CURRICULUM DI PIERO PISTOIA :
Da rivedere…
LA CADUTA DEI GRAVI A PIU’ DI QUATTRO SECOLI DA GALILEO
Significati, analisi e sottigliezze, con un certo rischio, su alcuni aspetti dell’insegnamento della fisica e laboratorio, al Biennio Superiore; a cura di Piero Pistoia et al.
INTRODUZIONE
Riteniamo giustificato, secondo criteri epistemologici (1), psicologici (2) e didattici (3), un metodo di insegnamento della Fisica, non di tipo induttivista, ma caratterizzato, in generale, da particolari processi ipotetico-deduttivi. E’ da dire, per la verità, che, mentre per la filosofia e la logica tale metodo è falso e quindi da abbandonare, di fatto non lo è sempre per la stessa Scienza operativa e per il senso comune. Nonostante le critiche alla epistemologia popperiana (vedere i post relativi su questo blog) questa filosofia, secondo lo scrivente ed altri, è degna di rispetto perché degnamente si accorda con un insegnamento formativo nella scuola!
Consideriamo altresì che il così detto metodo sperimentale di Galileo, alla luce anche delle ultime interpretazioni del suo pensiero (4), abbia in effetti analoghe caratteristiche.
Secondo tale metodo l’insegnamento deve partire da problemi (nell’accezione data alla parola da Popper, Antiseri et al.), per arrivare, attraverso le teorie tentative di soluzione (TT di Popper), al processo sperimentale di controllo (corroborazione, falsificazione), fino al nuovo problema, fasi che devono razionalmente e consapevolmente esplicitate nel corso di un insegnamento formativo, come è un Biennio Superiore.
Diversi sono i problemi che devono essere affrontati in successione per ‘costruire’ in una classe di un Biennio, la disciplina, sotto la guida dell’insegnante, ‘alcuni’ dei quali, importanti ed obbligati in quanto innescano a cascata una sequenza di altri, sono qui di seguito sinteticamente nominati:
a – Nella caduta dei gravi con attrito trascurabile e al tempo-iniziale, t0=0 s e v-iniziale, V0= 0 m/s (condizioni al contorno), che relazione ci sarà fra velocità di caduta istantanea e tempo e fra velocità istantanea e spazio percorso?
b – Che relazione ci sarà fra modulo della forza applicata ad un oggetto, che si muova con attrito trascurabile su un piano orizzontale e il modulo dell’accelerazione acquistata (vettore forza e vettore accelerazione con stessa direzione e stesso verso)?
c – Che relazione ci sarà fra quantità di carica elettrica posta su un conduttore isolato (o su un’armatura di un condensatore e l’altra messa a terra) ed il potenziale da esso assunto? (5))
d – Che relazione ci sarà fra (Va-Vb) misurata ai capi di un resistore e la Ic misurata in una sezione di esso?
e – Che relazione ci sarà fra il flusso di induzione magnetica concatenato ad un circuito e l’intensità di corrente in esso circolante?
Ognuno di questi problemi e degli altri della stessa forma matematica non nominati deve essere discusso in classe fino a formulare una o più ipotesi plausibili (non necessariamente ‘vere’), per poi progettare un esperimento di controllo. Nella zona di ‘corroborazione’ o di ‘falsificazione’ dell’ipotesi nascerà il nuovo problema e, se l’ipotesi verrà corroborata (avvalorando magari il risultato facendo riferimenti ad analoghi esperimenti condotti in laboratori di ricerca), avremo ‘costruito in classe un ‘pezzetto’ di fisica!
In questo l’autore cercherà di analizzare il problema a, precisandone aspetti e implicazioni educative e formative, riscoprendo nella caratteristica dialogica di tipo galileiano di condurre il discorso e nei precisi e puntuali interventi di Salviati nei confronti di Simplicio, la chiave per ricostruire la fisica anche nelle classi di oggi.
ANALISI E DISCUSSIONE DEL PROBLEMA RELATIVO ALLA CADUTA DEI GRAVI
problema (a) e formulazione delle ipotesi
Focalizziamo l’attenzione e la memoria degli alunni sulla caduta di oggetti pesanti, sui quali le azioni di disturbo dell’aria sono meno evidenti, almeno per basse velocità.
