CONSIDERAZIONI sullo scritto “PAROLE AL VENTO: ancora sull’analisi della poesia: il circolo ermeneutico” di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia; a cura del docente Andrea Pazzagli

Vi scrivo per fare intanto alcune considerazioni sulla riflessione da voi elaborata alcuni anni fa e che mi sembra di avere allora già letta. Se ne ho compreso lo spirito mi sembra che due siano i punti essenziali: 1 – in primo luogo la rivendicazione del metodo ermeneutico per la lettura e interpretazione dei testi, il particolare delle poesie; 2 – in secondo (ma non è affatto meno importante) il nesso che c’è tra l’arte (poesia e non solo) ed il sacro. Personalmente condivido entrambi questi punti di vista, anche se, per la verità, non gli ho approfonditi ed elaborati come avete fatto voi (dando loro anche applicazione concreta nella lettura della poesia).

A titolo informativo penso non sia del tutto inutile tracciare un breve quadro del dibattito che, su queste tematiche, che si è andato sviluppando nell’arco di questi anni. Il punto di vista ermetico inteso nel senso radicale si è affermato particolarmente nel periodo del post-strutturalismo e della riscoperta del pensiero di Nietzsche (specie in Francia e non solo, a partire dal 1960). Nietzsche affermava esplicitamente: non esistono verità ma solo interpretazioni e interpretazioni di interpretazioni. Questa visione delle cose è stata fatta propria in Italia dal filosofo Gianni Vattimo, ma anche nella fase in cui scrisse “Opera Aperta“, dal famoso semiologo Umberto Eco (l’opera, il testo sono aperti a tutte le interpretazioni). Il percorso di quest’ultimo è interessante per capire cosa è venuto dopo: nei primi anni 90 Eco pubblica un’altra opera, “I limiti dell’interpretazione” in cui, pur ribadendo il principio ermeneutico (di un testo ci sono molte interpretazioni e se ne aggiungono sempre di nuove), afferma tuttavia che ad un testo non si può far dire qualunque cosa, deve pur esserci un legame fra il testo e l’interpretazione. Successivamente (siamo all’alba del nuovo secolo) si afferma una corrente di pensiero che va ben oltre la critica moderata del Post-strutturalismo avanzata anche da Eco nell’opera che si è citata: è il così detto Neo-realismo, che nega proprio l’assunto di Nietzsche (non ci sono che interpretazioni) perché sostiene che esistano, invece, fatti e verità (nel caso specifico la lettura e l’interpretazione del testo non possono prescindere dal testo stesso). In Italia uno dei sostenitori più decisi del Neo-realismo è Maurizio Ferraris che, pure negli anni 80 era stato discepolo di Vattimo e sostenitore deciso del Post-modernismo. Sebbene molti pensatori (anche all’estero) si definiscono oggi neo-realisti non si può però affermare che il Neo-realismo abbia sostituito il punto di vista ermeneutico al quale molti altri continuano a ispirarsi. Vi è inoltre da notare che il Neo-realismo ha molti volti, si presenta in modi molto diversi se non addirittura opposti: sono distanti, per fare un solo esempio, le posizioni del già citato Ferraris (centrate sulla cosiddetta documentabilità) e quelle dei filosofi francesi Alain Badion o Quentin Meillassoux pur se tutti si dicono realisti (ma quale il vero realismo?). Quindi la questione rimane del tutto aperta e si può assumere, senza timori di essere inclusi fra i sorpassati, il punto di vista ermeneutico anche radicale (che mi sembra essere il vostro).

Passando al secondo punto, il nesso fra poesia e sacro o, più generalmente, tra arte e sacro (dove il sacro non coincide col divino e con il religioso, ma comprende questi ultimi), molti sono coloro che, magari da punti di vista anche diversi, condividono l’esistenza di questo nesso, di questo rapporto ed oggi, nelle società dominate dalla Tecno-scienza e da Pensiero razionalistico, vedono profilarsi l’eclisse del sacro. L’arte, la poesia (o, almeno una certa poesia) sono, come già aveva intuito Martin Heidegger nella seconda stagione del suo pensiero, l’unico modo in cui il sacro può ancora manifestarsi. Va da sé che la riflessione sulla educazione dovrebbe tenerne conto, anche se, purtroppo, si lascia al contrario sempre più dominare dai miti tecnocratici e razionalistici (pensiamo all’informatica: un tempo pareva essere occasione per suscitare creatività, ma oggi?).

Docente Andrea Pazzagli