NOTE SUL PRINCIPIO DI MACH, PROBLEMI APERTI; APPUNTI PER UNA RICERCA DIDATTICA O PER UNA BREVE LEZIONE INTRODUTTIVA; del Dott. Piero Pistoia

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

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NOTE enucleate dall’articolo del blog “IL TAO… Principio di Mach” per renderle più visibili.

NOTE SUL PRINCIPIO DI MACH: PROBLEMI APERTI

Appunti per una ricerca didattica o per una lezione introduttiva

A cura del dott. Piero Pistoia

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MACH

 

LA CADUTA DEI GRAVI A PIU’ DI QUATTRO SECOLI DA GALILEO; analisi e significati di alcune sottigliezze nell’insegnamento della fisica e laboratorio al biennio superiore: un metodo di insegnamento; del dott. prof. Piero Pistoia et al.

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA :

 

Da rivedere…

LA CADUTA DEI GRAVI A PIU’ DI QUATTRO SECOLI DA GALILEO

Significati, analisi e sottigliezze, con un certo rischio, su alcuni aspetti dell’insegnamento della fisica e laboratorio, al Biennio Superiore; a cura di Piero Pistoia et al.

INTRODUZIONE

Riteniamo giustificato, secondo criteri epistemologici (1), psicologici (2) e didattici (3), un metodo di insegnamento della Fisica, non di tipo induttivista, ma caratterizzato, in generale, da particolari processi ipotetico-deduttivi. E’ da dire, per la verità, che, mentre per la filosofia e la logica tale metodo è falso e quindi da abbandonare, di fatto non lo è sempre per la stessa Scienza operativa e per il senso comune. Nonostante le critiche alla epistemologia popperiana (vedere i post relativi su questo blog) questa filosofia, secondo lo scrivente ed altri, è degna di rispetto perché degnamente si accorda con un insegnamento formativo nella scuola!

Consideriamo altresì che il così detto metodo sperimentale di Galileo, alla luce anche delle ultime interpretazioni del suo pensiero (4), abbia in effetti analoghe caratteristiche.

Secondo tale metodo l’insegnamento deve partire da problemi (nell’accezione data alla parola da Popper, Antiseri et al.), per arrivare, attraverso le teorie tentative di soluzione (TT di Popper), al processo sperimentale di controllo (corroborazione, falsificazione), fino al nuovo problema, fasi che devono razionalmente e consapevolmente esplicitate nel corso di un insegnamento formativo, come è un Biennio Superiore.

Diversi sono i problemi che devono essere affrontati in successione per ‘costruire’ in una classe di un Biennio, la disciplina, sotto la guida dell’insegnante, ‘alcuni’ dei quali, importanti ed obbligati in quanto innescano a cascata una sequenza di altri, sono qui di seguito sinteticamente nominati:

a – Nella caduta dei gravi con attrito trascurabile e al tempo-iniziale, t0=0 s e v-iniziale, V0= 0 m/s (condizioni al contorno), che relazione ci sarà fra velocità di caduta istantanea e tempo e fra velocità istantanea e spazio percorso?

b – Che relazione ci sarà fra modulo della forza applicata ad un oggetto, che si muova con attrito trascurabile su un piano orizzontale e il modulo dell’accelerazione acquistata (vettore forza e vettore accelerazione con stessa direzione e stesso verso)?

c – Che relazione ci sarà fra quantità di carica elettrica posta su un conduttore isolato (o su un’armatura di un condensatore e l’altra messa a terra) ed il potenziale da esso assunto? (5))

d – Che relazione ci sarà fra (Va-Vb) misurata ai capi di un resistore e la Ic misurata in una sezione di esso?

e – Che relazione ci sarà fra il flusso di induzione magnetica concatenato ad un circuito e l’intensità di corrente in esso circolante?

Ognuno di questi problemi e degli altri della stessa forma matematica non nominati deve essere discusso in classe fino a formulare una o più ipotesi plausibili (non necessariamente ‘vere’), per poi progettare un esperimento di controllo. Nella zona di ‘corroborazione’ o di ‘falsificazione’ dell’ipotesi nascerà il nuovo problema e, se l’ipotesi verrà corroborata (avvalorando magari il risultato facendo riferimenti ad analoghi esperimenti condotti in laboratori di ricerca), avremo ‘costruito in classe un ‘pezzetto’ di fisica!

In questo l’autore cercherà di analizzare il problema a, precisandone aspetti e implicazioni educative e formative, riscoprendo nella caratteristica dialogica di tipo galileiano di condurre il discorso e nei precisi e puntuali interventi di Salviati nei confronti di Simplicio, la chiave per ricostruire la fisica anche nelle classi di oggi.

ANALISI E DISCUSSIONE DEL PROBLEMA RELATIVO ALLA CADUTA DEI GRAVI

problema (a) e formulazione delle ipotesi

Focalizziamo l’attenzione e la memoria degli alunni sulla caduta di oggetti pesanti, sui quali le azioni di disturbo dell’aria sono meno evidenti, almeno per basse velocità.

Alla domanda su come si comporterà la velocità durante il movimento, si hanno in generale perplessità. I nostri ragazzi di 14-15 anni hanno o dovrebbero avere la mente del Simplicio galileiano. Alcuni conoscono già le risposte a memoria, secondo noi, purtroppo, fornite probabilmente su informazioni parziali, disperse, prima che si formulassero le ipotesi, prima che si precisassero le aspettative, prima delle delusioni dinanzi ad ipotesi sbagliate, prima insomma dei processi che innescano il vero apprendimento! E’ un po’ come insegnare direttamente le formule da imparare a mente, per poter fare da subito con esse i così detti esercizi di applicazione di esse, riportati sul libro di testo!

Qualche frammento di ricordo culturale precedente scarsamente assimilato, certi mass media, certi personal media, qualche software selvaggio e poco calibrato, avranno fornito queste nozioni fine a se stesse.

IL maggiore tradimento, pur inconsapevole, che la civiltà tecnologica abbia mai perpetrato ai danni dei cuccioli della specie secondo lo scrivente è proprio questo: sono stati gettati in un contesto tecnologico di natura altamente simbolica e lontano così dalla teorie del senso comune, pur coronato eccezionalmente da buon senso, ‘il buon senso del senso comune’, a cui gli alunni possono essere vicini, in un mondo incomprensibile, nel quale i messaggi si trasformano in nozioni isolate senza contesto da memorizzare e delle quali sfuggono le ragioni più profonde, in un mondo dove i ‘messaggi’ svuotati dal ‘mezzo’, per mutuare le parole di McLuan, annebbiano curiosità e meraviglia, uniche molle del progresso umano.

Fortunati se c’è ancora qualche Simplicio, che vede cadere dalla mano il grave subito velocemente appena lasciato. Allora, a guisa del Salviati galileiano l’insegnante può guidare la discussione, al di là di tutto, del tempo e dei programmi, delle scadenze e dei voti, delle rimostranze degli ingegneri del triennio se non ricordano le formule a mente e le definizioni…; il cucciolo dell’uomo ha il diritto di imparare a ‘costruirsi’ i propri modelli razionali, efficaci e graduali, di interpretazione del mondo. E’ solo in questa prospettiva che ha significato l’aggettivo ‘formativo’ che attribuiamo all’insegnamento della fisica al biennio superiore.

Sarebbe interessante a questo proposito compilare una serie di domande opportune che colgano in profondità le strutture di base della fisica formativa del biennio, al di là delle mere nozioni e delle meccaniche esercitazioni spicciole, e con esse preparare un questionario da somministrare agli studenti alla fine del biennio e contemporaneamente alla fine del triennio tecnico raccontando e riflettendo sui risultati comparati. Anni fa, quando insegnavo ancora, feci un tale esperimento aiutandomi nella compilazione anche con questionari sorti in testi specializzati e nelle accademie per analoghi compiti. Da questo mio unico studio risultò, stranamente, che l’insegnamento tecnico con i suoi tecnicismi, meccanismi, espedienti ed artifizi sembrò obnubilare il ragionamento fisico formativo, cioè il pensiero fisico (la Philosophia Naturalis), acquisito al biennio! Sarebbe interessante infatti, per l’insegnamento, se si potesse capire e controllare statisticamente, se davvero questa mera ipotesi fosse da considerare corroborata.

Il sasso aumenta di velocità perché urta la mano che cerca di fermarlo, con più violenza a maggior spazio percorso. Tale sforzo della mano non legato in generale alla prima potenza della velocità, ma alla seconda: noi questo lo sappiamo (anche se dobbiamo far finta di non saperlo; per iperbole, meglio sarebbe direttamente non saperlo, direbbe Foerster!), ma Simplicio non lo può sapere.

Possiamo usare così il criterio di semplicità : la prima ipotesi a questo punto che viene in mente agli alunni è la diretta proporzionalità fra V ed S, proprio come accadde anche allo stesso Galileo! (6).

Quando nella discussione di un problema concludiamo che all’aumentare di una grandezza anche l’altra, alla prima ipoteticamente correlata, aumenta o diminuisce ‘spariamo’ l’ipotesi più semplice di diretta o inversa proporzionalità rispettivamente, a meno che ulteriori approfondimenti della discussione non suggeriscano altrimenti (caso per es., della relazione fra forza gravitazionale e distanza, da affrontare in altro lavoro; vedere intervento dello stesso autore nel blog).

Scrivere oggi V=K*S sembra ‘proibito’ (vedere dopo), per ragioni però troppo lontane dalla mente del nostro alunno Simplicio; comunque essa è la ipotesi più immediata e più vicina al senso comune degli alunni (ed anche a quello di Galileo!) e la dobbiamo mettere nella discussione.

Così la classe, se è vero come è vero che la velocità aumenta anche al passare del tempo, due ipotesi ‘tentative’ saranno formulate dalla classe sul problema della caduta dei gravi, che nelle nostre condizioni al contorno, che riguardano velocità e tempo iniziali, si presenteranno come segue:

1 – La V-istantanea ed S direttamente proporzionali.

2 – La V-istantanea e t direttamente proporzionali.

PRECISAZIONI E SOTTIGLIEZZE CHE SORGONO ARGOMENTANDO SULLE DUE IPOTESI

Non è così immediato intuire per gli alunni che le due ipotesi non sono la stessa cosa. Dobbiamo così rifarci alla matematica elementare del moto uniformemente accelerato (già spiegato in cinematica fra i modelli razionali per ‘leggere’ i diversi moti possibili: se V e t sono direttamente proporzionali (sotto le solite convenzioni al contorno), si dimostra matematicamente e graficamente che V^2 ed S sono direttamente proporzionali e non V ed S, e nel dire V ed S direttamente proporzionali e V e t direttamente proporzionali si vengono ad enunciare due ipotesi diverse e alternative.

Come già accennato anche lo stesso Galileo davanti allo stesso problema formulò proprio le stesse due ipotesi, anche se su V=K*S ebbe in breve dei dubbi. Infatti, dopo avere annunciato tale ipotesi in una lettera a Paolo Serpi, subito dopo, nei “Discorsi e dimostrazioni matematiche”, faceva dire per bocca di Salviati:

Quando le velocità hanno la medesima proporzione che gli spazi passati o da passarsi, tali spazii vengono passati in tempi uguali: se dunque le velocità con le quali il cadente passa lo spazio di 4 braccia furon doppie delle velocità con le quali passò le prime due braccia, [appartenenti alle 4 precedenti; nota dell’Autore] (sì come lo spazzio e doppio dello spazio) adunque i tempi di tali passaggi sono uguali”

Nello stesso moto si verrebbero a percorrere nello stesso tempo un dato intervallo di spazio e la sua metà, appartenente ad esso cosa che può accadere solo se il movimento è istantaneo (velocità infinita). Il ragionamento di Galileo può essere descritto, dalla tabella successiva, considerando X la velocità media nelle prime due braccia e 2X la velocità media in tutte le 4 braccia e, se t = S/Vm (S/t=Vm con le nostre condizioni al contorno), 2/X è l’intervallo di tempo nelle prime due braccia e 4/(2.X) e l’intervallo di tempo in tutte le quattro braccia

                                       S          Vm                t           CONCLUSIONE

Le prime due braccia      2           X              2/X                   2/X

Le quattro braccia          4           2.X            4/(2.X)              2/X

Si vedano anche le altre più qualificate e profonde argomentazioni sorte ultimamente in ambiente accademico (7) (8).

Il fatto che la discussione galileiana su un problema presenti varie sfaccettature, il fatto che esistano più modi di argomentare sull’ipotesi conseguente non significa che non si debba, come faceva Galileo – non necessariamente allo stesso modo- discutere su problemi per tentare soluzioni prima dell’esperimento. Chi vede in questo pericoli di ambiguo verbalismo, non coglie i significati profondi di un corretto discorso epistemologico e psicologico sui processi di acquisizione della conoscenza e, quello che è più grave, potrebbe sviare gli interventi per il recupero delle situazioni tutt’altro che rosee focalizzate dai diversi tests piagettiani sull’intelligenza formale del giovane di oggi (9) (10).

Consapevolmente o no, Galileo, sempre secondo l’autore dello scritto, dimostra la non coincidenza delle due ipotesi e così faremo nell’insegnamento: si formuleranno le due ipotesi e si dimostrerà in qualche modo che sono diverse e alternative se è ‘vera’ l’una , non lo sarà l’altra e viceversa.

Si passerà poi a controllare in laboratorio se è corroborata l’ipotesi V/t=K, che fornisce come proposizione sperimentabile S/t^2=K. Con l’asserzione-base S=t^2*K che è appunto la formulazione meglio sperimentabile di V/t=K, andiamo in laboratorio per il controllo. In realtà l’ipotesi in un certo ‘range’ di errore è corroborata.

Siamo così arrivati a concludere che l’oggetto (per es., una sferetta d’acciaio, se si utilizza un’apparecchiatura Leybold) cade di moto uniformemente accelerato e quindi la relazione fra velocità e spazio è del tipo V^2/S=K, moto matematicamente e fisicamente possibile, mentre la relazione V=K*S rimane esclusa sperimentalmente. L’ipotesi V^2/S=K però non era così semplice come l’altra, per cui non veniva formulata in prima istanza. Chiaramente le due ipotesi V=Kt e V^2=K*S sono fisicamente la stessa cosa.

Rimangono ora da precisare alcune sottigliezze implicate nel significato di K e quindi formulare il nuovo problema da affrontare nella successiva unità didattica. Prima però analizziamo brevemente il significato matematico e fisico della ipotesi V/S=K e V^2/S=K

ALCUNE CONSIDERAZIONI FISICO-MATEMATICHE SULL’IPOTESI V=K*S

Analisi matematica e fisica dell’ipotesi V=K*S

L’ipotesi è espressa dall’eq. differenziale a variabili separabili: dx/dt=K*(x-x0). Dall’analisi di essa, forse impossibile ai tempi di Galileo o meglio che Galileo non conosceva, deriva che, per la ricerca delle soluzioni è necessario porre la condizione che (x-x0) > < 0, perché, separando le variabili (dx/(x-x0) =K*dt) questa differenza va al denominatore, per cui nel processo si perderebbe la soluzione matematica (che invece (fisicamente) potrebbe esistere?), (x-x0)=0 m.

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Possibile significato della soluzione (x-x0)=0 (argomentazione incerta? Da rifletterci!)

Galileo_VfS

All’istante t=0 s quando x=x0 la velocità è zero e, non potendo aumentare x, non aumenta V, per cui x=xo rimane costante al passare del tempo e l’oggetto non si muove. Invece l’eq. dx/dt=K*t fornisce ancora per t=0, Vo= 0 m/s, però il tempo scorre, per cui la V può aumentare.

x=xo sembra così essere l’unica soluzione: a t=0, ovunque, del percorso x, poniamo l’origine dello spazio xo , l’oggetto ivi in quiete (Vo=0 m/s), lasciato andare, rimarrebbe in quiete (se vogliamo, si dovrebbe attendere cioè un tempo infinito per vederlo iniziare a muoversi).

IN FORMULE

dx/dt = k.x   separando le variabili:   dx/x = k.dt; integrando:    logx = k.t + logC; passando agli esponenziali:   e^logx = e^(k.t + logC),  e , ponendo C1=e^logC :

e^logx=e^kt . e^logC)

x=C1.e^kt

Se x=xo al tempo t=0, si ha che C1=xo ed      x=xo.e^kt

Se,  al tempo t=0, x=xo=0  e C1=0, si conclude che:

x = 0. e^kt e quindi      x=0

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Non esistono altre soluzioni fisiche all’equazione, perché l’integrazione per il calcolo dello spazio (equazione oraria) non può partire dal punto xo (distanza dall’origine a t=0 s), non permettendo quindi la scelta arbitraria (convenzionale) delle origini; si otterrebbe infatti, integrando l’equazione  dx/(x-x0) =K*dt  fra xo ed x, la seguente espressione, chiaramente inaccettabile:

log(x – xo) – log(0) = K*t


Analisi matematica e fisica dell’ipotesi V^2 = K*S fornisce un modello fisico che funziona

L’analisi matematica dell’ipotesi V^2 = K*S fornisce un modello fisico che funziona:

(dx/dt)^2 = K*(x-x0)

dx/dt = +/- SQR (K) * SQR (x-x0)

Separando le variabili e integrando fra x0 ed x:

2*SQR (x-x0) – 0 = +/- SQR (K)*t

Elevando al quadrato:

4 * (x-x0) = K * t^2


N.B. Dopo aver letto i due  links, tornare indietro all’articolo (cliccando sulla freccia in alto a sinistra)  per leggere l’ultima parte dell’articolo!

Per ulteriori chiarimenti e precisazioni si aggiungono in link anche le due argomentazione indipendenti di Giorgio Cellai e Pier Francesco Bianchi sulla soluzione della stessa equazione differenziale a variabili separabili:

dx/dt=K*(x-x0)

Argomentazione di Giorgio Cellai in pdf

Cellai 18-2-19

Argomentazione di Pier Francesco Bianchi in pdf

GALILEO_Pf_Bianchi0001

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Ma, al di là di tutto ciò che insegna Galileo, è il modo scientifico formativo di condurre il processo, il modo di discutere il problema, sezionandolo con tutti gli strumenti razionali conosciuti per chiarirlo e ‘sparare’ infine un tentativo di soluzione: ciò che insegna Galileo in definitiva è il modo corretto di fare lezione in una classe in cui si formano i cervelli!

FASI SINTETICHE DEI PROCESSI RAZIONALI, ‘RICCHI’ DI TRANSFER, NELL’ANALISI DEL SIGNIFICATO DELLE COSTANTI DI PROPORZIONALITA’

In generale le fasi del processo razionale davanti ad una ipotesi di diretta proporzionalità, corroborata nell’ambito dell’errore, possono essere brevemente delineate in questo modo:

1 – La grandezza derivata K non dipenderà dalle grandezze che lega, ma da altre relative a ‘qualcosa’ di rilevante che durante l’esperimento non è cambiato.

Se, in dinamica, F/a = K, il valore di K non dipenderà dalla grandezza della variabile accelerazione né dalla grandezza della variabile forza (almeno nel ‘range’ dell’errore sperimentale) e quindi potrebbe dipendere da qualche grandezza relativa all’oggetto con cui abbiamo sperimentato che immaginiamo invariato durante l’esperimento. Da quali?

Se, in elettrodinamica, (Va – Vb)/Ic = K, il valore di K non dipenderà dalle grandezze elettriche differenza di potenziale e intensità della corrente; è facile riferirci allora a qualche proprietà del conduttore su cui abbiamo sperimentato. Da quali?

Se, in elettrostatica, Q/V = K, il valore di K non dipenderà dalle grandezze eletrostatiche carica elettrica e potenziale elettrico, ma da qualche proprietà del conduttore dell’esperimento. Da quali?

2 – Il significato fisico di K nasce poi dal metterci, anche mentalmente, nelle condizioni di ripetere l’esperimento ottenendo un valore di K diverso.

Se il K di F/a dipende dall’oggetto su cui abbiamo sperimentato, immaginando un oggetto diverso, se K verrà maggiore, a parità di forza applicata, a acquistata sarà minore; cioè K dipenderà da una proprietà dell’oggetto che si configura come ostacolo all’accelerazione. Potrebbe essere già stata introdotta una grandezza fondamentale che misuri tale proprietà con la bilancia inerziale (al limite una molla tenuta compressa da un filo), con cui si può attribuire un numero e marca  alla massa Inerziale (vedere dopo).

Se il K di (Va-Vb)/Ic dipenderà da qualche proprietà del conduttore usato, cambiandolo otterremo un K diverso. Se è maggiore significherà che, per es., a parità di differenza di potenziale avrò una Ic minore: K si configura come una specie di ostacolo al passaggio della corrente (resistenza elettrica). Una successiva discussione potrà precisare la dipendenza di K dalle grandezze geometriche del filo ecc. Si innescherà una successione di problemi a cascata da affrontare in successive unità didattiche.

Se k di Q/V dipende dal conduttore caricato, cambiandolo dovrebbe cambiare K: se K è maggiore significherà che posso mettere su tale conduttore più carica, a parità di potenziale; cioè K potrebbe avere il significato di capacità elettrica di quel conduttore. Una successiva discussione preciserà la dipendenza da altre grandezze e così via.

3 – Precisazione concettuale delle grandezze investigate.

Come si vede si tratta di veri e propri processi razionali che si ripetono in ambienti diversi, favorendo il transfer concettuale all’interno della disciplina (transfer specifico di Bruner), attraverso il potente Principio di Continuità galileiano.

ASPETTI RELATIVI AI SIGNIFICATI DELLA COSTANTE DI PROPORZIONALITA’ FRA V e t

Abbiamo corroborato in laboratorio l’ipotesi V/t = K: K ha le dimensioni di una accelerazione, e, proprio perché non cambia durante il movimento, non dipenderà dalla V, né dal tempo che cambiano. Potrei così, nella falsariga degli esempi accennati nel paragrafo precedente, affermare che K venga a dipendere da qualche proprietà dell’oggetto usato per l’esperimento. Tale congettura è plausibile abbastanza a questo stadio: oggetti più o meno ‘pesanti’, per es., potrebbero avere accelerazioni di caduta diverse….Cioè dire che K dipende da qualche proprietà dell’oggetto, può voler significare, per es., che oggetti più ‘pesanti’ cadrebbero con un K maggiore (è la congettura più frequente nelle classi, a causa dei riferimenti all’esperienza quotidiana).

Nasce così il nuovo problema sul significato di K ed eventuali ulteriori problemi sulla sua dipendenza da qualche altra grandezza.

Formuliamo, per es., l’ipotesi che sperimentando con un oggetto più ‘pesante’, il K diventi maggiore: oggetti più ‘pesanti’ cadrebbero allora con maggiore accelerazione?

