INTERVENTO IN COSTRUZIONE….
QUESTI APPUNTI SONO STATI SCRITTI, ENUCLEANDOLI DAI TESTI DI RIFERIMENTO, PER SERVIRE COME SPUNTI DI DISCUSSIONE IN UNA SERIE DI LEZIONI SUL SEICENTO IN UN TRIENNIO DELLA SCUOLA MEDIA SUPERIORE DA SVOLGERSI A PIU’ VOCI (DOCENTI DI FISICA, LETTERATURA, FILOSOFIA E CHIMICA)
OGNI CONCETTO PROPOSTO VERREBBE CHIARITO E AMPLIATO NELLE LEZIONI E NEL SUCCESSIVO DIBATTITO. A cura del dott. Piero Pistoia
INTRODUZIONE
Le grandi idee anticipatrici della rivoluzione scientifica del secolo XVII°
La Rivoluzione Scientifica del secolo XVII°, che segna una rottura profonda col passato dell’umanità ed inaugura l’epoca nella quale noi stessi viviamo, non può essere interpretata correttamente senza un riferimento ai grandi cambiamenti economico-sociali, religiosi, culturali, che, già a partire IV° e V°, ruppero l’orizzonte della società e dell’umanità medioevali, introducendo fermenti potenti e destinati ad operare rivolgimenti sempre più profondi nella vita sociale e nel pensiero.
In sintesi potremmo dire che a livello sociale ciò che emerge sempre più chiaramente è la crisi del vecchio ordinamento feudale e l’affermarsi sulle sue macerie dello stato nazionale e della monarchia assoluta che trovano la loro forza principale nell’alleanza fra il monarca e la borghesia mercantile.
Tutto questo è un processo non lineare, non obbedisce ad un rapporto deterministico fra struttura produttiva e sovrastruttura politico-statuale: ad esempio l’Italia che è un paese la cui base produttiva è tecnologicamente più avanzata e che si pone fra il 1300 e il 1500 all’avanguardia economica, non riesce a costituire una stato moderno e questo rappresenterà un elemento di fragilità che, unitamente alla crisi economica dei secoli seguenti, la porterà ad una fase di decadenza.
Comunque è in Italia che si afferma e dà i suoi frutti più significativi quel profondo rivolgimento culturale che è rappresentato dall’Umanesimo e dal Rinascimento.
A prescindere dai problemi inerenti la distinzione fra i due momenti il contributo complessivo apportato alla cultura umanistico-rinascimentale può identificarsi nei seguenti aspetti:
a) l’affermarsi dell’autonomia del mondo umano rispetto al fondamento religioso come si esprime nel concetto di bellezza assunta quale fine esclusivo dell’operare estetico e del concetto di potere quale fine esclusivo dell’operare politico (Machiavelli);
b) nella riproposta del pensiero antico in tutti i suoi aspetti non più filtrato dai pensatori cristiani, ma ripreso direttamente alle fonti originali; ciò rompe l’unità culturale del Medio Evo e pone le basi per lo sviluppo della libertà di pensiero (si pensi al Pomponazzi e al Valla…); inoltre il neoplatonismo rinascimentale con il discorso sulla magia pone le basi di una filosofia naturalista e accentua d’altra parte il tentativo i ricercare nella Natura stessa le sue leggi attraverso la matematica. Contemporaneamente in Germania esplode la Riforma Protestante ad opera di Martin Lutero e Giovanni Calvino.
Per certi aspetti può sembrare che le teorie teologiche dei riformatori, con il loro ribadire l’assoluta dipendenza del’uomo da Dio, rappresentino un momento di reazione e non i progresso. Tuttavia non è così. La tesi protestante, dal momento che assoggetta con più forza l’uomo al volere di un Dio remoto, di fatto lo svincola, attraverso il concetto di libero esame delle Scritture, dal potere vicino e reale della Chiesa e ne esalta l’autonomia di giudizio e libertà. In più si consideri come la diffusione dell’istruzione elementare conseguente alla necessità di far leggere la Bibbia a tutti i fedeli abbia creato, per così dire’ un terreno diffuso assai più fertile per il sorgere della mentalità scientifica.
Di fronte alla Riforma, la Chiesa cerca di correre ai ripari e di restaurare la tradizione attraverso la Controriforma. La Controriforma e l’invasione spagnola pongono praticamente fine all’esperienza rinascimentale in Italia. Tuttavia lo spirito rinascimentale trova la sua ultima e particolarmente coraggiosa espressione nella filosofia della Natura (Telesio, Bruno e Campanella) che traduce in termini di teoria filosofica lo spirito rinascimentale e rivendica apertamente il valore della libertà di pensiero. Questi uomini pagarono duramente di persona.
