NOTE DI FILOSOFIA: OLTRE IL MITO DEL DATO, DA CARNAP A QUINE; del docente Andrea Pazzagli

(quattro paragrafi)

Post in via di sviluppo

Per leggere l’articolo scorrere le tre pagine sotto o si può anche cliccare, sotto il riquadro di 3 pagine, sul link: “pazzagli-note- filosofiche-1”

Per integrare alcune notizie e chiarimenti su Quine (a nome di Piero Pistoia ed altri), cliccare dal sito il tag “Quine”

APPUNTI SU STRUMENTI UTILI PER UNA LEZIONE SCOLASTICA EFFICACE PER L’APPRENDIMENTO, di Andrea Pazzagli; a cura di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

(lezioni per preparazione a concorsi)

Un buon insegnamento per un apprendimento efficace e quindi per una ‘costruzione’ di una buona lezione partecipata, richiedono almeno strumenti offerti dallo studio della Pedagogia e della Filosofia.

A TAL FINE OFFRIAMO AL LETTORE GLI SCRITTI IN PIU’ PARTI DI ANDREA PAZZAGLI

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POST DA CONTINUARE……

PARTE PRIMA

(3 paragrafi)

1° PARAGRAFO: La Pedagogia Strutturale nei suoi motivi fondamentali (DEWEY – BRUNER)

Verso la fine degli anni ’50 il mondo culturale e giornalistico fu scosso da accese polemiche. Di fronte agli improvvisi successi spaziali dell’URSS un noto personaggio dell’establischement militare, l’ammiraglio Richover denunciava la presunta decadenza scientifica dell’USA, attribuendola al ruolo grandemente negativo per la formazione intellettuale dei giovani giocato dall’educazione attiva, predicata da John Dewey, e preoccupata solo dell’equilibrio affettivo e del buon adattamento sociale dell’individuo. Poco tempo dopo la pedagogia di Dewey era fatta oggetto, nel libro appunto intitolatao “Dopo Dewey, di un nuovo attacco critico da parte dello psicologo Jerome Bruner. Le argomentazioni di quest’ultimo erano certo fondate su fatti non meno contingenti. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere di quelle su cui aveva fatto leva l’Ammiraglio Richover, ma un punto in comune era costituito dal rimprovero rivolto a Dewey di trascurare l’aspetto intellettuale, l’istruzione in nome dell’adattamento sociale. Anche se egli si cautela con il riconoscimento del grande ‘valore storico’ dell’opera e del pensiero del Dewey, Bruner ne critica radicalmente le concezioni più significative, proponendo una vera e propria svolta pedagogica. Come è noto il primo articolo di fede del ”Credo Deweiano” postula l’educazione come funzione esclusiva dell’adattamento dell’individuo alla società, la struttura grazie alla quale egli riesce a partecipare della cultura del gruppo cui appartiene. Bruner sostiene che tale concezione poteva forse essere valida allorché il Dewey la formulò, ma non lo è certo oggi, nel contesto di una società sollecitata da un tanto più intenso dinamismo e nella quale all’individuo è richiesto di continuo un alto coefficiente di creatività intellettuale: proprio la formazione di un intelletto in grado di rispondere e reagire alla società piuttosto che adattarsi ad essa passivamente dovrebbe, per Bruner, costituire il fine primario dell’educazione nel mondo contemporaneo. D’altra parte Bruner critica il punto di vista sociale della pedagogia deweiana anche da un’altra angolazione che potremmo definire conservatrice: sulla scorta della concezione dell’uomo che si configura oggi, dopo le scoperte di Freud e della psicanalisi che nella natura umana hanno scorto ineliminabili lati oscuri, negativi, sfuggenti al controllo razionale della volontà, Bruner ritiene di non poter condividere l’ottimismo di Dewey circa la possibilità di creare una società migliore per mezzo di una migliore educazione. L’educazione non può più essere dunque nè come l’organo dell’adattamento né come l’organo della trasformazione sociale: essa deve configurarsi come istruzione e fornire l’individuo dei più ampi poteri intellettuali possibili.