Lasciamo in questa fase, la discussione ad un livello basso, per sfruttare la delusione onde focalizzare l’interesse e destare ‘meraviglia’. Volendo potevamo approfondire usando anche il Teorema di Galileo sull’argomento (nota n.11), eliminando praticamente il rischio sull’ipotesi.

La classe segue motivata il nuovo esperimento sulla misura di K nella caduta e la delusione delle aspettative lascia piuttosto perplessi: la proprietà o le proprietà dalle quali sembrava dipendesse il nostro K sembra non siano relative all’oggetto scelto per l’esperimento.

Seguiranno successivamente argomentazioni insieme alla classe sui presupposti che hanno portato alla formulazione dell’ipotesi sbagliata. A questo punto possiamo anche inserire il teorema galileiano, per tranquillizzare nell’immediato la classe. Si potrà continuare anche a precisare i concetti coinvolti sperimentando col Tubo di Newton.

La discussione dovrà poi procedere facendo riferimento a dati riportati di libri e riviste: si conclude che “tutti i corpi in assenza di attrito cadono, nello stesso posto, con la stessa K (stessa accelerazione)”. Così sembra importante anche il ‘posto’, la zona di spazio dove si esegue l’esperimento, quasi che le ‘zone di spazio’ influiscano in un certo modo sulle proprietà dell’oggetto usato, spostandoci a giro per universo.

I corpi celesti infatti deformano lo spazio con una grandezza vettoriale chiamata ‘campo gravitazionale’. Il comportamento del nostro K potrebbe essere modificato proprio da tale campo: quindi l’oggetto, le cui proprietà non cambiano durante l’esperimento in un dato posto, ha a che fare anche con il corpo planetario nelle vicinanze, nella fattispecie la Terra (il ‘pesare’ degli oggetti non è forse una funzione dei campi gravitazionali nelle vicinanze?). Così il valore del nostro K risentirà di proprietà forse  intrinseche – proprietà di opporsi a K o proprietà di attrarre e farsi attrarre, cioè di ‘costruire’ K – all’oggetto usato per l’esperimento (o forse potrebbero costruirsi’ in interazione con ‘aspetti’ dello spazio vicino e lontano? Mach, Newton). Proprietà insomma che 1) ora ne ostacolano il suo valore (massa inerziale, misurabile con un bilancia inerziale), 2) ora lo aumentano (peso e mass gravitazionale, misurabili con un dinamometro opportunamente tarato e con una bilancia a bilico) – i due aspetti precedenti ne controllano la sua strana costanza, aspetto caratteristico del nostro Universo – 3) ora che dipendono dal ‘posto’ dell’esperimento, pur mantenendo la sua costanza per tutti gli oggetti usati. Il peso degli oggetti ha a che fare con la legge gravitazionale di Newton.

Newton affermava che esistevano almeno due tipi di proprietà intrinseche ad un ogni oggetto fisico collegate al concetto di massa: la massa inerziale, che rappresenta la proprietà di opporsi allo stato di quiete e moto rettilineo uniforme, cioè alla accelerazione, e la massa gravitazionale, proprietà invece di farsi accelerare e creare accelerazione in interazione con altri oggetti. Concettualmente, pur interne all’oggetto, le due masse sono concettualmente disgiunte, nel senso che non sono collegate logicamente da una argomentazione teorica; infatti le rispettive grandezze nascono da due esperimenti di misura completamente diversi. La massa inerziale utilizza per la misura una esperimento che fa riferimento al Terzo principio della dinamica, Principio di Azione e Reazione, mentre la massa gravitazionale si misura con una bilancia a bilico. Queste due misure sperimentali, di natura concettuale completamente diversa, con scelta opportuna delle loro unità,  risultano numericamente uguali per qualsiasi oggetto: una stranezza caratteristica del nostro Universo! Allora si disse: E’ così perché è cosi!
La uguaglianza numerica di esse per ogni oggetto fisico poteva essere ricavata più semplicemente anche con un ragionamento argomentativo (Newton) partendo dalla costanza dell’accelerazione di gravità g, per es., in un zona limitata dello spazio intorno alla terra, non solo durante il moto, ma per qualsiasi tipo di oggetto di qualsiasi natura. Se lascio cadere in una piccola zona un qualsiasi un oggetto di qualsiasi natura e grandezza, per le due definizioni di massa e per il Secondo Principio della Dinamica, l’oggetto, sottoposto alla sua forza peso P che, nel nostro caso, rimane circa costante per ogni oggetto durante il moto, ma varia da oggetto a oggetto, crea una accelerazione a costante per ogni oggetto, ma non è detto che abbia lo stesso valore passando da un oggetto ad un altro se P cambia. In effetti alla accelerazione finale contribuiscono i due contributi delle due masse:

a1=kMg e a2=k’/Mi

Poichè a1 è un incremento e a2 è un decremento sull’accelezazione finale, i due contributi devono essere uguali, se l’acc. finale rimane costante (accelerazione di gravità) per tutti gli oggetti in caduta, cioè g, per l’ ipotesi iniziale.

Qualsiasi oggetto prendo, per l’uguaglianza di g, a1=a2 per cui kMg=k’Mi; ne deriva kMg/k’Mg=1 e quindi, se k=k’ (opportuna scelta delle unità di misura, per le due masse), ottengo Mg=Mi. Basta si consideri che l’oggetto campione  per la massa corrisponda ad una unità di Mi e una di Mg? La differenza numerica delle due masse all’interno degli oggetti risultò dell’ordine di 10^-12. [ Nel blog, cercare “Tao…”, nota (***), ancora di Piero Pistoia].

Il problema diventa complesso: potrà o non potrà essere sviscerato in tutte le sue parti a seconda dei livelli di comprensione e di impegno delle classi di un biennio superiore.

Una cosa è certa: a più di quattro secoli da Galileo dobbiamo esser contenti se si trova ancora nelle nostre scuole, nonostante i mass media, i personal media…, qualche Simplicio che fa ancora le stesse domande ingenue a fronte degli stessi problemi e quasi allo stesso modo.

Rimane da chiederci se la nostra pesante cultura del periodo post-industriale e tecno-ragionieristico, con i suoi prodotti tecnologici così sofisticati fuori della scuola ed anche dentro la scuola (rotaie a cuscinetto d’aria, cronografi ad 1/1000 di sec…), non possa creare nella mente impressionabile dei nostri ragazzi, sovrastrutture così artificiose da impedire i livelli di maturazione normale ed il formarsi graduale di modelli calibrati di interpretazione del mondo (gradualmente sempre più simbolici) e quindi lo sviluppo armonico dell’intelligenza (9) (10).

NOTE E BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

1 – K. Popper “Logica della scoperta scientifica”, Einaudi,1970; K. Popper “Conoscenza oggettiva”, Armando, 1975; P. Feyerabend,T.Khun, I. Lakatos et al. “Critica e crescita della conoscenza”, feltrinelli, 1976; D. Antiseri “Epistemologia e didattica delle scienze”, Armando, 1977; P- Redondi “Epistemologia e storia della scienza”, Feltrinelli, 1978.

2 – J. Piaget e B. Inhelder “De la logique de l’enfant e la logique de l’adolescent”, Puf Paris, 1955; J. S. Bruner “Lo sviluppo cognitivo”, Armando, 1973; J. S. Bruner “Il significato dell’educazione”, Armando, 1973; R. Mazzetti “Dewey e Bruner”, Armando, 1976.

3 – J. S. Bruner “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando, 1967; M. Laeng “L’educazione nella civiltà tecnologica”, Armando, 1969; P. Pistoia, A. Pazzagli “I fondamenti psicologici ed epistemologici dell’insegnamento della fisica”, La ricerca,15-12-1977, Loescher; P. Pistoia, A. Pazzagli “I processi di e la loro utilizzazione per l’insegnamento della fisica”, La Ricerca, 15-11-1978, Loescher; A. Pazzagli, P. Pistoia “Alcuni presupposti psicopedagogici ed epistemologici della riforma della scuola superiore”, La Ricerca, 15-3-1980, Loescher.

4 – P. Wiener e A. Noland “Le radici del pensiero scientifico”, Fltrinelli, 1977; per non parlare dell’analisi del pensiero galileiano condotta da Feyerabend in “Problemi dell’empirismo”, Milano, 1971 e in “Contro il metodo”, Milano, 1973.

5 – P. Pistoia “Considerazioni critiche su un progetto programmatico relativo al processo di comprensione di una concetto fisico”, La Ricerca, 15-10-1981,Loescher.

6 – G. Galilei “Discorsi e dimostrazioni matematiche”, Salani, 1964.

7 – S. Bergia, P. Fantazzini “La Fisica nella scuola”, XIII, N.1, 1980.

8 – Elio Fabri “La fisica nella scuola”, XIV, N.3, 1981.

9 – L. Bergamasco “Didattica e sviluppo intellettuale degli studenti” da ‘Il giornale di fisica’, gennaio-marzo, 1977.

10 – P. Violino e B. Di Giacomo “ Sul livello cognitivo degli alunni delle scuole secondarie superiori” da ‘la fisica nella scuola’, luglio-settembre, 1981

11 – G. Galileo “Ma questo è, ed è insieme vero che una pietra grande si muove, per esempio, con 8 gradi di velocità, ed una minore con quattro, adunque congiungendole ambedue insieme, il composto di loro si muoverà con velocità minore di otto gradi; ma le due pietre, congiunte insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si muoveva con 8 gradi di velocità; adunque questa maggiore si muove meno velocemente che la minore che è contro vostra supposizione”

In effetti Galileo fece ben pochi esperimenti; qualcuno ha detto che forse ne fece uno solo, quello sul piano inclinato ( Galileo’s ? experiment: Myth and symbol, da Rogers “Physics for inquiring mind”, Princeton ). Galileo era un fisico teorico piuttosto che uno sperimentale. Egli usava l’argomentazione logica  in esperimenti pensati e il principio di continuità, individuato in lui da Mach, per cui si mantiene la struttura concettuale, variando lentamente, con continuità appunto, gli elementi sperimentali. Se oggetti di diverso peso (gravi) cadevano dalla stessa altezza, dovevano toccare terra con la stessa velocità, altrimenti si manifestava una contraddizione. Ammettendo che il più peso avesse velocità maggiore, collegandolo all’altro più leggero, questo oggetto composto complessivamente, più pesante di ognuno dei due, avrebbe dovuto possedere una velocità ancora maggiore rispetto al più pesante da solo. La contraddizione nasce perché, nella combinazione dei due, il leggero, a sua volta, avrebbe dovuto rallentare invece il più pesante e quindi la velocità finale dell’oggetto composto avrebbe dovuto essere in effetti minore del più pesante da solo. E’ interessante notare che la velocità, uguale per tutti i gravi, derivata logicamente, rimandi ad una proporzionalità “nascosta e profonda” fra massa gravitazionale ed inerziale per tutti gli oggetti dell’universo fisico. Sembra così che esista un legame fra il ragionamento logico, in esperimenti pensati con oggetti fisici, e le leggi profonde. Se le leggi al di sotto delle apparenze non fossero così, si potrebbero verificare contraddizioni logiche da qualche parte del mondi fisico.

Piero Pistoia

Da continuare….

IL TAO, CALCOLO DEL FATO, LA CARTA NATALE, I CHING, IL MIRACOLO, IL PRINCIPIO DI MACH; appunti per un lezione di Piero Pistoia; post aperto

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Vedere, in questo blog, anche il post a più articoli e a più voci dal titolo “Esiste un metodo di investigazione della Natura, alternativa alla Scienza?” post  curato dello stesso autore, di cui questa riflessione potrebbe porsi come premessa e per il concetto di massa altri articoli, cercando su questo blog per es., ‘massa inerziale’.

Fuggenti e inseguitori
eran confusi in una massa sola.

Macaulay

IL TAO, CALCOLO DEL FATO , LA CARTA NATALE, I CHING, IL MIRACOLO E ALCUNI APPUNTI PER UNA BREVE RICERCA-LEZIONE INTRODUTTIVA SUL PRINCIPIO DI MACH
Una breve riflessione scientificamente difforme di Piero Pistoia

La Carta degli oggetti del cielo al momento della nascita, Carta Natale (*) od altro analogo, come altri escamotage, per es., per certi versi, i CHING con i suoi strani esagrammi…) sono mappe da portare con noi durante la vita, pensata come “UN VIAGGIO”, e quando si viaggia abbiamo bisogno di una mappa; si possono incontrare vicoli ciechi, strade chiuse, ostacoli…, ma se sai dove si possono trovare, puoi cambiare direzione, tornare indietro, cambiare scelta…, se hai la piena consapevolezza di essere connesso con il TUTTO (Tao), con tutto ciò che ti circonda. In questo sta il miracolo che attende di rivelarsi!

Ogni evento è collegato agli altri infiniti e ciò che ti accade in quell’istante non è di natura casuale, o divina, ma condizionato dalla miriade di interferenze istantanee con il vicino e lontano universo. Tutto avviene per una ragione ben precisa. Chissà perché mi viene a mente l’olistico Principio di Mach, rivisitato dal pensiero di Berkeley, e la sua ‘cosmica’ definizione fisica di massa inerziale. Per leggere che cosa accadeva del concetto di massa nella Fisica classica, vedere nota (**). L’inerzia attribuita ad un oggetto è la sua tendenza a mantenere lo stato di quiete e di moto rettilineo uniforme, per cui, in presenza di forze esterne, nasce un’accelerazione inversamente proporzionale ad essa, e in assenza di forze continuerebbe a mantenere quel suo stato di moto. “Per noi è una gioia quando riusciamo a distogliere lo sguardo dal  Tutto e fissarlo sul particolare, ma non dobbiamo tralasciare mai di correggere e completare le nostre idee, mettendole a confronto con ciò che provvisoriamente avevamo lasciato inesplorato (Ernst Mach “La meccanica nel suo sviluppo storico critico”, Boringhieri). Allora, ci chiediamo, un corpo deriverebbe le sue proprietà, come l’inerzia, dall’interazione gravitazionale dinamica con il Tutto, in particolare con gli oggetti cosmici più lontani (galassie lontane) di massa complessivamente sempre più grande o dalle caratteristiche intrinseche dei suoi componenti microscopici come vorrebbe il riduzionismo atomistico? Un osservatore solidale alla terra in rotazione, in un universo completamente vuoto, apparirebbe davvero schiacciata ai poli? (***)

Per il Tao comunque tutto è connesso eccetto, in una metafora molto semplificata, il flusso di una specie di vento cosmico che soffia nell’aria e il flusso di una specie di acqua che scorre nel fiume, che, indipendenti da noi, non possiamo gestire. Gli uccelli non volano ma vengono trasportati e così i pesci non nuotano ma vengono trasportati. Quello che ti succede sarà il risultato delle connessioni, che non conosciamo, con tutti gli elementi a cui siamo collegati. Ciò che possiamo fare è solo cavalcare le onde di questi mari universali e le folate di questi venti cosmici mantenuti attivi da questo olismo di interazioni, aiutati, forse, dalle nostre mappe di cui siamo dotati, sperando nel miracolo.

Così i Ching, il Libro dei Mutamenti, secondo anche le convinzioni dello psicologo C. G. Jung (prefazione riportata nella traduzione, dal cinese in tedesco, di essi a cura di R. Wilhelm; in italiano: “I CHING, il libro dei Mutamenti, Adelphi edizioni, 1991”) con i suoi esagrammi elaborati ad ogni istante del tempo, le cui immagini venivano ad essere in sincronia non solo col tempo fisico, ma anche con la “qualità essenziale della situazione prevalente” al momento della loro elaborazione. L’elaborazione dell’esagramma sembrerebbe cogliere l’ interferenza globale istantanea proprio nell’istante in cui sta accadendo il nostro evento, costruendo il miracolo o la previsione del futuro, la divinazione, attivando la Saggezza (che cosa fare tempestivamente per cambiare eventualmente percorso?). I CHING, libro di Divinazione e Saggezza era già conosciuto almeno prima del 1150 A.C. per cui Confucio e Lao-Tse (quello del Tao) poterono meditare sui suoi insegnamenti. Il contenuto del Libro si fonda  sul t’ai chi, la trave maestra, e sui due  immediati opposti che ne discendono: la linea continua (________) o Yang o “Si” e la linea rotta (___   ___)  o Yin o “No” e “quasi tutto ciò che in più di tremila anni di storia cinese è stato pensato, in fatto di idee grandi e importanti, è in parte suscitato da questo libro e in parte ha influito sulla sua interpretazione, così che si può tranquillamente affermare che nell’I-CHING e contenuta l’elaborazione più matura della saggezza di millenni (Jung)”.

Chi volesse usare I_CHING per lanciare uno sguardo nel futuro, oltre ai metodi manuali descritti nel libro (lancio di tre monete, o lancio a guisa di Shangai di 49 “bastoncini” (14 cm), seccati all’ombra, della pianticella magica, Achillea millefolium, raccolta il ‘giorno’ di San Giovanni (intorno al 24 giugno), basta cercare da Google  “Oracolo con I_CHING” e poi “Consulta oracolo online” e infine “Clicca qui per consultare I_Ching con calcolo automatico” (OROSCOPO.it).

 

Concludendo questa breve riflessione, in generale gli umani hanno costruito diversi progetti per il controllo della Natura al fine dell’aumento della loro qualità della vita. Quello più accreditato e scontato è certamente la scienza con i suoi derivati tecnici e tecnologici, in particolare molto efficaci nel campo della medicina e della alimentazione. Ma alla frontiera sono sorti nel tempo, per coprire i vuoti lasciati aldilà di uno spazio-tempo limitato rispetto alla complessità del Cosmo, svariati tentativi per rispondere alle domande ‘lontane’. Sono nate così, fra l’altro, le svariate religioni con i propri riti, le proprie convinzioni intorno ad un Creatore (o ai Creatori), le proprie storie ed i propri miti, in generale dotate di strumenti potenti come la Preghiera, che sembra, stranamente, possa agganciarsi, per energie (mentali?) interne od esterne, direttamente al Reale, modificandolo (da qui il miracolo).

Mi è sempre piaciuto pronunciarmi esplicitamente su materie così incerte, difformi, poco sostenibili razionalmente, anomale, inusitate e poco condivisibili sia per il gusto di provocare, cioè attivare ripensamento e riflessione (escamotage potente per la comunicazione culturale), ma anche per innescare polemiche a fronte delle certezze degli stupidi, specialmente ora che “posso correre questo rischio perché ho superato gli ottanta anni, e le mutevoli opinioni degli uomini non mi fanno più molta impressione e i pensieri degli antichi maestri mi affascinano ed hanno per me maggior peso dei pregiudizi filosofici della mentalità occidentale” (Jung) e, poi ormai, la mia carriera si è da tempo spenta!

NOTE

(*) Quando i cuccioli degli animali superiori (o meno), ma anche piante, (flora e fauna), escono dalla protezione interna della ‘madre’ (o dall’uovo o da altro, teche bozzoli… pianta madre per le gemme..), appaiono all’improvviso, in quell’istante, con la superficie del capo (o con altro) soggetti ad una miriade di campi fisici (forze nell’unità di ‘qualcosa’) scalari o vettoriali, conosciuti o sconosciuti, o di altro tipo (segnali, per es. a velocità infinita) emessi da sorgenti collegate a corpi (conosciuti o sconosciuti) dell’Universo vicino o lontano o dalle profondità del Cosmo.
Così dal buio dei tempi, almeno a partire dal 700 A.C.N. (Babilonesi), si iniziò a pensare, in progredire, che oltre alla Memoria Biologica (oggi DNA) e Memoria Culturale (trasmissione educativa, sembra anche prima dell’uscita), gli esseri viventi potessero avere impressa, in qualche modo, nell’istante della loro comparsa dinanzi all’Universo, anche una memoria chiamata appunto Memoria Astrologica (leggere in questo blog, il post dal titolo “Insegnamento della fisica….; Dott. Prof. Piero Pistoia; Parte Seconda, Schema Sviluppo Cognitivo”)

Col tempo, a) attraverso l’intuizione, poi b) per tentativi ed errori, di seguito c) con l’evolversi anche dell’astronomia, iniziando a conteggiare sempre più le frequenze degli accadimenti in funzione delle posizioni dei corpi nel cielo (lo stesso Galileo computava oroscopi!), infine d) con l’applicazione della statistica ad un numero sempre più grande di eventi, sembra che oggi siamo arrivati a corroborare certe ipotesi relative all’influsso del cielo sui comportamenti umani e non solo (si pensi alla luna sui processi di crescita dei vegetali ecc.), ma talora anche su certe tendenze caratteriali ed altro. Vedere l’interessante saggio “Astrologia – Scienza o Superstizione?; H. J.Eysenck, psichiatra e psicologo del comportamento e D. K. B. Nias, entrambi della London University Institute of Psychiatry”.

Sembra comunque che le ipotesi vengano corroborate, cioè risultino rilevanti statisticamente, anche se con legami deboli: relativo a questo, vedere ancora su questo blog, “Un esempio di analisi statistica: la cerca degli Unicorni; di Piero Pistoia”.

Per leggere il link seguente cliccaci; poi torna indietro cliccando sulla freccia in alto a destra; leggerai così il resto del post.

Nota_carta_cielo

 

Note sul Principio di Mach, appunti per una ricerca didattica o per una breve lezione introduttiva

(**) Se la quiete e il movimento di un qualsiasi oggetto dell’Universo sono relativi ad un sistema di riferimento fisico (Berkeley, Mach) e non relativi ad uno spazio teoricamente definito, se  l’oggetto in questione è solo nell’Universo, allora…

Già Newton affermava che esistevano almeno due tipi di proprietà intrinseche ad un ogni oggetto fisico collegate al concetto di massa: la massa inerziale, che rappresenta la proprietà di opporsi allo stato di quiete e moto rettilineo uniforme, cioè alla accelerazione, e la massa gravitazionale, proprietà invece di farsi accelerare e creare accelerazione in interazione con altri oggetti. Concettualmente, pur interne all’oggetto, le due masse sono concettualmente disgiunte, nel senso che non sono collegate logicamente da una argomentazione teorica; infatti le rispettive grandezze nascono da due esperimenti di misura completamente diversi. La massa inerziale utilizza per la misura una esperimento che fa riferimento al Terzo principio della dinamica, Principio di Azione e Reazione, mentre la massa gravitazionale si misura con una bilancia a bilico. Queste due misure sperimentali, di natura concettuale completamente diversa, con scelta opportuna delle loro unità,  risultano numericamente uguali per qualsiasi oggetto: una stranezza caratteristica del nostro Universo! Allora si disse: E’ così perché è cosi!
La uguaglianza numerica di esse per ogni oggetto fisico poteva essere ricavata più semplicemente anche con un ragionamento argomentativo (Newton) partendo dalla costanza dell’accelerazione di gravità g, per es., in un zona limitata dello spazio intorno alla terra, non solo durante il moto, ma per qualsiasi tipo di oggetto di qualsiasi natura. Se lascio cadere in una piccola zona un qualsiasi un oggetto di qualsiasi natura e grandezza, per le due definizioni di massa e per il Secondo Principio della Dinamica, l’oggetto, sottoposto alla sua forza peso P che, nel nostro caso, rimane circa costante per ogni oggetto durante il moto, ma varia da oggetto a oggetto, crea una accelerazione a costante per ogni oggetto, ma non è detto che abbia lo stesso valore passando da un oggetto all’ altro se P cambia. In effetti alla accelerazione finale contribuiscono i due contributi delle due masse:

a1=kMg e a2=k’/Mi

Poichè a1 è un incremento e a2 è un decremento sull’accelezazione finale, i due contributi devono essere uguali, se l’acc. finale rimane costante (accelerazione di gravità) per tutti gli oggetti in caduta, cioè g, per l’ ipotesi iniziale.

