità Internazionale.

Tutto questo mentre anche in Libano e Palestina si rafforzavano movimenti fondamentalisti come Hamas e Hezbollah legati all’Iran.

Fine parte seconda

Potremmo tracciare in sintesi nel corso del tempo anche le cronache delle interazioni interne fra Iran, Arabia Saudita, Turchia, Egitto e Libia con il resto del Medio Oriente ed esterne in particolare con Stati Uniti e Russia, sempre per meglio intendere le cronache attuali (2020). Vedremo.

QUARANT’ANNI ALL’ISTITUTO TECNICO INDUSTRIALE STATALE DI POMARANCE (PI, Italy) della prof.ssa Ivana Rossi, con prologo ed epilogo

PROLOGO DI IMPULSO FRA LE RIGHE…

ALLO SCRITTO DI IVANA; A CURA DEL DOTT. PROF. FRANCESCO GHERARDINI

IVANA ROSSI_GHERARDINI


Per leggere l’articolo definitivo, corretto dagli errori di trascrizione e battitura, cliccare su:

IVANA1

 

 

EPILOGO DI IMPULSO OLTRE LE RIGHE…

ALLO SCRITTO DI IVANA; A CURA DI UN EDITORE DI QUESTO BLOG

Riflettendo oltre le righe un editore del blog fa notare come in questo ‘caldo’ saluto al sistema scolastico ITIS di Pomarance non vengano ricordati  personaggi, pur al tempo attivi, di spicco e di punta (purtroppo!), sempre pronti a tendere l’arco… e questa dimenticanza ha probabilmente un senso. Ciò, forse, potrebbe corroborare l’ipotesi che nessun sistema complesso ovunque situato nell’Universo possa mai essere considerato un ‘Paradiso’,  ma si costruisce attraverso un continuo agitarsi, confrontarsi e scontrarsi all’interno di coppie fra opposti Principi, che, pur nominate con appellativi diversi nel corso della storia dei miti umani, sembrano nel contenuto rispettare i significati attribuiti alla coppia Yin-Yang (vederne sopra il simbolo): emblematico, maschile-femminile, ma, per altri versi, tenebre-luce, male-bene, morte-vita, ecc.. Sembra plausibile, allora, l’affermazione che, nei paradisi dei terrestri, si nascondano sempre serpenti spesso dotati di veleno (per lo più da invidia genetica, nella fattispecie)!

 

COMMENTO ALLE POESIE DI MARZIA SERPI DI CASTELNUOVO V.C.; a cura del dott. prof. Francesco Gherardini

Per leggere il commento cliccare  sul link interno:

Gherardini_Marzia Serpi (10)

Altrimenti leggere di seguito:

Marzia Serpi è nata nel 1956 a Castelnuovo di Val di Cecina, paese che ama e dove ha sempre vissuto. Ha svolto diverse attività lavorative, che non le hanno mai impedito di dedicarsi alla poesia, cui si è avvicinata all’età di undici anni. Decenni di passione poetica hanno prodotto ben quattro raccolte di canti: Espressioni di una vita, Volo di rondine, Oltre lo sguardo, Lo specchio e l’anima.
Di seguito una scelta di poesie di Marzia Serpi per dare un’ idea della sua poetica e delle sue capacità compositive.

NASCITA
Mani di pianista
arpeggiano il tempo
s’affaccia una stella
da un velo di nube
mentre un primo vagito
saluta la vita.
E il ventre materno
Da scrigno segreto
Ne replica l’essere
E il dubbio di Amleto

La poesia non vende …. Ha scritto, su Repubblica Walter Siti, che “la poesia ha un’aria depressa”. Sono pochi gli editori che se ne occupano e pochissimi i lettori. Operazioni più volte tentate come quella di inserire nei quotidiani delle poesie “classiche” sono servite a poco o a niente , anche se gli unici libri di poesia in grado di dare buoni esiti editoriali dovrebbero ricercarsi tra quelli dei poeti più celebrati del Novecento ( Neruda, Garcia Lorca , Montale). Figuriamoci quale sorte può essere riservata alle opere di un autore contemporaneo. Eppure Marzia Serpi vende libri di poesia.
Marzia ha centinaia di persone che la seguono (followers) e che acquistano regolarmente i suoi libri appena sfornati . Sono pubblici sui social anche i commenti di molti di questi fans; i suoi lettori manifestano stupore, assimilano le sue parole a “ gocce di rugiada” per come sa comunicare emozioni e sentimenti, giudicano le sue espressioni ricche di contenuti in un contesto di pura armonia, ne apprezzano la sincerità : ritengono i suoi messaggi cristallini dal momento che la poetessa sembra vivere realmente ciò che racconta. Riccardo sostiene che i suoi versi piacciono perché affrontano i temi della vita quotidiana, secondo lui Marzia illumina cose modeste che distrattamente tutti noi osserviamo e trascuriamo, lo fa con gli occhi sensibili di una mamma e di una donna; Loredana giudica la sua ingenuità sofisticata , addirittura assimilabile ad un quadro di Rousseau il doganiere ; per Daniele la sua poetica è leggera e profonda come se l’ ispirazione le fosse dettata da qualcuno che le sussurra “ prendi carta e penna e scrivi”; Silvia osserva che le sue poesie si leggono di un fiato perché sono tutt’uno col nostro respiro e hanno la capacità di invitarci a conoscere il suo mondo; per Vinicio Marzia ha la capacità di farci vivere sempre un qualche film mentale e per Nanea Marzia finalmente cancella la poesia autoreferenziale e noiosa , costruita con virtuosismi e arzigogoli vuoti di significato e lo fa in maniera semplice , ma non semplicistica, con una straordinaria capacità di evocare immagini e (re)suscitare emozioni ; per Antonella la poesia di Marzia è soprattutto colore e calore, amore per la famiglia e per il paese.
Anch’ io – Francesco Gherardini – mi sono accostato a questi versi in occasione della presentazione della seconda raccolta “Oltre lo sguardo”. Allora scrissi le righe che seguono:
“Apri il nuovo libro di poesie di Marzia e soffermati a leggere il primo testo, quello che dà il titolo al libro: “Oltre lo sguardo”. Dieci versi ricchi di simbolismi. Qui la vita ti si affaccia come una sorta di “vascello fantasma” una nave solo all’apparenza, ingannevole e illusoria,insicura perfino della sua stessa esistenza che si sposta assai lentamente per affrontare un viaggio verso lidi ignoti, lasciando un vissuto nebuloso, il suo debole ancoraggio ( “nebbie di ricordi” ); una nave/ una vita che non va spedita e sicura di sé, ma che dondola e galleggia a manifestare esitazione, indecisione, incertezza, a marcare un cammino pieno di dubbi verso un “orizzonte cupo” , un “mare grigio” . Espressioni diffuse in questo nostro tempo, che danno l’idea del malessere profondo della società contemporanea, dove il minimo comune denominatore pare ormai essere rappresentato dalla depressione e dal disincanto.
Puoi cogliere in questi versi l’insoddisfazione che traspare per la vita quotidiana routinaria e poco significante e la ricerca invece di valori assoluti, indiscutibili ( “l’ancora di salvezza” ), pur tra dubbi continui e nel disagio esistenziale ( “le nebbie dell’anima” ). L’impressione ingannevole che ti potresti fare è quella di trovarti dinanzi ad una poesia dell’amarezza e del pessimismo, che è un tratto saliente di tanti poeti maschi e femmine, e invece salti pagina e subito trovi ( “Si fa sera” ) di fronte al tripudio della vita con versi che cantano la straordinaria meraviglia della Natura (e nel caso di Marzia del “creato”) e dichiarano stupore per la bellezza che la circonda e la inonda di gioia e di serenità, naturalmente circonfusa di incrollabile speranza; Marzia canta un amore per la vita che incide su di lei anche fisicamente ( “dolci ebbrezze sulla pelle scolpite” ) e che la porta nella lirica successiva, intitolata “Vero amore”, ad esaltare quel rapporto monogamico e incrollabile che è diventato così raro nel nostro mondo umano e pare sopravvivere soltanto fra alcuni pennuti (i piccioni ad es.): “quando la mia mano nella tua mano è il solo calore che mi serve”.
Questa è la vera Marzia che “di meraviglia si nutre”, come dice pochi versi più avanti, che “ama l’amore, ama la vita”.