Alla domanda su come si comporterà la velocità durante il movimento, si hanno in generale perplessità. I nostri ragazzi di 14-15 anni hanno o dovrebbero avere la mente del Simplicio galileiano. Alcuni conoscono già le risposte a memoria, secondo noi, purtroppo, fornite probabilmente su informazioni parziali, disperse, prima che si formulassero le ipotesi, prima che si precisassero le aspettative, prima delle delusioni dinanzi ad ipotesi sbagliate, prima insomma dei processi che innescano il vero apprendimento! E’ un po’ come insegnare direttamente le formule da imparare a mente, per poter fare da subito con esse i così detti esercizi di applicazione di esse, riportati sul libro di testo!
Qualche frammento di ricordo culturale precedente scarsamente assimilato, certi mass media, certi personal media, qualche software selvaggio e poco calibrato, avranno fornito queste nozioni fine a se stesse.
IL maggiore tradimento, pur inconsapevole, che la civiltà tecnologica abbia mai perpetrato ai danni dei cuccioli della specie secondo lo scrivente è proprio questo: sono stati gettati in un contesto tecnologico di natura altamente simbolica e lontano così dalla teorie del senso comune, pur coronato eccezionalmente da buon senso, ‘il buon senso del senso comune’, a cui gli alunni possono essere vicini, in un mondo incomprensibile, nel quale i messaggi si trasformano in nozioni isolate senza contesto da memorizzare e delle quali sfuggono le ragioni più profonde, in un mondo dove i ‘messaggi’ svuotati dal ‘mezzo’, per mutuare le parole di McLuan, annebbiano curiosità e meraviglia, uniche molle del progresso umano.
Fortunati se c’è ancora qualche Simplicio, che vede cadere dalla mano il grave subito velocemente appena lasciato. Allora, a guisa del Salviati galileiano l’insegnante può guidare la discussione, al di là di tutto, del tempo e dei programmi, delle scadenze e dei voti, delle rimostranze degli ingegneri del triennio se non ricordano le formule a mente e le definizioni…; il cucciolo dell’uomo ha il diritto di imparare a ‘costruirsi’ i propri modelli razionali, efficaci e graduali, di interpretazione del mondo. E’ solo in questa prospettiva che ha significato l’aggettivo ‘formativo’ che attribuiamo all’insegnamento della fisica al biennio superiore.
Sarebbe interessante a questo proposito compilare una serie di domande opportune che colgano in profondità le strutture di base della fisica formativa del biennio, al di là delle mere nozioni e delle meccaniche esercitazioni spicciole, e con esse preparare un questionario da somministrare agli studenti alla fine del biennio e contemporaneamente alla fine del triennio tecnico raccontando e riflettendo sui risultati comparati. Anni fa, quando insegnavo ancora, feci un tale esperimento aiutandomi nella compilazione anche con questionari sorti in testi specializzati e nelle accademie per analoghi compiti. Da questo mio unico studio risultò, stranamente, che l’insegnamento tecnico con i suoi tecnicismi, meccanismi, espedienti ed artifizi sembrò obnubilare il ragionamento fisico formativo, cioè il pensiero fisico (la Philosophia Naturalis), acquisito al biennio! Sarebbe interessante infatti, per l’insegnamento, se si potesse capire e controllare statisticamente, se davvero questa mera ipotesi fosse da considerare corroborata.
Il sasso aumenta di velocità perché urta la mano che cerca di fermarlo, con più violenza a maggior spazio percorso. Tale sforzo della mano non legato in generale alla prima potenza della velocità, ma alla seconda: noi questo lo sappiamo (anche se dobbiamo far finta di non saperlo; per iperbole, meglio sarebbe direttamente non saperlo, direbbe Foerster!), ma Simplicio non lo può sapere.
Possiamo usare così il criterio di semplicità : la prima ipotesi a questo punto che viene in mente agli alunni è la diretta proporzionalità fra V ed S, proprio come accadde anche allo stesso Galileo! (6).
Quando nella discussione di un problema concludiamo che all’aumentare di una grandezza anche l’altra, alla prima ipoteticamente correlata, aumenta o diminuisce ‘spariamo’ l’ipotesi più semplice di diretta o inversa proporzionalità rispettivamente, a meno che ulteriori approfondimenti della discussione non suggeriscano altrimenti (caso per es., della relazione fra forza gravitazionale e distanza, da affrontare in altro lavoro; vedere intervento dello stesso autore nel blog).