Qualsiasi oggetto prendo, per l’uguaglianza di g, a1=a2 per cui kMg=k’Mi; ne deriva kMg/k’Mg=1 e quindi, se k=k’ (opportuna scelta delle unità di misura, per le due masse), ottengo Mg=Mi. Basta si consideri che l’oggetto campione  per la massa corrisponda ad una unità di Mi e una di Mg? La differenza numerica delle due masse all’interno degli oggetti risultò dell’ordine di 10^-12.

Per leggere un frammento del pensiero galileiano sulla velocità di caduta dei gravi cliccare sul link; èpi tornare indietro per leggere il resto del post, cliccando sulla freccia in alto a destra.

Galileo_ caduta gravi1

 

Vediamo  ora di collegare concettualmente le due masse.

………………………….

(***) Un osservatore in quiete con la Terra, comunque essa acceleri in un universo vuoto, non percepisce alcuna forza di inerzia, perché ogni moto è relativo (Principio di Mach). Le forze di inerzia infatti verrebbero avvertite solo da un osservatore, in quiete in un sistema come la Terra, che ruoti con essa rispetto essenzialmente a corpi lontani dell’Universo. Sembra così che quello che conta, ed è essenziale, per far nascere forze di inerzia, sia la presenza di svariati corpi nell’Universo e quindi… la gravitazione dinamica. Non può esserci inerzia di materia nei confronti dello spazio, ma solo inerzia di materia verso la materia (Einstein). L’esplosione, per una intensa forza centrifuga, di un volano ruotante rispetto ad una entità non osservabile,  equivale ad ammettere con John Donne che “Angeli  che hanno un corpo come è  la spuma, come è il vapore, come è un sospiro, eppure con un tocco disgregano… una macina di mulino in farina”. L’introduzione dello spazio assoluto di Newton sembra portare anche a contraddizioni logiche autoreferenti: per rilevare la rotazione della Terra rispetto allo spazio assoluto si possono utilizzare solo la forza centrifuga e quella di Coriolis, ma lo spazio assoluto fu inventato proprio per spiegare l’esistenza di queste forze (Sciama)! Non est multiplicanda entia praeter necessitatem! (Rasoio di Occam).

Come si vede questo Principio dell’Empiriocriticismo di Mach è un tentativo di razionalizzare la relazione fra inerzia e gravità: l’inerzia non sarebbe una caratteristica interna dei corpi, ma la conseguenza dell’azione gravitazionale su un corpo prodotta da corpi lontani in moto accelerato nell’Universo. Allora una particolare azione più o meno mediata dalla gravitazione  dei corpi  lontani in moto accelerato ‘costruisce’ forze di inerzia sui corpi bersaglio (o direttamente l’inerzia dei corpi)?

I tre schemi che seguono sono stati ripresi dal testo di SCIAMA (opera citata successivamente) e ringraziamo autore e editore se permetteranno di mantenerli in cambio della nostra tacita pubblicità. Essi rappresentano i primi passi verso la ‘costruzione’ della legge attraverso cui gli oggetti accelerati nell’Universo lontano costruiscono le forze di inerzia rendendole da ‘apparenti’ a ‘reali’,  fornendo informazioni sulla natura della connessione fra le stelle e la materia locale, problema che Mach non affrontò, e per questo fu soggetto a critiche; in tal modo si rese più credibile questa interazione.

Fig.1 – le forze in riga doppia, le accelerazioni in riga semplice
a) Una  carica elettrica o una massa gravitazionale in quiete o stazionaria agisce su un’altra con la legge di Newton in tutto simile a quella di Coulomb.
b) se invece la carica o la massa gravitazionale hanno una accelerazione (linea semplice), sviluppano sull’altra in basso una forza trasversale inversamente proporzionale alla distanza e non al quadrato di essa e direttamente proporzionale alla componente trasversale della loro accelerazione;  per cui è zero se la carica o la massa non sono accelerate.
c) Forza totale esercitata da una carica o massa soggette ad accelerazione.

 

Dennis William Sciama afferma che corpi lontani, se accelerati sviluppano una gravitazione diversa da quella standard, una speciale onda gravitazionale per certi versi simile a quella di una carica che accelera (Fig.1); in passaggi semplificati Sciama ne ricava anche la legge in formula, che da un risultato uguale a quella della forza di inerzia da ‘costruire’ (D. W. Sciama “L’unità dell’Universo”, cap. VII°, VIII° e IX°; Einaudi), a partire da quanta forza di gravità sia prodotta da una stella in moto accelerato.

Interessante notare che si parla sempre di oggetti lontani (galassie); ciò si capisce se pensiamo 1) che le stelle, immaginate distribuite su gusci sferici di superficie direttamente proporzionale a R^2, con questo ritmo diventeranno sempre più numerose ; 2) che la capacità di ‘costruzione’ delle forze inerziali sia proporzionale alla loro densità e quindi ad R^2 e inversamente proporzionale ad R (didascalia b, Fig.1); 3) risulterà che la capacità di ‘costruire’ forze inerziali alla distanza d=R, aumenterà con d, per cui è necessario, nelle argomentazioni guardare ‘lontano’ alle stelle al bordo dell’Universo.

Perché fu considerata più plausibile l’ipotesi  di un tipo di meccanismo gravitazionale per l’influsso attivato dai corpi lontani al fine di ‘costruire inerzia’?

Sorprendente in questo senso è che l’ac che ne deriva non dipende dalla massa che subisce l’influenza, cioè le forze di inerzia come la forza gravitazionale che agiscono su oggetto devono essere proporzionali alla massa. Per es., quale che sia la massa del pendolo di Foucault posto al polo, il suo piano di oscillazione ruota sempre con la stessa velocità (un giro al giorno), ne deriva che l’influenza delle stelle (non può essere di natura elettrica o magnetica, perché le accelerazioni indotte di tali forze dipendono dalla massa, dalla carica o dalle proprietà magnetiche del corpo bersaglio, non inducono la stessa ac  in tutti i corpi (per es., se neutri ac=0). Se la caduta dei gravi di qualsiasi grandezza e natura è sempre g, cioè l’Universo comunica la stessa accelerazione a qualsiasi oggetto di qualsiasi massa, è sensato ipotizzare, per ricavare la legge dell’influsso, che essa sia di natura gravitazionale. (da H. Bondi, D. W. Sciama et al. “Cosmologia a confronto” Universale Scientifica Boringhieri, cap. VIII). Allora campi gravitazionali e campi delle forze apparenti non sono distinguibili?!

 

Fig.2
a) Se le stelle (galassie) non hanno accelerazione la forza inerziale totale  è zero e non ci sono forze inerziali.
b) Quando le stelle (galassie) hanno accelerazione, esercitano sulla terra una forza gravitazionale che è la forza inerziale nella stessa direzione dell’accelerazione delle galassie.

 

Einstein fu affascinato da questo Principio e allo scrivente non risulta che questa ‘teoria’ (o ipotesi, visto che Mach al tempo non ne fece mai una teoria matematicamente strutturata) sia stata falsificata sperimentalmente, e che, quindi, ancora oggi, con le successive elaborazioni sembra debba essere considerata corroborata, anche se, certamente, meno elegante della Relatività di Einstein; per questo nel secolo scorso questo principio fu ripreso e sviluppato da svariati ricercatori, come, appunto W. Sciama, H. Bondi, W. Bonnor ed altri.  Le forze di inerzia (forze centrifughe, forze di Coriolis, e tutte le altre che appaiono come forze apparenti da sistemi non inerziali nella fisica classica) vengono ‘applicate’ sugli oggetti bersaglio da masse gravitazionali accelerate, in particolare oggetti lontani dell’Universo, calcolate basandoci sulle  stesse formule delle cariche accelerate, sostituendo semplicemente la massa alla carica elettrica.

Fig.3 – somiglianza fra forze magnetiche e forze di Coriolis
a) Forza magnetica su carica in movimento con velocità V che agisce a novanta gradi col campo di induzione magnetica B e con la  direzione della velocità della carica, con verso tale da vedere ruotare il vettore V sul vettore B in senso antiorario di un angolo minore di un piatto (F=qV.B dove . sta per prodotto vettore)
b) La forza di Coriolis  agisce come quella magnetica se si sostituisce al campo magnetico la velocità angolare del sistema ruotante di riferimento.

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SI TERMINA CON DUE IMPORTANTI FATTI SPERIMENTALI  CHE RIASSUMONO IL PROBLEMA ACCENNATO

La conclusione in ambedue in casi è:  1) siamo in accordo con Berkeley e Mach, che esista cioè una connessione causale fra moti locali e corpi lontani dell’Universo (galassie e non stelle fisse che ruotano intorno al centro della Via Lattea ); oppure  2) i risultati degli esperimenti devono essere considerati una semplice coincidenza.

PRIMO FATTO SPERIMENTALE

Supponiamo che l’esperimento del secchio ruotante di Newton venga eseguito con gran precisione al Polo Nord.

1 – Si potrà osservare intanto che anche quando secchio ed acqua sono in quiete sulla terra, la superficie dell’acqua risulta leggermente curva. Infatti il sistema secchio-acqua ruota insieme alla Terra e con essa subisce una interazione gravitazionale con le galassie lontane; anche la terra si appiattisce ai poli e rigonfia all’equatore.

2 – Lasciamo ora ruotare il secchio fino a comunicare il moto all’acqua, ma nel verso contrario alla rotazione della Terra (da est ad ovest in senso orario dal Nord celeste), quando le due rotazioni si bilanciano, la superficie dell’acqua diviene piatta. Berkeley e Mach prevedevano proprio che fosse la rotazione relativa alle galassie lontane la causa della curvatura, e, se non vi fosse rotazione relativa agli oggetti dei cieli lontani, la superfice sarebbe piatta. Per Newton significava che per caso le galassie non ruotavano rispetto allo spazio assoluto.

Chi non accetta questo punto di vista considera questo risultato sperimentale una semplice coincidenza casuale. Infatti per Newton significava che per caso le galassie non ruotavano rispetto allo spazio assoluto. Un corpo che non risulta in rotazione quando studiato con il sistema del secchio con acqua o del pendolo di Foucault non lo è neppure rispetto alle galassie lontane.

(Abbiamo seguito il percorso logico da “Universo in espansione” di W. Bonnor, fisico-matematico cosmologo, per l’editore Boringhieri)

SECONDO FATTO SPERIMENTALE

Due sono i modi sperimentali di misurare la rotazione della terra:

1 – Uso del pendolo di Foucault che è un pendolo composto; si tratta di un grave sospeso ad un giunto universale in modo da essere libero di oscillare in tutte le direzioni; se in un sistema inerziale per la fisica classica il piano di oscillazione si mantiene invariato nello spazio, la Terra gli ruota sotto.  Ammettiamo per semplicità oscilli al polo; un osservatore posto sulla terra vedrà che il piano di oscillazione fa un giro in 24 ore; questo moto del piano di oscillazione può essere attribuito alla forza di Coriolis, da cui si può misurare la velocità di rotazione con osservazioni compiute solo sulla superficie della Terra, cioè  dinamicamente rispetto ad un sistema idealizzato di riferimento (spazio assoluto di Newton).

2 – E possibile anche  misurare la velocità di rotazione angolare  della Terra con un metodo completamente diverso, cioè astronomicamente rispetto  alle galassie lontane.

Le due misure coincidono perfettamente (a meno di errori sperimentali) e questa coincidenza per Berkeley e Mach sarebbe un fatto di importanza primaria, se possiamo trovare una connessione casuale fra moto delle galassie e lo stato di moto dei sistemi di riferimento inerziali.

Un’influenza dal riferimento locale verso le galassie lontane non è accettabile, per cui si deve ammettere che il sistema locale sia determinato in qualche modo dalla media del moto degli oggetti astronomici distanti (Principio di Mach).

Per gli altri ricercatori che non accettano la precedente spiegazione si tratterebbe di una semplice coincidenza casuale.

(Abbiamo seguito il percorso logico da “L’unità dellUniverso” di D. W. Sciama, fisico teorico, cosmologo, per l’editore Einaudi)

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Chi non si pone domande non troverà risposte

Interessante comunque sarebbe riuscire a focalizzare in maniera organica, in questo blog, una comunicazione accessibile proprio sulla differenza concettuale fra questo Principio e le Relatività di Einstein, in particolare sulle potenzialità predittive di queste teorie e su altri aspetti previsti dalle nuove epistemologie. Che cosa è rimasto del Principio machiano nelle teorie della Relatività di Einstein? E’ giusto considerare questo Principio  come un processo teorico sull’origine del concetto di massa, da tempo caldeggiato, che verrebbe a essere  solo di tipo gravitazionale? E se nell’Universo esistesse un unico corpo, questo non avrebbe né massa gravitazionale, né massa inerziale? E la massa come quantità di materia? Forse, se le nostre domande e perplessità fossero senza senso e non è detto che non lo siano, sarebbe apprezzabile che qualche fisico teorico, come per es. l’accademico prof. Marco Rosa-Clot (che in più occasioni ha dimostrato cura ed attenzione per la didattica e l’epistemologia della fisica, come risulta da alcune delle sue molteplici pubblicazioni, anche di tipo divulgativo,  talune riportate anche su questo sito) volesse dire, in proposito, la sua, cercando di chiarire e correggere, in questo blog alla ‘frontiera’ della Scuola.

 

Questo post è ancora in via di sviluppo, ma, spero, per poco. A meno che non arrivino altri contributi.

 

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LETTERA SPEDITA AL CICAP, “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudo-scienze”, PER ESPRIMERE UN PENSIERO PERSONALE ALTERNATIVO; dott. Piero Pistoia, prof. di ruolo ordinario in Fisica

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TRACCIA DEL CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

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Per vedere l’articolo in pdf possiamo anche cliccare sotto:

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CICAP è acronimo di “Comitato Italiano per il controllo delle affermazioni sul Paranormale”. La parola “Paranormale” oggi è stata sostituita da “Pseudo-scienze”

Dopo aver letto anni fa alcuni scritti pubblicati dal CICAP decisi di esprimere alcune mie opinioni in proposito che inviai loro per posta, oggi un po’ rivisitate per precisarne alcuni passaggi [frammenti fra parentesi quadre]. Ricevetti una lunga lettera dal CICAP, scritta da un dott. prof. di Fisica Teorica di una Università del Nord, che devo ricercare in mezzo al caos della mia libreria e quando l’avrò trovata, la trascriverò volentieri in questo post.

LETTERA SPEDITA AL CICAP PER ESPRIMERE UN PERSONALE PENSIERO ALTERNATIVO, SPESSO FORZATO SU QUALCHE RAMO DI IPERBOLE, ONDE CREARE QUALCHE DUBBIO IN UN BACKGROUND DI CERTEZZE

dott. Prof. Piero Pistoia

Spett.le REDAZIONE,

leggendo la Vostra rivista si rimane colpiti dalla semplicità, chiarezza e coerente armonia – senza mai contrasti che potrebbero finire in dibattito – con cui vengono trattati e risolti i diversi problemi affrontati di cui si forniscono sempre sicure soluzioni. Sembra quasi di seguire uno dei tanti articoli di scienza pubblicato in molti giornali quotidiani e non o in una delle tante trasmissioni televisive di cultura dove tutto è descritto in maniera coerente, armonica, semplice, conchiusa e colorata [(senza un riferimento agli errori di percorso durante il travaglio (trouble) di quella conquista raccontata)], quando invece ad ogni passo del percorso si dovrebbero aprire svariati interrogativi. Se “imparare è risolvere problemi” [(e nella fattispecie, fare conti!)] da queste comunicazioni a mio avviso, pur appassionate e talora coinvolgenti, si impara ben poco. [Anzi, spesso, la chiarezza ad oltranza e l’assenza di dubbi penalizzano la memoria, la riflessione personale e quindi l’apprendimento]. Per questa ragione vorrei esprimere sulla scienza e la non-scienza o pseudo-scienza il mio personale pensiero, anche se spesso volutamente forzato lungo un ramo di iperbole, per provocare l’interlocutore e far sorgere qua e là interrogativi. Il mio intervento, di cui mi scuso in anticipo se qualcuno dovesse prendersela (absit iniuria verbis), si articolerà nei quattro seguenti punti:

1 – Se la maggior parte dell’universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrà provocare soluzioni impreviste ed imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico. Una esatta imprevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperte dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora, onde elettromagnetiche di energia inferiore alla soglia del misurabile potrebbero produrre lo stesso effetti vistosi. Non è da escludere, infatti, che nelle condizioni iniziali, come accadeva al di sopra della soglie dell’errore, una grandezza possa acquistare due valori molto vicini, ma all’interno della soglia dell’errore potrebbe accadere che, per uno dei due, la traiettoria descritta dal sistema in un opportuno spazio delle fasi diverga esponenzialmente da un certo istante in poi, ottenendo dopo un tempo opportuno una interferenza macroscopica (o nello stesso istante ad una certa distanza?). Il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice ed addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perché, come affermava Vico (Verum ipsum factum), abbiamo ‘inventato’ leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi della realtà, estremamente ammaestrati del tempo e dello spazio, funzionasse, cioè fosse ‘vero’ per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli, se ci imbattiamo in una turbolenza): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso (e forse disordinato).

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva ed interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva ‘leggere’ le influenze del cielo sulla vita), voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al ‘semplice’, cioè la maggior parte del mondo, che poteva venire colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico che quasi mai ripiegava sull’esperimento e che usava invece il teorema ed il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare tempestoso del mistico-magico che circonda, oscuro, la piccola isola del razionale, anche se poi di questo ignoto mare non se ne può parlare (è “indicibile”), usando i linguaggi della ragione (I° Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà “la fuori” (II° Wittgenstein).

2 – I fatti, le prove, l’esperienza scientifica ‘costruita’ in laboratorio in base a precisi presupposti teorici (esperimento), non sono termini di confronto neutrali. La falsificazione (Popper) diventa impossibile non riuscendo ad individuare ciò che viene di fatto falsificato. Si perdono così i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, magia s.l., metafisica, religione…). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove. Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (si ricordi la bottiglia di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. In una iperbole, accettare una teoria scientifica invece di un’altra, nello stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte magia s.l., astrologia sono tutte favole che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

3 – Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico ed il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e, se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi ed il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece che 35, non significa un bene assoluto!). Guarda caso il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso! Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io più evoluto, consapevole e vigoroso a fronte di un mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’Universo. In ognuno di questi mondi, senza onde di probabilità né codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli da quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’Universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli umani, quando i Greci credevano negli dèi. Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente, spinge fino ai limiti dell’Universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri, il fragile meccanismo proprio dei mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi , divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi, ed altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel segno della “empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo non solo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie, ma all’aumento oltre ogni limite della sua qualità della vita! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

4 – Dalle nostre parti la tradizione dominante per eccellenza è quella razionale che sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata dove tutto sia previsto e ogni azione vigilata e se non conforme punita. Fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o, [in una metafora banale di mini-ragioneria], qualche volta calpestare un’aiola o fare una fotocopia di un articolo; [più grave superare un limite di velocità, ma sembra comunque che fra poco metteranno meccanismi registratori su qualche satellite o scatole nere all’interno delle auto; per non parlare della tendenza generalizzata ad aggiungere ad ogni carta di identità il codice DNA di ciascuno, o , magari, a misurare l’aria che ciascuno respira, perché consuma ossigeno e riempie l’atmosfera di anidride carbonica od altro gas (es. metano (sic!)… un gas serra 20 volte più potente della CO2, come afferma P. Wadhams, Univ. di Cambridge !).   Molti, seconda la strana morale occidentale, diranno scandalizzati che non si devono sostenere, per es., i primi due eventi delle aiuole e delle fotocopie (esempio metaforico, insieme ad altri, di piccole cose ragionieristiche), ma nessuno di essi potrà affermare di aver sempre rispettato il terzo evento (cose che riguardano invece la vita e la morte! Come a dire si punisce la ragioneria e si ignora la guerra! Per non parlare dei vari imposti catechismi senza un contemporaneo controllo costante sulle filiere senso lato. Naturalmente  i controllori controlleranno tutti, eccetto se stessi! Mi vengono a mente paradossi russelliani che iniziano così, per finire in contraddizioni]. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere ormai pochissimi sentieri ed il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. I molti sentieri infatti che non si lasciano percorrere, anche se di scarsa rilevanza, portano in nessun posto e la vita quotidiana si riempie così di una miriade di vuoti, anche se piccoli! Se a questo aggiungiamo che l’Homo sapiens sta perdendo i legami anche con i suoi simili e si sente sempre più solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, astrologi, psichiatri, fattucchiere, preti delle diverse religioni, pranoterapisti, tecnici dell’ago puntura …, pronti a pagamento a ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzionano sempre (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società globalizzata del profitto e della ragioneria atomizzata, del cemento e del lungo tempo di vita. E’ giusto denunciare i profittatori (maghi, psicologi e preti…… che siano), ma pagare il giusto prezzo per i curatori di anime, mi sembra un fatto accettabile.