IL QUADRO CULTURALE IN CUI I REALIZZO’ LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
All’inizio del seicento la cultura europea era ancora in gran parte legata alla tradizione aristotelica formatasi nel Medio Evo, tradizione che aveva le sue roccaforti nell’insegnamento accademico ed universitario, nonchè nel sostegno che riceveva da parte della Chiesa alla cui teologia la teoria aristotelica, filtrata da Tomismo, faceva supporto.
La visione aristotelica della realtà si caratterizza essenzialmente per i seguenti aspetti
a) Una concezione gerarchica e piramidale dell’Universo, dalla materia bruta, potenza senza forma, alle piante dotate di anima vegetativa, agli animali forniti anche dell’anima sensitiva, all’uomo in cui, accanto a quella vegetativa e sensitiva, esiste anche l’anima razionale, fino alle intelligenze pure e angeliche e a Dio, forma pura, motore immobile, causa incausata;
b) una concezione della scienza che vuole descrivere l’essenza delle cose, non si contenta di capire “come” un certo fenomeno avviene, ma pretende di arrivare al “perché” del fenomeno; strettamente connesso a questo è l’aspetto antropomorfico di molte delle “spiegazioni” fornite dalla scienza aristotelica (i corpi pesanti cadono perché spinti a raggiungere il loro logo ideale, naturale…);
c) la riconferma dell’antinomia primitiva fra un “cielo” ed una “terra”, che dà luogo ad una convinzione secondo cui le leggi scientifiche scoperte per la terra non valgono per il cielo e viceversa;
d) l’incapacità di trovare un aggancio fra teoria ed esperienza, per cui il metodo della scienza aristotelica è il metodo logico-deduttivo, fondato sul sillogismo e sulle altre figure della logica aristotelica stessa.
Proprio quest’ultimo aspetto appare ricco di particolari conseguenze, in quanto spiega il fallimento, o meglio la “non risolutività”, delle critiche speculative portate sia all’aristotelismo nel suo complesso sia a sue particolari dottrine scientifiche da parte di alcun scuole medioevali; in particolare dagli Occamisti.
Agli Occamisti (Occam stesso, Buridano e i loro seguaci continuatori) si deve ad esempio la così detta teoria dell’impeto che spiega il movimento, senza far intervenire intelligenze angeliche motrici delle stelle e dei pianeti, necessarie alla teoria aristotelica, che ammetteva solo il movimento per contatto. Non est moltiplicanda entia praeter necessitatem. Ma la teoria dell’impeto rimase sempre in minoranza nelle Università; per la semplice ragione che essa, risultando metodo metologicamente omologo alla dottrina aristotelica del moto, doveva cedere le armi di fronte a quest’ultima che aveva dalle sue le forze della tradizione.
Un esempio ancor più importante nello stesso senso lo si può trovare nel carattere di disputa senza fine che inizialmente sembrò assumere anche la polemica fra la Teoria Geocentrica Tolemaica inglobata nel “corpus” delle dottrine aristoteliche e la nuova Teoria Eliocentrica formulata da Copernico: solo le prove empiriche trovate da Galileo e le conferme matematiche elaborate da Keplero e poi “spiegate” dalla teoria di Newton, nell’ambito del nuovo metodo sperimentale, sanzioneranno, più tardi, la vittoria senza remissione dell’ipotesi copernicana su quella tolemaica, anche se già nel corso del secolo stesso non mancano le prime intuizioni sulla relatività del movimento e dei punti di vista (Lebnitz).
Questa cultura accademica, chiusa nel castello stregato delle sue certezze, non è tuttavia affatto rappresentativa della cultura degli inizi del seicento nella sua interezza: al di fuori di essa esistono altre realtà culturali.
In primo luogo lo sviluppo dell’artigianato da una parte e dell’ingegneria dall’altra, producono una nuovo cultura in cui, allo stato latente, si ritrovano potenzialità che, poi, la moderna cultura scientifica svilupperà pienamente. Gli artigiani erano sempre esistiti, anche nell’antichità e nel medio Evo: peraltro ora nel XV e XVI secolo l’artigianato assume forme più complesse che, a lungo andare, esigono non solo l’applicazione pratica e la tradizione orale, ma tentativi di sistemazione teorica, di esplicitazione di principi che sono alla base dei vari procedimenti tecnici. Nasce, in questo modo una letteratura artigiana che, sempre più esplicitamente, rivendica in significato del ricorso all’esperienza che produce anche alcune scoperte scientifiche. Le produce però quasi per caso mancandole del tutto un’adeguata consapevolezza metodologica e teorica: insomma la cultura artigiana non trova ali capaci di volare abbastanza in alto e recidere i legami troppo stretti con la pratica.
