Curriculum di piero pistoia:
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LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA
Considerazioni provocatorie
a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)
Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”, sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà; e’ appunto da questo “scontro” veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perché riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perché conformate da proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).
La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.
La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale e serve solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).
Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perché il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.
La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).
Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).
Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.
Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).
La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:
Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.
Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.
Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perché funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).
Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.
Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).
Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale (10).
Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato. Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.
Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.
All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.
Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).
NON CHIEDERCI LA PAROLA
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.
Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa), che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).
Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.
Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?
Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.
Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.
Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.
Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.
Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà “là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non il vero Tao” (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.
Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.
Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente). Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo? Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.
Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!
Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.
Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?
“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.
(Piero Pistoia)
BIBLIOGRAFIA
1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964
2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970
3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984
4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21
5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976
6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990
7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989
8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982
9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966
10-A. V. “La realtà inventata”, Feltrinelli, 1989, pag.17-35
11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29
12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984
13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954
14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980
15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58
16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988