PER WISLAWA SZYMBORSKA del dott. prof. Roberto Veracini

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Per Wislawa Szymborska

Un appunto

La vita – è il solo modo

per coprirsi di foglie,

prendere fiato sulla sabbia,

sollevarsi sulle ali;

essere un cane,

o carezzarlo sul suo pelo caldo;

distinguere il dolore

da tutto ciò che dolore non è;

stare dentro gli eventi,

dileguarsi nelle vedute,

cercare il più piccolo errore.

Un’occasione eccezionale

per ricordare per un attimo

di che si è parlato

a luce spenta;

e almeno per una volta

inciampare in una pietra,

bagnarsi in qualche pioggia,

perdere le chiavi tra l’erba;

e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;

e persistere nel non sapere

qualcosa d’importante.

(da “Un attimo”, 2002)

La profondità della poesia di Wislawa Szymborska è tutta nella sua leggerezza, cercata, voluta, esibita…una leggerezza che non ha tempo, si nutre di attimi, corre veloce, annusa l’aria, scopre la vita nelle sue forme minime, elementari e ne fa poesia colta, ironica, sorridente. Grande poesia, insieme raffinata e popolare, che non ha paura dei sentimenti e delle ragioni, e sa cogliere – con semplicità e stupore – la realtà nel suo divenire, il particolare che illumina, l’orizzonte nascosto e inaccessibile.

Wislawa Szymborska ha scritto sulle cose minime e sui grandi fatti, sulla felicità e sulla disperazione, ma sempre con la sua impronta leggera di interprete profonda della vita, sapendo comunque che – nella vita – bisogna “almeno per una volta/inciampare in una pietra,/bagnarsi in qualche pioggia, perdere le chiavi tra l’erba;/e seguire con gli occhi una scintilla nel vento;//e persistere nel non sapere/qualcosa d’importante”.

dott. Prof. Roberto Veracini

SONO TARGATO LIVORNO 1912 (CAPRONI, LA CITTA’, LA MADRE); del dott. prof. Roberto Veracini

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Sono targato Livorno 1912

(Caproni, la città, la madre)

Dott. Prof. Roberto Veracini

Tutta la sezione dei “Versi livornesi” di Giorgio Caproni (nel “Seme del piangere”, 1959) è una descrizione di Livorno attraverso la presenza essenziale, fortissima di Anna Picchi, la madre del poeta.

A Livorno Caproni vive fino all’età di dieci anni: è quindi il luogo dell’infanzia – la targa della sua vita, come dice in uno scritto autobiografico, “Luoghi della mia vita e notizie della mia poesia” – e come tale acquista una dimensione unica; nei “Versi livornesi” scorrono come in un film le immagini di una città viva e popolare, le barche, il mare (“Livorno, quando lei passava,/ d’aria e di barche odorava.”), i Fossi (“La notte, lungo i Fossi,/ quanti cocomeri rossi”; “Ragazzi in pantaloni corti,/ e magri, lungo i Fossi,/ aizzandosi per nome/ giocavano, a pallone”), il porto (“La stanza dove lavorava/ tutta di porto odorava”, Corso Amedeo (“Tutto Cors’Amedeo,/ sentendola, si destava.”), Via Palestro (“Prendeva a passo svelto,/ dritta, per la Via Palestro,/ e chi di lei più viva,/ allora, in tant’aria nativa?”), il Voltone (“Sperduto sul Voltone,/ o nel buio d’un portone,/ che lacrime nel bambino/ che, debole come un cerino,/ tutto l’intero giorno/ aveva girato Livorno!”)… Ma è Annina che, pedalando incontro al vento, con la sua bicicletta azzurra, illumina ogni cosa (“Ma come s’illuminava/ la strada dove lei passava!”), crea una città, un paesaggio (“Livorno le si apriva/ tutta, vezzeggiativa:/ Livorno tutta invenzione/ nel sussurrare il suo nome”), rivela presenze nascoste, apparentemente insignificanti, quotidiane, anima la vita tutt’intorno, come un’autentica musa dell’esistenza.

Il mito popolare di Annina si fonde con il mito di Livorno, città dell’infanzia e del primo stupore, luogo ricorrente nella memoria poetica di Caproni. Ma la città vive e si nutre del personaggio-Annina, è una sua proiezione, come se fosse ad esso funzionale.