Paralleli sono gli sviluppi, realizzatisi specialmente nell’Italia rinascimentale, dell’ingegneria e della meccanica e dei quali le figure più rappresentative sono senza dubbio quelle di L. da Vinci, di N. Tartaglia e del fiammingo Stevino. Ciò che è importante nel contributo da ingegneri e architetti è, senza dubbio, l’uso nuovo che essi fanno della matematica: la matematica era concepita dai greci e sulla loro orma dai medioevali come scienza degli enti puri, priva di qualsiasi aggancio con la pratica e la misurazione; gli ingegneri e gli architetti rinascimentali ne fanno, invece, uno strumento pratico e la usano per la prima volta nella misura.
Tuttavia questo nuovo uso della matematica non è sufficiente da solo a configurare il metodo scientifico: lo stesso Leonardo non può in alcun modo considerarsi il fondatore del moderno metodo scientifico.
Vi è poi da considerare una terza componente culturale: la filosofia rinascimentale della Natura (Telesio, Bruno e Campanella). Non riteniamo di doverci soffermare su di essa, malgrado l’importanza della rottura con l’aristotelismo, perché trattandosi di una speculazione essenzialmente metafisica, legata ad un concetto mistico di esperienza, questa filosofia ha un peso marginale nello sviluppo del metodo scientifico.
Le nuove filosofie che sorgono nel seicento rappresentano tutte un tentativo di trovare un nuovo e più efficace rapporto fra la teoria e l’esperienza,fra il mondo dei dotti da una parte e quello degli artigiani e degli ingegneri dall’altra, dal momento che la mentalità ormai cambiata rifiuta di affidarsi alla sola ragione speculativa degli antichi e dei medioevali.
IL SISTEMA FILOSOFICO EMPIRISTA
Una prima elaborazione in questo senso è rappresentato dall’empirismo inglese, che, sorto con Bacone, fu poi continuato da Locke e si risolse, un secolo più tardi, nello scetticismo pragmatico di Hume.
Due sono i postulati fondamentali della concezione empirista. Il primo postulato è rappresentato dalla convinzione che ogni conoscenza derivi dall’esperienza acquistata dalla mente attraverso i sensi secondo la nota formulazione di Locke della “tabula rasa”: in altre parole non esistono che giudizi sintetici a posteriori. Qualsiasi proposizione non direttamente basata su dati dei sensi ha la sua origine o nella memoria o in una certa elaborazione dei dati sensoriali tramite il linguaggio.
Tuttavia l’affermazione del primato dell’esperienza rischierebbe di restare sterile e di far ricadere gli empiristi nella tradizione artigianale e negli errori dell’empirismo greco con la conseguente impossibilità di costruire leggi generali della scienza, se non fosse introdotto un secondo postulato: il Principio di Induzione, grazie al quale si crede di poter generalizzare a partire da casi singoli. Il metodo dell’induzione elaborato da Bacone ha caratteristiche qualitative e in ciò e il segno del suo rapporto esclusivo con la tradizione artigianale, trascurando il rapporto con ingegneri e architetti in direzione della matematica. Esso consiste nella classificazione secondo attributi dei fatti dell’esperienza che permette poi, attraverso la costatazione di aspetti comuni riguardanti l’attributo posseduto, di risalire a proposizioni di carattere generale (leggi di Natura).
Peraltro proprio questo motivo dell’induzione che sembra essere la forza dell’empirismo moderno introduce al suo interno una profonda contraddizione: come sottolinea con forza Hume l’induzione non è mai giustificabile né in termini empirico-sintetici né in termini analitico-razionali. Il problema affacciato da Hume è molto serio : esso ha suggerito a Kant la pseudo-soluzione dell’introduzione dei giudizi sintetici a priori, successivamente ha trovato una parziale soluzione in termini del probabilismo invocato dai neopositivisti moderni; infine si è chiarito nella moderna prospettiva epistemologica proposta da Popper che lo risolve in una nuova versione del metodo scientifico.
CHI VOLESSE SAPERNE DI PIU’ SUL PROCESSO INDUTTIVO VISIONARE ALTRI ARTICOLI DEL BLOG.
GALILEO ED IL SORGERE DEL METODO DELLA SCIENZA FISICA
Se da un a parte il metodo razionale tradizionale che, nonostante partisse (o presumesse di partire) da “princìpi necessari ed evidenti” ed utilizzasse i metodi della logica, portava invece a dispute filosofiche a non finire, senza riuscire a far luce sulle questioni trattate; dall’altra il metodo induttivo-qualitativo baconiano, trascurando l’utilizzazione della matematica, lasciava ancora in notevole indeterminazione il rapporto teoria-fatti, portando a risultati i scarso valore “intersoggettivo”.