Conseguentemente Bruner rifiuta la tesi di Dewey ed in genere della educazione progressiva che tende ad identificare la scuola con la vita, l’esperienza dell’apprendimento con l’esperienza “tout-court”. Per la verità egli non ritorna alle tesi tradizionali della separazione della scuola dalla vita, dà piuttosto al problema una soluzione nuova: per lui la scuola deve ben essere vita, ma un tipo particolare di vita, o se si vuole, momento particolare finalizzato. Si avverte in questa idea l’eco delle suggestioni montessoriane del bambino “mente assorbente”, dell’età evolutiva, e specialmente dell’infanzia, come età dell’apprendere. A questo tema se ne rifà immediatamente un altro: quello dell’interesse. Per Dewey infatti la scuola deve essere vita perché l’interesse ad apprendere nasce solo dai bisogni vitali e in vista della loro soluzione. L’interesse muove, insomma, dalla prassi ed in essa si risolve, pur contribuendo al progredire della prassi stessa verso livelli sempre più alti. Invece per Bruner l’interesse non si lega necessariamente alla prassi né necessariamente in essa si risolve, esiste l’interesse motivato dal bisogno d’apprendere come tale, da una misteriosa “curiosità” insaziabile e senza scopo apparente, un desiderio di sapere disinteressato nella misura in cui non è collegato a problemi pratici, ma tutt’altro che artificioso e innaturale, perché anzi il suo senso affonda nella dimensione più profonda dell’uomo. Bruner ci rivela un altro volto dell’uomo: l’uomo naturalmente cognitivo.

Il nostro percorso peraltro, focalizzato sull’insegnamento delle scienze naturali e della fisica, è giusto si interessi ad altri aspetti emergenti dalla problematica bruneriana: la prospettiva strutturale delle singole discipline.

La pedagogia pre-attivistica insisteva notoriamente in modo esclusivo sulle materie di studio, su contenuti dati e conclusi che la mente dell’allievo dovrebbe semplicemente assimilare: in poche parole essa si curava solo della grammatica e della matematica, trascurando del tutto Gianni. Dewey, e in genere l’attivismo, aveva ribaltato questa impostazione sottolineando l’importanza assolutamente preminente della conoscenza della psicologia dell’allievo: per restare all’esempio di sopra contava Gianni soltanto e si trascuravano la grammatica e la matematica. Bruner, rifacendosi ai risultati da lui raggiunti nel corso di lunghi anni di studio sui processi di apprendimento, perviene ad una nuova formulazione che non è, si badi, la somma delle due precedenti richiamate: non si tratta, infatti, di badare alle materie di studio e, in termini di giustapposizione, alla psicologia del discente, ma di conoscere Gianni in situazione di apprendimento della matematica o della fisica o della grammatica, ciò in quanto il pensiero adotta strategie e diverse strutture che delimitano e specificano le varie materie, i vari campi della conoscenza. Bruner non si schiera affatto a favore di un ritorno al nozionismo tradizionale: anzi egli ribadisce con forza l’esigenza, resa del resto imprescindibile dal moltiplicarsi attuale delle nozioni e dalla loro rapida obsolescenza, di non sovraccaricare la mente del bambino con molta merce di scarto, ma di riversarci poco oro. Quest’oro è costituito dalle così-dette idee madri, dalle strutture portanti di ciascuna materia, che il discente può scoprire solo se, fin dall’inizio, verrà condotto a lavorare mentalmente come lavora lo scienziato di quella determinata branca della scienza: soltanto facendo realmente fisica si apprende la fisica, soltanto procedendo come i matematici la matematica e così come ogni altro ramo del sapere. C’è un’eco, in questa identificazione tra apprendimento e struttura, fra metodo per apprendere una scienza e metodo di quella scienza, dall’idea comeniana dell’”insegnare tutto a tutti”, ma c’è anche, per quanto nel contesto di un discorso diverso e per certi versi opposto, un’assonanza con l’identità didattica e cultura postulata da Gentile e dall’idealismo pedagogico. Conviene ora esplicitare, comunque, le più importanti conseguenze di tale principio: non è tanto un metodo che si deve ricercare quanto una pluralità di metodi che rifletta la pluralità delle strutture e dei procedimenti che caratterizzano e distinguono le varie discipline; nessun programma di studio di una disciplina determinata è formulabile se non con la collaborazione degli scienziati che coltivano la materia oggetto del programma. L’elaborazione di un programma di biologia abbisogna dell’apporto dei biologi, di chimica dei chimici, di antropologia degli antropologi. C’è soprattutto bisogno di sapere che cosa è una scienza, quali sono la sua struttura e il suo metodo caratterizzanti. L’apprendimento della fisica non è un’eccezione: è richiesta preliminarmente una definizione della teoria e del metodo fisico, problema difficile che ha costituito l’oggetto di gran parte delle discussioni di filosofia della scienza in questo secolo, come appunto ci proponiamo di sommariamente ricostruire.