Come sempre, in Caproni, la condizione umana prevale sugli elementi pittorici, la personalità della ragazza di Livorno che “volava in bicicletta” conquista ogni spazio, ogni luogo fisico e poetico: dai Fossi al Cisternone, tutto passa attraverso la sua bicicletta in corsa, il paesaggio, le persone, le cose vivono di luce riflessa, filtrate dalla semplice, straordinaria magia della sua presenza viva e folgorante. Anna Picchi è Livorno, e la città si muove con lei, respira con lei, si rivela attraverso lei.

I “Versi livornesi” sono, per Caproni, un monumento alla madre e alla città. Livorno emana interamente dalla figura prorompente di Anna Picchi, dal suo sgonnellare fiero, dalla sua camicetta al vento: diviene quindi la città-madre, il sogno impossibile perché perduto per sempre, l’eterna nostalgia trasformata in canto.

Roberto Veracini

COMMENTO A PIU’ VOCI ALLA POESIA “ITALIANO IN GRECIA” di VITTORIO SERENI, PARTE TERZA; a cura di Francesco Gherardini

ITALIANO IN GRECIA

di Vittorio Sereni

Prima sera ad Atene, esteso addio

Dei convogli che filano ai tuoi lembi

Colmo di strazio nel lungo semibuio

Come un cordoglio

Ha lasciato l’estate sulle curve

E mare e deserto è il domani

Senza più stagioni

Europa Europa che mi guardi

Scendere inerme e assorto a un mio

Esile mito tra le schiere dei bruti

Sono un tuo figlio in fuga che non sa

Nemico se non la propria tristezza

Di laghi  di fronde dietro i passi

Perduti,

Sono vestito di polvere e sole

Vado a dannarmi e insabbiarmi per anni

(Pireo, Agosto 1942)

Dott. Prof. Francesco Gherardini

 

 

COMMENTO A PIU’ VOCI ALLA POESIA “ITALIANO IN GRECIA” DI VITTORIO SERENI, PARTE SECONDA; a cura di Paolo Fidanzi

ITALIANO IN GRECIA

di Vittorio Sereni

Prima sera ad Atene, esteso addio

Dei convogli che filano ai tuoi lembi

Colmo di strazio nel lungo semibuio

Come un cordoglio

Ha lasciato l’estate sulle curve

E mare e deserto è il domani

Senza più stagioni

Europa Europa che mi guardi

Scendere inerme e assorto a un mio

Esile mito tra le schiere dei bruti

Sono un tuo figlio in fuga che non sa

Nemico se non la propria tristezza

Di laghi  di fronde dietro i passi

Perduti,

Sono vestito di polvere e sole

Vado a dannarmi e insabbiarmi per anni

(Pireo, Agosto 1942)

 

La poesia ITALIANO IN GRECIA di Vittorio Sereni evoca in me una forte riflessione sulla poesia contemporanea e sui “poeti” nonché sull’idea di un’Europa politica ed economica moderna e solidale, che possa condividere, nelle rispettive peculiari diversità , un progetto di vita comune che avvicini i popoli e non cerchi di umiliarli attraverso la legge del più forte. Un Europa che sappia cogliere le novità sociali e sappia farne fronte con realismo sociale. Nella nostra poesia che appartiene alla sua seconda raccolta “ Diario d’Algeria del 1947“ Sereni scrive:-Europa Europa che mi guardi-” rivolgendosi ad un’ Europa che di fatto non esisteva. E racconta:”.. Il ritrovarsi in Grecia come militare significava appartenere, volente o nolente, a un esercito oppressore nella terra oppressa. Il contatto con l’Europa che stava al di là della frontiera, e su cui avevo forse anche fantasticato, (al verso 10 l’esile MITO nella schiera dei bruti)avveniva nel modo più brutale e più naturale, che prima non avevo neppure potuto immaginare.-” Ferdinando Camon in una sua intervista, lo incalza chiedendoli se quell’Europa fosse un’idea o al massimo un ideale, poiché appunto, allora non esisteva. Sereni risponde:- E chi di noi aveva mai vissuto veramente e pienamente l’Europa in quegli anni? Che era deformata dall’idea che il fascismo voleva darne, e dai rapporti che il regime aveva (o non aveva) stabilito con le altre nazioni.-CAMON Allora, non un’idea ma un ideale? SERENI né l’una né l’atro. CAMON Un rimpianto o una speranza? SERENI l’uno e l’atra. C’era in noi il senso di un’Europa che era stata, o che comunque avrebbe potuta essere, e che non aveva proprio niente a che fare con quella che si andava raffiguarando durante l’occupazione. Di qui il senso di colpa in noi…-