In questo contesto Galilei si accorse da una parte che i “princìpi necessari ed evidenti” della tradizione non potevano essere precisati in maniera matematica, per cui si “deduceva” da proposizioni in effetti vaghe e nebbiose, dall’altra rimaneva imprecisato il rapporto fra le esperienze e le ipotesi indotte, per cui, generalmente, più ipotesi, anche in contraddizione, sembravano essere ugualmente accettabili dall’esperienza (Bacone, per es., non riuscì col suo metodo a decidere sui due sistemi del mondo).
D’altro canto, nella soluzione di problemi, anche se ben più circoscritti, sembrava che l’aritmetica, geometria e la statica archimedea fornissero risultati soddisfacenti, anche in rapporto con gli accadimenti naturali. Quindi sembrò a Galileo che le incertezze ed i dubbi nella conoscenza del mondo fossero in qualche modo imputabili al trascurare o comunque ad una utilizzazione errata, nella ricerca delle leggi naturali, del metodo matematico. Già ingegneri ed architetti utilizzavano la matematica nella misura e per ricavare semplicemente leggi empiriche riguardanti certi aspetti della meccanica.
Una prima conseguenza dell’uso della matematica condizionò Galileo verso la precisazione del concetto di esperimento come “fenomeno semplificato”. Il passaggio da esperienza ad esperimento implica una rottura qualitativa di una certa importanza, se si pensa che nel passato il concetto di esperimento scientifico non era conosciuto. Si parlava infatti di osservazione, descrizione dell’osservazione, misurazioni empiriche, ma non di “esperimento”. L’esperimento era un modo inventato da Galileo per interrogare la Natura in maniera che la Sua risposta fosse a) “intellegibile” e b ) il più possibile indipendente dall’uomo stesso. L’esperimento è infatti un intervento attivo, quasi di “costrizione”, sulla Natura del fenomeno perché si realizzino i punti precedenti. Si osserva il fenomeno naturale sul quale influiscono una quantità indefinita di fattori, molti dei quali addirittura sconosciuti: poi si “costruisce” in laboratorio un fenomeno nuovo (secondo particolari accorgimenti suggeriti, per es., dalla precisione degli strumenti a disposizione, per facilitare la misura, come quello di utilizzare un piano inclinato per studiare la caduta libera), sul quale agiranno solo alcuni fattori, appartenenti anche a quello naturale, scelti dallo sperimentatore (la scelta, alquanto arbitraria, è in parte condizionata e da parametri individuati da uno studio precedente e dalla ” domanda” che si vuol porre alla Natura; certamente verranno trascurati come “inessenziali” i fattori sconosciuti). Se vogliamo poi che la Natura ci “risponda” sul carattere di alcuni dei fatti trascurati nel primo esperimento, “inventiamo” un altro fenomeno da “costruire” in laboratorio, ove agiranno i detti fattori e ricaveremo le uniformità che governano questo secondo aspetto del fenomeno naturale. Chiaramente si ammette che sovrapponendo i due risultati si possa rilevare il meccanismo del fenomeno complesso che ha luogo quando non vi sia interferenza da parte dell’uomo. Grazie ad eventi artificiali realizzati negli esperimenti, i fenomeni complessi della Natura vengono analizzati sulla base delle loro parti costitutive.
Mentre le correnti neoplatoniche e neopitagoriche cercano di attribuire numeri ai fenomeni singoli tramite il valore “magico” dei numeri che rappresentavano certi fenomeni per loro “virtù”, per cui studiando la distribuzione dei numeri si potevano ricavare le proprietà dei fenomeni, Galileo riesce a compenetrare esperienza e numero tramite la misura. Così la “domanda” viene posta in termini di relazione matematica ammettendo che “le relazioni che intercorrono fra grandezze naturali, possono essere ricondotte a relazioni fra numeri che rappresentano le loro misure”.
L’uso della matematica limitò anche il campo di indagine sulla natura; infatti Galileo non si rivolse alle “massime questioni” e ai problemi generali riguardanti i “perché” dell’Universo, ma spostò invece l’asse della sua ricerca verso il “come” (non le “cause”, ma le “passioni” del moto). La sua indagine si limitò a studiare una sottoclasse della classe dei moti dell’Universo: il moto dei gravi, giungendo alla soluzione di alcune questioni importanti del moto naturale degli oggetti nei dintorni della terra, inserendole per la prima volta in una teoria scientifica.
Galileo utilizzò il metodo matematico in due forma:
1 – Cercò ipotesi che potessero essere traducibili in simboli matematici e, seguendo e perfezionando il metodo degli ingegneri, tradusse, attraverso l’esperimento e la misura, in matematica le “proposizioni sperimentali, cercando poi dall’ipotesi matematica di partenza di dedurre un’altra confrontabile con quella sperimentale (nel moto di caduta dei gravi propose all’inizio due ipotesi: v=kt v=ks).