Scrivere oggi V=K*S sembra ‘proibito’ (vedere dopo), per ragioni però troppo lontane dalla mente del nostro alunno Simplicio; comunque essa è la ipotesi più immediata e più vicina al senso comune degli alunni (ed anche a quello di Galileo!) e la dobbiamo mettere nella discussione.
Così la classe, se è vero come è vero che la velocità aumenta anche al passare del tempo, due ipotesi ‘tentative’ saranno formulate dalla classe sul problema della caduta dei gravi, che nelle nostre condizioni al contorno, che riguardano velocità e tempo iniziali, si presenteranno come segue:
1 – La V-istantanea ed S direttamente proporzionali.
2 – La V-istantanea e t direttamente proporzionali.
PRECISAZIONI E SOTTIGLIEZZE CHE SORGONO ARGOMENTANDO SULLE DUE IPOTESI
Non è così immediato intuire per gli alunni che le due ipotesi non sono la stessa cosa. Dobbiamo così rifarci alla matematica elementare del moto uniformemente accelerato (già spiegato in cinematica fra i modelli razionali per ‘leggere’ i diversi moti possibili: se V e t sono direttamente proporzionali (sotto le solite convenzioni al contorno), si dimostra matematicamente e graficamente che V^2 ed S sono direttamente proporzionali e non V ed S, e nel dire V ed S direttamente proporzionali e V e t direttamente proporzionali si vengono ad enunciare due ipotesi diverse e alternative.
Come già accennato anche lo stesso Galileo davanti allo stesso problema formulò proprio le stesse due ipotesi, anche se su V=K*S ebbe in breve dei dubbi. Infatti, dopo avere annunciato tale ipotesi in una lettera a Paolo Serpi, subito dopo, nei “Discorsi e dimostrazioni matematiche”, faceva dire per bocca di Salviati:
“Quando le velocità hanno la medesima proporzione che gli spazi passati o da passarsi, tali spazii vengono passati in tempi uguali: se dunque le velocità con le quali il cadente passa lo spazio di 4 braccia furon doppie delle velocità con le quali passò le prime due braccia, [appartenenti alle 4 precedenti; nota dell’Autore] (sì come lo spazzio e doppio dello spazio) adunque i tempi di tali passaggi sono uguali”
Nello stesso moto si verrebbero a percorrere nello stesso tempo un dato intervallo di spazio e la sua metà, appartenente ad esso cosa che può accadere solo se il movimento è istantaneo (velocità infinita). Il ragionamento di Galileo può essere descritto, dalla tabella successiva, considerando X la velocità media nelle prime due braccia e 2X la velocità media in tutte le 4 braccia e, se t = S/Vm (S/t=Vm con le nostre condizioni al contorno), 2/X è l’intervallo di tempo nelle prime due braccia e 4/(2.X) e l’intervallo di tempo in tutte le quattro braccia
S Vm t CONCLUSIONE
Le prime due braccia 2 X 2/X 2/X
Le quattro braccia 4 2.X 4/(2.X) 2/X
Si vedano anche le altre più qualificate e profonde argomentazioni sorte ultimamente in ambiente accademico (7) (8).
Il fatto che la discussione galileiana su un problema presenti varie sfaccettature, il fatto che esistano più modi di argomentare sull’ipotesi conseguente non significa che non si debba, come faceva Galileo – non necessariamente allo stesso modo- discutere su problemi per tentare soluzioni prima dell’esperimento. Chi vede in questo pericoli di ambiguo verbalismo, non coglie i significati profondi di un corretto discorso epistemologico e psicologico sui processi di acquisizione della conoscenza e, quello che è più grave, potrebbe sviare gli interventi per il recupero delle situazioni tutt’altro che rosee focalizzate dai diversi tests piagettiani sull’intelligenza formale del giovane di oggi (9) (10).
Consapevolmente o no, Galileo, sempre secondo l’autore dello scritto, dimostra la non coincidenza delle due ipotesi e così faremo nell’insegnamento: si formuleranno le due ipotesi e si dimostrerà in qualche modo che sono diverse e alternative se è ‘vera’ l’una , non lo sarà l’altra e viceversa.