Concludendo, se non fosse possibile alimentare le più svariate tradizioni (scienza, arte, magia s.l., religione…) in ogni testa, sarebbe necessario farlo nella società (relativismo democratico), perché ogni tradizione porta con sé una sua visione dell’oggetto, anche se parziale, incompleta, inventata e falsa; ma l’insieme di tutti i punti di vista creerà un invariante di vita umana, un’emergenza, in particolare per l’uomo occidentale, la migliore possibile. Anche le tradizioni più squalificate e considerate negative e non degne di credibilità (es., le ‘streghe’, bruciate sul rogo a migliaia,  dal primo Medioevo alle soglie dell’Illuminismo), vanno lasciate, magari isolate in attesa, in modo che, in quel momento fuori tempo, non disturbino (J. P. Feyerabend, l’epistemologo anarchico), perché nessuno è in grado di dire quanto bene ci sia ancora nel male e in che misura l’esistenza del bene sia stata legata ai crimini più atroci (enantiodromia eraclitea); [il Bene ed il Male sono connotati dalla storia e se la Storia (Historia) è  ‘oggetto’ complesso, nessuno potrà mai prevedere quanto, per es., l’evento ‘streghe’ possa aver  ‘perturbato’ la Storia futura (in particolare le res gestae, o humanae res), nei millenni successivi, cioè nel tempo lontano. Il filosofo medioevale Tommaso d’Aquino affermava  che <<Multae utilitates impedirentur si omnia peccata districte proibentur>>.

L’oggetto della conoscenza si fa analogo ad una pozzanghera di fango, dove sono cadute alcune gemme razionali ed a intervalli si aprono e si richiudono delle bolle oscure indicibili attraverso le quali è possibile gettare un rapido sguardo nelle zone più profonde.

Ho ritenuto di non aggiungere alcuna bibliografia, sicuro che il lettore di questa missiva sarà in grado senz’altro di riconoscere dietro lo scritto i nomi degli autori a cui si fa tacito riferimento.

DISTINTI SALUTI

piero pistoia

APPUNTI DIDATTICI PER UNA RICERCA SULLA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA NEL SECOLO XVII (a cavallo del 1600): una specie di ‘dispensa interna’ da distribuire ad alunni ed insegnanti; a cura del dott. Piero Pistoia; post aperto ad altri interventi

INTERVENTO  IN COSTRUZIONE….

QUESTI APPUNTI SONO STATI SCRITTI, ENUCLEANDOLI DAI TESTI DI RIFERIMENTO, PER SERVIRE COME SPUNTI DI DISCUSSIONE IN UNA SERIE DI LEZIONI SUL SEICENTO IN UN TRIENNIO DELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE DA SVOLGERSI A PIU’ VOCI (DOCENTI DI FISICA, LETTERATURA, FILOSOFIA E CHIMICA)

OGNI CONCETTO PROPOSTO VERREBBE CHIARITO E AMPLIATO NELLE LEZIONI  E NEL SUCCESSIVO DIBATTITO. A cura del dott. Piero Pistoia

INTRODUZIONE

Le grandi idee anticipatrici della rivoluzione scientifica del secolo XVII°

La Rivoluzione Scientifica del secolo XVII°, che segna una rottura profonda col passato dell’umanità ed inaugura l’epoca  nella quale noi stessi viviamo, non può essere interpretata correttamente senza un riferimento ai grandi cambiamenti economico-sociali, religiosi, culturali, che, già a partire IV° e V°, ruppero l’orizzonte della società e dell’umanità medioevali, introducendo fermenti potenti e destinati ad operare rivolgimenti sempre più profondi nella vita sociale e nel pensiero.

In sintesi potremmo dire che a livello sociale ciò che emerge sempre più chiaramente è la crisi del vecchio ordinamento feudale e l’affermarsi sulle sue macerie dello stato nazionale e della monarchia assoluta che trovano la loro forza principale nell’alleanza fra il monarca e la borghesia mercantile.

Tutto questo è un processo non lineare, non obbedisce ad un rapporto deterministico fra struttura produttiva e sovrastruttura politico-statuale: ad esempio l’Italia che è un paese la cui base produttiva è tecnologicamente più avanzata e che si pone fra il 1300 e il 1500 all’avanguardia economica, non riesce a costituire una stato moderno e questo rappresenterà un elemento di fragilità che, unitamente alla crisi economica dei secoli seguenti, la porterà ad una fase di decadenza.

Comunque è in Italia che si afferma e dà i suoi frutti più significativi quel profondo rivolgimento culturale che è rappresentato dall’Umanesimo e dal Rinascimento.

A prescindere dai problemi inerenti la distinzione fra i due momenti il contributo complessivo apportato alla cultura umanistico-rinascimentale può identificarsi nei seguenti aspetti:

a) l’affermarsi dell’autonomia del mondo umano rispetto al fondamento religioso come si esprime nel concetto di bellezza assunta quale fine esclusivo dell’operare estetico e del concetto di potere quale fine esclusivo dell’operare politico (Machiavelli);

b) nella riproposta del pensiero antico in tutti i suoi aspetti non più filtrato dai pensatori cristiani, ma ripreso direttamente alle fonti originali; ciò  rompe l’unità culturale del Medio Evo e pone le basi per lo sviluppo della libertà di pensiero (si pensi al Pomponazzi e al Valla…); inoltre il neoplatonismo rinascimentale con il discorso sulla magia pone le basi di una filosofia naturalista e accentua d’altra parte il tentativo i ricercare nella Natura stessa le sue leggi attraverso la matematica. Contemporaneamente in Germania esplode la Riforma Protestante ad opera di Martin Lutero e Giovanni Calvino.

Per certi aspetti può sembrare che le teorie teologiche dei riformatori, con il loro ribadire l’assoluta dipendenza del’uomo da Dio, rappresentino un momento di reazione e non i progresso. Tuttavia non è così. La tesi protestante, dal momento che assoggetta con più forza l’uomo al volere di un Dio remoto, di fatto lo svincola, attraverso il concetto di libero esame delle Scritture, dal potere vicino e reale della Chiesa e ne esalta l’autonomia di giudizio e libertà. In più si consideri come la diffusione dell’istruzione elementare conseguente alla necessità di far leggere la Bibbia a tutti i fedeli abbia creato, per così dire’ un terreno diffuso assai più fertile per il sorgere della mentalità scientifica.

Di fronte alla Riforma, la Chiesa cerca di correre ai ripari  e di restaurare la tradizione attraverso la Controriforma. La Controriforma e l’invasione spagnola pongono praticamente fine all’esperienza rinascimentale in Italia. Tuttavia lo spirito rinascimentale trova la sua ultima e particolarmente coraggiosa espressione nella filosofia della Natura (Telesio, Bruno e Campanella) che traduce in termini di teoria filosofica lo spirito rinascimentale e rivendica apertamente il valore della libertà di pensiero. Questi uomini pagarono duramente di persona.

IL QUADRO CULTURALE IN CUI I REALIZZO’ LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

All’inizio del seicento la cultura europea era ancora in gran parte legata alla tradizione aristotelica formatasi nel Medio Evo, tradizione che aveva le sue roccaforti nell’insegnamento accademico ed universitario, nonchè nel sostegno che riceveva  da parte della Chiesa alla cui teologia la teoria aristotelica, filtrata da Tomismo, faceva supporto.

La visione aristotelica della realtà si caratterizza essenzialmente per i seguenti aspetti

a) Una concezione gerarchica e piramidale dell’Universo, dalla materia bruta, potenza senza forma, alle piante dotate di anima vegetativa, agli animali forniti anche dell’anima sensitiva, all’uomo in cui, accanto a quella vegetativa e sensitiva, esiste anche l’anima razionale, fino alle intelligenze pure e angeliche e a Dio, forma pura, motore immobile, causa incausata;

b) una concezione della scienza che vuole descrivere l’essenza delle cose, non si contenta di capire “come” un certo fenomeno avviene, ma pretende di arrivare al “perché” del fenomeno; strettamente connesso a questo è l’aspetto antropomorfico di molte delle “spiegazioni” fornite dalla scienza aristotelica (i corpi pesanti cadono perché spinti a raggiungere il loro logo ideale, naturale…);

c) la riconferma dell’antinomia primitiva fra un “cielo” ed una “terra”, che dà  luogo ad una convinzione secondo cui le leggi scientifiche scoperte per la terra non valgono per il cielo e viceversa;

d) l’incapacità di trovare un aggancio fra teoria ed esperienza, per cui il metodo della scienza aristotelica è il metodo logico-deduttivo, fondato sul sillogismo e sulle altre figure della logica aristotelica stessa.

Proprio quest’ultimo aspetto appare ricco di particolari conseguenze, in quanto spiega il fallimento, o meglio la “non risolutività”, delle critiche speculative portate sia all’aristotelismo nel suo complesso sia a sue particolari dottrine scientifiche da parte di alcun scuole medioevali; in particolare dagli Occamisti.

Agli Occamisti (Occam stesso, Buridano e i loro seguaci continuatori) si deve ad esempio la così detta teoria dell’impeto che spiega il movimento, senza far intervenire intelligenze angeliche motrici delle stelle e dei pianeti, necessarie alla teoria aristotelica, che ammetteva  solo il movimento per contatto. Non est moltiplicanda entia praeter necessitatem. Ma la teoria dell’impeto rimase sempre in minoranza nelle Università; per la semplice ragione che essa, risultando metodo metologicamente omologo alla dottrina aristotelica del moto, doveva cedere le armi di fronte a quest’ultima che aveva dalle sue le forze della tradizione.

Un esempio ancor più importante nello stesso senso lo si può trovare nel carattere di disputa senza fine che inizialmente sembrò assumere anche la polemica fra la Teoria Geocentrica Tolemaica  inglobata nel “corpus” delle dottrine aristoteliche e la nuova Teoria Eliocentrica formulata da Copernico: solo le prove empiriche trovate da Galileo e le conferme matematiche elaborate da Keplero e poi “spiegate” dalla teoria di Newton, nell’ambito del nuovo metodo sperimentale, sanzioneranno, più tardi, la vittoria senza remissione dell’ipotesi copernicana  su quella tolemaica, anche se già nel corso del secolo stesso non mancano le prime intuizioni sulla relatività del movimento e dei punti di vista (Lebnitz).

Questa cultura accademica, chiusa nel castello stregato delle sue certezze, non è tuttavia affatto rappresentativa della cultura degli inizi del seicento nella sua interezza: al di fuori di essa esistono altre realtà culturali.

In primo luogo lo sviluppo dell’artigianato da una parte e dell’ingegneria dall’altra, producono una nuovo cultura in cui, allo stato latente, si ritrovano potenzialità che, poi, la moderna cultura scientifica svilupperà pienamente. Gli artigiani erano sempre esistiti, anche nell’antichità e nel medio Evo: peraltro ora nel XV e XVI secolo l’artigianato assume forme più complesse che, a lungo andare, esigono non solo l’applicazione pratica e la tradizione orale, ma tentativi di sistemazione teorica, di esplicitazione di principi che sono alla base dei vari procedimenti tecnici. Nasce, in questo modo una letteratura artigiana che, sempre più esplicitamente, rivendica in significato del ricorso all’esperienza che produce anche  alcune scoperte scientifiche. Le produce però quasi per caso mancandole del tutto un’adeguata consapevolezza metodologica e teorica: insomma la cultura artigiana non trova ali capaci di volare abbastanza in alto e recidere i legami troppo stretti con la pratica.

Paralleli sono gli sviluppi, realizzatisi specialmente nell’Italia rinascimentale, dell’ingegneria e della meccanica e dei quali le figure più rappresentative sono senza dubbio quelle di L. da Vinci, di N. Tartaglia e del fiammingo Stevino. Ciò che è importante nel contributo da ingegneri e architetti è, senza dubbio, l’uso nuovo che essi fanno della matematica: la matematica era concepita dai greci e sulla loro orma dai medioevali come scienza degli enti puri, priva di qualsiasi aggancio con la pratica e la misurazione; gli ingegneri e gli architetti rinascimentali ne fanno, invece, uno strumento pratico e la usano per la prima volta nella misura.

Tuttavia questo nuovo uso della matematica non è sufficiente da solo a configurare il metodo scientifico:  lo stesso Leonardo non può in alcun modo considerarsi il fondatore del moderno metodo scientifico.

Vi è poi da considerare una terza componente culturale: la filosofia rinascimentale della Natura (Telesio, Bruno e Campanella). Non riteniamo di doverci soffermare su di essa, malgrado l’importanza della rottura con l’aristotelismo, perché trattandosi di una speculazione essenzialmente metafisica, legata ad un concetto mistico di esperienza, questa filosofia ha un peso marginale nello sviluppo del metodo scientifico.

Le nuove filosofie che sorgono nel seicento rappresentano tutte un tentativo di trovare un nuovo e più efficace rapporto fra la teoria  e l’esperienza,fra il mondo dei dotti da una parte e quello degli artigiani e degli ingegneri dall’altra, dal momento che la mentalità ormai cambiata rifiuta di affidarsi alla sola ragione speculativa degli antichi e dei medioevali.

IL SISTEMA FILOSOFICO EMPIRISTA

Una prima elaborazione in questo senso è rappresentato dall’empirismo inglese, che, sorto con Bacone, fu poi continuato da Locke e si risolse, un secolo più tardi, nello scetticismo pragmatico di Hume.

Due sono i postulati fondamentali della concezione empirista. Il primo postulato è rappresentato dalla convinzione che ogni conoscenza derivi dall’esperienza acquistata dalla mente attraverso i sensi secondo la nota formulazione di Locke della “tabula rasa”: in altre parole non esistono che giudizi sintetici a posteriori. Qualsiasi proposizione non direttamente basata su dati dei sensi ha la sua origine o nella memoria o in una certa elaborazione dei dati sensoriali tramite il linguaggio.

Tuttavia l’affermazione del primato dell’esperienza rischierebbe di restare sterile e di far ricadere gli empiristi nella tradizione artigianale e negli errori dell’empirismo greco con la conseguente impossibilità di costruire leggi generali della scienza, se non fosse introdotto un secondo postulato: il Principio di Induzione, grazie al quale si crede di poter generalizzare a partire da casi singoli. Il metodo dell’induzione elaborato da Bacone ha caratteristiche qualitative e in ciò e il segno del suo rapporto esclusivo con la tradizione artigianale, trascurando il rapporto con ingegneri e architetti in direzione della matematica. Esso consiste nella classificazione secondo attributi dei fatti dell’esperienza che permette poi, attraverso la costatazione di aspetti comuni riguardanti l’attributo posseduto, di risalire a proposizioni di carattere generale (leggi di Natura).

Peraltro proprio questo motivo dell’induzione che sembra essere  la forza dell’empirismo moderno introduce al suo interno una profonda contraddizione: come sottolinea con forza Hume l’induzione non è mai giustificabile né in termini empirico-sintetici né in termini analitico-razionali.   Il problema affacciato da Hume è  molto serio : esso ha suggerito a Kant la pseudo-soluzione dell’introduzione dei giudizi sintetici a priori,  successivamente ha trovato una parziale soluzione in termini del probabilismo invocato dai neopositivisti moderni; infine si è chiarito nella moderna prospettiva epistemologica proposta da Popper che lo risolve in una nuova versione del metodo scientifico.

CHI VOLESSE SAPERNE DI PIU’ SUL PROCESSO INDUTTIVO VISIONARE ALTRI ARTICOLI DEL BLOG.

GALILEO ED IL SORGERE DEL METODO DELLA SCIENZA FISICA

Se da un a parte il metodo razionale tradizionale che, nonostante partisse (o presumesse di partire) da “princìpi necessari ed evidenti” ed utilizzasse i metodi della logica, portava invece a dispute filosofiche a non finire, senza riuscire a far luce sulle questioni trattate; dall’altra il metodo induttivo-qualitativo baconiano, trascurando l’utilizzazione della matematica, lasciava ancora in notevole indeterminazione il rapporto teoria-fatti, portando a risultati i scarso valore “intersoggettivo”.

In questo contesto Galilei si accorse da una parte che  i  “princìpi necessari ed evidenti” della tradizione non potevano essere precisati in maniera matematica, per cui si “deduceva”  da proposizioni in effetti vaghe e nebbiose, dall’altra rimaneva imprecisato il rapporto fra le esperienze e le ipotesi indotte, per cui, generalmente, più ipotesi, anche in contraddizione, sembravano essere ugualmente accettabili dall’esperienza (Bacone, per es., non riuscì col suo metodo a decidere sui due sistemi del mondo).

D’altro canto, nella soluzione di problemi, anche se ben più circoscritti, sembrava che l’aritmetica, geometria e la statica archimedea fornissero risultati soddisfacenti, anche in rapporto con gli accadimenti naturali. Quindi sembrò a Galileo che le incertezze ed i dubbi nella conoscenza del mondo fossero in qualche modo imputabili  al trascurare o comunque ad una utilizzazione errata, nella ricerca delle leggi naturali, del metodo matematico. Già ingegneri ed architetti utilizzavano la matematica nella misura e per ricavare semplicemente leggi empiriche riguardanti certi aspetti della meccanica.

Una prima conseguenza dell’uso della matematica condizionò Galileo verso la precisazione del concetto di esperimento come “fenomeno semplificato”. Il passaggio da esperienza ad esperimento implica una rottura qualitativa di una certa importanza, se si pensa che nel passato il concetto di esperimento scientifico non era conosciuto. Si parlava infatti di osservazione, descrizione dell’osservazione, misurazioni empiriche, ma non di “esperimento”. L’esperimento era un modo inventato da Galileo per interrogare la Natura in maniera che la Sua risposta fosse a)  “intellegibile” e b ) il più possibile indipendente dall’uomo stesso. L’esperimento è infatti un intervento attivo, quasi di “costrizione”, sulla Natura del fenomeno perché si realizzino i punti precedenti. Si osserva il fenomeno naturale sul quale influiscono una quantità indefinita di fattori, molti dei quali addirittura sconosciuti: poi si “costruisce”  in laboratorio un fenomeno nuovo (secondo particolari accorgimenti suggeriti, per es., dalla precisione degli strumenti a disposizione, per facilitare la misura, come quello di utilizzare un piano inclinato per studiare la caduta libera), sul quale agiranno solo alcuni fattori, appartenenti anche a quello naturale, scelti dallo sperimentatore (la scelta, alquanto arbitraria, è in parte condizionata e da parametri individuati da uno studio precedente e dalla ” domanda” che si vuol porre alla Natura; certamente verranno trascurati come “inessenziali” i fattori sconosciuti). Se vogliamo poi che la Natura ci “risponda” sul carattere di alcuni dei fatti trascurati nel primo esperimento, “inventiamo” un altro fenomeno da “costruire” in laboratorio, ove agiranno i detti fattori e ricaveremo le uniformità che governano questo secondo aspetto del fenomeno naturale. Chiaramente si ammette che sovrapponendo i due risultati  si possa rilevare il meccanismo del fenomeno complesso che ha luogo quando non vi sia interferenza da parte dell’uomo. Grazie ad eventi artificiali realizzati negli esperimenti, i fenomeni complessi della Natura vengono analizzati sulla base delle loro parti costitutive.

Mentre le correnti neoplatoniche  e neopitagoriche cercano di attribuire numeri ai fenomeni singoli tramite il valore “magico” dei numeri che rappresentavano certi fenomeni  per loro “virtù”, per cui studiando la distribuzione dei numeri si potevano ricavare  le proprietà dei fenomeni, Galileo riesce a compenetrare esperienza e numero tramite la misura. Così la “domanda” viene posta in termini di relazione matematica ammettendo che “le relazioni che intercorrono fra grandezze naturali, possono essere ricondotte a relazioni fra numeri che rappresentano le loro misure”.

L’uso della matematica limitò anche il campo di indagine sulla natura; infatti Galileo non si rivolse alle “massime questioni” e ai problemi generali riguardanti i “perché” dell’Universo, ma spostò invece l’asse della sua ricerca verso il “come” (non le “cause”, ma le “passioni” del moto). La sua indagine si limitò a studiare  una sottoclasse della classe dei moti dell’Universo: il moto dei gravi, giungendo alla soluzione di alcune questioni importanti del moto naturale degli oggetti nei dintorni della terra, inserendole per la prima volta in una teoria scientifica.

Galileo utilizzò il metodo matematico in due forma:

1 – Cercò ipotesi che potessero essere traducibili in simboli matematici e, seguendo e perfezionando il metodo degli ingegneri, tradusse, attraverso l’esperimento e la misura, in matematica le “proposizioni sperimentali, cercando poi dall’ipotesi matematica di partenza di dedurre un’altra confrontabile con quella sperimentale (nel moto di caduta dei gravi propose all’inizio due ipotesi: v=kt  v=ks).

2 – Fece della matematica uno strumento che utilizzo come veicolo di “spiegazione” fra teoria e dati in un sistema teorico scientifico. Utilizzò cioè la matematica per spiegare fenomeni nuovi a partire dai postulati della sua teoria, inquadrando le diverse proposizioni sperimentali in un “corpo” di conoscenze organico e coerente. La scienza non deve solo descrivere ma anche spiegare. Galileo in quest’ultimo senso non si limita a trovare la legge, ma costruire una struttura razionale scientifica che permetta di unificare le diverse leggi sperimentali in un unico sistema di “spiegazione”.  L’importanza di Galileo è di avere impostato il problema in questo senso, anche se il suo sistema riguardava solo una zona di conoscenza molto limitata; non riuscì, ad es., ad inserire neppure la legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo, da lui scoperta, rimanendo così un dato bruto.

L’uso della matematica sembra imposta a Galileo dalla natura: la natura parla il linguaggio matematico, capibile dalla ragione umana (Platonismo galileiano). Oggi ci siamo resi conto che è l’osservatore che impone alla Natura, tramite l’esperimento, di parlare il linguaggio matematico, comprensibile dalla mente umana; questo è un altro modo di esprimere il postulato della “comprensibilità della Natura”.

Le ipotesi, gli assiomi, le definizioni generali non sono ricavati dall’esperienza e solo raramente trovano controllo diretto nell’esperimento: spesso anzi sono lontani dall’esperienza stessa. Basta che le “proposizioni” dedotte matematicamente da tali assiomi abbiamo conferma sperimentale, perché tutto il sistema teorico acquisti significato scientifico. In tal modo la verità o falsità dei postulati è riposta nelle verità o falsità degli “accidenti” da essi edotti. Non ha più significato il problema se essi siano “necessari ed evidenti” anzi Galileo stesso considererà i suoi postulati poco evidenti. In generale Galileo ammetteva tacitamente che i suoi postulati, anche se in ultima analisi fornivano proposizioni conformi a quelle sperimentali, potessero essere scarsamente evidenti, tanto da ammirare “l’eminenza dell’ingegno di quelli che… hanno fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quel che il discorso gli dettava”  (il postulato; nella fattispecie, il Sistema Copernicano) ” a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente contrario” Più oltre si meraviglia come sia stato possibile in Aristarco e Copernico che ” la ragion abbia possuto far tanta violenza al senso”, da far loro accettare che la terra e gli altri pianeti girassero intorno al  sole. E’ spesso il senso e l’esperienza comune, che controllate dalla cultura media del tempo, impediscono e ostacolano la costruzione orizzontale della struttura della scienza. Sembra addirittura che si plauda  ad Aristarco ed a Copernico per aver proceduto “controinduttivamente”; e se è vero che proprio con la dinamica  ed il telescopio di Galileo, i dettami del senso vengono a favorire la teoria copernicana, questo nuovo “senso” è  “superiore e più eccellente” di quello comune e alla utilizzazione di esso Galileo giunge solo perché con la ragione era riuscito a rifiutare i dettami dell’esperienza comune del suo tempo!