L’altro aspetto di cui pare opportuno ancora accennare è la concezione dell’esperienza in questo secolo, a proposito della quale Bruner insiste, in accordo con molti tra gli orientamenti più significativi della psicologia contemporanea, sul carattere non primario e “selvaggio”dei dati esperienziali, che si presenterebbero, invece, già essi filtrati secondo particolari strutture e schemi percettivi. Concezione che pone, evidentemente, difficili interrogativi a quelle filosofie (com’è il neo-positivismo del Circolo di Vienna) che dell’evidenza sensoriale fanno il loro unico fondamento e delineano, al contrario, una convergenza con tendenze come quella di Popper che assegnano un ruolo autonomo e importante all’ipotesi.

Note bibliografiche:

1 ) J. Bruner, “Dopo Dewey: il processo di apprendimento nelle due culture”, Armando, Roma

2 ) J. Dewey, “Il mio credo pedagogico (antologia di scritti)”, Nuova Italia, Firenze

3 ) J. Bruner, “Verso una teoria dell’istruzione”, Armando, Roma

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N.B.Per leggere altre informazioni su BRUNER di A. Pazzagli, cliccare, in questo blog, sul tag “Percorso di pensiero di Bruner”; per le leggere qualcosa sulla epistemologia di Feyerabend e ancora su Bruner, di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia, cliccare, in questo blog, sul tag “Cose alla ‘rinfusa’ di Bruner e Feyerabend.

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2° PARAGRAFO: Principio di Verificazione e Circolo di Vienna

IL neo-positvismo (o empirismo logico) nasce per iniziativa di un gruppo di scienziati, prevalentemente fisici o matematici, riuniti, all’inizio egli anni ‘2, nel Circolo di Vienna (anche poi, a causa delle leggi raziali, quasi tutti saranno costretti a migrare negli USA). Essi intendono contrapporsi alle filosofie idealiste e irrazionaliste, all’inizio del secolo avevano posto fine all’egemonia del Positivismo Storico; al tempo stesso, però, abbandonarono alcuni aspetti del Positivismo Classico che ne fecero una metafisica mascherata, ispirandosi piuttosto al pensiero di Mach e di Arvenius (1) , Tra i rappresentanti di maggior spicco sono da ricordare Otto Neurath, Rudolph Carnap e Maurito Schlick (quest’ultimo ucciso da uno studente reazionario nel 1932), alle riunioni del Circolo parteciparono per un certo periodo anche Godel, Wittgenstein (le cui tesi, come esposte nel Tractatus, sembravano coincidere con quelle dei positivisti) (2) e Karl Popper, filosofi che in seguito si allontanarono decisamente dagli orientamenti del Circolo. Il neo-positivismo si caratterizza in primo luogo con la sua radicale critica di ogni metafisica. Esistono enunciati, quali quelli della matematica e della logica, che possono essere veri/falsi ma che non dicono nulla sul mondo ed altri enunciati, quelli dell’esperienza empirica, che dicendo qualcosa del mondo, possono essere veri/falsi; gli enunciati della fisica o della teologia, invece, nn sono nè veri nè falsi, semplicemente non hanno senso (3) . Asserire che “l’Essere è uno” o che “Dio esiste” nn è nè vero nè falso, è solo insensato.