2 – Fece della matematica uno strumento che utilizzo come veicolo di “spiegazione” fra teoria e dati in un sistema teorico scientifico. Utilizzò cioè la matematica per spiegare fenomeni nuovi a partire dai postulati della sua teoria, inquadrando le diverse proposizioni sperimentali in un “corpo” di conoscenze organico e coerente. La scienza non deve solo descrivere ma anche spiegare. Galileo in quest’ultimo senso non si limita a trovare la legge, ma costruire una struttura razionale scientifica che permetta di unificare le diverse leggi sperimentali in un unico sistema di “spiegazione”. L’importanza di Galileo è di avere impostato il problema in questo senso, anche se il suo sistema riguardava solo una zona di conoscenza molto limitata; non riuscì, ad es., ad inserire neppure la legge dell’isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo, da lui scoperta, rimanendo così un dato bruto.
L’uso della matematica sembra imposta a Galileo dalla natura: la natura parla il linguaggio matematico, capibile dalla ragione umana (Platonismo galileiano). Oggi ci siamo resi conto che è l’osservatore che impone alla Natura, tramite l’esperimento, di parlare il linguaggio matematico, comprensibile dalla mente umana; questo è un altro modo di esprimere il postulato della “comprensibilità della Natura”.
Le ipotesi, gli assiomi, le definizioni generali non sono ricavati dall’esperienza e solo raramente trovano controllo diretto nell’esperimento: spesso anzi sono lontani dall’esperienza stessa. Basta che le “proposizioni” dedotte matematicamente da tali assiomi abbiamo conferma sperimentale, perché tutto il sistema teorico acquisti significato scientifico. In tal modo la verità o falsità dei postulati è riposta nelle verità o falsità degli “accidenti” da essi edotti. Non ha più significato il problema se essi siano “necessari ed evidenti” anzi Galileo stesso considererà i suoi postulati poco evidenti. In generale Galileo ammetteva tacitamente che i suoi postulati, anche se in ultima analisi fornivano proposizioni conformi a quelle sperimentali, potessero essere scarsamente evidenti, tanto da ammirare “l’eminenza dell’ingegno di quelli che… hanno fatto forza tale ai propri sensi, che abbiano possuto antepor quel che il discorso gli dettava” (il postulato; nella fattispecie, il Sistema Copernicano) ” a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente contrario” Più oltre si meraviglia come sia stato possibile in Aristarco e Copernico che ” la ragion abbia possuto far tanta violenza al senso”, da far loro accettare che la terra e gli altri pianeti girassero intorno al sole. E’ spesso il senso e l’esperienza comune, che controllate dalla cultura media del tempo, impediscono e ostacolano la costruzione orizzontale della struttura della scienza. Sembra addirittura che si plauda ad Aristarco ed a Copernico per aver proceduto “controinduttivamente”; e se è vero che proprio con la dinamica ed il telescopio di Galileo, i dettami del senso vengono a favorire la teoria copernicana, questo nuovo “senso” è “superiore e più eccellente” di quello comune e alla utilizzazione di esso Galileo giunge solo perché con la ragione era riuscito a rifiutare i dettami dell’esperienza comune del suo tempo!
La lontananza delle “proposizioni mentali” dall’esperimento, in apparenza talora contrarie all’esperienza, presentando tuttavia la possibilità del loro controllo, lascia aperta alla scienza la possibilità di superare le costrizioni della tradizione religiosa e di quella filosofica, direttrici lungo le quali operava il “principio di autorità” e per le quali il riferirsi all’esperienza significava, se mai avesse avuto significato far riferimento esclusivo al senso comune. Che cos’è allora che suggerisce i princìpi all’intelletto? Occorre una mente geniale, orientata a lunga riflessione sui problemi in studio (einfunlhung = immedesimazione) ed anche un po’ di fortuna.
Ci domandiamo ora infine a che punto Galileo fosse convinto che il controllo delle ipotesi riposasse solo sui dati empirici, ottenuti da strumenti allora ben poco precisi. Come già accennato, alcuni interpreti dell’opera di galileo a tendenza neo-platonica sostengono che la garanzia della scientificità derivasse a Galileo da fonti diverse dal dato empirico, come la fiducia istintiva nella semplicità e conoscibilità della Natura, nel concetto di simmetria ecc. Se poi la realtà così investigata rappresentasse la “vera” realtà è un problema che Galileo sembra risolvere in maniera positiva, tramite la distinzione fra qualità primarie e secondarie, anche se sembra non sia suo intendimento pronunciarsi sull’essenza metafisica della realtà.
Lo studio di Galileo si rivolge al movimento degli oggetti sottoposti alla forza di gravità nelle vicinanze della terra, siano essi stati in caduta libera o su traiettoria prestabilite o lanciati.