Nazario Pardini, poeta , scrittore e critico, ci guida alla scoperta di questa poetessa nostra concittadina, prendendo spunto dal commento alla lirica “Da un attimo” (Lo specchio e l’anima, p.91, Bastogi libri, Firenze 2017)

DA UN ATTIMO …
Ho un attimo di cielo
Da dividere con te,
voglio essere regina
donna, amante e molto più.
Spezzare un atomo
In frammenti di luce,
dirigere la storia
orchestrando solamente armonie
mentre tutto intorno a noi
regala amore.
Ed io, aquila reale
Che ha paura del suo volo
E tu compagno mio
In ogni cielo da solcare
Nell’azzurro, tra le nubi
O nella notte cupa
Il nido sulla vetta
Sai trovare, ed aquilotti sanno già volare.

Vita, illusioni, delusioni, saudade, rievocazioni, amore:
“Ho un attimo di cielo/ da dividere con te,/ voglio essere regina/ donna, amante e molto più./ …/ Ed io, aquila reale/ che ha paura del suo volo/  e tu compagno mio/ in ogni cielo da solcare/ nell’azzurro, tra le nubi/ o nella notte cupa …”. (Da un attimo …) Un amore totale, pieno, che l’anima nel focus della sua ispirazione dona alla liricità della parola.
Tutto questo nella silloge di Marzia Serpi che, con grande efficacia visiva, è volta, in una ricerca verbale, a concretizzare la sua ontologica vicenda. I versi scorrono fluenti, puri, con euritmica inclusione,  ora ampi, ora brevi, per seguire il ritmo di un’anima tutta presa dal dire di sé, del suo amore per i figli, il padre, la madre, l’uomo della sua vita. Non meno hanno una incisività poetica i canti rivolti agli animali, visti con antropomorfico afflato, e verso i quali la Serpi rivolge un affetto  di estrema forza trascinante. Ma quel che più risalta è la rappresentazione di una realtà che a volte si fa immediata e conclusiva, a volte traslata, piede d’appoggio per un volo verso l’alto, al di là delle micragne della vita. In oniriche vertigini, anche, che tanto sanno di respiri autunnali o di abbracci primaverili. D’altronde il sogno fa parte di questa nostra storia caduca e fragile, e la poetessa è cosciente della sua fragilità. Per questo si attacca a sentimenti forti e generosi, quasi con l’intento di portarli sempre con sé fino al guado della corrente, rivelando tutta la sua fierezza di donna che prosegue il cammino nelle primavere illusorie del mai finire. In aiuto al suo verseggiare si propone una natura fresca e generosa, policroma e oggettivante, che con tutti i suoi polivalenti messaggi, si fa involucro degli abbrivi emotivi della Nostra: “Fresca la foglia al color di lattuga/ che al mattino sorprendi il mio sguardo. / Primavera è arrivata,/ solo ora mi accorgo di lei/ e con lei, mi sento più vera./…./ Il papavero agli argini spicca allo sguardo/ c’ovunque si posa s’allieta di tanta bellezza/ scordando ogni sua vanità”. (In viaggio) Uno spirito che chiede libertà, e che tale libertà trova in una primavera di scoperte e meraviglie in una  navigazione fatta di scogli e di bonacce; di marosi e di orizzonti luminosi, verso mete di umana consistenza, dove le ampiezze dei limiti portano anche a sperdimenti o a naufragi meditativi di memoria leopardiana. Sì, tuffi in voragini d’infinito dove è facile perdere la nostra identità. Ma Marzia, col suo stile semplicemente complesso, col suo linguismo in progresso, in cerca di  una consistenza che convalidi il suo pathos, non si arrende di fronte all’ignoto, e vola, con iperboli o con agganci  retorici  di significante valenza, verso riposi familiari, verso memorie di intime stagioni: “Noi, per un mondo migliore/ noi, popolo in movimento/ noi, figli del vento/   noi sabbia/ allo scorrer del tempo./ Noi, amati da Dio”. C’è questa inquietudine del tempo che vola, del momento inafferrabile, ma c’è anche la fede verso un Dio che ci ama. Una silloge completa, direi, che tocca tutti gli angoli dell’umano vivere; una narrazione che pretende qualcosa di più, che ambisce ad una poesia ancora più aderente, più consona alla pluralità di un mondo interiore, polivalente e plurale, perché la Serpi ama il canto, e vorrebbe che si perpetrasse foscolianamente ai posteri; al tempo a venire per trasferire all’eterno uno sprazzo caduco di vita, una solitudine, una notte di mezza estate:

(…)
Notte di mezza estate,
io e questo bianco foglio
stasera è tutto ciò che ho
ma non è ciò che voglio. (In sol-itaria)

DONNA

Passi leggeri, nello scandir del tacco
la gonna ondeggia al corpo
in flessuoso movimento
sguardi che al passaggio
accarezzano l’orgoglio.
Dove si ferma il sorriso
ne rimane l’impronta,
la fierezza di donna
prosegue il cammino
nelle primavere illusorie
del mai finire.
Sarà madre, difenderà ideali
avrà corpo e anima da gestire,
troverà il coraggio tra le sue paure
la leggerezza della gazzella
non le negherà la forza della leonessa.
E se quel passo diventerà più pesante
il suo cuore saprà esser leggero
al compiersi di un’esistenza
dove essere donna, è stato bello.

DIMENSIONE
Dorme la gatta al canto del foco
Il suo gomitolo unico gioco,
una crepa sul muro come ferita
s’allarga e ti segna lo scorrer di vita,
un ragno accasato nell’angolo tesse la tela
imprigionando attimi che il destino svela,
l’orologio da parete ormai fermo alle sette
sul suo quadrante più niente riflette,
di umile forgia una scura vetrina
con i suoi ripiani adorni di trina
e una finestra che si affaccia chissà ?!
alba,tramonto non vedo di là.
Sembra una stanza sospesa nel tempo,
Sorprende la noia ascolta il sentimento,
Accartoccia la vita,strapazza i pensieri
Dipinge l’assurdo, annulla i desideri.
Non so se è reale quello che vedo
o un film mentale, ancora mi chiedo,
fermo, bloccato su di un fotogramma
che nutre lo sguardo e il pensiero inganna.
Una sedia impagliata domina la scena
il suo fantasma richiama a vita terrena.

Riporto infine anche il giudizio comunicato dallo stesso poeta-critico Pardini alla poetessa:

“Carissima Marzia,
mi fa grandissimo piacere leggere parte della mia esegesi. E quello che ho scritto è nato da un animo cotto a puntino dalla lettura dei tuoi versi. Mi ha affascinato e mi affascina della tua lettura e della tua scrittura quel realismo lirico alla Capasso che pochi sanno trattare ricorrendo ad una meditazione della realtà come tu sai fare. Belli e significativi i versi citati contengono tutta intera la tua anima affidata ad una versificazione di sonora e visiva plasticità.
Nazario Pardini”