Si passerà poi a controllare in laboratorio se è corroborata l’ipotesi V/t=K, che fornisce come proposizione sperimentabile S/t^2=K. Con l’asserzione-base S=t^2*K che è appunto la formulazione meglio sperimentabile di V/t=K, andiamo in laboratorio per il controllo. In realtà l’ipotesi in un certo ‘range’ di errore è corroborata.
Siamo così arrivati a concludere che l’oggetto (per es., una sferetta d’acciaio, se si utilizza un’apparecchiatura Leybold) cade di moto uniformemente accelerato e quindi la relazione fra velocità e spazio è del tipo V^2/S=K, moto matematicamente e fisicamente possibile, mentre la relazione V=K*S rimane esclusa sperimentalmente. L’ipotesi V^2/S=K però non era così semplice come l’altra, per cui non veniva formulata in prima istanza. Chiaramente le due ipotesi V=Kt e V^2=K*S sono fisicamente la stessa cosa.
Rimangono ora da precisare alcune sottigliezze implicate nel significato di K e quindi formulare il nuovo problema da affrontare nella successiva unità didattica. Prima però analizziamo brevemente il significato matematico e fisico della ipotesi V/S=K e V^2/S=K
ALCUNE CONSIDERAZIONI FISICO-MATEMATICHE SULL’IPOTESI V=K*S
Analisi matematica e fisica dell’ipotesi V=K*S
L’ipotesi è espressa dall’eq. differenziale a variabili separabili: dx/dt=K*(x-x0). Dall’analisi di essa, forse impossibile ai tempi di Galileo o meglio che Galileo non conosceva, deriva che, per la ricerca delle soluzioni è necessario porre la condizione che (x-x0) > < 0, perché, separando le variabili (dx/(x-x0) =K*dt) questa differenza va al denominatore, per cui nel processo si perderebbe la soluzione matematica (che invece (fisicamente) potrebbe esistere?), (x-x0)=0 m.
___________________________________
Possibile significato della soluzione (x-x0)=0 (argomentazione incerta? Da rifletterci!)
Galileo_VfS
All’istante t=0 s quando x=x0 la velocità è zero e, non potendo aumentare x, non aumenta V, per cui x=xo rimane costante al passare del tempo e l’oggetto non si muove. Invece l’eq. dx/dt=K*t fornisce ancora per t=0, Vo= 0 m/s, però il tempo scorre, per cui la V può aumentare.
x=xo sembra così essere l’unica soluzione: a t=0, ovunque, del percorso x, poniamo l’origine dello spazio xo , l’oggetto ivi in quiete (Vo=0 m/s), lasciato andare, rimarrebbe in quiete (se vogliamo, si dovrebbe attendere cioè un tempo infinito per vederlo iniziare a muoversi).
IN FORMULE
dx/dt = k.x separando le variabili: dx/x = k.dt; integrando: logx = k.t + logC; passando agli esponenziali: e^logx = e^(k.t + logC), e , ponendo C1=e^logC :
e^logx=e^kt . e^logC)
x=C1.e^kt
Se x=xo al tempo t=0, si ha che C1=xo ed x=xo.e^kt
Se, al tempo t=0, x=xo=0 e C1=0, si conclude che:
x = 0. e^kt e quindi x=0
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Non esistono altre soluzioni fisiche all’equazione, perché l’integrazione per il calcolo dello spazio (equazione oraria) non può partire dal punto xo (distanza dall’origine a t=0 s), non permettendo quindi la scelta arbitraria (convenzionale) delle origini; si otterrebbe infatti, integrando l’equazione dx/(x-x0) =K*dt fra xo ed x, la seguente espressione, chiaramente inaccettabile:
log(x – xo) – log(0) = K*t
Analisi matematica e fisica dell’ipotesi V^2 = K*S fornisce un modello fisico che funziona
L’analisi matematica dell’ipotesi V^2 = K*S fornisce un modello fisico che funziona:
(dx/dt)^2 = K*(x-x0)
dx/dt = +/- SQR (K) * SQR (x-x0)
Separando le variabili e integrando fra x0 ed x:
2*SQR (x-x0) – 0 = +/- SQR (K)*t
Elevando al quadrato:
4 * (x-x0) = K * t^2
N.B. Dopo aver letto i due links, tornare indietro all’articolo (cliccando sulla freccia in alto a sinistra) per leggere l’ultima parte dell’articolo!