Prima di Galileo, la caduta dei gravi veniva spiegata tramite il sorgere sull’oggetto di una forza dovuta alla “necessità” di giungere al proprio luogo (teoria aristotelica) o al proprio ” affine” (teorie neoplatoniche). La velocità acquisita veniva considerata proporzionale alla forza e inversamente proporzionale alla resistenza: v=kF/fr; e si ammetteva che fr fosse sempre diversa da zero (orror vacui). Qualcuno passò anche al logaritmo, v=klog(F/fr) per render ragione della quiete. Comunque anche il moto uniforme e rettilineo aveva bisogno di una forza. Il lancio dei proietti veniva spiegato come dovuto ad una azione successiva nel tempo dell’ impetus iniziale (teoria dell’impetus) o di una spinta a contatto da tergo dovuta all’aria che si richiudeva (teoria aristotelica del movimento) e della forza di gravità. Nel 500 infatti, per spiegare la natura della traiettoria, alcuni pensarono di far agire contemporaneamente impetus e gravità.
I postulati della teoria di Galileo furono:
1 – la diretta proporzionalità fra velocità all’istante e tempo nella caduta libera dei gravi, ovvero i gravi in caduta libera si muovono di moto uniformemente accelerato;
2 – la velocità acquistata o perduta da un mobile, vincolato a muoversi lungo una traiettoria prestabilita, quando passa da un punto all’altro, è quella stessa che acquisterebbe o perderebbe discendendo o salendo lungo un tratto verticale uguale alla differenza di quota. Su tale postulato si basa l’equivalenza relativa al tipo di moto fra tutti i piani inclinati (compreso il verticale). Da esso si deduce inoltre, in un esperimento teorico, che in assenza di forza il corpo perdurerebbe per sempre di moto circolare uniforme (formulazione errata del suo Principio d’Inerzia). Da quest’ultima affermazione, leggermente modificata, discende chiaramente il principio di Relatività Galileiano, per cui tutti gli oggetti appartenenti ad uno “spazio” che si muova di moto uniforme (rettilineo non precisato) non intervengono fenomeni che possono far capire di essere in movimento. Con ciò si veniva a superare anche la più forte obiezione avanzata dai Tolemaici contro il sistema copernicano (e contro Aristarco da Samo), per cui un corpo lanciato verticalmente in aria, se la terra si muovesse doveva necessariamente ricadere spostato verso occidente.
3 – Principio di interdipendenza dei movimenti simultanei. Galileo spiega la traiettoria non verticale dei gravi come risultante dalla combinazione contemporanea di un moto orizzontale uniforme e di uno uniformemente accelerato verticale.
a) Scarsità dello strumento matematico (che non permise, per es., a galileo di inquadrare e ritrovare a partire dai suoi postulati le legge del pendolo).
b) Eccessiva restrizione dei Princìpi.
Nessun collegamento fra meccanica terrestre e meccanica celeste (impedito probabilmente dalla formulazione errata del suo Principio di Inerzia).
d) Ammissione tacita di uno spazio e tempo assoluti.
Huyghens provvide a ” spiegare” con i postulati di Galileo, i problemi particolari lasciati insoluti. Newton estese i principi, ottenendo una unificazione fra meccanica terrestre e meccanica celeste. L’ultimo punto rimase per secoli e secoli oscuro fino all’avvento della relatività einsteniana.
Infine è da precisare che altre questioni particolari studiate da Galileo non furono mai inquadrate in una teoria scientifica fino al nostro secolo: come per es., quella riguardante l’uguaglianza del periodo del pendolo per oggetti di peso diverso, o, per il II° postulato, il fatto che oggetti diversi cadendo liberamente posseggano la stessa accelerazione (se cadono dalla stessa altezza impiegano lo stesso tempo).
Infine accenniamo al famoso Principio di Continuità di Galileo di grande fecondità scientifica, una specie di metodo mentale che sottende tutto il lavoro scientifico galileiano. Galileo adattava gradualmente i suoi pensieri ai fatti, tenendo fermi questi pensieri fino alle estreme conseguenze. Variava nella mente gradualmente le circostanze di un caso particolare in studio, tenendo ferma nello stesso tempo l’idea già formulata su esso. Un metodo potente ed economico che facilita la comprensione di tutti i fenomeni naturali con fatica intellettuale minima.
LE CORRENTI RAZIONALISTICHE NELLA FILOSOFIA E NELLA SCIENZA DEL 1600
CARTESIO
Il sorgere e l’affermarsi del metodo sperimentale sulla scena culturale del 1600 provoca la crisi definitiva del pensiero metafisico e del razionalismo tradizionale.
Gli enti metafisici, i postulati su cui si basava tutto l’edificio dell’aristotelismo, dimostravano di non aver affatto quel carattere di necessità e di universalità che si erano attribuiti. D’altronde anche il sistema di deduzione dalle “verità” prime di “verità” ulteriori si era imostrato inadeguato con la sua necessità continua di far intervenire enti e principi animistici, dei quali la scienza moderna stava dimostrando l’inutilità (Occam).