NOTE SUL DENSO CURRICOLO POETICO

Nel 1993, vinto il “Premio Selezione ’93”, ha visto pubblicare la sua prima raccolta di poesie “Espressioni di una vita” (Cultura Duemila Editrice). Alcune sue opere sono state pubblicate nelle raccolte “Viareggio Carnevale”, “Poeta anch’io – III edizione”. Il giudizio lusinghiero di alcuni critici l’ha spinta a proseguire . Così, nel 2010, esce la sua seconda raccolta “Volo di Rondine” (Bastogi Editrice Italiana). Il libro riceve diversi riconoscimenti: Maggio 2011 3° Premio per la sezione “Poesia Edita” al Concorso Nazionale “Viareggio Carnevale”, Giugno 2011 ” Premio Speciale della Giuria per la sezione “Libro Edito” al Concorso Internazionale di poesia, narrativa e saggistica “Il Boccale”, Ottobre 2011 1° premio nella sezione “Libro Edito” al Concorso letterario internazionale “Profumo di Marzo”. Contemporaneamente partecipa con poesie inedite a concorsi letterari ricevendo nel 2011 il 3° Premio nella sezione “Poesia” al Premio Letterario Internazionale “Lilly Brogi- La Pergola Arte Firenze”, sempre nel 2011 il Premio della Presidenza per la sezione “Poesia a tema libero” al Premio Letterario Internazionale “Ischia, l’Isola dei Sogni”, nel 2012 il 5° premio unica sezione poesia a tema “Emozioni d’infanzia” al premio nazionale di poesia “Cipressino d’oro”, nel 2012 il Premio Speciale della Presidenza per la sezione “Poesia a tema libero” al XIII Premio Letterario Internazionale “Ischia l’Isola dei Sogni”,nel 2012 Segnalazione di merito “Poesia a tema libero” al Concorso Letterario Nazionale “San Lorenzo in Poesia” , nel 2012 il Premio Paracelso unica sezione poesia a tema “I 4 elementi: aria, acqua, terra, fuoco” con l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica al Concorso Internazionale “Poeta anch’io”. Nel 2012 Conferimento Speciale della Giuria per la sezione “Poesia a tema libero” al Concorso Letterario Internazionale “Profumo di Marzo” Nel 2012 il 4° Premio Divulgazione per la sezione “Poesia a tema libero” al Premio Letterario Internazionale “Lilly Brogi La pergola Arte”. Nel 2011 l’autrice partecipa con una poesia inedita all’antologia poetica “Cento voci verso il cielo” realizzata a scopo benefico dall’associazione culturale La Pergola Arte. Sempre nel 2011 altre liriche inedite sono inserite nella raccolta antologica “La ricerca poetica” pubblicata da Bastogi. Partecipa, con la lettura di sue opere, a diversi eventi tra cui, nell’agosto 2011, alla serata “Calici di stelle” in piazza Duomo a Colle di Val d’Elsa. Nel 2012 altre liriche inedite accompagnate dai giudizi critici di Lia Bronzi e Duccia Camiciotti sono inserite nella seconda raccolta antologica “I poeti contemporanei e la critica” pubblicata da Bastogi. Nel mese di ottobre 2012 l’Associazione Culturale “Mino Maccari” le dedica un ampio articolo sul giornalino trimestrale “Il Maccarino”. Nel mese di aprile 2013 esce la sua terza raccolta di poesie, dal titolo “Oltre lo sguardo” (Bastogi Editrice Italiana) presentata a Castelnuovo Val di Cecina. Nel 2013 Segnalazione di merito “Poesia a Tema Libero” al Concorso Letterario Nazionale “San Lorenzo in Poesia”. Nel 2013 Conferimento speciale della Presidenza al Concorso Letterario Internazionale “Profumo di marzo”. Nel mese di Settembre (20/9/2013) la terza raccolta “Oltre lo sguardo” viene presentata a Firenze in Palazzo Vecchio. Nel 2013 Premio di merito nella sezione “Opere edite” con la raccolta “Oltre lo sguardo” al Premio Letterario Internazionale “Montefiore”. Nel 2013 Premio Finalista nella sezione “Editi” con la raccolta “Oltre lo sguardo” al Concorso Nazionale di Poesia “Terzo Millennio” Roma. Nel 2013 Conferimento Speciale nella sezione Poesia a tema “Amarsi tra passato e presente” al Concorso Letterario Internazionale “Idea Donna – Lei e Lui” Nel 2013 Alcune liriche inedite sono inserite nell’antologia “Voci fiorentine” editrice (Ibiskos-Ulivieri). Presentata il 13-12-2013 a Firenze Palazzo Bastogi. Nel 2014 Menzione d’onore nella sezione “Libro edito” con la raccolta “Oltre lo sguardo” al Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica “Pegasus Literary Awards”- Nel 2014 Primo Premio, nel concorso a tema “Poesia respiro dell’anima-Ambasciatrice di pace” al Concorso Internazionale di Poesia “Molteplici visioni d’amore” Nel 2014 riceve il 4° Premio, nel Concorso a tema “Giro giro tondo …. i bambini e la guerra nel mondo” al Premio Nazionale di Poesia “Cipressino d’oro”. Nel 2014 Segnalazione di merito “Poesia a Tema Libero” al Concorso Letterario Internazionale “Premio Piemonte Poesia”. Nel 2014 Segnalazione di merito nella sezione C “Amici dei medici-scrittori- opere edite” con la raccolta “Oltre lo sguardo” al Premio Nazionale di poesia “Nora Rosanigo”. Nel 2014 Menzione d’onore, nella sezione unica “Racconti a tema libero” al Concorso Letterario Nazionale “I Racconti di San Lorenzo”. Nel 2014 riceve il 3° Premio, nella sezione “Diritti dell’uomo” al Concorso Nazionale di Poesia e Narrativa “Terzo Millennio” Roma. Nel 2014 riceve il 1° Premio assoluto, nella sezione “Poesia a tema libero” al Concorso Letterario Poesia e Narrativa “Idea Donna – Lei e Lui”. Nel 2014 riceve Menzione della giuria, nella sezione unica a tema “Amore in una qualsiasi delle sue accezioni e declinazioni” al Concorso Nazionale per Poesia e Narrativa “Premio letteratura d’amore” Torino. Nel 2015 riceve il Premio Speciale: Cortona Città del mondo. Nella sezione “raccolte di poesia edite” con la raccolta “Oltre lo sguardo” al Concorso Internazionale di Poesia “Molteplici visioni d’amore”. Nel 2015 riceve il 2° Premio, nel Concorso a tema “Mamma, papà sto arrivando. La magia dell’arrivo di un bambino” al Premio Nazionale di Poesia “Cipressino d’oro”. Nel 2015 riceve il Premio Targa Paris – Plaque Honorifique Paris. Nella sezione opere inedite di poesia singola al Premio Letterario Internazionale Itinerante “World Literary Prize” . Parigi. Nel 2015 il 5 agosto, viene pubblicata la Poesia dal titolo “Expo Milano 2015” nel sito mondocattolicaexpo del Padiglione della Santa Sede, che chiedeva: Racconta la tua esperienza e le tue riflessioni sul tema “Non di solo pane”.
L’autrice, ad oggi, è membro del consiglio esecutivo della Camerata dei Poeti di Firenze.Il suo nome è inoltre presente nel “Dizionario Biobibliografico dei Poeti e dei Narratori Italiani dal secondo novecento ad oggi” edito da Bastogi nel 2011. Altre liriche, accompagnate da autorevoli recensioni sono presenti nelle seguenti antologie: La ricerca poetica, I poeti contemporanei e la critica, Cento voci verso il cielo, Voci fiorentine, L’alfabeto della poesia. Nel 2016 ha partecipato al progetto “ Stendardi d’Autore” a Massa Marittima e al progetto “ Italia Poesia chiama Europa”. Nel 2017 è uscita la quarta raccolta “Lo specchio e l’anima”.

 

 

COMMENTO ALLA POESIA “LA SIEPE” di Giovanni Pascoli, del dott. prof. Francesco Gherardini

NOTE DEL COORDINATORE piero pistoia

Data la ‘densità’ di questa poesia pascoliana, la rilevanza del commento e il modo alla ‘robinson’ con cui fu introdotto la prima volta, lo riproponiamo più ordinato in pdf.

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COMMENTO A PIU’ VOCI ALLA POESIA “ITALIANO IN GRECIA” di VITTORIO SERENI, PARTE TERZA; a cura di Francesco Gherardini

ITALIANO IN GRECIA

di Vittorio Sereni

Prima sera ad Atene, esteso addio

Dei convogli che filano ai tuoi lembi

Colmo di strazio nel lungo semibuio

Come un cordoglio

Ha lasciato l’estate sulle curve

E mare e deserto è il domani

Senza più stagioni

Europa Europa che mi guardi

Scendere inerme e assorto a un mio

Esile mito tra le schiere dei bruti

Sono un tuo figlio in fuga che non sa

Nemico se non la propria tristezza

Di laghi  di fronde dietro i passi

Perduti,

Sono vestito di polvere e sole

Vado a dannarmi e insabbiarmi per anni

(Pireo, Agosto 1942)

Dott. Prof. Francesco Gherardini

 

 

COMMENTO ALLA POESIA DEL CARDUCCI “COLLOQUIO CON GLI ALBERI” del Dott. Prof Francesco Gherardini

Per vedere il commento in pdf cliccare su:

carducci_colloquio-con-gli-alberi-1 in pdf

 

COLLOQUIO CON GLI ALBERI

Rime nuove, libro II,n° VIII, “Colloqui con gli alberi”

Te che solinghe balze e mesti piani

Ombri, o quercia pensosa, io più non amo,

Poi ché cedesti al capo de gl’insani

Eversor di cittadi il mite ramo.

Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo,

Ché menti e insulti, o che i tuoi verdi e strani

Orgogli accampi in mezzo al verde gramo

O in fronte a calvi imperador romani.

Amo te, vite, che tra bruni sassi

Pampinea ridi,ed a me pia maturi

Il sapiente de la vite oblio.

Ma più onoro l’abete; ei fra quattr’assi,

nitida bara, chiude al fin li oscuri

Del mio pensier tumulti e il van desio.

Il sonetto “Colloquio con gli Alberi” (ABAB,BABA, CDE,CDE ) fa parte della “Rime Nuove”: una raccolta di 105 liriche numerate , divise in nove libri , composte dal 1861 al 1887 e stampate nel 1906, l’anno del Nobel ; organizzate secondo un disegno formale, non contenutistico e neppure cronologico; in queste liriche – secondo una critica concorde – il sogno di risanamento morale dell’Italia appare irrealizzabile , dominano la spossatezza e il dissolvimento degli ideali risorgimentali , paiono estinte le stesse ragioni della lotta; c’è una sorta di regressione verso un mondo bucolico di fronte allo spettacolo miserevole di avvenimenti politici deludenti.

Nella raccolta (II libro) il sonetto è preceduto da DI NOTTE e seguito da IL BOVE .Nel primo , la notte non fa paura, anzi dissolve le sue tristezze , nel suo seno il poeta trova quiete come un bambino che si abbandona tra le braccia della nonna (pia ava) “ ove l’ire e i dolor l’anima oblia”. Vi si avverte l’eco del celeberrrimo sonetto di Ugo Foscolo “Alla Sera”.Il secondo è un sonetto dedicato ad una figura simbolo di forza pacifica e industriosa, vi si esaltano la serenità e la sanità della vita nei campi, una natura forte amica dell’uomo; sono versi costruiti con espressioni virgiliane, di un naturalismo che richiama la pittura dei macchiaioli .Tra i tre sonetti non ci sono grandissime affinità.

Il nostro sonetto è stato composto il 13 febbraio 1873, ma pensato a Marzo o Aprile 1868 col titolo semplificatorio di “Quattro alberi”. Le prime due quartine costituiscono una sorta di pars destruens. L’ interpretazione letterale è piuttosto semplice. Per il poeta la quercia e l’alloro non meritano l’attenzione e il valore che è stato loro attribuito dall’uomo nel corso dei secoli ; in fondo hanno tradito la loro missione . La quercia , che il poeta percepisce come una presenza imponente e solitaria, simbolo del pensiero profondo della filosofia e della politica, si è prestata a che facessero dei suoi (miti) rami corone per spietati conquistatori e folli distruttori di città; quanto all’alloro in fondo ha mostrato tutta la sua frivolezza, pavoneggiandosi con le sue verdi fronde in un ambiente dominato solo dallo squallore dell’inverno; nella sostanza si tratta di un albero infecondo, improduttivo , utilizzato solo per sfoggiare la sua bellezza sulle teste calve degli imperatori romani.

Con la prima terzina si apre invece uno scenario diverso : come non apprezzare la vite , che strappa la vita facendosi strada e lottando tra i bruni sassi ; essa almeno offre all’uomo un frutto salutare per lui, che almeno per qualche momento gli fa superare la malinconia e il dolore, avvolgendolo nell’oblio.Certo la vita è carica di amarezza e di delusioni, di dolori cocenti, di inganni tanto che si aspetta la fine con sollievo ; allora ci viene in soccorso l’abete, quattro semplici tavole bianche ben levigate sigillano corpo e anima, segnano la fine dei nostri pensieri e dei nostri mai appagati desideri.

Procediamo con un’analisi un po’ più approfondita.

  1. Non si tratta di un sonetto originalissimo per la tematica che affronta ; alcuni critici lo hanno accomunato all’ode “Egoismo e carità” di Giacomo Zanella (1865).

Carducci era un conoscitore e un ammiratore del poeta napoletano, ne parla in due lettere a Chiarini e Barbera del 22 e del 30 Agosto 1868; anche Zanella nella sua ode mostra avversione nei confronti dell’alloro perché è vanaglorioso (“ verdeggia eterno/quando alla foresta le novissime fonde invola il verno”) e infecondo ( “non reca gioia all’augellin digiuno”) ed apprezza la vite “poverella” che almeno col suo “licor” consola “ il vecchierel che tiene colmo il nappo” e lo fa sognare “contento floridi pascoli ed auree biade”. L’ode di Zanella precede almeno di cinque anni il sonetto di Carducci e contiene solamente qualche coincidenza tematica , non ha certo la sinteticità, la perentorietà e la forza di Carducci né una chiusa paragonabile : le auree biade e i floridi pascoli non sono minimamente accostabili a quanto può essere adombrato dal concetto di “nitida bara”

  1. La Rime Nuove sono conosciute per l’attenzione alla Natura della Maremma, irta e selvaggia, dolce e malinconica, sempre luminosa; anche in questo sonetto – astraendo dalla citazione dei quattro alberi che vivono dappertutto e non solo in Maremma- ci sono alcune immagini che ricordano le caratteristiche del paesaggio maremmano dell’epoca : le solinghe balze e i mesti piani, l’ombra della quercia e il verde gramo, i bruni sassi .

Le balze (un termine usato qui in maniera abbastanza generica) non possono non farci correre col pensiero alla città di Volterra, allora nella Maremma pisana, “un bastion suspendu sur la Maremme” (Paul Bourget) ,città natale della madre Ildegonda Celli; Carducci certamente aveva avuto modo di sentire parlare chissà quante volte delle balze: uno spettacolo impressionante , la rottura improvvisa del dolce paesaggio toscano , per chi le vede per la prima volta e che induce a pensarle come una delle cause di ”quell’affetto particolare dal quale mi derivò quello che nei miei begli anni mi turbinò di selvaggio e giocondo nel cuore e mi gemé profondamente nell’animo”[Pescetti,Volterra]. Ma Carducci nel 1873 non era stato ancora a Volterra; vi giunse il 9 agosto 1882 per la prima volta proveniente da Livorno (dove viveva la figlia Beatrice)con Giuseppe Chiarini e Guido Mazzoni, commissari d’esame al Liceo, allora retto dagli Scolopi.1

E poi insieme con il poeta possiamo immaginare i vasti e mesti piani dove ogni tanto incrociare secolari querce solitarie e godere della loro ombra nella grande pianura maremmana, che oggi è tutto meno che mesta, ma che due secoli fa era ancora terra di bonifica e di malaria come ricorda bene il testo di una dolente canzona popolare toscana “Maremma amara” , dove non mancano i riferimenti alla tristezza e alla morte.La quercia che popola effettivamente i piani della Maremma- il verde gramo dei prati pascolo – è sempre stata simbolo di forza e longevità, di fermezza e durezza e la ghirlanda di foglie di quercia è stata da secoli utilizzata nelle insegne militari. Nella prima quartina risalta forte il contrasto : il mite ramo della quercia sul capo degli insani eversor di cittadi.

A prima vista non sembra che ci sia un riferimento preciso ad un personaggio storico del presente o del passato; possiamo però soffermare la nostra attenzione sul termine classico “eversor” 2 e condividere l‘invettiva contro gli insani, i folli, i pazzi che distruggono la vita e le proprietà altrui per desiderio di potenza e di ricchezza. Forse potremmo individuare qualche collegamento con le vicende tormentate di quel lustro 1868-1873. Si tratta di anni assai importanti sia per l’Europa che per l’Italia , caratterizzati dalla seconda rivoluzione industriale, dall’esplosione di tutta la potenza e di tutte le contraddizioni del capitalismo; sono gli anni del petrolio e dell’elettricità, della crescita dei commerci mondiali, dell’esaltante sviluppo scientifico e tecnologico, con l’Italia che stenta ad unificarsi ed arranca mentre emerge prepotente la potenza prussiana ; sono gli anni dell’affermazione e del declino repentino della grandeur francese .