La lontananza delle “proposizioni mentali” dall’esperimento, in apparenza talora contrarie all’esperienza, presentando tuttavia la possibilità del loro controllo, lascia aperta alla scienza la possibilità di superare le costrizioni della tradizione religiosa e di quella filosofica, direttrici lungo le quali operava il “principio di autorità” e per le quali il riferirsi all’esperienza significava, se mai avesse avuto significato far riferimento esclusivo al senso comune. Che cos’è allora che suggerisce i princìpi all’intelletto?  Occorre una mente geniale, orientata a lunga riflessione sui problemi in studio (einfunlhung = immedesimazione) ed anche un po’ di fortuna.

Ci domandiamo  ora infine a che punto Galileo fosse convinto che il controllo delle ipotesi riposasse solo sui dati empirici, ottenuti da strumenti allora ben poco precisi. Come già accennato, alcuni interpreti dell’opera di galileo a tendenza neo-platonica sostengono che la garanzia della scientificità derivasse a Galileo da fonti diverse dal dato empirico, come la fiducia istintiva nella semplicità e conoscibilità della Natura, nel concetto di simmetria ecc. Se poi la realtà così investigata rappresentasse la “vera” realtà è un problema che Galileo sembra risolvere in maniera positiva, tramite la distinzione fra qualità primarie e secondarie, anche se sembra non sia suo intendimento pronunciarsi sull’essenza metafisica della realtà.

Lo studio di Galileo si rivolge al movimento degli oggetti sottoposti alla forza di gravità nelle vicinanze della terra, siano essi stati in caduta libera o su traiettoria prestabilite o lanciati.

Prima di Galileo, la caduta dei gravi veniva spiegata tramite il sorgere sull’oggetto di una forza dovuta alla “necessità” di giungere al proprio luogo (teoria aristotelica) o al proprio ” affine” (teorie neoplatoniche). La velocità acquisita veniva considerata proporzionale alla forza e inversamente proporzionale alla resistenza: v=kF/fr; e si ammetteva che fr fosse sempre diversa da zero (orror vacui). Qualcuno passò anche al logaritmo, v=klog(F/fr) per render ragione della quiete. Comunque anche il moto uniforme e rettilineo aveva bisogno di una forza. Il lancio dei proietti veniva spiegato come dovuto ad una azione successiva nel tempo dell’ impetus iniziale (teoria dell’impetus) o di una spinta a contatto da tergo dovuta all’aria che si richiudeva (teoria aristotelica del movimento) e della forza di gravità. Nel 500 infatti, per spiegare la natura della traiettoria, alcuni pensarono di far agire contemporaneamente impetus e gravità.

I postulati della teoria di Galileo furono:

1 – la diretta proporzionalità fra velocità all’istante e tempo nella caduta libera dei gravi, ovvero i gravi in caduta libera si muovono di moto uniformemente accelerato;

2 – la velocità acquistata o perduta da un mobile, vincolato a muoversi lungo una traiettoria prestabilita, quando passa da un punto all’altro, è quella stessa che acquisterebbe o perderebbe discendendo o salendo lungo un tratto verticale uguale alla differenza di quota. Su tale postulato si basa l’equivalenza relativa al tipo di moto fra tutti i piani inclinati (compreso il verticale). Da esso si deduce inoltre, in un esperimento teorico,  che in assenza di forza il corpo perdurerebbe per sempre di moto circolare uniforme (formulazione errata del suo Principio d’Inerzia). Da quest’ultima affermazione, leggermente modificata, discende chiaramente il principio di Relatività Galileiano, per cui tutti gli oggetti appartenenti ad uno “spazio” che si muova di moto uniforme (rettilineo non precisato) non intervengono fenomeni che possono far capire di essere in movimento. Con ciò si veniva a superare anche la più forte obiezione avanzata dai Tolemaici contro il sistema copernicano (e contro Aristarco da Samo), per cui un corpo lanciato verticalmente in aria, se la terra si muovesse doveva necessariamente ricadere spostato verso occidente.

3 – Principio di interdipendenza dei movimenti simultanei. Galileo spiega la traiettoria non verticale dei gravi come risultante dalla combinazione contemporanea di un moto orizzontale uniforme e di uno uniformemente accelerato verticale.

a) Scarsità dello strumento matematico (che non permise, per es., a galileo di inquadrare e ritrovare a partire dai suoi postulati le legge del pendolo).

b) Eccessiva restrizione dei Princìpi.

Nessun collegamento fra meccanica terrestre e meccanica celeste (impedito probabilmente dalla formulazione errata del suo Principio di Inerzia).

d) Ammissione tacita di uno spazio e tempo assoluti.

Huyghens provvide a ” spiegare” con i postulati di Galileo, i problemi particolari lasciati insoluti. Newton estese i principi, ottenendo una unificazione fra meccanica terrestre e meccanica celeste. L’ultimo punto rimase per secoli e secoli oscuro fino all’avvento della relatività einsteniana.

Infine  è da precisare che altre questioni particolari studiate da Galileo non furono mai inquadrate in una teoria scientifica fino al nostro secolo: come per es., quella riguardante l’uguaglianza del periodo del pendolo per oggetti di peso diverso, o, per il II° postulato, il fatto che oggetti diversi cadendo liberamente posseggano la stessa accelerazione (se cadono dalla stessa altezza impiegano lo stesso tempo).

Infine accenniamo al famoso Principio di Continuità di Galileo di grande fecondità scientifica, una specie di metodo mentale che sottende tutto il lavoro scientifico galileiano. Galileo adattava gradualmente i suoi pensieri ai fatti, tenendo fermi  questi pensieri fino alle estreme conseguenze. Variava nella mente gradualmente le circostanze di un caso particolare in studio, tenendo ferma nello stesso tempo l’idea già formulata su esso. Un metodo potente ed economico che facilita la comprensione di tutti i fenomeni naturali con fatica intellettuale minima.

LE CORRENTI RAZIONALISTICHE NELLA FILOSOFIA E NELLA SCIENZA DEL 1600

CARTESIO

Il sorgere e l’affermarsi del metodo sperimentale sulla scena culturale del 1600 provoca la crisi definitiva del pensiero metafisico e del razionalismo tradizionale.

Gli enti metafisici, i postulati su cui si basava tutto l’edificio dell’aristotelismo, dimostravano di non aver affatto quel carattere di necessità e di universalità che si erano attribuiti.  D’altronde anche il sistema di deduzione dalle “verità” prime di “verità” ulteriori si era imostrato inadeguato con la sua necessità continua di far intervenire enti e principi animistici, dei quali la scienza moderna stava dimostrando l’inutilità (Occam).

In questo contesto sorge dal mondo culturale dotto il grande disegno di fondazione i una metafisica razionalistica che non solo non contrasti con la scienza moderna, ma ne sia sostegno. Iniziatore e artefice i tale  tentativo fu Descartes. Questi si pone come l’altra direzione speculare, opposta e complementare, a quella di Bacone Come l’uno aveva ripreso la tradizione artigiana ignorando la matematica, l’altro riprende la tradizione dotta ignorando l’esperienza. Questo impedisce ad entrambi di intravedere il fecondo contatto fra i due mondi trovato da Galileo.

Il procedimento di Descartes consiste nell’eliminare, attraverso il dubbio metodica, tutto quanto nella vecchia metafisica e nel razionalismo tradizionale vi era di superfluo, cercando quei principi primi che, per la loro immediata evidenza alla ragione, avessero carattere di idee chiare e distinte.

La prima di queste idee che secondo Descartes sfugge ad ogni dubbio scettico è l’idea dell’Io: l’Io che dubita e quindi pensa, si pone per lui come evidenza indubitabile. Occorre subito far notare che tale evidenza è solo intuitiva e psicologica, deriva più che altro dalla volontà di autorassicurarsi da un’ansia di stabilità del soggetto stesso, ossia da fattori psicologici non logici. Cartesio ritiene inoltre che all’Io sia presente un’altra verità innata, quella di Dio e tale verità, siccome non può derivare dall’esperienza, deve essere per forza stata messa dalla mente umana da Dio stesso di cui quindi si afferma l’esistenza, come II° postulato del sistema. Ma l’affermazione dell’esistenza di Dio serve a sua volta per fondare la veridicità del mondo esterno a la mente umana, perché altrimenti Dio sarebbe ingannevole, ciò contraddice  l’idea di perfezione implicita nel concetto di Dio. Una volta dimostrata l’esistenza del reale e la possibilità di un rapporto positivo fra la mente ed il mondo, Cartesio costruisce una cosmologia centrata tutta su di un rigoroso dualismo, quello fra res cogitas (pensiero)  e res estensa (materia), definendo in termini razionali le qualità fondamentali di quest’ultimi: estensione, forma e movimento. E’ importante sottolineare questo aspetto, perché, grazie ad esso, Cartesio è riuscito ad immaginare un universo pieno, in quanto estensione è materia, un universo in cui non c’è più bisogno di una agente antropomorfico, giacché il movimento non ha più bisogno di cause, un universo in cui vengono espulse anche la forza e la massa, in quanto al tempo di Cartesio questi due concetti contenevano troppi residui antropomorfici. Viene fuori così un mondo di natura geometrica, matematica e cinematica, privo della dimensione dinamica, Il grande merito storico di Cartesio, quello che fa di lui l’altro padre della scienza moderna, sta nell’avere per sempre cacciato dalla Natura gli spiriti; la res cogitans è separata radicalmente dall’universo fisico e quindi anche dal suo corpo: tutto ciò che dipende dalla relazione mente-corpo e mente-universo, come le cause secondarie (odore, sapore, colore…) non ha nessun significato per la comprensione della materia da parte del pensiero (fisica meccanicistica). Descartes ritiene così di poter costruire una fisica a carattere completamente razionalista, dedotta logicamente dalle qualità prime della materia e a tale costruzione egli mette in effetti mano edificando una costruzione teorica per più aspetti ingegnosa.

Cartesio partì dal postulato che  l’estensione creata da Dio possedesse un movimento rotatorio, in quanto esso era il solo movimento possibile in un universo inteso come totalità. Tale movimento rotatorio porta per attrito a creare vortici interni, generando tre tipi fondamentali di materia:  quella costituente il sole e le stelle (particelle piccole di forma sferica, prima materia), quella costituente lo spazio interplanetario (particelle piccole angolose, seconda materia), e quella costituente i pianeti (frammenti pesanti, terza materia). La gravità e quindi la caduta dei gravi ed i moti planetari, che per la prima volta vengono unificati in un unico  ordine di fenomeni a differenza di Galileo, vengono spiegati in definitiva entro questo ordine di idee da Huyghens come dovuti allo “sforzo che compie questa materia fluida (seconda materia) per allontanarsi dal centro e disporre nei posti dove abbandona quei corpi che non possono seguire questo movimento” (dimostrazione del secchio ruotante con pezzetti di ceralacca).

Tuttavia questo edificio ha numerosi punti deboli, il principale dei quali è da considerarsi la sua inadeguatezza al progetto iniziale di una fisica completamente dedotta: infatti è facile vedere come nella pratica scientifica Cartesio anziché dedurre logicamente faccia spesse volte ricorso all’esperienza quotidiana attraverso analogie esplicative. D’altro canto il ruolo dell’esperimento nel sistema cartesiano è ridotto solo a strumento di conferma delle idee fornite ed elaborate dalla teoria e non ha insomma potere di falsificazione sistematica. Questo mette la fisica cartesiana più indietro di quella di Galileo che attraverso l’esperimento aveva  trovato ben altre  rigorosità. A Cartesio in effetti, e questo lo avvicina a Bacone, nonostante l’ostentata esaltazione della matematica, manca un rapporto positivo proprio con questa, quel rapporto che avrebbe fatto della sua teoria una teoria scientifica. In generale Cartesio cercò di inserire in questa struttura esplicativa anche tutti gli altri fenomeni fisici conosciuti. In effetti tale   trasformazione fu operata a alcuni grandi continuatori delle teorie cartesiane, come Huyghens, ma a questo punto le teorie cartesiane furono falsificate e progressivamente abbandonate a favore di quella newtoniana.

SEGUE ELENCO DEI TESTI CONSULTATI

ALLEGATO A QUESTI APPUNTI L’AUTORE PREPARO’ ANCHE UNA SERIE DI DOMANDE RELATIVE ALLA MATERIA TRATTATA PER FOCALIZZARE UN PERCORSO

QUESTIONARIO DA UTILIZZARE NELLA PROGRAMMAZIONE DELLA RICERCA E DELLA RIFLESSIONE SULL’EPOCA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

1 – Qual era all’inizio del seicento il problema centrale che verrà che verrà poi affrontato da tutte le nuove filosofie?

2 – Quali furono le tre principali linee culturali che cercarono di risolvere il problema precedente?

3 – Quali furono i due postulati su cui si basava la concezione empirica?

4 –  Che cosa si intende per principio di induzione?

5 – L’Empirismo inglese riuscì a riassorbire il dualismo teoria-esperienza, mondo dei dotti- mondo degli artigiani?

6 – Perché Bacone F. non è da considerarsi il fondatore del metodo scientifico moderno?

7 – Quali furono le critiche portate al principio di induzione ed in che modo si tenta di superare, nel corso del tempo, le contraddizioni in esso implicite?

8 – Perché deducendo correttamente dai “Principi necessari ed Evidenti” medioevali non si arrivava a proposizioni capaci di decidere fra le diverse dispute filosofiche?

9 – Quali furono gli avvenimenti che indirizzarono Galileo verso una utilizzazione nuova e più efficiente della matematica nel metodo scientifico?

10 – Quali furono le conseguenze della utilizzazione sistematica della matematica nella ricerca delle leggi della Natura?

11- Nel quadro del superamento del dualismo pensare-operare, teoria -fatti, ipotesi-esperienza, che ruolo ha giocato l’utilizzazione della matematica? (Far riferimento ai Neoplatonici e neopitagorici, agli architetti e ingegneri e a Galileo).

12 – Che cosa si intende per esperimento? Che differenza passa allora fra esperienza ed esperimento? E’ vero che prima di galileo veniva trascurata l’esperienza? Quali furono i motivi per cui l’esperimento prima di Galileo non era conosciuto?

13 – Galileo utilizzò la matematica in due forme; Quali?

14 – Che cosa significa che la scienza oltre a “descrivere” deve anche “spiegare”?

15 – Galileo riuscì a “spiegare” tutto il suo lavoro fisico? Quali leggi “empiriche” trovate da Galileo rimasero allo stadio di “dato bruto”? Perché?

16 – Che significato attribuiva Galileo al fatto che l’uso della matematica “funzionava” nello studio della Natura? Oggi come la pensiamo?

17 – Le ipotesi “sparate” da Galileo erano ricavate dall’esperienza? Trovavano conferma diretta nell’esperienza? I suoi postulati erano “necessari ed evidenti”?

18 – Qual era allora l’unica condizione a cui dovevano sottostare le sue ipotesi perché potessero essere considerate “scientifiche”?

19 – I dati sperimentali che Galileo forniva, avevano il significato di esperienza nel senso comune?

20 – Quale fu il vantaggio di utilizzare “proposizioni mentali” che, lontane da esperienze ed esperimenti, presentassero però il carattere di proposizioni scientifiche, nella costruzione e sviluppo della scienza fisica?

21 -Che cos’è che suggerisce all’intelletto i “principi”, se non l’esperienza? Da dove derivava a Galileo la garanzia della scientificità del suo metodo e la fiducia nei suoi risultati? (da pensare che i dati empirici e gli strumenti usati a quel tempo erano molto poco precisi!). La realtà così investigata era la realtà “oggettiva”?

22 – In cosa consisteva il famoso Principio di Continuità di Galileo.

DOTT. PIERO PISTOIA

(materia)

PROGRAMMI IN BASIC PER IL CALCOLO DEGLI ERRORI DI MISURA: una facility e un metodo di insegnamento scientifico; del dott. Piero Pistoia ed altri

Post in via di sviluppo

CURRICULUM DI PIERO PISTOIA

PREMESSA

Nel lontano novembre 1987 fu pubblicato nella rivista Didattica delle Scienze (La Scuola,  Brescia) un mio articolo, che integra quello qui di seguito riportato del febbraio 2001, della stessa casa editrice, dal titolo “LA TEORIA DELL’ERRORE E L’USO DEL COMPUTER IN LABORATORIO: un metodo di insegnamento della fisica nel biennio della Scuola Superiore”. Richiamato e rilanciato in qualche modo dallo scritto che segue, verrà riproposto alla fine di quest’ultimo, senza però la trascrizione della decina di pagine di listati relativi alla teoria dell’errore scritti dall’autore nel linguaggio Basic dell’APPLE IIe. Se ci fossero interessati, potrei trasferire anche questi scripts, anche se ormai  per una macchina obsoleta. Però al tempo furono proposti dal sottoscritto e utilizzati direttamente dagli studenti con efficacia per anni nel laboratorio di Fisica. Con essi si potevano costruire anche grafici orizzontali e cartesiani con areole dell’errore per il controllo sui dati sperimentali (vedere articolo). Potrebbero essere tradotti in altri linguaggi (Mathematica di Wolfram, linguaggio R, Octave ecc.). Mandare richiesta a ao123456789vz@libero.it

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In ultimo trascriviamo anche l’articolo dello stesso autore dal titolo “LETTURE DI FISICA ELEMENTARE – LA CADUTA DEI GRAVI A QUASI QUATTRO SECOLI DA GALILEO: analisi e significati di alcune sottigliezze nell’insegnamento della Fisica al Biennio Superiore” che con gli altri  due completa il quadro di un metodo di insegnamento particolare per la Fisica nella Scuola. L’articolo è stato  scritto ormai da tempo, ma lascio ai curiosi giudicare se non sia ancora piuttosto attuale!

Piero Pistoia 

INDICE DEL POST CON LINKS

1 – UN PROGRAMMA PER CALCOLARE GLI ERRORI SU GRANDEZZE DERIVATE.

1 – PROG. PER ERRORI SU GRANDEZZE DERIVATE

2 – LA TEORIA DELL’ERRORE E L’USO DEL COMPUTER IN LABORATORIO: un metodo di insegnamento della fisica nel biennio della Scuola Superiore.

2 – ERRORE E USO DEL COMPUTER IN LABORATORIO

3 -LETTURE DI FISICA ELEMENTARE – La caduta dei gravi a quasi quattro secoli dopo Galileo: analisi e significati di alcune sottigliezze nell’insegnamento della fisica  al Biennio Superiore

3 – LETTURE DI FISICA ELEMENTARE

PER INGRANDIRE LO SCRITTO CLICCACI SOPRA!

1 – PROG. ERRORI SU GRANDEZZE DERIVATE

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Per confrontare e correggere eventuali errori nel lungo e complesso listato  trasferisco direttamente qui gli scripts del Qbasic, riportati nel file sotto errore1.pdf, ripresi dal file ERRORE.BAS che ‘gira’ perfettamente.

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2 – ERRORE ED USO DEL COMPUTER IN LABORATORIO

INSERIAMO L’ARTICOLO SULL’ERRORE DEL 1987 di Piero Pistoia

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3 – LETTURE DI FISICA ELEMENTARE

POSSONO SEGUIRE I PROGRAMMI IN BASIC APPLE IIe RELATIVI ALL’ARTICOLO PRECEDENTE

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Attenzione! l’articolo che segue è in via di costruzione; verrà corretto man mano che procede.

LETTURE DI FISICA ELEMENTARE

LA CADUTA DEI GRAVI A QUASI QUATTRO SECOLI DA GALILEO

Analisi e significati  di alcune sottigliezze nell’insegnamento della Fisica al Biennio Superiore

di  PIERO PISTOIA

INTRODUZIONE

Riteniamo giustificato, secondo criteri epistemologici (1), psicologici (2) e didattici (3), un metodo di insegnamento della Fisica non di tipo induttivista, ma caratterizzato da particolari processi ipotetico-deduttivi. Consideriamo altresì che il così detto metodo sperimentale di Galileo, alla luce anche delle recenti interpretazioni del suo pensiero (4), abbia in effetti analoghe caratteristiche.

Secondo tale metodo l’insegnamento deve partire da problemi (nell’accezione data a questa parola da Popper,  Antiseri  et. al.), per arrivare, attraverso le “Teorie tentative” di soluzione (TT di Popper), all’ “Eliminazione Critica dell’errore” (EE i Popper), fase riassunta dalla “Discussione e Argomentazione Critica” e/o dal processo sperimentale di controllo, fino alla formulazione del nuovo problema.

Diversi sono i problemi che devono essere affrontati in successione per costruire in classe la disciplina, sotto la guida dell’insegnante, alcuni dei quali, importanti ed obbligati, in quanto innescano a cascata una sequenza di altri, sono, a mosaico, qui di seguito nominati.

a – Nella caduta dei gravi (per es., con attrito trascurabile e velocità iniziale zero m/sec), che relazione ci sarà fra velocità istantanea  e tempo o fra velocità istantanea  e spazio percorso?

b – Che relazione ci sarà fra modulo della forza applicata ad un oggetto che può muoversi liberamente, con attrito trascurabile, su un piano orizzontale, e il modulo della sua accelerazione acquistata?

c – Che relazione ci sarà fra quantità di carica elettrica posta su un conduttore isolato o su un’armatura di un condensatore e il potenziale elettrico da esso assunto o la differenza di potenziale fra le due armature? (5)

d – Che relazione ci sarà fra la differenza di potenziale (Va-Vb) misurata ai capi di un resistore e l’intensità di corrente (Ic) in una sezione di esso?

e – Che relazione ci sarà fra il flusso di Induzione magnetica concatenata ad un circuito percorso da corrente e l’intensità di corrente in esso circolante?

Ognuno di questi problemi  e dei molti altri non nominati deve essere discusso in classe fino a formulare una o più ipotesi plausibili relativamente alla discussione iniziale attivata, non necessariamente “vere”, per poi  guidare  una discussione logico-critica innescata sul background culturale della classe ( es.,si vedano i teoremi galileiani in ‘Esperimenti Pensati’) o per progettare in laboratorio un esperimento di controllo, dopo magari una trasformazione analitica della relazione iniziale in una proposizione più agile da sperimentare (es., v/t=k  in  s/t^2=k/2). Nella zona di corroborazione o di falsificazione dell’ipotesi nascerà il nuovo problema.