In questo contesto sorge dal mondo culturale dotto il grande disegno di fondazione i una metafisica razionalistica che non solo non contrasti con la scienza moderna, ma ne sia sostegno. Iniziatore e artefice i tale tentativo fu Descartes. Questi si pone come l’altra direzione speculare, opposta e complementare, a quella di Bacone Come l’uno aveva ripreso la tradizione artigiana ignorando la matematica, l’altro riprende la tradizione dotta ignorando l’esperienza. Questo impedisce ad entrambi di intravedere il fecondo contatto fra i due mondi trovato da Galileo.
Il procedimento di Descartes consiste nell’eliminare, attraverso il dubbio metodica, tutto quanto nella vecchia metafisica e nel razionalismo tradizionale vi era di superfluo, cercando quei principi primi che, per la loro immediata evidenza alla ragione, avessero carattere di idee chiare e distinte.
La prima di queste idee che secondo Descartes sfugge ad ogni dubbio scettico è l’idea dell’Io: l’Io che dubita e quindi pensa, si pone per lui come evidenza indubitabile. Occorre subito far notare che tale evidenza è solo intuitiva e psicologica, deriva più che altro dalla volontà di autorassicurarsi da un’ansia di stabilità del soggetto stesso, ossia da fattori psicologici non logici. Cartesio ritiene inoltre che all’Io sia presente un’altra verità innata, quella di Dio e tale verità, siccome non può derivare dall’esperienza, deve essere per forza stata messa dalla mente umana da Dio stesso di cui quindi si afferma l’esistenza, come II° postulato del sistema. Ma l’affermazione dell’esistenza di Dio serve a sua volta per fondare la veridicità del mondo esterno a la mente umana, perché altrimenti Dio sarebbe ingannevole, ciò contraddice l’idea di perfezione implicita nel concetto di Dio. Una volta dimostrata l’esistenza del reale e la possibilità di un rapporto positivo fra la mente ed il mondo, Cartesio costruisce una cosmologia centrata tutta su di un rigoroso dualismo, quello fra res cogitas (pensiero) e res estensa (materia), definendo in termini razionali le qualità fondamentali di quest’ultimi: estensione, forma e movimento. E’ importante sottolineare questo aspetto, perché, grazie ad esso, Cartesio è riuscito ad immaginare un universo pieno, in quanto estensione è materia, un universo in cui non c’è più bisogno di una agente antropomorfico, giacché il movimento non ha più bisogno di cause, un universo in cui vengono espulse anche la forza e la massa, in quanto al tempo di Cartesio questi due concetti contenevano troppi residui antropomorfici. Viene fuori così un mondo di natura geometrica, matematica e cinematica, privo della dimensione dinamica, Il grande merito storico di Cartesio, quello che fa di lui l’altro padre della scienza moderna, sta nell’avere per sempre cacciato dalla Natura gli spiriti; la res cogitans è separata radicalmente dall’universo fisico e quindi anche dal suo corpo: tutto ciò che dipende dalla relazione mente-corpo e mente-universo, come le cause secondarie (odore, sapore, colore…) non ha nessun significato per la comprensione della materia da parte del pensiero (fisica meccanicistica). Descartes ritiene così di poter costruire una fisica a carattere completamente razionalista, dedotta logicamente dalle qualità prime della materia e a tale costruzione egli mette in effetti mano edificando una costruzione teorica per più aspetti ingegnosa.
Cartesio partì dal postulato che l’estensione creata da Dio possedesse un movimento rotatorio, in quanto esso era il solo movimento possibile in un universo inteso come totalità. Tale movimento rotatorio porta per attrito a creare vortici interni, generando tre tipi fondamentali di materia: quella costituente il sole e le stelle (particelle piccole di forma sferica, prima materia), quella costituente lo spazio interplanetario (particelle piccole angolose, seconda materia), e quella costituente i pianeti (frammenti pesanti, terza materia). La gravità e quindi la caduta dei gravi ed i moti planetari, che per la prima volta vengono unificati in un unico ordine di fenomeni a differenza di Galileo, vengono spiegati in definitiva entro questo ordine di idee da Huyghens come dovuti allo “sforzo che compie questa materia fluida (seconda materia) per allontanarsi dal centro e disporre nei posti dove abbandona quei corpi che non possono seguire questo movimento” (dimostrazione del secchio ruotante con pezzetti di ceralacca).