Riprendendo un’idea già formulata da Bertran Russel i neo-positivisti pensano i grandi problemi filosofici altro non siano equivoci generati da un uso errato del linguaggio. La scienza a partire dalla fisica che è vista come la scienza per eccellenza, si fonda solo sull’osservazione e sulla successiva formulazione di teorie che possono essere messe alla prova di esperimenti che le verificheranno o falsificheranno, verificando/falsificando gli enunciati empirici da essi estrapolati. L’epistemologia neo-positivista ha dunque il suo principio base nella verificazione ed è esplicitamente verificazionista, Se una teoria viene verificata diventa pietra angolare dell’edificio della scienza che si presenta quindi come una costruzione solida e stabile alla quale si aggiungono sempre nuovo “mattoni”, nuove teorie. Ciò presuppone naturalmente che i neo-positivisti sostengano proprio il principio di induzione, non tenendo conto delle critiche che da esso aveva mosso Hume e che saranno invece alla base degli sviluppi del pensiero di Popper, del suo distacco e, poi, della sua contrapposizione al neo-positivismo.

Note bibliografiche:

  1. Reichenbach ” Nascita della filosofia scientifica” Il Mulino,Bologna.

2. Wittgenstein “Tractatus logicus-philosophicus” Einaudi, Torino

3. Ayer “Linguaggio, verità e logica” Feltrinelli, Milano

3° PARAGRAFO: L’impossibilità induttiva di Karl Popper e il Principio di Falsificazione [fra parentesi quadre appaiono, qua e là, note dell’editore del blog, Piero Pistoia]

L’empirismo classico e, nelle sue orme, il positivismo logico, insistono molto sull’osservazione ponendola a base della stessa scienza come avrebbe del resto fatto lo stesso Galileo (in realtà gli studiosi più recenti del grande pisano ritengono ben più complessa la questione). Conseguentemente quando si chiede di dare più spazio alla scienza nella scuola si ritiene prioritario educare gli alunni allo spirito di osservazione. Karl Popper nell’opera “Logica della scoperta scientifica” che nel 1935 ne segna il distacco dal neo-positivismo, manifesta il suo disaccordo chiedendosi “Osservare…, ma cosa? E perché?” Non si può osservare il mondo nella sua totalità indifferenziata, l’osservazione che pure ci sarà, verrà dopo. Prima sarà necessario individuare un aspetto della realtà che richiami il nostro interesse, che susciti curiosità, insomma cogliere un problema, quindi cercare di risolverlo osservandone attentamente le dinamiche (ecco il momento dell’osservazione) e alla fine formulare l’ipotesi che, successivamente corroborata, darà risposta ai nostri interrogativi. [ Non sarà però ‘verificata’ perché non è ancora certo che il risultato sia vero! come vedremo dopo! Per indicare questa incertezza useremo il verbo corroborare; nota dell’editore del blog]. Il pensiero di Popper, il razionalismo critico, appare quindi più vicino al pragmatismo che non al positivismo logico. Ma Popper non si ferma qui, una teoria scientifica per essere davvero tale deve indicare quali eventi, quali circostanze, potranno corroborarla o al contrario falsificarla. Ne “La società aperta e i suoi nemici” lo scienziato austriaco accusa l’astrologia e la psicanalisi, ma anche il Marxismo di essere pseudo-scienze in quanto mancano di precisare a quali condizioni le loro teorie risulteranno falsificate (lo stesso Popper riconosce che Marx aveva indicato alcune condizioni, ma i suoi seguaci di fronte al loro non verificarsi, hanno modificato le teorie così da renderle “sempre corroborate”, ciò equivale a renderle “sempre false”.