In questo periodo (68-73) in Italia arriva a soluzione , sotto tanti aspetti poco dignitosa, la questione romana: un esito davvero poco apprezzato da Carducci che resta colpito dalla pusillanimità di parte italiana, dalla sudditanza nei confronti della Francia che cessa opportunisticamente nel luglio 1870 dopo la batosta di Verdun, con Roma conquistata grazie al benestare della nuova potenza teutonica e non per un gesto di autonomia e di coraggio da parte dei governanti italiani. Solo Garibaldi salva la dignità degli Italiani. Carducci non ammira la gestione governativa della Destra storica e in particolare di Bettino Ricasoli. Se volessimo interpretare questi versi in chiave simbolica, potremmo vedere raffigurata nella quercia la classe dirigente del tempo e in questi endecasillabi una critica forte alla pavidità di quei governanti, che hanno finito per mettersi opportunisticamente sempre dalla parte del vincitore .3

Quanto all’alloro si tratta di una pianta infeconda (cfr.Zanella) che in fondo non si dovrebbe più ammirare e che il Poeta tuttavia ha desiderato come tutti i poeti hanno fatto da tempo immemorabile. 4L’alloro è una pianta ingannevole (non sempre va sulla testa di chi lo merita veramente) e insolente perché offende col suo verde rigoglioso fuori stagione tutte le piante che sono ormai spoglie, in questo senso è un albero strano , ossia estraneo; il verde brillante dell’alloro si contrappone al verde gramo, ai campi desolati dove ormai il verde stenta a permanere, vinto dalla stagione autunnale. Sempre alzando il possibile velo simbolico, questi versi circa l’alloro potrebbero indurci a riflettere sul comportamento degli intellettuali del tempo, proni di fronte ai potenti e buoni a mettersi in mostra soltanto quando è facile e indolore. Carducci vuol forse dirci che l’arte in generale ha perso la sua funzione civile? Che non torneranno più Parini Alfieri Foscolo Leopardi ?

La vite invece presenta da sempre un aspetto positivo : assai diverso da quello lacrimoso tratteggiato da Zanella [“ Te, poverella vite, amo, che quando/Fiedon le nevi i prossimi arboscelli,/Tenera, all’altrui duol commiserando,/Sciogli i capelli./ Tu piangi, derelitta, a capo chino,/Sulla ventosa balza.”], qui la vite ride pampinea 5,brilla nei colori vivaci dei pampini , ma soprattutto quasi con gesto religioso e benigno (pia) matura per il poeta il vino che dà l’oblio , che saggiamente ci fa dimenticare gli affanni. Questo riferimento merita qualche parola in più.

Vino e oblio: si tratta di un motivo classico già presente nei lirici greci. “Beviamo! Perché attendere i lumi? Il giorno vola.Prendi le coppe grandi variopinte, amico. Il vino! Ecco il dono d’oblio del figliolo di Semele e di Zeus. E tu versa mescendo con un terzo due terzi, e le coppe trabocchino, e l’una l’altra spinga.” (Alceo, 11) Il vino è stato un simbolo del soprannaturale pagano : Dioniso nasce da Semele mentre è colpita dal fulmine , il fulmine produce fremito e furore come lo stato di ebbrezza nasce dal vino, uno stato che permette di sciogliere l’individuo dai suoi vincoli e dai suoi freni inibitori e che consente di ricongiungerlo alla divinità: nell’ estasi, nell’ entusiasmo , nella liberazione dei sensi. Questo cenno al sapiente oblio potrebbe sembrare un cedimento del poeta alla tematica decadente,6 quella gioia di breve durata , inafferrabile e sfuggente, che potrebbe mutarsi in nuovo dolore; ma arriva un definitivo soccorso: quattro tavole ben piallate di abete per sigillare le passioni, i desideri di altezza e di gloria mai davvero appagati e in fondo vani di fronte alla drammaticità della vita reale .

Qualche cenno biohgrafico non guasta.Per Carducci sono anni questi di dolore e di rabbia, segnati dal suicidio del fratello Dante, poi dalla morte del padre e del primo figlio Francesco, nonché da un insuccesso editoriale e letterario (Levia Gravia) che lo portò ad insultare amici e colleghi, i critici democratici e i massoni bolognesi (tanto da essere espulso dalla loggia cui aveva aderito); diceva di sé in alcune lettere di essere preoccupato perché non riusciva a stimare né ad amare più nessuno; oltre alle vicende personali e familiari ,pesavano moltissimo quelle politiche, romane come la decapitazione di due garibaldini da parte delle truppe di occupazione francesi, l’epilogo tragico della battaglia di Monterotondo e di Mentana, cresceva il suo odio verso PIO IX e verso l’insipienza dei governanti italiani, fino a scrivere “triste novella io recherò tra voi: la nostra patria è vile”(In morte di Giovanni Cairoli). In questi anni Carducci alias Enotrio Romano scrive sull’Amico del Popolo , un giornale bolognese di tendenza repubblicano-democratica, secondo il questore del tempo “un veleno che entra in tutte le vene, serpeggia e si diffonde”, nei fatti una pubblicazione molto apprezzata e largamente diffusa che si batteva a favore delle classi lavoratrici e criticava i governi moderati con toni che portarono a parecchi sequestri.

Una lettura chiarificatrice e decisamente interessante è offerta dalle note biografiche di Giuseppe Chiarini (Impressioni e ricordi di Goisuè Carducci , Bologna 1901, Memorie della vita di Giosue Carducci 1835-1907 raccolte da un amico, edizioni Barbera 1907). Afferma Giuseppe Chiarini che in fondo la generazione di Carducci era stata fortunata perché in poco tempo aveva visto compiersi avvenimenti che sembravano sogni; il piccolo Giosué, rimasto impressionato da ragazzetto (1848-1849) dai volontari che andavano a morire per l’Indipendenza dell’Italia, nel 1856 aveva cominciato a scrivere versi patriottici; si sentiva anch’egli un patriota che si rifugiava nella letteratura (Dante,Petrarca, Alfieri, Foscolo, Leopardi) perché la speranza di una concreta riscossa sembrava lontana; non apprezzava il Manzoni invece : troppa religione, troppa rassegnazione, troppo prete e come tale amico di un potere ostile, Pio IX. Carducci giovane odiava il Romanticismo, barbaro a priori ed amava invece i classici. Ricorda Chiarini :”Eravamo classicisti intransigenti e intolleranti”. Sul piano politico Carducci si spostava progressivamente a favore dei repubblicani, odiava le manovre dei monarchici che non volevano chiudere la questione romana e dopo Aspromonte era letteralmente infuriato contro il Governo e disgustato e amareggiato per i tentativi di accordo con il Papa. Visse il trasferimento della capitale a Firenze come la fine dei sogni e vide un’ elemosina da parte della Prussia e della Francia nella cessione di Venezia all’Italia. Manovre poco dignitose, “ci hanno spinto in avanti a calci in culo”, culminate con l’attacco a Roma dopo la disfatta francese.

A questo punto quattro parole è forse opportuno spenderle sulla coerenza politica di Carducci, tanto messa in discussione.

In questi anni (68-73) emerge lentamente, ma tenacemente la cosiddetta sinistra patriottica di Francesco Crispi, lungo una traccia che parte da un passato mazziniano e garibaldino e giunge fino all’adesione ad una concezione monarchica autoritaria; un cammino non certamente esclusivo del nostro poeta , ma già impostato da Garibaldi e dalla Massoneria 7e percorso anche da Carducci. Assiduo con uomini di governo come Benedetto Cairoli e Francesco Crispi, aveva aderito alla formula “Italia e Vittorio Emanuele” sia pure con qualche frustrazione e alla Loggia di Propaganda della Massoneria (1866-1870) , attratto dai principi derivati dal grande movimento positivista ( libertà, uguaglianza, fratellanza, indipendenza, progresso, anticlericalismo ) . 8 Certamente gli pesava il fatto che l’Italia, dopo tante speranze, ricoprisse un ruolo ancora decisamente marginale nell’agone europeo – soprattutto se confrontato con l’ascesa inarrestabile della Germania di Bismark – e non avesse mai dato prova di un comportamento fiero e dignitoso . Si colloca in questi anni lo spostamento politico ideologico da posizioni di sinistra estrema ( pensiero persino influenzato da Herzen e Bakunin) ad una progressiva accettazione e acquisizione dei temi e delle posizioni della borghesia monarchica, rappresentate da amici massonici che avevano fattto o stavano facendo il suo stesso cammino .