Tuttavia questo edificio ha numerosi punti deboli, il principale dei quali è da considerarsi la sua inadeguatezza al progetto iniziale di una fisica completamente dedotta: infatti è facile vedere come nella pratica scientifica Cartesio anziché dedurre logicamente faccia spesse volte ricorso all’esperienza quotidiana attraverso analogie esplicative. D’altro canto il ruolo dell’esperimento nel sistema cartesiano è ridotto solo a strumento di conferma delle idee fornite ed elaborate dalla teoria e non ha insomma potere di falsificazione sistematica. Questo mette la fisica cartesiana più indietro di quella di Galileo che attraverso l’esperimento aveva trovato ben altre rigorosità. A Cartesio in effetti, e questo lo avvicina a Bacone, nonostante l’ostentata esaltazione della matematica, manca un rapporto positivo proprio con questa, quel rapporto che avrebbe fatto della sua teoria una teoria scientifica. In generale Cartesio cercò di inserire in questa struttura esplicativa anche tutti gli altri fenomeni fisici conosciuti. In effetti tale trasformazione fu operata a alcuni grandi continuatori delle teorie cartesiane, come Huyghens, ma a questo punto le teorie cartesiane furono falsificate e progressivamente abbandonate a favore di quella newtoniana.
SEGUE ELENCO DEI TESTI CONSULTATI
ALLEGATO A QUESTI APPUNTI L’AUTORE PREPARO’ ANCHE UNA SERIE DI DOMANDE RELATIVE ALLA MATERIA TRATTATA PER FOCALIZZARE UN PERCORSO
QUESTIONARIO DA UTILIZZARE NELLA PROGRAMMAZIONE DELLA RICERCA E DELLA RIFLESSIONE SULL’EPOCA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
1 – Qual era all’inizio del seicento il problema centrale che verrà che verrà poi affrontato da tutte le nuove filosofie?
2 – Quali furono le tre principali linee culturali che cercarono di risolvere il problema precedente?
3 – Quali furono i due postulati su cui si basava la concezione empirica?
4 – Che cosa si intende per principio di induzione?
5 – L’Empirismo inglese riuscì a riassorbire il dualismo teoria-esperienza, mondo dei dotti- mondo degli artigiani?
6 – Perché Bacone F. non è da considerarsi il fondatore del metodo scientifico moderno?
7 – Quali furono le critiche portate al principio di induzione ed in che modo si tenta di superare, nel corso del tempo, le contraddizioni in esso implicite?
8 – Perché deducendo correttamente dai “Principi necessari ed Evidenti” medioevali non si arrivava a proposizioni capaci di decidere fra le diverse dispute filosofiche?
9 – Quali furono gli avvenimenti che indirizzarono Galileo verso una utilizzazione nuova e più efficiente della matematica nel metodo scientifico?
10 – Quali furono le conseguenze della utilizzazione sistematica della matematica nella ricerca delle leggi della Natura?
11- Nel quadro del superamento del dualismo pensare-operare, teoria -fatti, ipotesi-esperienza, che ruolo ha giocato l’utilizzazione della matematica? (Far riferimento ai Neoplatonici e neopitagorici, agli architetti e ingegneri e a Galileo).
12 – Che cosa si intende per esperimento? Che differenza passa allora fra esperienza ed esperimento? E’ vero che prima di galileo veniva trascurata l’esperienza? Quali furono i motivi per cui l’esperimento prima di Galileo non era conosciuto?
13 – Galileo utilizzò la matematica in due forme; Quali?
14 – Che cosa significa che la scienza oltre a “descrivere” deve anche “spiegare”?
15 – Galileo riuscì a “spiegare” tutto il suo lavoro fisico? Quali leggi “empiriche” trovate da Galileo rimasero allo stadio di “dato bruto”? Perché?
16 – Che significato attribuiva Galileo al fatto che l’uso della matematica “funzionava” nello studio della Natura? Oggi come la pensiamo?
17 – Le ipotesi “sparate” da Galileo erano ricavate dall’esperienza? Trovavano conferma diretta nell’esperienza? I suoi postulati erano “necessari ed evidenti”?
18 – Qual era allora l’unica condizione a cui dovevano sottostare le sue ipotesi perché potessero essere considerate “scientifiche”?
19 – I dati sperimentali che Galileo forniva, avevano il significato di esperienza nel senso comune?
20 – Quale fu il vantaggio di utilizzare “proposizioni mentali” che, lontane da esperienze ed esperimenti, presentassero però il carattere di proposizioni scientifiche, nella costruzione e sviluppo della scienza fisica?
21 -Che cos’è che suggerisce all’intelletto i “principi”, se non l’esperienza? Da dove derivava a Galileo la garanzia della scientificità del suo metodo e la fiducia nei suoi risultati? (da pensare che i dati empirici e gli strumenti usati a quel tempo erano molto poco precisi!). La realtà così investigata era la realtà “oggettiva”?
22 – In cosa consisteva il famoso Principio di Continuità di Galileo.
DOTT. PIERO PISTOIA
(materia)