Per ulteriori chiarimenti e precisazioni si aggiungono in link anche le due argomentazione indipendenti di Giorgio Cellai e Pier Francesco Bianchi sulla soluzione della stessa equazione differenziale a variabili separabili:
dx/dt=K*(x-x0)
Argomentazione di Giorgio Cellai in pdf
Cellai 18-2-19
Argomentazione di Pier Francesco Bianchi in pdf
GALILEO_Pf_Bianchi0001
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Ma, al di là di tutto ciò che insegna Galileo, è il modo scientifico formativo di condurre il processo, il modo di discutere il problema, sezionandolo con tutti gli strumenti razionali conosciuti per chiarirlo e ‘sparare’ infine un tentativo di soluzione: ciò che insegna Galileo in definitiva è il modo corretto di fare lezione in una classe in cui si formano i cervelli!
FASI SINTETICHE DEI PROCESSI RAZIONALI, ‘RICCHI’ DI TRANSFER, NELL’ANALISI DEL SIGNIFICATO DELLE COSTANTI DI PROPORZIONALITA’
In generale le fasi del processo razionale davanti ad una ipotesi di diretta proporzionalità, corroborata nell’ambito dell’errore, possono essere brevemente delineate in questo modo:
1 – La grandezza derivata K non dipenderà dalle grandezze che lega, ma da altre relative a ‘qualcosa’ di rilevante che durante l’esperimento non è cambiato.
Se, in dinamica, F/a = K, il valore di K non dipenderà dalla grandezza della variabile accelerazione né dalla grandezza della variabile forza (almeno nel ‘range’ dell’errore sperimentale) e quindi potrebbe dipendere da qualche grandezza relativa all’oggetto con cui abbiamo sperimentato che immaginiamo invariato durante l’esperimento. Da quali?
Se, in elettrodinamica, (Va – Vb)/Ic = K, il valore di K non dipenderà dalle grandezze elettriche differenza di potenziale e intensità della corrente; è facile riferirci allora a qualche proprietà del conduttore su cui abbiamo sperimentato. Da quali?
Se, in elettrostatica, Q/V = K, il valore di K non dipenderà dalle grandezze eletrostatiche carica elettrica e potenziale elettrico, ma da qualche proprietà del conduttore dell’esperimento. Da quali?
2 – Il significato fisico di K nasce poi dal metterci, anche mentalmente, nelle condizioni di ripetere l’esperimento ottenendo un valore di K diverso.
Se il K di F/a dipende dall’oggetto su cui abbiamo sperimentato, immaginando un oggetto diverso, se K verrà maggiore, a parità di forza applicata, a acquistata sarà minore; cioè K dipenderà da una proprietà dell’oggetto che si configura come ostacolo all’accelerazione. Potrebbe essere già stata introdotta una grandezza fondamentale che misuri tale proprietà con la bilancia inerziale (al limite una molla tenuta compressa da un filo), con cui si può attribuire un numero e marca alla massa Inerziale (vedere dopo).
Se il K di (Va-Vb)/Ic dipenderà da qualche proprietà del conduttore usato, cambiandolo otterremo un K diverso. Se è maggiore significherà che, per es., a parità di differenza di potenziale avrò una Ic minore: K si configura come una specie di ostacolo al passaggio della corrente (resistenza elettrica). Una successiva discussione potrà precisare la dipendenza di K dalle grandezze geometriche del filo ecc. Si innescherà una successione di problemi a cascata da affrontare in successive unità didattiche.
Se k di Q/V dipende dal conduttore caricato, cambiandolo dovrebbe cambiare K: se K è maggiore significherà che posso mettere su tale conduttore più carica, a parità di potenziale; cioè K potrebbe avere il significato di capacità elettrica di quel conduttore. Una successiva discussione preciserà la dipendenza da altre grandezze e così via.
3 – Precisazione concettuale delle grandezze investigate.
Come si vede si tratta di veri e propri processi razionali che si ripetono in ambienti diversi, favorendo il transfer concettuale all’interno della disciplina (transfer specifico di Bruner), attraverso il potente Principio di Continuità galileiano.