ITALIANO IN GRECIA è quindi una poesia di guerra, come scrive Dante Isella,ma ancora gravata dall’attesa, appartiene alla prima sezione della raccolta, LA RAGAZZA D’ATENE, e ancora si svolge sull’urlo del baratro bellico, nell’approssimarsi meditativo al grande evento-Datata agosto 1942 registra il passaggio in Grecia del reparto in cui è arruolato l’ufficiale Sereni, che cadrà prigioniero in Sicilia il 24 luglio 1943 – Da due anni o quasi- scrive in l’anno quarantatre, negli immediati dintorni il mio reparto cercava di raggiungere l’Africa del Nord senza riuscirvi. Fummo ad Atene quattro mesi per questo, al tempo dell’Asse fermo a El Alamein e quasi in vista di Alessandria.- A questi quattro mesi risale la nostra poesia, che sembra presagire, insieme con la fine malinconica e simbolica dell’estate, oltre a tutto l’orrore della guerra ( verso 10 le schiere dei bruti, senza distinzioni dell’una e dell’altra parte, anche l’orrore della prigionia africana (verso 17 vado a dannarmi a insabbiarmi per anni.-_ La battaglia di El Alamein (ottobre . Novembre ’42) condotta per parte degli Inglesi dal generale Montgomery, bloccò le truppe dell’Asse Roma -Berlino a un centinaio di chilometri da Alessandria d’Egitto e le costrinse a ritirarsi in Libia, lasciando agli americani via libera per lo sbarco in Marocco e in Algeria(novembre ’42) l’occupazione dell’Africa settentrionale e poi (luglio ’43) della Sicilia. Mengaldo definisce il Diario d’Algeria punto d’arrivo e insieme superamento dell’ermetismo, Raboni vede coesistere tra le sue ascendenze riscontrabili o immaginabili l’Ungaretti supremamente rarefatto e scandito del Sentimento del tempo e la scandalosa discorsività sabiana.

Per tornare un attimo all’analisi della poesia vediamo al verso 1 prima sera quanto sia indicativo di come l’intera raccolta si tratti di un vero diario da leggere di seguito, poesia poco poesia , essendo le pause tra una lirica e l’altra appena più forti di quella tra l’una e l’altra strofa, come diceva Fortini. -protratto doloroso addio. I convogli alla periferia della città strazianti per la guerra imminente… con una grande pena ( come un lutto per l’estate che finisce) il poeta avanza nel suo futuro immaginato vuoto e quasi atemporale con un intenerimento retrospettivo dovuto alla memoria del felice tempo perduto, verso l’imminente dannazione in Africa.

Ora, a chiudere questo piccolo intermezzo critico mossomi dalla lettura della poesia ITALIANO IN GRECIA, sta l’attualità di Sereni non solo nell’ideale di un’ Europa che ancora latita e sfugge, ma l’intera impostazione dialettica di questo poeta volto al dialogo e all’introspezione. Un poeta che seppe cogliere l’importanza della poesia rispetto a quella dei poeti, la fondamentale necessità di trasmettere il verso più che il poeta personaggio.(Tema da me affrontato recentemente anche su questo blog ).

CAMON- Come vede lei, oggi, (fine anni settanta – primo anni ottanta) il rapporto tra scrittore(narratore e poeta) e il pubblico?

