Il ferito
(un’idea della poesia)
Penso che tutti i poeti, finché tali, siano sempre in crisi
(E. Montale)
Il poeta è sempre ferito, si nutre della sua ferita, che non si rimargina
perché è la ferita del mondo: vive e rappresenta questa condizione fino in fondo
e lo fa con gli strumenti che gli sono propri, i versi.
Per questo il poeta è anche il narciso, perché il peso di questa condizione è estremo e la ferita ha bisogno di incensi (veri o falsi) per essere sopportabile.
Ma il poeta è anche il disperato, quando la ferita si rivela insanabile e l’incenso svanisce, mostrando gli aspetti cupi e irrimediabili della realtà, la futilità delle cose e quindi dell’arte, che non basta più. Il poeta è il sopravvissuto quando riscopre dalle macerie un segno ancora dell’esistenza e se lo porta con sé per sempre, perché tutto è ancora possibile, sempre.
Il poeta è il solitario del tempo, che riconosce e da cui è riconosciuto, ma tutto questo non appare, perché scoprire è meglio che far vedere, e il poeta vive del suo stupore e del modo in cui riesce a farlo sentire.
E comunque il poeta resta il ferito, cercato e abbandonato, osannato e deriso, e la sua ferita è il mondo, che rappresenta ma non sa capire, perché il poeta ha in sé l’orizzonte intero e il suo limite. Non necessariamente in quest’ordine.
Roberto Veracini