In questo lavoro l’autore cercherà di analizzare il problema siglato a, precisandone aspetti ed implicazioni educative e formative, riscoprendo nella caratteristica dialogica galileiana di condurre il discorso e nei precisi e puntuali interventi di Salviati nei confronti di Semplicio, la chiave per ricostruire la Fisica anche nelle classi di oggi.

ANALISI E DISCUSSIONE DEL PROBLEMA RELATIVO ALLA CADUTA DEI GRAVI (PROBLEMA a) E FORMULAZIONE DELLE IPOTESI

Focalizziamo l’attenzione e la memoria degli alunni sulla caduta i oggetti pesanti (gravi) sui quali le azioni di disturbo dell’aria sono meno evidenti, almeno per basse velocità. Alla domanda che cosa faccia la velocità durante il movimento, si hanno in generale perplessità nella classe. I nostri ragazzi di 14-15 anni hanno e devono avere la mente del Semplicio galileiano. Alcuni però conoscono già le risposte a memoria, fornite probabilmente come nozioni isolate nei corsi precedenti, prima che fossero sorti sull’argomento interrogativi,  prima che fossero formulate le ipotesi, prima che si precisassero le aspettative, prima delle delusioni dinanzi ad ipotesi sbagliate, prima insomma dei processi che catalizzano il vero apprendimento. Qualche frammento di ricordo culturale precedente scarsamente assimilato, certi mass media, certi personal media, qualche software selvaggio e poco calibrato, avranno fornito queste nozioni fini a se stesse.

Il maggior tradimento che la civiltà tecnologica abbia mai perpetrato ai danni dei cuccioli della specie, è proprio questo: sono stati gettati in un contesto tecnologico di natura altamente simbolica e lontano così dalle teorie del senso comune e del buon senso a cui gli alunni sono vicini, in un mondo incomprensibile, nel quale i messaggi si trasformano in nozioni isolate da memorizzare e delle quali sfuggono le ragioni più profonde, in un mondo dove i “messaggi” svuotati da “mezzo”, per mutuare le parole da McLuan, annebbiano curiosità e  meraviglia, molle del progresso umano.

Fortuna che c’è ancora qualche Semplicio che vede cadere il grave subito velocemente, appena lasciato. Allora a guisa di Salviati galileiano , l’insegnante deve guidare la discussione, al di là di tutto: del tempo  del programma, delle scadenze e dei voti; il cucciolo dell’uomo ha il diritto di imparare a costruirsi i propri modelli razionali per interpretare il mondo, graduali ed efficaci. E’ solo in questa prospettiva che ha significato l’aggettivo ‘formativo’ che attribuiamo all’insegnamento della Fisica al Biennio Superiore.

Il sasso aumenta di velocità perchè urta la mano, che cerca di fermarlo, con più violenza a maggior spazio percorso e al passare del tempo. Tale sforzo della mano è legato  all’impulso su essa legato alla prima potenza della velocità, o, se ci riferiamo all’energia necessaria, essa è legata   alla seconda potenza della velocità: questo noi lo sappiamo, ma l’alunno Semplicio non lo può sapere!

In ambedue i casi, usando così il criterio di semplicità, la prima ipotesi che viene in mente agli alunni è la diretta proporzionalità fra v e s, proprio come ebbe a pensare Galileo (6). Quando dalla discussione di un problema concludiamo che all’aumentare di una grandezza anche l’altra, alla prima correlata, aumenta (o dimunuisce), ‘spariamo’ l’ipotesi più semplice di diretta (o inversa) proporzionalità, a meno che ulteriori approfondimenti della discussione non suggeriscano altrimenti ( caso per es., della relazione fra forza gravitazionale e distanza, da affrontare in altro lavoro ()). Scrivere oggi  v=k * s sembra non abbia senso (vedere dopo), per ragioni però troppo lontane dall’intuito del nostro alunno Semplicio, se lo stesso Salviati in prima istanza cadde anch’egli nella trappola. Quindi è da ritenere importante che di tale relazione, rimanga traccia nella mente dell’alunno nonostante tutto, anche se poi verrà abbandonata.

Così la classe formulerà due ‘teorie tentative’ possibili per la soluzione del problema della caduta dei gravi, con le nostre condizioni al contorno:

1 – La v-istantanea e s direttamente proporzionali.

2 – La v-istantanea e t direttamente proporzionali.

PRECISAZIONI E SOTTIGLIEZZE CHE SORGONO DALL’ANALISI DELLE DUE IPOTESI

Non è così immediato intuire per gli alunni che le due ipotesi non sono la stessa cosa. Dobbiamo così rifarci alla matematica elementare del moto uniformemente accelerato (già spiegato fra i modelli razionali per “leggere” un moto); se v e t sono direttamente proporzionali, si dimostra con la matematica elementare e graficamente che v ^2 e s sono direttamente proporzionali e non v e s. Così nel dire ve t e nel dire  v e s  direttamente proporzionali, si vengono ad enunciare due ipotesi diverse ed alternative.

Anche lo stesso Galileo davanti allo stesso problema formulò proprio le stesse due ipotesi, anche se su v=k*s ebbe quasi subito dei dubbi. Infatti dopo aver enunciato tale ipotesi in una lettera a Paolo Sarpi, nei “Discorsi e dimostrazioni matematiche”, faceva dire per bocca di Salviati:

“Quando le velocità hanno la medesima proporzione che gli spazzi passati o da passarsi,  tali spazi vengono passati in tempi uguali: se dunque le velocità con le quali il cadente passa lo spazio di 4 braccia furon doppie delle velocità con le quali passò le due prime braccia – appartenenti alle 4 precedenti (nota dell’autore) – (sì come lo spazio è doppio dello spazio), adunque i tempi dei passaggi sono uguali”

Questa fu la sua argomentazione critica  (EE di Popper). Nello stesso moto si verrebbero a percorrere nello stesso tempo un dato intervallo di spazio e la sua metà appartenente ad esso, cosa che può accadere solo se il movimento è istantaneo (velocità infinita). Se v=k*s, chiaramente la velocità istantanea alla fine delle prime 4 braccia è doppia della velocità alla fine delle due braccia. Ma continuando ad argomentare, affermare questo però non vuol significare che anche la velocità media debba essere doppia e quindi il tempo uguale, di qui l’assurdo. Se si considera doppia la velocità media delle 4 braccia  rispetto alle due, si introduce tacitamente anche la seconda ipotesi v=k * t; infatti solo in tal caso vm=(vf+0)/2!

In effetti Galileo nell’affermare che la velocità nel passare 4 braccia  era doppia della velocità nel passare 2 braccia, secondo l’autore, tacitamente veniva ad inserire nel ragionamento anche l’ipotesi v=k * t (che permetteva una velocità media doppia). Sempre secondo l’autore il ragionamento galileiano in effetti viene a significare che, se valgono contemporaneamente v= k * s e v=k * t, si arriva ad un assurdo. Se questa immediata interpretazione non convince, si vedano le altre più qualificate e profonde sorte ultimamente in ambiente accademico (7) (8).

Il fatto che la discussione galileiana su un problema presenti varie sfaccettature, il fatto che  esistano più modi di argomentare sull’ipotesi conseguente, non significa che non si debba, come faceva Galileo – non necessariamente allo stesso modo –  discutere su problemi per tentare soluzioni prima o al posto dell’esperimento. Chi vede in questo pericoli di ambiguo verbalismo, non coglie significati profondi di un corretto discorso epistemologico e psicologico sui processi di acquisizione della conoscenza e, quello che è più grave, potrebbe sviare gli interventi per un recupero delle situazioni tutt’altro che rosee focalizzate dai diversi tests piagettiani sull’intelligenza formale del giovane (9) (10).

Consapevolmente o no, Galileo,  secondo l’autore, dimostra la non coincidenza delle due ipotesi e così verrà fatto nell’insegnamento: si formuleranno le due ipotesi e si dimostrerà  in qualche modo che sono diverse e alternative; se è  corroborata l’una l’altra verrà scartata.

Si passerà poi a controllare in laboratorio  l’ipotesi v/t=k, che fornisce come proposizione sperimentabile s/t^2=k/2. Con l’asserzione_base  s/t^2=k/2, che è appunto la formulazione sperimentabile di v/t=k, andiamo in laboratorio per il controllo. In realtà l’ipotesi in un certo “RANGE” di errore viene corroborata.

Siamo così arrivati a concludere che l’oggetto (per es., una sferetta di acciaio, se si utilizza un’apparecchiatura Leybold) cade di moto uniformemente accelerato e quindi la relazione fra velocità e spazio è del tipo v^2/s=2*k, moto materialmente possibile, mentre la relazione v=k*s rimane esclusa sperimentalmente in quanto alternativa e irriducibile all’altra. L”ipotesi sperimentabile v^2/s=2*k non era però così intuibile come l’altra, per cui non veniva formulata in prima istanza. Chiaramente le due ipotesi v= k*t e v^2=2ks sono la stessa cosa analiticamente.

Rimangono ora da precisare alcune sottigliezze implicate nel significato di k e quindi formulare il nuovo problema da affrontare nella successiva unità didattica. Prima però analizziamo brevemente il significato matematico e fisico delle ipotesi v/s=k e v^2 /s=2k.

ALCUNE CONSIDERAZIONI FISICO_MATEMATICHE SU v/s=k e v^2 /s=2k

Analisi fisico matematica dell’ipotesi v=ks

L’ipotesi è espressa dall’eq. differenziale a variabili separabili dx/dt = k*(x-xo). Dall’analisi di essa, non so se possibile ai tempi di Galileo, deriva che, per la ricerca delle soluzioni, è necessario porre la condizione x-xo <>0 pe cui nel processo si perderebbe la soluzione x-xo= 0 metri, per cui x=xo è un punto di discontinuità per la funzione integranda che risulta continua per x<xo e x>xo.

Significato della soluzione x-xo =0

Al tempo t=0 sec, quando x=xo, la velocità è zero e, non potendo aumentare x, non aumenta v, per cui x=xo viene ad essere costante al passare del tempo: l’oggetto non potrà muoversi. Invece l’eq. dx/dt = k*t fornisce per t = 0 sec ancora v=0 m/sec, però il tempo “passa”, per cui la v può aumentare fornendo le altre soluzioni.

x = xo sarebbe l’unica soluzione, ma si perde nel processo di calcolo?!

Analisi matematica e fisica dell’ipotesi v^2 /s=2k

L’analisi dell’ipotesi v^2 /s =2*k, fornisce un modello fisico funzionale:

(dx/dt)^2 =2k*(x-xo)

dx/dt =+/-SQR(2k)*SQR(x-x0)  e separando le variabili e integrando fra xo e x:

2*SQR(x-xo)-0 =+/-SQR(2k)*t ed elevando a quadrato:

4*(x-xo) =2k*t^2

Ma, al di là di tutto, ciò che insegna Galileo è il modo scientifico di condurre il processo, il modo di discutere il problema, sezionandolo con tutti gli strumenti razionali conosciuti per chiarirlo e ‘sparare’ un tentativo di soluzione da sottoporre poi al vaglio dell’argomentazione critica e talora dell’esperimento. Ciò che insegna Galileo in definitiva è un modo corretto di fare lezione.

FASI SINTETICHE DEI PROCESSI RAZIONALI, DENSI DI ‘TRANSFER’, NELL’ANALISI DEL SIGNIFICATO DELLE COSTANTI DI PROPORZIONALITA’

In generale le fasi del processo razionale davanti ad un’ipotesi di diretta proporzionalità, corroborata nell’ambito dell’errore, possono essere così brevemente delineate.

1 – la grandezza derivata k non dipenderà dalle grandezze che lega, ma da altre, relative a ‘qualcosa’ di rilevante che durante l’esperimento non è cambiato. Se f/a = k, il valore di k non dipenderà dalla grandezza accelerazione, nè dalla grandezza forza (almeno nel range dell’errore sperimentale) e quindi potrebbe dipendere da qualche grandezza relativa all’oggetto con cui abbiamo sperimentato. Da quali? Se (va-vb)/Ic = k, il valore di k non dipenderà alle grandezze elettriche Differenza di Potenziale e Intensità della corrente: è facile riferirci allora a qualche proprietà del conduttore su cui abbiamo sperimentato. A quali? Se Q/V = k, il valore di k non dipenderà dalle grandezze elettrostatiche Carica  e Potenziale elettrici, ma da qualche proprietà del conduttore dell’esperimento. Da quali?

2 – Il significato fisico di k nasce poi dal metterci, mentalmente, nelle condizioni di ripetere l’esperimento ottenendo un valore di k diverso. Se il k di f/a dipende dall’oggetto su cui abbiamo sperimentato, immaginando un oggetto diverso, se k verrà maggiore, a parità di forza, a sarà minore; cioè k dipenderà da una prprietà dell’oggetto che si configura come ostacolo all’accelerazione. Potrebbe essere già stata introdotta una grandezza  fondamentale che misuri tale proprietà con la bilancia inerziale: la massa inerziale. Se il k di (va-vb)/Ic dipende da certe proprietà del conduttore su cui si è sperimentato, cambiandolo potremo ottenere un k diverso. Se è maggiore significherà che a parità di differenza di potenziale, avrò una Ic minore: k si configura come una specie di ostacolo al passaggio della corrente (resistenza elettrica). Una successiva argomentazione può precisare la dipendenza di R dalle grandezze geometriche del filo…. Si innescano una successione di problemi a cascata da affrontare in successive unità didattiche. Se il k di Q/V dipende dal conduttore, cambiandolo dovrebbe cambiare k: se k è maggiore significhera che posso mettere su tale conduttore più Carica, a parità di potenziale; cioè k ha il significato di Capacità elettrica. Una successiva discussione potrà precisare la dipendenza di C dalle altre grandezze e così via.

3 – Precisazione concettuale delle grandezze investigate. Come si vede si tratta d i veri e propri processi razionali che si ripetono in ambienti diversi (transfer di Bruner), favorendo il transfer concettuale all’interno della disciplina ( Transfer specifico), attraverso il potente Principio di Continuità galileiano (E. Mach). Galileo adattava gradualmente le sue elucubrazioni mentali ai fatti, tenendo fermi questi pensieri fino alle estreme conseguenze. Il Principio di Continuità consiste nel variare nella mente gradualmente le circostanze di un caso particolare, tenendo fermo nello stesso tempo l’idea già formulata su di esso (metodo che facilità la comprensione di tutti i fenomeni naturali con un fatica intelletuale minore rispetto ad altri processi.

ASPETTI RELATIVI AI SIGNIFICATI DELLA COSTANTE DI PROPORZIONALITA’  FRA v e t

Abbiamo corroborato in laboratorio l’ipotesi v/t=k  nella sua forma meglio sperimentabile (s/t^2=k/2); k ha le dimensioni di una accelerazione e, proprio perchè non cambia, non dipenderà dalla v, che cambia, nè dal tempo. Potrei così , sulla falsa riga degli esempi accennati al paragrafo precedente, affermare che k venga a dipendere da qualche proprietà dell’oggetto che ho usato per l’esperimento.  Tale congettura è abbastanza plausibile a questo stadio: un oggetto più ‘pesante’, per es., può avere accelerazione di caduta diversa…. Cioè, dire che k dipende da qualche proprietà dell’oggetto può voler significare, per es., che oggetti più pesanti potrebbero avere un k maggiore (è la congettura più frequente nelle classi, a causa dei riferimenti all’esperienza quotidiana ricordati).

Nasce così il nuovo problema sul significato di k e eventuali ulteriori problemi sulla sua dipendenza da qualche altra grandezza. formuliamo, per es., l’ipotesi che sperimentando con un oggetto più ‘pesante’, il k diventi maggiore: oggetti più pesanti cadono con maggiore accelerazione. Lasciamo, in questa fase, la discussione a questo livello basso, per sfruttare la delusione onde focalizzare l’interesse e destare ‘meraviglia’. Volendo potevamo approfondire la discussione usando anche il Teorema di Galileo sull’argomento (vedi nota n, 11), eliminando praticamente il rischio sull’ipotesi.

La classe segue motivata  il nuovo esperimento e la delusione delle aspettative lascia piuttosto perplessi: la proprietà o le proprietà dalla quali dipende il nostro k non sono relative all’oggetto scelto per l’esperimento! Seguiranno argomentazioni sui presupposti che hanno portato alla formulazione dell’ipotesi sbagliata. A questo punto possiamo anche inserire il teorema galileiano, per tranquillizzare nell’immediato la classe. Si continuerà precisare anche i concetti coinvolti sperimentando col tubo di Newton.

La discussione dovrà poi procedere facendo riferimento a dati riportati  su libri o riviste: tutti i corpi in assenza di attrito cadono sempre con la stessa ccelerazione nello stesso posto. Così appare importante il ‘postò’, la ‘zona di spazio’ dove avviene l’esperimento, quasi che le zone di spazio mutino le loro proprietà, muovendoci per l’universo.

Gli oggetti infatti ‘deformano’ lo spazio per mezzo i una grandezza vettoriale  chiamata ‘Campo Gravitazionale’. Il nostro k è proprio tale Campo: quindi l’oggetto, le cui proprietà non cambiano durante l’esperimento, è il corpo planetarionelle vicinanze: nel nostro caso la Terra.

Il problema diventa complesso: potrà o non potrà essere sviscerato in tutte le sue parti a  seconda dei livelli di comprensione e di impegno delle classi. Una cosa è certa: a quasi quattro secoli da Galileo, dobbiamo  essere contenti se si trovano ancora nelle nostre scuole, nonostante mass media, personal media…, ancora i Semplicio, intelligenti anche se dotati solo di teorie del senso comune, che fanno ancora le stesse domande ingenue davanti agli stessi problemi di quattro secoli fa e quasi allo stesso modo.

Rimane da chiederci se la nostra pesante cultura del periodo post-industriale e oltre, con i suoi prodotti tecnologici così sofisticati fuori della Scuola ed anche dentro la Scuola (rotaie a cuscino d’aria, cronografi a 1/1000 di sec…) non possa creare, nella mente impressionabile dei ragazzi, sovrastrutture così  artificiose da impedire i livelli di maturazione normale e il formarsi graduale di modelli calibrati di interpretazione  del mondo (gradualmente sempre più simbolici) e quindi lo sviluppo armonico dell’intelligenza (9) (10)-

PIERO PISTOIA

BIBLIOGRAFIA E NOTE

1 –  K. Popper “La logica della scoperta scientifica”, Einaudi, 1970; K. Popper “Congetture e confutazioni” Vol. I° e II°, Mulino,1972; K. popper 2 Conoscenza oggettiva2, Armando,1975; P. Feyerabend, T. Khun, I, Lakatos et al. “critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976; D. Antiseri “Epistemologia e didattica delle scienze”, Armano, 1p77; P. Redondi “Epistemologia e storia della S, Feltrinelli, 1978cienza

2 – J. Piaget e B. Inhelder “De la logique de l’enfant e la logique de l’adolescent”, Puf Paris, 1955;J. S. Bruner “Il significato dell’Educazione”, Armando, 1973; R. Mazzetti “Dewey e Bruner”, Armando, 1976.

3 – J. S. Bruner “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando,1967: M. Laeng “L’Educazione  nella Civiltà tecnologica”, Armando,1969; P.  Pistoia et al. “I fondamenti psicologici ed epistemologici dell’insegnamento della Fisica” La Ricerca, Loescher, 15-12-1977; P. Pistoia et al. ” I processi i Comprensione e la loro utilizzazione per l’insegnamento della Fisica”, La Ricerca,  Loescher, 15-11- 1978; P. Pistoia et al. “Alcuni presupposti psicopedagogicie ed epistemologici della Riforma della Scuola Superiore, La Ricerca, Loescher,15-3-1980.

4 – P. Wiener e A, Noland “Le radici del pensiero scientifico”, Feltrinelli, 1977; per non parlare dell’analisi del pensiero galileiano condotta da P, K. Feyerabend in “Problemi dell’Empirismo”, Milano, 1971 e in “Contro il metodo”, Milano, 1973.

5 – Per la didattica del concetto di Capacità elettrica:  P. Pistoia “Considerazioni critiche su un progetto programmatico relativo al processo di Comprensione di un concetto fisico”, La Ricerca, Loescher, 15-10-1981.

6 – G. Galilei “Discorsi e Dimostrazioni matematiche”, Salani, 1964.

7 – S. Bergia-P. Fantazzini “La Fisica nella Scuola”, XIII, N. 1, 1980

8 – Elio Fabri “La Fisica nella Scuola”XIV, N. 3,1981.

9 – L: Bergamasco “Didattica e sviluppo intellettuale degli studenti”, Giornale di Fisica, Gennaio-marzo, 197

10 – P. Violino e B. Di Giacomo “Sul livello cognitivo degli alunni delle Scuole Secondarie Superiori” , La Fisica nella Scuola, Luglio-Settembre, 1981.

11 – Esperimento mentale di Galileo per dimostrare, rileggendo oggi,  che, partendo da fermo,  la velocità di caduta da una stessa altezza, in assenza di attrito, è la stessa per tutti i corpi di qualsiasi natura, peso e forma. Galileo in effetti al tempo della dimostrazione parla di velocità s.l. di due ‘pietre’ di diversa ‘grandezza’, che cadono senza precisare se si tratta di velocità istantanee alla stessa altezza, o velocità con cui urtano la base o se partono addirittura dalla stessa altezza (visto che il movimento aristotelico degli oggetti verso il loro Stato Naturale era uniforme e le velocità degli oggetti proporzionali al loro peso ). Comunque la dimostrazione con le precisazioni dette continua a valere per tutte le velocità istantanee ad ogni altezza nella caduta, per le velocità finali e per le velocità medie e per tutti i corpi di ogni peso natura e forma.

“Ma se questo è, ed è insieme vero che una pietra grande si muove, per esempio, con 8 gradi di velocità, ed una minore con quattro, adunque congiungendole ambedue insieme, il composto di loro si muoverà con velocità minore di otto gradi; ma le due pietre, congiunte insieme, fanno una pietra maggiore che quella prima, che si muoveva con 8 gradi di velocità; adunque questa maggiore si muove meno velocemente che la minore; che è contro vostra supposizione”.

 

 

Riteniamo

EPISTEMOLOGIA ED OLTRE a cura del dott. prof. Giacomo Brunetti, del dott. Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia…post aperto ad altri interventi

Curriculum di piero pistoia :

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INDUZIONE E DEDUZIONE: DUE METODI DI INDAGINE SCIENTIFICA

del dott. Giacomo Brunetti

(vers. rivisitata, Il Sillabario, n.1, 1995, X)

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ALCUNI ASPETTI DEL PENSIERO DI K. POPPER ED OLTRE
Spunti per riflessioni e discusssioni personali
A cura del Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia

Le linee argomentative di questo articolo seguono alcuni percorsi di pensiero tracciati nei seguenti testi:
K. Popper, Scienza e filosofia, Einaudi, 1991;
P. Feyerabend, Ambiguità ed armonia, Laterza, 1996;
A.V., Critica e crescita della conoscenza, feltrinelli, 1987.