ASPETTI RELATIVI AI SIGNIFICATI DELLA COSTANTE DI PROPORZIONALITA’ FRA V e t
Abbiamo corroborato in laboratorio l’ipotesi V/t = K: K ha le dimensioni di una accelerazione, e, proprio perché non cambia durante il movimento, non dipenderà dalla V, né dal tempo che cambiano. Potrei così, nella falsariga degli esempi accennati nel paragrafo precedente, affermare che K venga a dipendere da qualche proprietà dell’oggetto usato per l’esperimento. Tale congettura è plausibile abbastanza a questo stadio: oggetti più o meno ‘pesanti’, per es., potrebbero avere accelerazioni di caduta diverse….Cioè dire che K dipende da qualche proprietà dell’oggetto, può voler significare, per es., che oggetti più ‘pesanti’ cadrebbero con un K maggiore (è la congettura più frequente nelle classi, a causa dei riferimenti all’esperienza quotidiana).
Nasce così il nuovo problema sul significato di K ed eventuali ulteriori problemi sulla sua dipendenza da qualche altra grandezza.
Formuliamo, per es., l’ipotesi che sperimentando con un oggetto più ‘pesante’, il K diventi maggiore: oggetti più ‘pesanti’ cadrebbero allora con maggiore accelerazione?
Lasciamo in questa fase, la discussione ad un livello basso, per sfruttare la delusione onde focalizzare l’interesse e destare ‘meraviglia’. Volendo potevamo approfondire usando anche il Teorema di Galileo sull’argomento (nota n.11), eliminando praticamente il rischio sull’ipotesi.
La classe segue motivata il nuovo esperimento sulla misura di K nella caduta e la delusione delle aspettative lascia piuttosto perplessi: la proprietà o le proprietà dalle quali sembrava dipendesse il nostro K sembra non siano relative all’oggetto scelto per l’esperimento.
Seguiranno successivamente argomentazioni insieme alla classe sui presupposti che hanno portato alla formulazione dell’ipotesi sbagliata. A questo punto possiamo anche inserire il teorema galileiano, per tranquillizzare nell’immediato la classe. Si potrà continuare anche a precisare i concetti coinvolti sperimentando col Tubo di Newton.
La discussione dovrà poi procedere facendo riferimento a dati riportati di libri e riviste: si conclude che “tutti i corpi in assenza di attrito cadono, nello stesso posto, con la stessa K (stessa accelerazione)”. Così sembra importante anche il ‘posto’, la zona di spazio dove si esegue l’esperimento, quasi che le ‘zone di spazio’ influiscano in un certo modo sulle proprietà dell’oggetto usato, spostandoci a giro per universo.
I corpi celesti infatti deformano lo spazio con una grandezza vettoriale chiamata ‘campo gravitazionale’. Il comportamento del nostro K potrebbe essere modificato proprio da tale campo: quindi l’oggetto, le cui proprietà non cambiano durante l’esperimento in un dato posto, ha a che fare anche con il corpo planetario nelle vicinanze, nella fattispecie la Terra (il ‘pesare’ degli oggetti non è forse una funzione dei campi gravitazionali nelle vicinanze?). Così il valore del nostro K risentirà di proprietà forse intrinseche – proprietà di opporsi a K o proprietà di attrarre e farsi attrarre, cioè di ‘costruire’ K – all’oggetto usato per l’esperimento (o forse potrebbero costruirsi’ in interazione con ‘aspetti’ dello spazio vicino e lontano? Mach, Newton). Proprietà insomma che 1) ora ne ostacolano il suo valore (massa inerziale, misurabile con un bilancia inerziale), 2) ora lo aumentano (peso e mass gravitazionale, misurabili con un dinamometro opportunamente tarato e con una bilancia a bilico) – i due aspetti precedenti ne controllano la sua strana costanza, aspetto caratteristico del nostro Universo – 3) ora che dipendono dal ‘posto’ dell’esperimento, pur mantenendo la sua costanza per tutti gli oggetti usati. Il peso degli oggetti ha a che fare con la legge gravitazionale di Newton.