E’ il successo crescente della Germania bismarkiana che incanala il suo amor di Patria e la sua aspirazione alla Libertà sullo stesso percorso di Crispi, che Carducci ammirava e sosteneva; non si tratta della involuzione politica di un singolo personaggio, ma dello spostamento di interi settori della borghesia verso prospettive politiche diverse, che più tardi saranno definite un po’ semplicisticamente di “conservatorismo”. Nei fatti in quegli anni si arricchiscono le sue frequentazioni massoniche e con politici di peso. Più tardi scrisse con sentita convinzione che il razionalismo giacobino, mosso da Montesquieu o da Rousseau, aveva fallito mirando astrattamente a rifoggiare la società senza tener conto della storia e dei fatti, sur un modello rigido e stecchito “ ed esaltò Camillo Benso di Cavour, che aveva accettato la fede unitaria di Mazzini e Garibaldi, aveva indotto la monarchia a farsi carico della rivoluzione italiana e aveva riunificato la Patria e il popolo (Opere XVIII pp. 152 e ss.).

1 La città di Volterra tributò al poeta la cittadinanza onoraria nel giugno 1905

2 Cfr. “ Priami regnorum eversor Achilles” (Verg, Aen,XII,545) , “Oileo eversor di cttà” (Monti, Iliade, XI,974);

3 Garibaldi arruolò 40.000 volontari ; furono migliaia i morti nella battaglia di Digione;trent’anni dopo ricevette dalla repubblica francese la Legion d’Onore

4 Apollo colpito dalla freccia di Eros vuole Dafne che lo respinge e per sfuggirgli si trasforma in un arbusto; Apollo strappa un ramo, se lo mette in testa e si sente appagato e vittorioso.

5 cfr. Verg, Ecloghe, VII,58 “pampineas umbras”)

6 Cfr. Baudelaire, Lete

7 Nel 1864 le logge massoniche si fondono nel Grande Oriente d’Italia con a capo Giuseppe Garibaldi

8 Carducci era entrato in Massoneria nella Loggia Severa di Bologna già nel 1862, nel 1863 aveva composto l’Inno a Satana, poi nel 1865 era transitato nella loggia Felsinea di Bologna

 

UNA POESIA DI PIERO JAHIER “Corpo a Corpo”, commenti a più voci

CORPO A CORPO#7

Mi son bardato per la serata:
dal momento che volete vedermi nei vestiti
.                                                     che gridano: non è lui.
(Io che respiravo alle giunture degli abiti
.                                               vecchi come un insetto
– mi sono bardato per la serata).

E – tremando – dall’anticamera riscaldata
mi son prodotto nella luce, negli specchi e sorrisi:
– un sorcio attraversa il salone del transatlantico –
E nuotando nella luce, negli specchi e sorrisi
.                                      dell’accoglienza cordiale,
mi son trovato a parlare delle sole cose care,
a spiegare e difendere la causa della mia vita.

Ma ho visto – a tempo – il respiro della
.                                                   mia passione,
congelarsi contro i vostri visi.
A tempo mi avete guardato
come un drago che butta fuoco.

Mi domando perché mi avete invitato:

ma se è perché ho scritto tre parole sincere
e vorreste il segreto di questo mestiere:
Ci son sette porte e ho perso la chiave
.                                                per poterci tornare.

Se le ho dette, vuol dire che avran traboccato,
alzatevi presto e vedete partire la lodola
.                                                 quando il sole ha chiamato.

Nella via mentre rincasate – su molli compensate –
ritrovo la mia chiave – solo –:

.                                                    Sono stato visitato
.                                                    sono stato auscultato
.                                                    riconosciuto abile a vita coraggiosa
Dieci volte respinto – ricomincerò:
e se proprio fossi disteso, una polla di sangue
.                                                          al petto
aspettate a venirmi vicino; ancora non vi
.                                                accostate.

Ma ho ritrovato la mia chiave – solo –,
ma vi ringrazio;
ma son tornato dove non potete venire –
dove son certo che la mia parola
senza averla gridata non posso

.                                                morire.

Piero Jahier

COMMENTO DEL DOTT. PROF. FRANCESCO GHERARDINI

CORPO A CORPO#7 di Piero Jahier

Premessa

Fin dai tempi del Liceo mi hanno incuriosito i cosiddetti poeti vociani: Carlo Michelstaedter, Giovanni Boine, Carlo Stuparich, Scipio Slataper, Piero Jahier. Perché interventisti, perché giovanissimi ( tutti nati attorno al 1886/1887 , tutti volontari della prima guerra mondiale ) e infine per il fatto che molti di loro erano morti troppo presto o, come Jahier, antifascista , cancellato nel ventennio e oltre.

Mi interessava conoscere la loro weltanschauung , capire quali impulsi interiori avessero spinto questi giovani ad incamminarsi volontariamente al massacro, come agnelli al mattatoio; si perché la prima guerra mondiale non fu il IV Risorgimento, ma piuttosto una spaventosa carneficina, con milioni di morti e di famiglie ridotte alla disperazione e spesso alla fame; per non ribadire che aprì le porte al Fascismo.

Il mio interesse è sempre stato elevato per questa tragedia, nella quale sono entrati sicuramente come involontari e trascurabili protagonisti anche i miei due nonni, Francesco e Paolo : l’ uno, tornato dalla Pennsylvania per non essere considerato disertore , caporal maggiore , disperso -per sempre perché mai riconosciuto come “morto” – durante la battaglia di Caporetto; l’altro portaferiti colpito alla tempia da una scheggia , rimasta fortunatamente bloccata per altri settant’anni nel suo cervello senza procurare danni. Quest’ultimo, nonno Paolo, mi ha raccontato spesso dell’accoglienza generosa, ricevuta dagli Italiani liberatori del Sud Tirolo, accolti festosamente dalle fucilate dei cecchini dalle finestre e dai tetti delle case. Entrambi della generazione dei Cavalieri di Vittorio Veneto , come i poeti vociani.

Di questi poeti , Piero Jahier , volontario e tenente istruttore degli Alpini, ebbe – per sorte diversa dai suoi coetanei – l’opportunità di sopravvivere, di tornare a casa vivo; qui rimase per venti anni in silenzio; ho scelto di commentare questa sua poesia, l’ho preferito agli altri per la differenza delle radici culturali (valdese) e per quello che è stato definito come il “calor bianco” delle sue pagine, spesso indecise tra l’espressione poetica e la prosa, a volte sarcastica a volte ironica; un aspetto –io credo- della sua modernità e un portato della sua vicinanza a “La Voce”.

La sua poesia appare subito parente stretta dell’espressionismo [ad es. Munch ], anch’egli vede la realtà per così dire con gli occhi dell’anima e la esaspera . Come vedremo più avanti analizzando i suoi versi , il poeta avvia un’aspra polemica sul piano dell’etica e dell’estetica contro la società borghese del suo tempo, ipocrita e superficiale, e ne intravede il disfacimento. E in fondo è anche un’autocritica contro se stesso, contro quel giovane che aveva scelto la guerra senza sapere di che cosa si trattasse.

CORPO A CORPO #7

Mi sono bardato per la serata

dal momento che volete vedermi nei vestiti

che gridano: non è lui.

io che respiravo alle giunture degli abiti

vecchi come un insetto

  • mi sono bardato per la serata.