SERENI -Lei sa che c’è addirittura una categoria sociale caratterizzata dall’attuale clima letterario; ma è fittiza, artificiale. Io sono fra quelli che augurano una rapida estinzione della società letteraria così comìè oggi: delle sue consuetudini, delle sue convenzioni e dei suoi cerimoniali; e cioè la cessazione dell’attuale rapporto scrittore-pubblico, e del modo in cui questo rapporto o mediazione avviene. Intendiamoci: uno scrittore non può non avere un pubblico,è giusto che lo abbia, ma che sia pubblico di ciò che lo scrittore scrive, non pubblico del personaggio che egli è o tende a diventare, demagogo, mattatore o sofista. Lo scrittore, in quanto individuo, in quanto persona, lo vedo più volentieri assorbito nella folla, nel popolo..

P.S.

Ho in mente di riproporre, una volta trovati i complici necessari a tutti i livelli, un foglio letterario intitolato QUESTO E ALTRO sottotitolo DIALOGO CON UN LETTOREproprio come la rivista redatta da Sereni ed altri ,che chiuse improvvisamente i battenti nella prima metà del 900 , più o meno.

Paolo Fidanzi

COMMENTI A PIU’ VOCI ALLA POESIA “ITALIANO IN GRECIA” di Vittorio Sereni; PARTE PRIMA, a cura di Ottavia Ghelli

ITALIANO IN GRECIA

di Vittorio Sereni

Prima sera ad Atene, esteso addio

Dei convogli che filano ai tuoi lembi

Colmo di strazio nel lungo semibuio

Come un cordoglio

Ha lasciato l’estate sulle curve

E mare e deserto è il domani

Senza più stagioni

Europa Europa che mi guardi

Scendere inerme e assorto a un mio

Esile mito tra le schiere dei bruti

Sono un tuo figlio in fuga che non sa

Nemico se non la propria tristezza

Di laghi  di fronde dietro i passi

Perduti,

Sono vestito di polvere e sole

Vado a dannarmi e insabbiarmi per anni

(Pireo, Agosto 1942)

Il commento su questa ‘attualissima’ poesia che segue è  stato scritto dalla studentessa Ottavia Ghelli della III classe del Liceo Classico Carducci di Volterra, speditomi alla fine del lontano 1999, perché fosse inserito nell’inserto Il Sillabario cartaceo, che proprio allora cessò le pubblicazioni.

Piero Pistoia

COMMENTO DI OTTAVIA GHELLI

poesia-commento-italiano_in-grecia

Questa poesia, che affronta il tema della guerra, risulta quasi un lamento, un gemito doloroso da parte del poeta e che ci appare molto realistico e forte perché l’autore ha vissuto in prima persona gli avvenimenti che racconta. La lirica si apre con la malinconica immagine dei convogli militari, “colmi di strazio” per indicare lo stato d’animo dei soldati, che procedono in fila “nel lungo semibuio”, espressione indefinita che può esprimere significati molteplici. Il momento della giornata è quello serale, come indica l’espressione “ai tuoi lembi”, in cui “lembo” può rappresentare la parte finale della “prima sera d’Atene”, come è confermato anche dal precedente aggettivo “semibuio”, riferito all’oscurità.