IN VIA DI REVISIONE

IL MODUS TOLLENS E LA FALLACIA DEL CONSEGUENTE

Popper aveva compreso perfettamente che la proposizione logica relativa alla falsificazione, il modus tollens(1), era logicamente fondata a differenza di quella per la verificazione dei positivisti (fallacia dell’affermazione del conseguente) e la considerò un emblematico riferimento per tutto il suo lavoro. Accettare il modus tollens contro la fallacia dell’affermazione del conseguente suggerisce, se non vogliamo invocare dèi o dèmoni, l’assenza necessaria per l’uomo di qualsiasi fonte o criterio ideale di verità a cui fare riferimento (se ‘H implica Q’ è vera, la conferma di Q non potrà mai avvallare la verità di H, a meno che non ci sia una fonte assoluta di verità per Q; nessun numero di accadimenti di cigni bianchi potrà mai rendere vera l’ipotesi generale: “Tutti i cigni sono bianchi”). La stessa coerenza e logicità di una argomentazione non poteva implicare la sua verità; neppure i criteri cartesiani di chiarezza e distinzione (le idee chiare e distinte) sono criteri di verità per Popper. Semmai i loro contrari sono importanti per la conoscenza: l’oscurità e la confusione, l’incoerenza e la contraddizione possono essere indizi di errore, che è appunto ciò che ci affanniamo a cercare nel soddisfare il processo di falsificazione.

Sia nella Scienza sia nella Politica non esiste garanzia alcuna; nell’una la conoscenza non sarà mai ottimale e definitiva, nell’altra non esisterà mai un capo ideale ai diversi livelli. Non esistono fonti ideali a cui fare riferimento né per la Scienza (né l’intelletto, né i sensi più o meno amplificati) e neppure in Politica (né Capitalisti al governo, né Popolo). Costruire la Scienza a partire dalla ragione oppure a partire dall’osservazione-esperimento non garantisce in ogni caso che una volta o l’altra non saremo indotti in errore. L’intuizione intellettuale , l’immaginazione ispirata e profetica, che psicologicamente ci soddisfano, allo stesso modo dell’osservazione e del ragionamento, sono certo importanti, ma non si deve credere rimandino a qualche autorità assoluta, non criticabile, divina o d’altro tipo. Così in politica eleggere chi è considerato migliore, il più colto, il più saggio, il più mite,…, o chi crede in una certa ideologia, non è garanzia di un ottimo governo.

Ma proprio perchè il modus tollens in logica permetteva di incidere significativamente sulle ipotesi di partenza controllandole, Popper pensò che il suo utilizzo in ambiti più complessi potesse avere più senso di altri escamotages, pur rimanendo il fatto incontrovertibile, come credeva già lo stesso Senofane, che i mortali possono avere solo una conoscenza debole (doxa) e non forte (epistème) che è propria degli dèi (4). L’uso, nell’analisi di un oggetto complesso, di una proposizione logica che funziona non porta forse a qualche vantaggio rispetto ad usare metodi logicamente non corretti? Il processo sperimentale (doxastòn=oggetto di opinione, direbbe Parmenide) non fonda niente in positivo (e neppure in negativo!), perchè è gravido di teoria e abbozzi di teoria, di conoscenza “tacita” alla M. Polanyi, aggiungerebbe Feyerabend e perchè viziato da possibili errori sistematici, dovuti all’interpretazione sistematicamente errata di qualche fatto. “Il livello sperimentale forma una cultura a sé il cui rapporto con la teoria è tutt’altro che chiaro”, preciserà poi Feyerabend. Il lavoro intellettuale, che si esplica in teorie, preconcetti e “pregiudizi”, a differenza delle posizioni platoniche, non fonda niente, in ciò Bacone aveva ragione; infatti se con esso interpretiamo i fatti osservati corriamo il pericolo, qualunque siano questi fatti, di confermali e rafforzarli. Le teorie “rileggono” i fatti a loro favore.

Come spunto per una riflessione,  ci sembra interessante notare un certo parallelismo strano fra l’oggetto della conoscenza, “riletto” continuamente dalle teorie, e l’oggetto poetico, “riletto” continuamente dalla mente del fruitore. Ambedue i processi ad infinitum.

Bacone allora propose di eliminare teorie e preconcetti (i famosi IDOLA) prima di poter “leggere” con obiettività il libro aperto della Natura; come se la mente potesse essere purificata e liberata dai pregiudizi!

Su due fronti dunque l’indeterminatezza: sul fronte dell’esperimento e sul fronte della teoria; sia teoria, sia esperimento sono “inquinati”. Oggi Hume ne avrebbe avuti libri da gettare nel fuoco, contenenti sofisticherie e inganni!(2). Ma non è il tempo di accendere né roghi humiani, né di altro tipo: il nostro obiettivo è convivere al meglio con inganni e sofisticherie!

Naturalmente Popper era pienamente consapevole che un processo logico, pur fondato come il modus tollens, non poteva tout-court applicarsi a fenomeni così complessi come, per esempio, la costruzione della Scienza e della Politica. Ma il suo principale obiettivo rimase quello per tutta la vita, cioè utilizzare il modus tollens, anche se come goal regolativo in questi ambiti in cui agiscono miriadi di componenti. Come si affronta allora in questa ottica la costruzione della conoscenza? Come si traduce il modus tollens in tali ambiti? E’ possibile farlo? C’è possibilità di controllo dei fenomeni previsti dalle teorie? L’esperimento in particolare sarà in grado di controllare le teorie? A quest’ultima domanda Popper risponde in maniera esplicita che l’osservazione e l’esperimento non possono stabilire nulla di definitivo sia nel senso della verifica di Q sia nel senso della sua falsificazione, come abbiamo accennato. Ma allora come agiscono i fatti sulla teoria? Lo stesso risultato dell’esperimento sarà soggetto ad esame critico stringente e a sua volta esso servirà per criticare aspramente la teoria; in effetti, leggendo fra le righe, sembra che la teoria non si confronti coi fatti, ma criticamente con le teorie ed abbozzi di teoria contenute in osservazioni ed esperimenti! Ciò che viene osservato in laboratorio, afferma esplicitamente Popper, non è qualcosa di più di un mero status ipotetico! Schematicamente, si parte da un problema, da un punto di domanda (P1), si formula un’ipotesi o congettura, un tentativo cioè di teoria (tentative theory, TT), poi si cerca di attaccarla, combatterla, con tutte le forze a disposizione, procedendo in tentativi di eleminazione critica dell’errore (EEerror elimination); nell’ambito della falsificazione nascerà il nuovo problema (P2). In termini più espliciti, Popper pensava che, seguendo il modus tollens, capace di falsificare un’ipotesi di partenza all’interno del mondo pulito e asettico della logica, con un po’ di fortuna, ma anche con sagacia, buon senso, intuizione per immedesimazione ed empatia (Einfhunlung), operando una critica stringente delle teorie e dei tentativi, nostri e degli altri, si potesse indovinare il mondo, audaci tanto da far violenza al senso umano e del tempo, come ben insegna Galileo, e favorendo, curiosi e disponibili, la critica dall’esterno, Popper riteneva, si potesse anche vagliare il mondo delle apparenze e delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, per dirla con Platone(4)  (mito raccontato nella Repubblica), sondarle e talora oltrepassarle, calando in profondità il nostro sguardo, dove, Democrito insegna, si situerebbe la “verità” (aumento della verosimiglianza  popperiana, progresso, nel senso che a parità di contenuto di falsità, quello di verità aumenta).

Riassumendo, “imbracciando” il modus tollens come un’arma, anche se letale solamente in un altro mondo (quello della logica), sarà necessario sottoporre a stringenti critiche anche i processi sperimentali prima di poter criticare aspramente le teorie, senza esclusione di colpi in ambo i campi, utilizzando ogni escamotage (la fortuna, la sagacia, il buon senso, l’immedesimazione empatica…), fidando sulle capacità di indovinare il mondo degli audaci e dei poeti (oì mythietài, quelli del mito, i ribelli di Erodoto), tanto da far violenza talora al senso umano e del tempo (contro le sensate esperienze!), come suggerisce Galileo. Un processo senza requie, ma l’arma logica, non così efficace, a lungo andare darebbe  risultati (ragione o speranza?). Qualche sprazzo di luce al di là delle ombre sulla parete della nostra caverna della conoscenza, come accennato.

A tutti i livelli e in tutti gli ambiti, come si vede, esiste una scaletta delle incertezze. Incertezze sulle teorie sui processi sui protocolli . In quest’ultimo ambito però si annida un possibile “punto fermo”, l’errore. Riconoscerlo è un vantaggio per la conoscenza, amarlo e curarlo è un apprendistato efficiente e forse anche efficace per il futuro, saperlo calcolare rende l’operazione quantitativa densa di significati nuovi, quasi divini. Ci dice che, se tutto il precedente è “indovinato”, nel suo intervallo i pensieri sono degni di essere considerati e quindi degni di rispetto (livello conoscitivo di corroborazione) e, fuori del suo intervallo, si toccherà, qualsiasi cosa voglia significare, il “reale” (livello conoscitivo di falsificazione). Non è tanto, ma è tutto quello che gli umani possono riuscire a realizzare. Agli dèi l’altro! (8)

Come si vede un esperimento da solo non è capace di sfidare una teoria anche isolata, costituita da una sola proposizione; c’è bisogno sempre di istinto metafisico ed estro artistico. Scientifiche comunque saranno quelle teorie per le quali è possibile sapere in anticipo quali asserzioni sperimentali vengano proibite (criterio di demarcazione di Popper), oggetto di continua ed assidua ricerca, perchè rappresentano, se esistenti nell’Universo, l’errore della teoria. La discussione accalorata, l’argomentazione critica (“il discorso”) proposte da Popper, come già accennato, non avevano da fondare niente, anche se si situavano in un contesto logico di falsificazione(5). Popper, come già accennato, era infatti perfettamente consapevole della teoricità implicita nel processo sperimentale, che avrebbe ostacolato la falsificazione diretta, e della complessità ipotetica delle teorie, per cui 1) teorie non falsificabili, non scientifiche per il suo criterio di demarcazione, potevano diventarlo in futuro; 2) teorie falsificate, da buttare, potevano risultare ancora utili da tenere di scorta per eventuali nuove potenti idee ed ipotesi di soluzione di nuovi problemi; 3) era necessario discernere fra ipotesi rilevanti e non nella fase H, come risposta al dogmatismo olistico di Duhem-Quine(6), da parte della mens esperta del ricercatore in empatia con la sua ricerca. Niente di certo quindi; un processo sporco che ha come unica giustificazione l’uso della proposizione logica: [(H-> Q)U(non-Q)]-> non-H, che funziona perfettamente solo nel mondo appunto della logica! Alla fine tutte le teorie così costruite, sottoposte a tutte le sfide possibili, falsificate o corroborate, anche con processi extra-logici (sagacia, intuizione, fortuna), è quanto di meglio nel campo del razionale riusciamo ad ottenere. Esse, insieme a tutte le argomentazioni critiche, vengono a costituire il Terzo Mondo, che, per la sua complessità, sviluppa emergenze, incastri da soddisfare in un dato modo, guidando autonomamente il “progresso” della conoscenza ( sempre però in interazione con il Primo Mondo degli oggetti materiali e col Secondo Mondo della psicologia, per loro natura a scarso contenuto logico). La conoscenza procede a tentoni mettendo sotto seria critica la conoscenza precedente, sia quella innata, ma non nel senso ottimistico dell’anamnesis platonica (7), sia quella fornita dalla tradizione, che viene così modificata, eliminando gli errori se vengono incontrati. Un processo che non avrà mai fine, perchè infinita rimarrà sempre la nostra ignoranza. Si tratta di logica o di speranza? Di ragione o religione? Si tratta in effetti di un metodo logico alla ricerca dell’errore nei nostri pensieri, calato cioè nell’ambiente dei fenomeni dove i percorsi non sono così determinati, dove si moltiplicano le possibilità e le soluzioni, dove le previsioni si perdono spesso in vortici, per cui può stare anche nell’errore la verità. L’oscurità, la confusione, l’incoerenza e la contraddizione saranno solo indizi di errore. Mettiamo pure da parte le teorie falsificate su questi indizi, ma ricordiamo che l’indizio non significa certezza! Teniamole ancora e difendiamole con forza, forse sta proprio in questo il progresso. Progresso in che cosa? “Nel portare la pace o nel rendere le persone più capaci di amare? Neanche per sogno!”. Progresso “nel trovare leggi generali che a loro volta hanno portato ad individuare tecnologie interessanti”. Interessanti in che senso? Le Grandi Menti del nostro tempo seguono sempre di più il percorso del denaro, che spesso significa ricerca militare!

Abbiamo voluto accennare anche ad alcune battute di Feyerabend, per focalizzare l’attenzione del lettore sulla drammatica spaccatura fra natura e sentimenti, fra mondo delle idee e mondo delle fedi, interland scosceso dove tenta di insinuarsi timidamente anche il nostro Blog!

“Da principio gli dèi non hanno rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo, se cercheremo troveremo e impareremo a conoscere meglio” (Senofane, VI secolo a.C.n., B 18).

“Ma la verità (epistème) nessun uomo la conosce mai: nè sugli dèi nè delle cose di cui parlo. Ed anche se per caso dovesse pronunciare la verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe; perché tutto è tentativo di indovinare (dòxa)” (Senofane, B 34).

(Dott. Piero Pistoia & M.a Gabriella Scarciglia)

BIBLIOGRAFIA E NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q       H      Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della fallacia nell’affermare il conseguente, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se H implica Q1,Q2…Qn è vera,
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H implica Qi) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro risulta che Qi è falso
————————————————————-
H è logicamente falsa

2 – “[…] quando scorriamo i libri di una biblioteca, […] che cosa dobbiamo distruggere? Se ci viene alle mani qualche volume, per esempio di teologia o di metafisica scolastica domandiamoci: contiene qualche ragionamento astratto sulle quantità e sui numeri? No. Contiene qualche ragionamento sperimentale? No. E allora gettiamolo nel fuoco, perchè non contiene che sofisticherie ed inganni!” (Hume, Ricerche sull’intelletto umano, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957).

3 – “Nè posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l ‘ hanno ricevuta e l’hannostimata vera (Teoria Elicentrica) ed hanno con la vivacità dell’intelletto fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario” (G. Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, 3a giornata).

4- In una grande caverna vi sono prigionieri incatenati fin dall’infanzia in maniera tale da essere costretti la parete di fondo. Alle spalle dei prigionieri è acceso un enorme fuoco e fra il fuoco ed i prigionieri, nella direzione a 90°  alla linea della loro visione , si articola un sentiero lungo il quale dei personaggi alzano davanti al fuoco forme-sagome dei vari oggetti del mondo fisico, animali, piante e persone, che proiettano le loro ombre sulla parete di fondo, osservata continuamente dai prigionieri. (vedere figura). Se i personaggi parlano, le parole rimbombano dando l’impressione ai prigionieri che provengano dalle ombre. Tali ombre costituirebbero il solo mondo conoscibile nell’immediato. All’esterno della caverna brilla la luce del sole, che rappresenta l’idea del Bene, forse come una divinità creativa e indipendente, Chi riesce a liberarsi risale con difficoltà (abbagliato dal fuoco) traballando procede dubbioso verso l’uscita fino ad incontrare la luce del sole molto più intensa. Abituatosi alla situazione, dapprima distingue le ombre dei personaggi, e le loro immagini riflesse nell’acqua, per passare col tempo a sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi ( entra nell’intelligibile) e di notte volgere lo sguardo alle stelle e alla luna (mondo della pura intellezione). Infine sarebbe capace di scorgere la presenza del sole (idea del Bene) e capirebbe che esso è il responsabile di tutte le cose del mondo (si tratta della faticosa salita del filosofo verso la vera conoscenza). Resosi conto della situazione vorrebbe tornare a liberare i compagni (filosofo che prova ad educare gli altri uomini), scendere cioè dalla luce al buio in un travaglio inverso simmetrico, che crea però sospetto da parte dei prigionieri, per cui si oppongono drammaticamente alla liberazione. L’allegoria tratta del percorso drammatico  del filosofo attraverso il processo di conoscenza della verità delle cose, in particolare quello che il filosofo Socrate dovette subire nel risalire la strada verso la verità (epistème). Venne poi ucciso per aver tentato di portarla agli uomini incatenati al mondo dell’opinione (doxa)

5 – E’ interessante notare che fin dal tempo dei Greci esistevano tre tipi di argomentazione: la dimostrazione (simile ai teoremi di geometria); l’argomentazione dialettica (opinioni di scienziati e non a confronto); l’argomentazione retorica che cerca di far passare opinioni indipendentemente dalla loro verità o falsità (come nelle relazioni pubbliche e nei discorsi politici e di propaganda).

6 – L’implicazione si trasforma in: H U (h1,h2,…h1…hn) → Q, dove le h1 riassumono la nostra conoscenza nella sua globalità

7 – Anamnesi significa reminescenza, risveglio della memoria, attivata dalla percezione degli oggetti sensibili. Numeri e forme geometriche non esistono nella Realtà per cui di essi non si può avere conoscenza tramite la percezione empirica, ma solo attraverso l’anamnesi (di qui la parola “ottimismo” ad essa associata) che permette all’anima di scoprire le “verità” che sono presenti in lei.

(8) Rimandiamo al post, firmato dagli autori, dove si fornisce un metodo di calcolo dell’errore su grandezze derivate assistito dal computer in Qbasic.

(Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1999, II)

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA

IPERBOLI SU  NATURA  COMUNICAZIONE-CULTURALE  POESIA

a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perchè riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perchè conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perchè il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perchè funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anzichè all’esterno, perchè da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilita personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Dott. Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988

 

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”: i sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale; a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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Testo rivisitato da ‘Il Sillabario’ n.  3 1995

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”
I sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale
A cura del Dott. Piero Pistoia 

RIASSUNTO

Una critica affilata su fatti e processi nell’acquisizione di conoscenza ha condotto al mondo delle “narrazioni”,  dove le varie “tradizioni” devono  essere rispettate in quanto tutte essenziali, e ha soffiato ossigeno su un  vivere sociale reso asfittico dall’unica tradizione razionale.

……………………………………………………………………………………………

Nelle sue linee essenziali,  analizzeremo, insieme ad altro,  il processo  d’acquisizione di conoscenza con l’accademico Pera [1]. Fino a qualche tempo fa – e ancora oggi nella maggior parte degli ambienti culturali e didattici di ogni tipo e a qualsiasi livello (escludendo gli specialisti) – eravamo sicuri che l’episteme (la scienza) permettesse l’osservazione al di sopra e al di fuori (epi-stànai) del mondo, secondo convinzioni certe le cui radici si perdono lontane nel profondo della Grecia antica. Lo schema essenzialmente razionale, che riassume questa convinzione, considera due poli in interazione più o meno intensa connotata storicamente: da una parte l’osservatore o ciò che l’osservatore produce (l’ipotesi H) e dall’altra la natura indagata o i dati D che essa in qualche modo fornisce. Una serie di processi operativi, talora ritualizzati (metodi scientifici), “interposti” fra i due poli a guisa di interfaccia, avrebbero dovuto garantire il trasferimento cognitivo, cioè i metodi assiomatici, induttivi, ipotetico-deduttivi…

Ma una attenta riflessione critica sui meccanismi in gioco in queste interazioni a due termini, ancora ben lontana dai normali canali di comunicazione culturale – es., dal senso comune, ma anche dall’attività didattica e altro (si pensi alle argomentazione manichee di certi politici e sindacalisti, di certi storici, di avvocati, magistrati e giudici ..) – ha fortemente indebolito, in questi ultimi anni, le sicurezze, e introdotto in ogni passaggio, nei meandri della relazione H-D, come azione sui metodi e nell’esplicitazione di D, come azione sui protocolli, elementi soggettivi che sembrano ineliminabili alla ragione. Guai per chi rimane intrappolato nelle maglie dei  cicli perversi del sillogismo strumentale [5], cioè il linguaggio della scienza, delle leggi e dei codici, ma anche della malevolenza e della calunnia! “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini”, recita un saggio e antico detto Sioux. Questo sillogismo non è conforme neppure al falsificazionismo popperiano, che, pur indebolito, poteva rappresentare, per la libertà, la giustizia e la democrazia, una conquista non trascurabile in campo legale, sociale ed umano!

Così, per quanto riguarda il rapporto H-D, nessun processo induttivo [1], sostenuto dalla logica, può portare da D ad H (Popper), nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da D, senza interventi del soggetto, nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il modus tollens popperiano, [(H -> D) U non-D] -> non-H, permette la falsificazione univoca (Duhem) [2], data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non si sa cos’è che viene in effetti falsificato) ecc.. (1)

Per quanto riguarda poi il versante dei dati, la sicurezza di D, il cosiddetto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso funzionamento dello strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso D non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili [2] possono essere sostenute dallo stesso D (Quine): svariati percorsi razionali “fanno attrito” con il mondo!

A sostegno di questa breve sintesi sulla debolezza razionale dei processi di acquisizione di conoscenza, costruiti su due termini e riferiti alla scienza, riporto di seguito una carrellata di illuminanti passaggi individuati sempre dal docente M. Pera [3], che, a colpi di flasch, colgono le posizioni attualmente rilevanti sull’argomento. Si riscopre così l’ affermazione nietzscheana che “i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni” tradotto poi da Nerida in “non c’è fuori-testo”, da Hanson in “hypotheses facta fingunt”  o in “i fatti sono teorie di piccola taglia” (Goodman); “i fatti sono socialmente costruiti” (Latour); “ogni teoria possiede la sua esperienza” (Feyerabend); “i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi diversi” (Kuhn); “entro quadri concettuali diversi le stesse esperienze prendono la forma di fatti e prove diverse” (Polanyi).

E’ interessante notare come in molti scritti di autori di diverse discipline si rinviene spesso un percorso culturale analogo. Si veda per esempio lo sviluppo del pensiero dello psicologo e pedagogista J. Bruner: dal Cognitivismo “duro” degli anni ’60 (“Verso una teoria dell’istruzione”, Armando), attraverso “Saggi per la mano sinistra” e “Significato dell’educazione” (Armando), dove si afferma anche che differenti culture “vedono” il mondo con occhi differenti, si giunge a “La mente a più dimensioni” (Laterza) e infine a “La ricerca del significato” (Bollati Boringhieri), con riferimenti pedagogici alla co-educazione, interazione motivazione extra-cognitiva dell’apprendimento, ponendo più volte l’accento sulla valenza psicologica e pedagogica delle narrazioni.