Il primo aspetto che colpisce, nero sulla pagina bianca, è la distribuzione dei versi, di quelli soprattutto che partono da metà riga e segnano un distacco dal verso che li precede e da quello che li segue. Appaiono come momenti di sosta pensosa, di ponderazione e di schiettezza; altrettanto interessante la ripetizione del primo verso nell’ultimo di questa strofa, così come accade abbastanza spesso nell’intercalare comune (epanalessi) ; in questo caso a mostrare la fissità , la invariabilità di un pensiero che spinge a riproporlo al termine della locuzione. Tutto appare incentrato su un fatto oggettivo e inequivocabile: mi sono bardato; indubbiamente un’autocritica per il proprio comportamento.

Che cosa è accaduto? Il poeta – siamo nel 1919 a guerra finita- probabilmente è stato invitato ad una festa importante, perché si vuole conoscere, magari dopo che se ne è sentito parlare tanto . In qualche modo sente di non poter dire di no, ma si rende conto di subire una costrizione, deve comunque adattarsi contro la sua volontà alla nuova situazione, deve indossare abiti ( ma qui si può dare ovviamente anche una lettura metaforica e intendere atteggiamenti riflessioni pensieri) che non sono i suoi ed è davvero tanto evidente il disagio , chiaro per lui e per tutti gli altri, quasi scandaloso (lo sottolinea quel “gridano”); nonostante questa interiore contrarietà il giovane poeta ha comunque accettato di “bardarsi”.

Ora bardarsi è già una voce verbale ambigua, da un lato significa vestirsi con ricercatezza, con eleganza oppure con eccentricità, ma dall’ altro il verbo “bardare” si usa anche per esprimere azioni precise che riguardano ad es. gli asini; si adopera per indicare il momento in cui si mette il basto sulle spalle di questi animali, che -a differenza del poeta- spesso accettano la bardatura, i finimenti, senza mostrare troppa insofferenza, abituati come sono a portare carichi pesanti . Anche lui si è bardato , ha ceduto, ha accettato di fare qualcosa che stride con la sua natura e che è chiaro e lampante a tutti; lo ha fatto per rispondere alle convenzioni sociali, per entrare in un mondo nuovo per lui. In qualche misura è stato forzato, lo hanno costretto (volete vedermi) e ne è uscita una “maschera” bell’e pronta per la serata, tutta apparenza e niente sostanza; lui che si sentiva in realtà nient’altro che un insetto (un essere insignificante , isolato, volutamente nascosto) e sopravviveva (respiravo) come una tarma rintanata nelle giunture degli abiti vecchi . Certamente in questi versi si nasconde un pensiero complesso e forse gli abiti vecchi adombrano antiche idee consolidate e valori che appaiono antiquati ai nuovi signori emergenti, un mondo più semplice e moralmente più saldo rispetto a quella società che lo ha costretto ad adeguarsi camuffandosi. Il poeta sembra patire , sembra provare una forte sofferenza per la contraddizione interiore , pare che voglia dirci che ha accettato per un momento di rinunciare a qualcosa di sé pur di fare l’ingresso nella nuova società, che sa molto bene tuttavia chi è lui e che cosa pensa e … conosce la distanza.

E –tremando- dall’anticamera riscaldata

mi sono prodotto nella luce, negli specchi e sorrisi:

  • un sorcio attraversa il salone del transatlantico –

E nuotando nella luce, negli specchi e sorrisi

dell’accoglienza cordiale

mi sono trovato a parlare delle sole cose care,

a spiegare e difendere la causa della mia vita

Trema il poeta ; questo fremito è prodotto dal timore di non essere compreso, di non riuscire a penetrare negli animi degli astanti, non si sente per niente a suo agio, si trova in una situazione artificiosa, innaturale e l’artificio è scoperto ed è evidente a tutti; l’atmosfera è calda, l’aria è riscaldata mica come nelle trincee, tutto sembra esprimere il desiderio di accogliere al meglio l’ospite; per due volte (anafora) tornano luce specchi sorrisi, al punto che il poeta accetta di esibirsi (mi sono prodotto) ; ma l’effetto che fa è fastidioso: così finisce per sentirsi smarrito , capace di incutere sorpresa e repulsione insieme (il sorcio che attraversa il salone) . Un effetto da collegare con l’immagine che offrivano i seguaci di Pietro Valdo, straccioni e topi di fogna; gente che aveva gettato i vestiti eleganti alle ortiche (le bardature) per seguire la povertà e la verità.

L’eleganza raffinata dell’ambiente e la lucentezza degli specchi l’hanno indotto comunque ad aprirsi, a parlare delle uniche cose che contano per lui , a difendere la propria visione del mondo e forse il ruolo dell’arte e della poesia , il posto della parola e dell’autenticità nel processo di civilizzazione dell’uomo .

Ma ho visto – a tempo – il respiro della

mia passione,

congelarsi contro i vostri visi.

A tempo mi avete guardato

Come un drago che butta fuoco.

Mi domando perché mi avete invitato:

ma se è perché ho scritto tre parole sincere

e vorreste il segreto di questo mestiere:

ci sono sette porte e ho perso la chiave

per poterci tornare.

Se le ho dette, vuol dire che avran traboccato,

alzatevi presto e vedete partire la lodola

quando il sole ha chiamato.

Nella via mentre rincasate – su molli compensate-

Ritrovo la mia chiave – solo-

Jahier ha parlato della sua passione suscitando sconcerto e se ne è accorto subito (a tempo ripetuto due volte) dal gelo degli sguardi come se fosse comparso nel salone un animale strano, un drago, un essere capace di incutere meraviglia e anche paura nello stesso tempo . I suoi ospiti non hanno capito niente di lui e del suo pensiero. Il poeta si chiede perciò perché è stato invitato quando tutti erano consapevoli della distanza incolmabile; il motivo è uno solo: visto che ha scritto tre parole sincere, i suoi interlocutori avrebbero voluto capire chi fosse realmente e magari carpire i segreti del mestiere di poeta, come se essere poeta fosse un mestiere qualsiasi, un po’ di tecnica e qualche trucchetto lessicale. Come se fosse facile stabilire chi è poeta?

Per capirlo ci sono sette porte da aprire, ma occorre la chiave giusta: detto in altri termini è un mistero e per tornare ad essere poeta bisogna ritrovare la chiave, la voglia, l’ispirazione vera (.??.) Ma forse è banale parlare di ispirazione, perché il poeta costruisce e non di getto come immaginavano i Romantici, ma con pazienza e grazie a conoscenze precise, di metrica, di musica, cerca l’armonia che renda intuibile il suo stato d’animo e il suo pensiero; allora quante cose egli deve conoscere per scrivere. Tante, almeno sette. Sette porte: la scelta del sette richiama alla mente una formulogia antica, la cabala biblica, l’apocalisse; il sette dà tradizionalmente il senso del perfetto, del misterioso e del magico.

Il poeta dà ai suoi intrattenitori una spiegazione sbrigativa: se ho detto tre parole sincere vuol dire che sono traboccate; traboccate significa uscite fuori dagli orli per una spinta incomprimibile di affetti e di emozioni. Continua con un’ espressione sferzante e ironica: smettete di dormire, alzatevi presto, fate come l’allodola che saluta l’alba quando il sole la chiama. Non possiamo non fare riferimento a questo punto all’immagine delicata dell’allodola , messaggera del mattino e vicina a Dio che è in tanti poeti, e in questo caso ricordata come simbolo di semplicità, di purezza e di obbedienza al divino; ma io credo opportuno anche all’ode ” il Giorno” del Parini: la ricca e sciocca aristocrazia la tira tardi, dorme troppo. Nel nostro caso non si tratta certo di aristocrazia, ma delle persone importanti, potenti o semplicemente più ricche, borghesi che si sentono più in alto appunto degli altri e da lassù in grado di capire tutto e di giudicare tutti.

Proprio quando tutti rincasano dopo una serata deludente e inutilmente prolungata, lui ritrova se stesso e la sua chiave,la molla che lo spinge, la pressione a cui non ci si può sottrarre; quando è ormai e finalmente tutto solo e non si perde in inutili chiacchiere.

Da questa strofa emerge la diversità del poeta rispetto a tutti gli altri presenti, insieme con l’incomprensione per la funzione etica e sociale oltre che estetica dell’artista. Proprio il Parini mi pare una figura di riferimento per Piero Iahier; come lui, anche Jahier avverte l’esigenza di esprimere un alto tasso di moralità, un’etica pubblica, e lo fa con un forte spirito caustico nei confronti di una società sostanzialmente balorda.