Dopo una prima precisazione spazio-temporale , la lirica si rivolge sempre più allo stato d’animo personale del poeta che ha dovuto lasciare il suo paese d’origine per una vita che gli riserva un futuro triste e desolato, poiché sa di dover partecipare ad una guerra a cui si sente completamente estraneo. La poesia a questo punto si fa ancora più introspettiva per diventare un’apostrofe che l’autore rivolge all’Europa, mettendo in evidenza la sua piccolezza, la sua fragilità (“inerme”), il suo essere uno tra tanti altri che sono visti coma “schiere di bruti”. Egli si rende conto che in questa guerra può essere solo nemico di se stesso e dei propri ricordi della vita passata. Negli ultimi due versi è indicata la consapevolezza del poeta che la guerra lo renderà dannato per sempre. Il significato globale di questa poesia è, a mio avviso, ancora più profondo. Ad un’analisi più attenta ciò che colpisce subito è l’immediata percezione che si ha del lento movimento dei convogli, che sanno ben evocare i primi versi (“filano”, “colmi di strazio”, “lungo semibuio”) e che è strettamente collegato alla tristezza dei soldati e in particolare al “cordoglio” del poeta. Inoltre, “lungo semibuio” assume un maggior rilievo perché in antitesi con “estate” al v.5; “estate” indica la positività e la gioia della vita che il poeta ha trascorso nel suo paese d’origine. Infatti, troviamo qui due paesaggi del tutto diversi: quello squallido e triste della Grecia, teatro di guerra e di odio, di cui è una spia l’espressione “lungo semibuio” (che assume quindi anche una connotazione morale) e quello solare e più tranquillizzante delle “curve”, cioè del paesaggio mosso della terra d’origine del poeta, rievocato anche dagli ultimi versi (“rediviva tenerezza di laghi di fronde”) di desolazione. Un’altra antitesi è presente già nel titolo, che esprime il senso di desolazione e di inadeguatezza che la condizione della guerra genera in un uomo di origine italiana strappato dalla propria terra e trasportato a forza in un luogo dove è considerato un nemico. Il titolo ci comunica un’impressione di estraneità da parte del poeta alla vicenda narrata , impressione poi confermata nel corso della poesia, e quindi, nella sua semplicità è ricco di significato. L’estraneità del poeta alla guerra si percepisce anche dall’apostrofe rivolta all’Europa, perché guardi suo figlio “inerme” e “assolto”, il quale si sta chiedendo perché si trova in quel luogo di guerra. Questo “figlio” si sente misero ed ha la debole speranza di un “esile mito”, un ideale che però sembra crollare in mezzo alle “schiere di bruti”, coloro che credono alla guerra. Con la parola “figlio” il poeta si riallaccia alla figura materna dell’Europa di cui fa parte con tutti gli uomini e, con la sua ingenuità e fragilità, cozza con la durezza dei “bruti”. Ritengo che gli ultimi due versi siano i più significativi, perché racchiudono e sintetizzano ciò che è stato detto nei versi precedenti. Qui il poeta ribadisce nuovamente la sua piccolezza e la sua fragilità nella guerra; “polvere” può significare sia la polvere del suolo che si deposita sui vestiti del soldato, sia la materia di cui l’uomo è fatto, la carne, che si accompagna al “sole”, cioè allo spirito, all’anima. Anche “sole” può avere un duplice significato, perché oltre a “spirito” può anche indicare un valore concreto, ovvero può essere il sole che riscalda i corpi dei soldati, costretti a combattere sotto l’ardore dei suoi raggi. In una tale condizione di limitatezza e fragilità l’uomo, uccidendo i propri fratelli (in quanto figli di una stessa madre-Europa), si rende dannato e si “insabbia”, sporcandosi del sangue altrui e incamminandosi in un vicolo cieco, senza uscita.

La poesia dimostra di essere ancora molto attuale, perché il poeta già si rende conto della brutalità della guerra e di colui che uccide i propri fratelli. Quindi, abbiamo con questa lirica una testimonianza di una particolare visione della condizione dell’uomo molto innovativa, almeno nel periodo storico in cui è stata scritta. Nel periodo del fascismo, infatti, la guerra era esaltata fortemente e veniva sentita come un’esigenza reale dalla maggior parte degli italiani; per fortuna, però, anche in quel periodo alcuni si rendevano conto della follia di questa impresa, la quale, come ci dimostra il poeta Vittorio Sereni, può solo far emergere quanto l’uomo sia “inerme”e insieme orgoglioso di un “esile mito”, di cui però egli conosce la fragilità, e dannare l’uomo perché lo porta a macchiarsi di delitti verso i propri fratelli, in virtù della condizione di “nemico”, quando invece non sa che, così facendo, è nemico soltanto di sé. I concetti che Sereni esprime valgono anche per l’epoca moderna, però il discorso può essere ribaltato dicendo che non è questa poesia che ha carattere di modernità, bensì la nostra epoca che non progredisce e che torna addirittura indietro. In base all’esperienza sappiamo, infatti, che la guerra non è ancora superata, anzi, è presente in molte parti del mondo ed anche vicino a noi. Anche oggi gli uomini uccidono i propri fratelli, la maggior parte perché sono convinti della propria superiorità, ma molti perché vi sono costretti e si sentono completamente estranei, proprio come il poeta di Italiano in Grecia.

OTTAVIA GHELLI

Liceo G. Carducci Volterra

Classe III Liceo classico

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