Anche con interazioni a più poli (più teorie contro l’empirico) la conoscenza rimarrà inevitabilmente e tragicamente infondata. Ad analoghe conclusioni si arriverebbe se considerassimo come poli in interazione l’Io (osservatore) e la Natura. A differenza del discorso analitico su H e D, l’interazione Io-Natura rimanda a riflessioni su filosofie orientali e/o alla scoperta, nelle pieghe del rapporto, di confini-frattali senza possibilità di uscire fuori dal ciclo vizioso: Io-Natura-Io [4].

E’ da notare come questa esplosione ramificata di posizioni critiche abbia avuto come sorgente la revisione della struttura categoriale kantiana delle forme a priori. In particolare si pensi alla rivoluzione mentale scatenata dopo l’invalidazione del “sintetico a priori” kantiano, e la percezione che la geometria euclidea non era l’ unica geometria possibile del mondo.

Questa posizione nata all’interno di una meta-riflessione da parte delle stesse scienze umane, viene stranamente avvallata dalle ultime argomentazioni nate all’interno della scienza stessa.

Se l’Universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrebbe provocare soluzioni impreviste e imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico [5].

Una esatta prevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperti dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora onde elettromagnetiche di energia inferiore alle soglie del misurabile potrebbero produrre ugualmente effetti vistosi. Così il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice e addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perchè come affermava Vico (Verum Ipsum Factum), abbiamo “inventato” leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi, estremamente ammaestrati nel tempo e nello spazio, della realtà, funzionasse, cioè fosse “vero” per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso e disordinato.

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili  con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva e interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva, come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva “leggere” le influenze del cielo sulla vita) voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al “semplice”, cioè la maggior parte del mondo (ci sono molte più nubi, alberi e cose simili che cristalli nel cosmo), che poteva venir colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico [6] che quasi mai ripiegava sull’esperimento, e che usava invece il teorema e il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare del mistico-magico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo mare non se ne può parlare (indicibile), usando i linguaggi della ragione (primo Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà “lì fuori” (secondo Wittgenstein), anticipando le posizioni drammatiche attuali. E’ vero che gli elettroni esistono ed hanno carica negativa? Li abbiamo “individuati” con i nostri criteri, con i nostri requisiti etici, le nostre esigenze estetiche, nell’ambito del nostro linguaggio, proprio come i Greci antichi “individuarono” Afrodite!  E’ vero (Vico): esistono ed hanno carica negativa; però solo nel nostro mondo linguistico e culturale, dove il consenso rinforzato è l’unica condizione di verità, come lo fu per Afrodite.

E così il Progresso (meglio la parola più neutrale Modificazione ambientale) – cioè la capacità di sezionare e guarire i corpi aumentando la speranza di vita, di scoprire dietro pieghe spazio-temporali le particelle più strane che o prima o poi potrebbero servire per trasferirci ancora più energia a nostro uso e consumo ormai esponenziali (qualità e speranza di vita) ecc. – è tale solo rispetto ai nostri criteri manipolativi, operativi e tecnologici e ai valori su cui questi si fondano e quindi, in ultima analisi, ai nostri valori etici, politici ed estetici. Questi criteri sorti all’interno del nostro mondo, potranno garantirci al massimo questo nostro mondo, non “il Mondo” [3] ! In società “fredde” i valori sono altri e gli obiettivi si spostano, con l’importanza e la densità dei nessi, al fuori dell’io, nei loro cieli chiusi.

Quando i fatti, le prove, l’esperienza scientifica “costruita” in laboratorio, in base a precisi presupposti (esperimento), non sono più termini di confronto neutrali e la stessa falsificazione fallisce non riuscendo ad individuare ciò che di fatto viene negato, si perdono i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, metafisica, religione, magia s.l.). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove.

Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (trappola di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. Accettare una teoria scientifica invece di un’altra, allo stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte, magia s.l. sono tutte favole  che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico e il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi e il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece di 35, non significa un bene in assoluto!). Guarda caso, come abbiamo già accennato, il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso!

Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io (non l’io singolo) più evoluto, consapevole e vigoroso, a fronte di una mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’universo. In ognuno di questi mondi, senza onde nè codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli a quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli uomini, quando i greci credevano negli dei! Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente,  spinge fino ai limiti dell’universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri il fragile meccanismo proprio dèi mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi, divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi e altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel regno dell'”empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

Non è allora fuori luogo la ricerca di modi alternativi [4] alla scienza nel cogliere il mondo, sui quali da secoli la nostra cultura non ha mai investito seriamente, limitandosi invece a criticare, punire e uccidere. Parlo della magia, della esperienza religiosa e mistica (esiste davvero il miracolo?), dell’esperienza empatica con l’oggetto osservato (filosofie orientali) ed è da sperare che funzionino in qualche modo al di là delle semplici “narrazioni” della scienza ufficiale!

Non è trascurabile, per terminare, il fatto che, dalle nostre parti, la tradizione dominante per eccellenza, quella razionale, sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata, dove tutto sia previsto e ogni azione vagliata e se non conforme punita, secondo una interna giustizia. Si tratta del virus della violenza della “società dell’organizzazione totale”, permessa da tutte le culture che si proclamano uniche e che, alla ricerca dell’essenza, eliminano continuamente il “caduco”; società che, come afferma G. Vattimo, sembrano essere legate a tutti gli essenzialismi metafisici, quelli più immediati del passato e quelli nascosti anche nelle pieghe del pensiero scientifico. Non c’è “una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” [6].

Lo stesso Caos Deterministico ci insegna che l’Universo è colmo di informazioni molto di più di quello che si credeva e tutte essenziali (di qui l’estrema difficoltà nel predire)!

Invece fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o qualche volta di calpestare un’aiuola o fare una fotocopia in più di un articolo. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere solo pochissimi sentieri e il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. Se a questo aggiungiamo che sta perdendo legami anche con i suoi simili e si sente solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, psichiatri, fattucchiere, preti di diverse religioni e pranoterapisti, pronti, a pagamento, ad ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzioneranno (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società  del cemento e del lungo tempo di vita, di banche e profitto e di ragionieri!

(Dott. Piero Pistoia)

Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1995, VII

BIBLIOGRAFIA E NOTE

[1] M. PERA “Induzione e metodo scientifico”, Editrice Tecnico Scientifica,1978.

[2] A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976.

[3] M. PERA “Il Mondo la Scienza e Noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

[4] P. PISTOIA “La Teoria, la Realtà ed i limiti della conoscenza” (in questo blog).

[5] E. BENCIVENGA “Oltre la Tolleranza”, Feltrinelli, 1992.

P. PISTOIA “Frattali, Logica e senso comune: considerazioni iperboliche” (in questo blog).

[6] A. KOYRE’ “Galileo e Platone” in “Le radici del pensiero scientifico”,  Feltrinelli, 1977.

[7] G. VATTIMO “La società trasparente”, Garzanti, 1989.

NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q     H        Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-
H è falsa

LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA: considerazioni provocatorie a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

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LA TEORIA, LA REALTA’ E I LIMITI DELLA CONOSCENZA
Considerazioni provocatorie
a cura del Dott. Piero Pistoia (vers. rivisitata)

Le Teorie scientifiche sono nostre invenzioni e, talora, procedendo, come afferma Galileo (1), “contro le sensate esperienze” e “facendo violenza al senso”,  sono così audaci da ‘scontrarsi’ con la Realtà;  e’ appunto da questo “scontro”  veniamo a conoscere che il Reale esiste (2). Questa posizione (3) considera errata la concezione secondo cui le teorie scientifiche debbono essere fondate su ciò che di fatto osserviamo, cioè sui dati forniti dal Reale, o perché riconducibili a puro compendio e organizzazione di essi (Circolo di Vienna) o perché conformate da  proposizioni molecolari teoriche, scomponibili in atomi linguistici immediatamente rapportati ai dati immediati dell’esperienza (Wittgenstein).

La Teoria non è riducibile ad asserzioni protocollari (dice molto di più di quanto possiamo sottoporre a controllo), per cui l’empirico non è più sorgente di significati per essa, serve solo, attraverso la logica del modus tollens (vedere dopo), a ricercarne, continuamente e senza fine, la falsificazione.

La Teoria così non è costruita a partire dai dati secondo processi di generalizzazione riassunti dal concetto di Induzione, che, sfuggendo a qualsiasi dimostrazione logica, ha la propria origine nella neuro-fisiologia animale  e serve  solo alla costruzione di una classe di convincimenti psicologici (certezze, ma non verità).

Essa non potrà mai essere “verificata” dai fatti, perché il procedimento (fallacia dell’affermare il conseguente): “se H implica S e S è vero, allora H è vera”, non è un procedimento logico fino in fondo.

La Teoria potrà invece essere falsificata dai fatti tramite il procedimento deduttivamente valido (modus tollens): “H implica S e S è falso, allora H è falsa” (4).

Se poi nell’analizzare la zona di “scontro” (falsificazione) rinveniamo ancora processi a logica debole come l’Induzione, ovvero, data la complessità teorica degli oggetti in gioco (5), rimane oscuro e indeterminato ciò che viene falsificato, allora le teorie rimarranno semplici invenzioni della mente, convenzioni sostenute ora da paradigmi a forte permeabilità sociale (Kuhn), ora dai successi dei Programmi di Ricerca (Lakatos).

Ma allora il sostegno delle Teorie scientifiche non è più qualcosa di solido e oggettivo: prende il sopravvento l’aspetto convenzionale, arbitrario, propagandistico e strumentale, nel senso che esse diventano solo efficienti strumenti per la modifica più radicale dell’ambiente (teorico e fisico) a favore di una sopravvivenza (culturale e fisica) ad oltranza degli umani. Le teorie diventano convenzioni arbitrarie semplici ed efficaci, funzionali ai fatti, anche se non funzione dei fatti.

Si indebolisce così, in termini di principio, la distinzione da altre attività della mente umana con gli stessi obbiettivi (6) come le teorie del senso comune e del buon senso, il mito e la magia, la fede e il misticismo…(Epistemologia Anarchica).

La teoria scientifica diventa un’invenzione che non costruisce mappe del Reale, ma vi inventa sentieri e vi disegna “di brutto” depressioni e rilievi, aprendosi la strada man mano che procede. Il poeta Antonio Machado (7), in grande poesia, esprime questa azione conoscitiva umana:

Viandante, son le tue orme la via ,
e nulla più;
viandante non c’è via,
la via si fa coll’andare.
Con l’andare si fa la via
e nel voltare indietro la vista
si vede il sentiero che mai
si tornerà a calcare.
Viandante, non c’à via
ma scie sul mare.

Già Kant aveva affermato che “l’intelletto non attinge le sue leggi dalla Natura ma le prescrive (quaestio iuris) ad essa” (8) e altrove (9) che “l’Intelletto vede solo ciò che esso stesso produce secondo il suo disegno”.

Ciò che ne emerge è una topografia nuova di zecca, inventata e costruita dall’Uomo per L’Uomo ed è questo il suo Universo, “vero”, perché funziona, è adatto ed adeguato (l’inglese fitting, o il passen tedesco).

Verum ipsum factum, aveva detto Vico molto tempo prima: ciò che l’Uomo “crea” con le sue mani è “vero” per l’uomo, cioè funziona nell’ambiente in cui l’uomo opera, permettendo di modificare tale ambiente fenomenico esterno e interno ai propri fini.

Allora non è dell’Uomo la conoscenza assoluta del Reale, visto come una congerie di infinite possibilità razionali e irrazionali di stati di un “qualcosa”, dove neppure il prima e il dopo, il sinistro e il destro, il sopra e il sotto corrisponderanno all’esperienza umana (Noumeno kantiano).

Nessuna concordanza o corrispondenza di immagine (match e in tedesco stimmen) quindi fra conoscenza e realtà, a differenza delle concezioni tradizionali e della Psicologia Cognitiva, sostiene con forza il Costruttivismo radicale  (10).

Forse siamo davvero chiusi in un “trappola per mosche”, costituita da una bottiglia la cui sommità è un imbuto rovesciato.  Dall’interno l’unica apertura appare alla mosca come la soluzione meno probabile e la più irta di ostacoli e da essa distoglie l’attenzione. E’ meno gravoso organizzarsi all’interno della trappola che trovare la via.

Come uscire allora da questa trappola che, metaforicamente, rappresentala nostra inadeguatezza nella soluzione dei problemi conoscitivi? Data la configurazione, le soluzioni andranno cercate nei luoghi più improbabili, fuori dalle credenze comunemente accettate, al di là delle abitudini dipensiero, negando cioè tutto ciò che compone il nostro attuale sistema di riferimento: la soluzione è infatti dove c’è più rischio. Non per niente ci si accorge poi che ogni fatto che sia stato oggetto di rifiuto più astioso e viscerale e limitato dalle repressioni più crudeli, stranamente, possedeva la sconcertante capacità di porre problemi insidiosi, ma che schiudevano nuove vie.

All’interno, quindi, il quadro concettuale appare coerente e privo di contraddizioni: il sistema di credenze, “dentro”, si auto-giustifica continuamente e tutti gli atti (osservazione, giudizio, valutazione…) vengono compiuti dal punto di vista particolare del sistema stesso. Se vogliamo uscire è necessario inventare un nuovo e inusitato sistema di certezze da cui “guardare” la situazione: è allora che riusciamo a individuare improvvisamente l’apertura. Una volta usciti ci troviamo però in un’altra trappola che ingloba la prima  e così via all’infinito: ciò che progredisce è solo l’adeguatezza delle teorie (fitting e non matching) che diventano sempre più funzionali ai nostri fini.

Questa configurazione indeterminata di trappole includenti sarebbe poi la conseguenza di un’ unica trappola inesorabile, cioè l’impossibilità totale della distinzione fra soggetto e oggetto. L’Io stesso è la visione dell’Universo, affermava il premio Nobel per la Fisica Schroedinger. Il confine di separazione fra Io e Universo si perde in frattali indefiniti e la sua ricerca rincorre descrizioni, di descrizioni, di descrizioni…. La poesia di Montale, trascritta di seguito (commentata nel post a più dimensioni in questo blog), sottolinea questa impossibilità di raggiungere tale limite da “dentro” (Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe…) e da “fuori” (Non domandarci la formula che mondi possa aprirti…).

NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Oh l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri e a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula
che mondi possa aprirti, sì qualche
storta sillaba e secca come un ramo,
codesto solo oggi possiamo dirti, ciò
che non siamo, ci che non vogliamo.

Quindi come nell’incisione: “Galleria di Stampe” di Escher (vedere figura), l’Io, in basso, osserva un mondo (nave e fila di case lungo costa),  che si trasforma nel substrato che lo produce (casa d’angolo in alto a destra  dove si apre proprio la galleria dov’è l’Io che guarda). Non esiste alcun luogo da dove uscire (confine): se tentassi di farlo (risalire all’inizio di un mio pensiero o idea) mi troverei nel bel mezzo di un frattale in continua regressione, perdendomi in una infinità di dettagli e interdipendenze (il circolo interminabile che sfuma nello spazio vuoto al centro della figura).

Ma allora il Paradosso non è semplicemente una curiosità intellettuale, ma si nasconde fra le pieghe dello stesso atto conoscitivo: correndo lungo un ramo di iperbole, non è da escludere che, in questi contesti, i due famosi professori in medicina, il Corvo e la Civetta, del libro di Pinocchio, ricordati con maestria e precisione da Collodi, avessero ragione ambedue.

Da questo insieme compenetrato e circolare di Io e Universo è mai possibile “saltar fuori”? L’”ombra”, di cui si parla nella poesia, porta scritto qualche segreto? Sarà forse più facile l’accesso al Reale tramite l’esperienza mistico-religiosa, l’esperienza artistica e quella magica?

Quest’ultime due, profondamente legate al loro sorgere (si pensi ai significati dell’arte Paleolitica nelle grotte di Lascaux), hanno lasciato di tale interazione tracce nell’arte di tutti i tempi (si pensi agli strani cieli a misura d’uomo di Van Gogh), anche se abbiamo perso la consapevolezza di questi profondi significati archetipici.

Già lo stesso B. Russel affermava che “non vi era alcuna ragione definitiva di credere che tutti gli accadimenti naturali avvengano secondo leggi scientifiche” (11). La discontinuità del tempo e dello spazio e la quantizzazione del microcosmo individuavano “zone d’ombra” a regime caotico, per cui “l’apparente regolarità del mondo sarebbe dovuta alla completa assenza di leggi”.

Non è trascurabile il fatto che scienziati e filosofi abbiano mutuato dalla Fenomenologia di Husserl (12) la parola “einfuhlung” (immedesimazione, empatia) per spiegare l’illuminazione che la mente subisce quando “inventa” ipotesi creative sul cosmo.

Il grande logico Ludwig Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-Philosophicus (13) alla proposizione 6.52 scriveva “Noi sentiamo che se tutte le possibili domande della scienza ricevessero una risposta, i problemi della nostra vita non sarebbero neppure sfiorati” e successivamente, alla 6.522, “C’è veramente l’Inesprimibile. Si mostra, è ciò che è mistico”.

Esiste allora un immenso mare del magico e del mistico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo “altro” (mare) non se ne può parlare (1° Wittgenstein), e degli altri infiniti “giochi linguistici” possibili sul mondo (isola), nessuno è plausibile, perché non c’è realtà là fuori“ (2° Wittgenstein). E’ vero: spesso nelle esperienze mistiche e forse magiche, dove per pochi secondi soggetto e oggetto si fondono nella stessa unità primordiale, le descrizioni sono vaghe e soggettive; “il Tao che può essere espresso non  il vero Tao”  (14). Ma, per esempio, nel caso della situazione di Einfuhlung nella ricerca scientifica, mi sembra, che le cose siano leggermente diverse (si pensi all’ipotesi creativa che risolve un problema cruciale del mondo). Se questo fosse vero, forse sarebbe possibile non solo pronunciare qualche “storta sillaba”, ma balbettare qualche parola e sarebbe già qualcosa in termini di principio.

Il presupposto dell’esperienza magico-mistica che fa corrispondere puntualmente la struttura reale del Cosmo a quella della mente umana, permetteva l’accesso ai segreti più nascosti della Natura attraverso la meditazione e la contemplazione sull’Universo.

Si pensi a Giordano Bruno (15), che apriva un canale di comunicazione reversibile fra l’Uomo e Dio, percorribile, dal basso all’alto, tramite l’esperienza magico-mistica e la contemplazione su un Universo infinito (per questo fu bruciato vivo). Per lui la scienza e il copernicanesimo, a differenza di Galileo, che per questo salvò la vita, non erano altro che metafore e gli errori, che nell’interpretazione scientifica di esse commetteva, erano di nessun conto di fronte al potere che pensava di schiudere all’umanità ( la conquista del Vero contro l’apparente).  Lo stesso grande filosofo e mistico Plotino non incoraggiò forse a guardare in se stessi anziché all’esterno, perché da dentro è possibile contemplare il Nous (Spirito-Intelletto), che è divino, nel quale è scritta la struttura profonda dell’Universo?  Si pensi a quello che aveva detto lo stesso Shroedinger.

Dopo millenni e millenni di dibattiti, argomentazioni, teorie, modelli, meditazioni, contemplazioni, immedesimazioni sofferte, miti e religioni è questa l’unica e ultima risposta: che siamo dentro una trappola senza possibilità di uscita? Sarebbe veramente il massimo dell’ironia se l’unica proposizione linguistica che un mistico possa formulare, senza contraddire Lao Tse, fosse che l’Io costruisce un mondo “a propria immagine” più o meno “adeguato”, senza essere consapevole di farlo, poi “sente” questo mondo, “esterno” e indipendente da sè, infine costruisce l’Io stesso a fronte della realtà di quel mondo ritenuto oggettivo, perdendosi in un frattale se scopre il gioco!

Le conseguenze positive che ne derivano sul piano sociale (tolleranza, e pluralismo, responsabilità personale, distacco dalle proprie percezioni e valori a favore di altri…), certamente non bilanciano l’ambito circolare in cui rimane imprigionata la creatività umana.

Infine certe attuali tendenze psicologiche (16) sostengono una dualità interattiva nella conformazione della mente. L’evoluzione del cervello dapprima avrebbe favorito lo sviluppo del lato destro, preposto essenzialmente ad una comunicazione empatica con la Natura, tanto da permettere l’ascolto delle “Voci degli Dei”, mentre il lato sinistro, oggi sede della consapevolezza razionale e della individualità, rimaneva in ombra permettendo comportamenti forse più conformi al vivere in gruppo, con scarsa consapevolezza dell’Io. Successivamente si ha una rivoluzione cerebrale dalla quale emerge e domina l’emisfero sinistro in tutta la sua complessità e potenza, atto alle analisi consapevoli e alle certezze sull’esistenza dell’Io, ove prevale la visione razionale all’atto uditivo di ascoltare gli Dei. Non ne deriva forse che per comunicare col Dio (e quindi cogliere la Verità) è necessario un processo di annullamento dell’Io nel cosmo?

“Non si può negare ciò che non si conosce”, affermano spesso gli Scritti Sacri e “di ciò che non si può parlare si deve tacere” (settima e ultima proposizione del Tractatus), ma forse è un “tacere” che apre altre direttrici di esperienza, in un mondo come l’attuale nel quale si sta riscoprendo la narrazione epica e il mito.

(Piero Pistoia)

BIBLIOGRAFIA

1-Galilei “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” Salani, 1964

2-K. Popper “La logica della scoperta scientifica” Einaudi, 1970

3-O. Tobisco “ La crisi dei fondamenti” Borla, 1984

4-C. Hempel “Filosofia delle scienze naturali” Il Mulino, 1968, pag. 20-21

5-A.V. “Critica e crescita della Conoscenza” Feltrinelli,1976

6-P. Feyerabend “Addio alla Ragione” Armando,1990

7-M. Cerutti “La danza che crea” Feltrinelli,1989

8-I. Kant “Prolegomeni”, Laterza, 1982

9-I. Kant “Critica della Ragione Pura” Laterza, 1966

10-A. V. “La realtà inventata”,  Feltrinelli, 1989, pag.17-35

11-B. Russell “L’analisi della materia” Longanesi,1964, pag. 293-29

12-E. Stein “Il problema dell’empatia” Studium,1984

13-L. Wittgenstein “Tractatus logico-philosophicus” Fratelli Bocca,1954

14-Lao Tse “Tao Te Ching” Adelphi,1980

15-L. S. Lerner et al. “Giordano Bruno” Le Scienze, N.58

16-Jaines “Il crollo della Mente Bicamerale” Adelphi, 1988