Newton affermava che esistevano almeno due tipi di proprietà intrinseche ad un ogni oggetto fisico collegate al concetto di massa: la massa inerziale, che rappresenta la proprietà di opporsi allo stato di quiete e moto rettilineo uniforme, cioè alla accelerazione, e la massa gravitazionale, proprietà invece di farsi accelerare e creare accelerazione in interazione con altri oggetti. Concettualmente, pur interne all’oggetto, le due masse sono concettualmente disgiunte, nel senso che non sono collegate logicamente da una argomentazione teorica; infatti le rispettive grandezze nascono da due esperimenti di misura completamente diversi. La massa inerziale utilizza per la misura una esperimento che fa riferimento al Terzo principio della dinamica, Principio di Azione e Reazione, mentre la massa gravitazionale si misura con una bilancia a bilico. Queste due misure sperimentali, di natura concettuale completamente diversa, con scelta opportuna delle loro unità, risultano numericamente uguali per qualsiasi oggetto: una stranezza caratteristica del nostro Universo! Allora si disse: E’ così perché è cosi!
La uguaglianza numerica di esse per ogni oggetto fisico poteva essere ricavata più semplicemente anche con un ragionamento argomentativo (Newton) partendo dalla costanza dell’accelerazione di gravità g, per es., in un zona limitata dello spazio intorno alla terra, non solo durante il moto, ma per qualsiasi tipo di oggetto di qualsiasi natura. Se lascio cadere in una piccola zona un qualsiasi un oggetto di qualsiasi natura e grandezza, per le due definizioni di massa e per il Secondo Principio della Dinamica, l’oggetto, sottoposto alla sua forza peso P che, nel nostro caso, rimane circa costante per ogni oggetto durante il moto, ma varia da oggetto a oggetto, crea una accelerazione a costante per ogni oggetto, ma non è detto che abbia lo stesso valore passando da un oggetto ad un altro se P cambia. In effetti alla accelerazione finale contribuiscono i due contributi delle due masse:
a1=kMg e a2=k’/Mi
Poichè a1 è un incremento e a2 è un decremento sull’accelezazione finale, i due contributi devono essere uguali, se l’acc. finale rimane costante (accelerazione di gravità) per tutti gli oggetti in caduta, cioè g, per l’ ipotesi iniziale.
Qualsiasi oggetto prendo, per l’uguaglianza di g, a1=a2 per cui kMg=k’Mi; ne deriva kMg/k’Mg=1 e quindi, se k=k’ (opportuna scelta delle unità di misura, per le due masse), ottengo Mg=Mi. Basta si consideri che l’oggetto campione per la massa corrisponda ad una unità di Mi e una di Mg? La differenza numerica delle due masse all’interno degli oggetti risultò dell’ordine di 10^-12. [ Nel blog, cercare “Tao…”, nota (***), ancora di Piero Pistoia].
Il problema diventa complesso: potrà o non potrà essere sviscerato in tutte le sue parti a seconda dei livelli di comprensione e di impegno delle classi di un biennio superiore.
Una cosa è certa: a più di quattro secoli da Galileo dobbiamo esser contenti se si trova ancora nelle nostre scuole, nonostante i mass media, i personal media…, qualche Simplicio che fa ancora le stesse domande ingenue a fronte degli stessi problemi e quasi allo stesso modo.
Rimane da chiederci se la nostra pesante cultura del periodo post-industriale e tecno-ragionieristico, con i suoi prodotti tecnologici così sofisticati fuori della scuola ed anche dentro la scuola (rotaie a cuscinetto d’aria, cronografi ad 1/1000 di sec…), non possa creare nella mente impressionabile dei nostri ragazzi, sovrastrutture così artificiose da impedire i livelli di maturazione normale ed il formarsi graduale di modelli calibrati di interpretazione del mondo (gradualmente sempre più simbolici) e quindi lo sviluppo armonico dell’intelligenza (9) (10).
NOTE E BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
1 – K. Popper “Logica della scoperta scientifica”, Einaudi,1970; K. Popper “Conoscenza oggettiva”, Armando, 1975; P. Feyerabend,T.Khun, I. Lakatos et al. “Critica e crescita della conoscenza”, feltrinelli, 1976; D. Antiseri “Epistemologia e didattica delle scienze”, Armando, 1977; P- Redondi “Epistemologia e storia della scienza”, Feltrinelli, 1978.