Il punto nodale è, però, un altro: corroborazione e falsificazione sono a-simmetriche [verificazione e falsificazione non lo sarebbero! nota dell’editore], nel senso che se una teoria è stata corroborata non è detto rimanga vera in tempi diversi, la falsificazione non è ancora arrivata, ma potrebbe arrivare. (I cigni che ho visto finora sono bianchi, ma in futuro potrei vedere cigni neri). E’ il principio di induzione che Popper nega decisamente e la scienza è scienza su palafitte, scienza in cui di continuo alcune teorie cessano di essere corroborate, mentre altre lo diventano , ma soltanto momentaneamente. Lo scienziato allora possiede verità temporanee (cioè corroborate) non verità assolute. [Se non riusciamo a falsificare una teoria in nessun modo, Popper dice che essa ha grande “verisimiglianza” ( vedere con il tag: Dario Antiseri), un neologismo, concetto regolativo della verità; così le teorie da secoli accettate si avvicinano sempre più al vero, cioè alla realtà delle cose; il concetto neologico popperiano di “verisimiglianza” così sembra salvi la fisica! nota dell’editore]

Anche l’atteggiamento di Popper verso la metafisica diverge da quello dei neo-positivisti: le teorie dei Pre-socratici, ad esempio, hanno avuto il merito di porre problemi che poi sono stati oggetto della ricerca scientifica, quindi la metafisica non è affatto un residuo inutile.

Il principio di falsificazione acquista valore nell’insegnamento delle scienze. L’epistemologia di Popper offre interessanti suggestioni per il rinnovamento della didattica della fisica e dell’insegnamento scientifico in generale, suggestioni che convergono con le impostazioni avanzate della pedagogia bruneriana accennata all’inizio.

In primo luogo se è vero che le stesse teorie scientifiche non debbono essere corroborate [la verificazione è un concetto regolativo! nota editore], ma falsificate, allora l’immagine della scienza da trasmettere ai discenti non è più quella di un sapere dogmatico e indiscutibile, bensì quella di un sapere che continuamente muta, che si de-costruisce cercando il nuovo piuttosto che ribadire le vecchie certezze. La scienza insomma non è certezza , ma ricerca continua e se, la si trasforma in dogma, non è più autentica scienza. [naturalmente nessuno nega che il mondo della tecnica e della tecnologia, che costruiscono meccanismi fondati sulla scienza, siano sempre più verisimili alla realtà, e, dicevamo, nessuno nega che funzionino, ma solo in una dimensione di spazio-tempo relativo a dove possono o potranno arrivare gli umani! nota editore] Si è detto che Popper, non diversamente dal pragmatismo, fa iniziare il procedimento scientifico dalla scoperta dei problemi. La medesima realtà può essere vista scontata, ovvia, e quindi non problematizzata o al contrario incuriosirci e porci domande per far nascere problemi. Educare alla scienza a fare i primi passi sulla via della scienza, significa quindi educare a vedere problemi e porsi domande. [ es., nei bienni superiori ci rechiamo nei laboratori avendo già individuati e discussi problemi e formulate già ipotesi in classe e così domande da sottoporre agli esperimenti; consapevoli che i risultati che otterremo hanno un intervallo di errore; noi valuteremo i risultati corroborati nell’ambito dell’errore; naturalmente sveleremo ai discenti anche i dati corrispondenti più verisimili riportati nei testi quelli più vicini al vero! nota editore]

Dal problema nascono a loro volta le ipotesi: studiata la situazione, fissatene i termini, si passa alla formulazione di ipotesi, si cerca di rendere consapevoli i discenti che un’ipotesi, per essere davvero tale, deve prevedere sia i fatti che potrebbero corroborarla sia quelli che la falsificherebbero, sottolineando come, in caso venga corroborata, ciò non implica affatto che non possano esserci situazioni impreviste che potranno falsificarla in futuro.

Al di là della comprensione dei concetti fondamentali della disciplina (della fisica come di qualsiasi altra scienza) l’obbiettivo vero dell’insegnamento formativo [diciamo fino al biennio superiore; a differenza della formazione tecnica o tecnologica; nota editore] deve essere la creazione di menti critiche che si pongono punti interrogativi e formulano ipotesi, piuttosto che accontentarsi di dogmi consolidati.

Note bibliografiche:

  1. Popper “Logica della scoperta scientifica” Einaudi, Torino
  2. Popper “La società aperta e i suoi nemici ” Armando, Roma
  3. Popper “La ricerca non ha fine” Armando , Roma

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N.B.