Per comprendere meglio questo stato d’animo sarebbe opportuno accostare a questa un’altra poesia, intitolata “Dichiarazione” , scritta in trincea; versi nei quali compare invece l’altro popolo, quello vero, digiuno di tutto, che non sa perché va a morire, illetterato che ha campato di miseria, pieno di figlioli, per il quale la scuola è l’osteria. Con questo popolo diverso e vero non ci si può sentire soli: “altri morirà solo, ma io sempre accompagnato”.

Sono stato visitato

Sono stato auscultato

Riconosciuto abile a vita

Coraggiosa

Gli astanti hanno squadrato e minuziosamente esaminato il poeta, come se si trattasse della visita di una Commissione Militare (qui senz’altro esiste una qualche attinenza con quanto presumibilmente gli sarà accaduto prima di andare volontario in guerra fra gli Alpini); così come i medici militari lo hanno dichiarato abile e arruolato per compiere l’impresa più grande per un irredentista (la riunificazione della patria e la riconquista di un’identità culturale e nazionale), questi signori che nel corso della festa l’esaminano senza comprenderlo, in fondo – pur senza capirlo- riconoscono il suo coraggio, la sua diversità. Ciascuna delle parole ha una sua forza: ad esempio auscultato; si ausculta con lo stetoscopio, ma anche mettendo l’orecchio direttamente sulla cavità toracica per scoprire eventuali anomalie dei polmoni o del cuore , quasi a voler dichiarare che tra lui e gli altri c’è stato un contatto molto stretto per conoscere il suo respiro e il suo cuore che ha portato almeno a intravedere la sua singolarità , il suo essere diverso, la sua vita comunque “coraggiosa”.

Dieci volte respinto – ricomincerò:

e se proprio fossi disteso, una polla di sangue

al petto

aspettate a venirmi vicino, ancora non vi

accostate.

Nessuno lo ha veramente capito, dopo tanti tentativi (dieci volte respinto), ma il poeta non si arrende, anzi avverte i suoi interlocutori: se mi vedeste a terra ferito a morte nel sangue non vi fate illusioni, non sono morto; state lontani come è giusto che accada tra chi non ha niente in comune .Il mio mondo ,l’amore per l’arte e per la poesia non morirà, nonostante tutto, nonostante intorno a me ci siano condizioni proibitive. Non fingete, state lontani. Certo questi versi fanno pensare: a quanto sia difficile lasciare spazio alla poesia quando intorno infuria la guerra o nei momenti immediatamente successivi quando di manca di tutto, anche il necessario per la sopravvivenza fisica oppure nel bel mezzo di lotte sociali dirompenti; in queste condizioni può esistere la poesia? Dà una risposta la poesia stessa , manifestandosi.

Ma ho ritrovato la mia chiave – solo-

Ma vi ringrazio;

ma sono tornato dove non potete venire-

dove son certo che la mia parola

senza averla gridata non posso

morire

Sembra dire il poeta che ha ritrovato finalmente la sua vocazione, la sua passione con le sue sole forze, il suo spazio, quel luogo dove tutte quelle persone non possono entrare e dove non può morire prima di aver gridato la sua parola (ecco l’urlo di Munch), il suo desiderio di poesia e di verità (tre parole sincere).

Tre versi cominciano consecutivamente con un “ma” avversativo, a sottolineare il contrasto con la condizione degli altri interlocutori e l’accentuazione della sua diversità; il poeta prima di scomparire vuole urlare la sua “parola”, non può scomparire o morire senza averla detta. A questo punto  calza bene il riferimento ad alcune notizie biografiche su Piero Jahier: sente che la sua parola corre il rischio di essere soffocata e lo fu effettivamente durante tutto il ventennio fascista; patisce la diversità della sua religione, un valdese, un protestante in una società escludente che dieci anni più tardi col Concordato avrebbe ufficializzato con la maggioranza cattolica; ha toccato con mano l’ipocrisia di un conformismo che ha costretto suo padre al suicidio. Ma rileggendo attentamente questi ultimi versi non si può non notare la posizione grafica isolata di certi vocaboli (gridano, passione, solo, coraggiosa, petto, polla di sangue, morire) che fanno immaginare la battaglia, la trincea, la macelleria di una guerra che non aveva avuto eguali nella Storia.

Alcuni cenni sull’organizzazione dei versi: molte assonanze, qualche rima ora baciata ora alternata , versi sciolti e rotti, ripetizione di locuzioni. Due numeri magici, il 3 (parole sincere) e il 7 (chiavi) . Non so dire quanto si trovino lì casualmente o quanto costituiscano rimandi voluti e rientrino nel gioco del mistero. Teniamo conto del fatto che il poeta era iscritto ad una Facoltà di Teologia e che da Valdese era un profondo conoscitore della Bibbia. Il tre è da sempre definito come numero perfetto per eccellenza, un segno divino (tre i figli di Noè, tre gli apostoli accanto a Gesù nell’orto degli Ulivi, tre i giorni di Cristo nel sepolcro, la trinità di Dio e l’essenza della vita (nascita,espansione,morte); quanto al sette ci sono altrettanti riferimenti (sette giorni per la Creazione del mondo, sette teste la Bestia dell’Apocalisse, sette i vizi capitali). Alla luce di queste considerazioni forse un po’ estemporanee potremmo dire che il poeta ha detto tre parole sincere, quelle giuste e vere, ma per comprendere la sua parola c’è bisogno di sette chiavi ad indicare la necessità di uscire dalla superficialità per andare più a fondo a scoprire la straordinaria complessità dell’esistenza.

La chiusura di questa poesia rafforza l’idea di una assoluta incomunicabilità del poeta con gli altri e (cfr. solo,solo) la sua solitudine quasi aristocratica, il distacco segnato da chi non capisce e non ha le chiavi adatte a penetrare dentro le sue “sole cose care” e la “ causa della sua (mia) vita”. Resta tra lui e gli altri una muraglia insuperabile, tra lui e tutti coloro che non riescono a capire come la poesia metta in gioco la vita di ciascuno, come sia l’unica vera condizione per respirare e vivere. Come non pensare al contrasto stridente tra una certa stolidezza della società del primo dopoguerra e l’aver vissuto la tragedia, aver visto da vicino le polle di sangue sul petto dei soldati morti. Questo contrasto induce il poeta ad un atteggiamento pessimistico, moralistico, verso una società che non capisce più , che non ha i suoi stessi panni. Non è bastato il bagno di sangue, la Società si accontenta dell’apparenza, del conformismo, della superficialità delle relazioni umane. Ma, ma, ma..il poeta non può accettare il silenzio, non può morire senza avere gridato la sua parola. In questa chiusa cresce la tensione emotiva, c’è un crescendo che giunge all’acme con la parola “morire”, ci senti dietro l’urlo,la disperazione, la rabbia di un uomo che si rende conto di essere del tutto incompreso; di uno che ricerca una dimensione autentica del vivere fuori dalle convenzioni e dalle maschere; c’è un tema che richiama tanta filosofia e tanta letteratura del primo Novecento. In questo caso la parola assume un valore straordinario, può rappresentare una persona in carne e ossa , senza la parola c ‘è solo la morte.

In tutta la poesia si respira l’atmosfera valdese: il senso religioso dell’esistenza, l’accettazione del peso della vita, la ricerca di semplicità e schiettezza; si avverte l’eco lontana delle parole di Matteo, XIX ,21 “Gesù disse al giovane ricco : se vuoi essere perfetto, vai e vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”; l’eco di quelle parole che indussero Pietro Valdo a vestirsi di stracci e a dar vita ai Poveri di Lione; un atteggiamento del tutto incompreso e che anzi suscitava la curiosità,ma soprattutto incuteva paura (come il drago della nostra poesia) tra i nobili e i ricchi borghesi del tempo. A questo proposito si possono leggere poche righe del “De nugis curialium” di Walter Map, rappresentante del re Enrico II Palantageneto al Concilio Lateranense del 1179: “Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo. Iniziano ora in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati”.

Dott. Francesco Gherardini