2 – J. Piaget e B. Inhelder “De la logique de l’enfant e la logique de l’adolescent”, Puf Paris, 1955; J. S. Bruner “Lo sviluppo cognitivo”, Armando, 1973; J. S. Bruner “Il significato dell’educazione”, Armando, 1973; R. Mazzetti “Dewey e Bruner”, Armando, 1976.
3 – J. S. Bruner “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando, 1967; M. Laeng “L’educazione nella civiltà tecnologica”, Armando, 1969; P. Pistoia, A. Pazzagli “I fondamenti psicologici ed epistemologici dell’insegnamento della fisica”, La ricerca,15-12-1977, Loescher; P. Pistoia, A. Pazzagli “I processi di e la loro utilizzazione per l’insegnamento della fisica”, La Ricerca, 15-11-1978, Loescher; A. Pazzagli, P. Pistoia “Alcuni presupposti psicopedagogici ed epistemologici della riforma della scuola superiore”, La Ricerca, 15-3-1980, Loescher.
4 – P. Wiener e A. Noland “Le radici del pensiero scientifico”, Fltrinelli, 1977; per non parlare dell’analisi del pensiero galileiano condotta da Feyerabend in “Problemi dell’empirismo”, Milano, 1971 e in “Contro il metodo”, Milano, 1973.
5 – P. Pistoia “Considerazioni critiche su un progetto programmatico relativo al processo di comprensione di una concetto fisico”, La Ricerca, 15-10-1981,Loescher.
6 – G. Galilei “Discorsi e dimostrazioni matematiche”, Salani, 1964.
7 – S. Bergia, P. Fantazzini “La Fisica nella scuola”, XIII, N.1, 1980.
8 – Elio Fabri “La fisica nella scuola”, XIV, N.3, 1981.
9 – L. Bergamasco “Didattica e sviluppo intellettuale degli studenti” da ‘Il giornale di fisica’, gennaio-marzo, 1977.
10 – P. Violino e B. Di Giacomo “ Sul livello cognitivo degli alunni delle scuole secondarie superiori” da ‘la fisica nella scuola’, luglio-settembre, 1981
11 – G. Galileo “Ma questo è, ed è insieme vero che una pietra grande si muove, per esempio, con 8 gradi di velocità, ed una minore con quattro, adunque congiungendole ambedue insieme, il composto di loro si muoverà con velocità minore di otto gradi; ma le due pietre, congiunte insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si muoveva con 8 gradi di velocità; adunque questa maggiore si muove meno velocemente che la minore che è contro vostra supposizione”
In effetti Galileo fece ben pochi esperimenti; qualcuno ha detto che forse ne fece uno solo, quello sul piano inclinato ( Galileo’s ? experiment: Myth and symbol, da Rogers “Physics for inquiring mind”, Princeton ). Galileo era un fisico teorico piuttosto che uno sperimentale. Egli usava l’argomentazione logica in esperimenti pensati e il principio di continuità, individuato in lui da Mach, per cui si mantiene la struttura concettuale, variando lentamente, con continuità appunto, gli elementi sperimentali. Se oggetti di diverso peso (gravi) cadevano dalla stessa altezza, dovevano toccare terra con la stessa velocità, altrimenti si manifestava una contraddizione. Ammettendo che il più peso avesse velocità maggiore, collegandolo all’altro più leggero, questo oggetto composto complessivamente, più pesante di ognuno dei due, avrebbe dovuto possedere una velocità ancora maggiore rispetto al più pesante da solo. La contraddizione nasce perché, nella combinazione dei due, il leggero, a sua volta, avrebbe dovuto rallentare invece il più pesante e quindi la velocità finale dell’oggetto composto avrebbe dovuto essere in effetti minore del più pesante da solo. E’ interessante notare che la velocità, uguale per tutti i gravi, derivata logicamente, rimandi ad una proporzionalità “nascosta e profonda” fra massa gravitazionale ed inerziale per tutti gli oggetti dell’universo fisico. Sembra così che esista un legame fra il ragionamento logico, in esperimenti pensati con oggetti fisici, e le leggi profonde. Se le leggi al di sotto delle apparenze non fossero così, si potrebbero verificare contraddizioni logiche da qualche parte del mondi fisico.
Piero Pistoia
Da continuare….