[Per chi volesse guardare da altra prospettiva la teoria “verificazionista” espressa dalla proposizione logica falsa della “fallacia nell’affermare il conseguente [(H->Q) U (Q)->H]” ( falsa è la proposizione: se l’ipotesi H prevede lo stato sperimentale Q e si realizza Q allora è vera H) o la teoria “falsificazionista” espressa dalla proposizione logica vera del “modus tollens [(H->Q) U (non-Q) -> (non-H)]”, cercare in questo blog il tag “Manichei e Iperboli” (autore Piero Pistoia), ovvero della stesso autore, cercare anche il tag “Dalla Scienza alla Narrazione” e “Breve riflessione ed epilogo epistemologico”, e, in qualche modo, anche “La teoria e la realtà”. Nello stesso post di Manichei ed iperboli si può leggere anche qualcosa degli interventi critici sulle ipotesi e dati sperimentali del pensiero di K. Popper, con il tag “Duhem – Quine” (forse, per integrare, leggere anche “NOTE DI FILOSOFIA” specialmente il 4° paragrafo che parla di Quine; di A. Pazzagli).

Per quanto riguarda l’insegnamento della fisica tenendo conto dell’epistemologia di Popper, cercare sempre su questo blog il tag “Insegnamento della fisica” (ancora autore Piero Pistoia) in particolare nella parte IV.

Se interessati, da non trascurare di leggere anche l’articolato post “Appunti sul pensiero di J. Bruner prima 1988 ed altro sull’auto-aggiornamento” a cura di Andrea Pazzagli e P. Pistoia, per non accennare agli altri interventi di Pazzagli in particolare sulla filosofia moderna (basta in questo blog cercare: Pazzagli).]

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Andrea Pazzagli

ALCUNI SCRITTI DEL POETA_SCRITTORE G. MAZZOLINI; trasferiti dal blog abdensarly “SUONO DELLA PAROLA”; a cura di Piero Pistoia e Gabriella Scarciglia

POST IN VIA DI COSTRUZIONE… forse…

INTERMEZZI

SULLA DOXA ED EPISTEME
Non è che gli dei abbiano rivelato i loro segreti ai mortali, tuttavia, col tempo,
se cercheremo troveremo ed impareremo a conoscere meglio (Senofane VI secolo a.C. , B 18).
Ma la Verità nessun uomo la conosce né la conoscerà mai, né sugli dèi né sulle cose di cui parlo.
E anche se per caso dovesse pronunciare la Verità definitiva, lui stesso non lo saprebbe:
perché tutto è tentativo di indovinare (Senofane, B 34)

Se le porte della percezione fossero ripulite, ogni cosa apparirebbe come essa è, infinita (W. Blake)

 

PREMESSA

Passiamo a trovarVi, Elena e Paola, del sito abdensarly per averci fatto conoscere il blog “Il suono della Parola” dedicato agli scritti del poeta-scrittore Guido Mazzolini, e per l’apprezzamento di un nostro post.

Inoltre in anticipo Vi ringraziamo se ci permetterete di mantenere sul nostro blog alcuni scritti molto emotivi e coinvolgenti del prolifico autore G. Mazzolini, che riflettono sul mondo umano, degni di rispetto (come direbbe J. Bruner) anche se, in qualche modo, almeno ad un primo approccio, ci sembra  che, come background del suo pensiero, questi scritti riescano ad intra-vedere il mondo da un punto di vista diverso dal nostro (e questo è positivo secondo le intenzioni del nostro blog), cioè che, secondo le nostre idee, la Verità, riferita all’oggetto “complesso”, sia un concetto regolativo (per dirla con Kant) a moltissime dimensioni, che, “sbucciate” a cipolla, forse… potremmo riuscire solo ad avvicinarci al loro nucleo, tramite un processo di falsificazione; una fra le tante epistemologie rivisitata da Quine ed altri,   (verisimiglianza popperiana), in cui particolarmente crediamo almeno per uso didattico. (Per leggere di più cliccare dal nostro blog, per es., i tags: Popper o Quine). Naturalmente a meno che un Dio, re degli eserciti (sic!) e re dell’Universo, non abbia consegnato agli umani la mappa che tracci i percorsi attraverso frattali e vortici! Ma questa è un’altra storia di fede e di speranza! Altra storia infine è anche quella del mondo fisico: mentre in ambiti circoscritti di spazio-tempo, che hanno controllato il nostro sentire durante il processo evolutivo, sembra funzionare secondo ragione,  in altri ambiti più generali, a nostro avviso, ci perdiamo almeno per  ora, in soluzioni di complessi sistemi di equazioni matematiche di onde analoghe a quella di Schrodinger,  che calcolano l’evoluzione temporale di una stato di moto di un sistema (particella elementare, atomo, molecola…o delle loro,proprietà), molto lontani dalla nostra realtà circoscritta.

Se ci sono problemi contattare ao123456789vz@libero.it e,  se non d’accordo sul trasferimento, noi  elimineremo questo inizio di post.,

Con rispetto, in attesa,

piero pistoia, editore del blog ilsillabario2013.wordpress.com

Le nostre scelte determinano il destino, giuste o sbagliate, appropriate o no. E non solo grandi scelte o decisioni importanti, ma anche piccole minuzie quasi invisibili e apparentemente inutili. La vita è un sistema complesso, un gigantesco castello di carte tenuto insieme da piccole gocce di casualità. Ma esiste davvero il caso? Siamo auto-determinati o in balia del destino? Forse sono gli errori che dipingono il nostro futuro e a pensarci bene, senza gli sbagli quale sarebbe il senso della vita, una noiosa, insapore, sterile perfezione? Spesso le occasioni migliori nascono da un colpo di fortuna, da un impercettibile cambio di direzione o da un clamoroso salto nel buio. Cambiano le stagioni, il tempo vola, tutto passa e anche in fretta. Soltanto chi ami davvero resterà come un marchio indelebile nel cuore, soltanto chi ami davvero potrà cambiare il tuo destino.

Guido Mazzolini

Siamo smarriti tra la ragione e la pazzia, tra il tutto e il nulla, cercando piccole gocce di verità e acchiappandole al volo. Poi tutto finisce, impariamo a stare al mondo ed è già ora di andarsene. Avvolti nella coperta del tempo, lasciamo che tutto scorra, sorridiamo ed è il sorriso di chi ha perso. Dove abbiamo lasciato l’istinto, il bisogno, la voglia di libertà? In quale universo si è nascosto il bambino che gridava e danzava sotto la pioggia? Ieri brancolavamo nel buio cercando la luce. Oggi il buio è lo stesso, ma i nostri occhi si sono abituati alla penombra e interpretano le forme che ne emergono. Così ognuno ha la proprio idea di libertà e la modifica in base alle occasioni. Ciò che piace a me, ciò che va bene a me. Il resto non conta.
Con gli anni impari che la vera libertà non consiste nel poter fare ciò che si vuole, ma nel poter essere ciò che si è.

Guido Mazzolini

Certe cose le getti via lontano, ci provi ma è un lancio fasullo, le scagli con forza sopra la testa e ti illudi di averle buttate. Ma ti sbagli. Esiste una forza di gravità e molto spesso ciò che hai lanciato in aria torna indietro. È il peso dei sentimenti, sembrano così leggeri, evanescenti, invece hanno una loro sostanza e materia, e una forza di gravità talmente forte che li trascina verso il basso, ancora addosso a te. E tutto torna, e ogni volta non sarà mai la stessa.

Guido Mazzolini

Mi piace la parola “altrove” perché definisce un luogo che non c’è ancora, un mondo che non ha una collocazione precisa nel tempo o nello spazio, ma proprio per questo ne definisce l’essere.
“Sono qui” implica un collocarsi, un situarsi, uno stare immobile. Al contrario “sono altrove” implica la consapevolezza che non tutto è evidente, ma vive e si estrinseca in un futuro che non è soltanto una dimensione temporale, ma soprattutto un contorno dell’anima.

Guido Mazzolini

Difficile esternare affermazioni categoriche che eludano i deboli percorsi del pensiero imperante nella opinione pubblica. I filosofi del passato sapevano bene che la conoscenza nasce dal discrimine e dal discernimento consapevole. Non è bastato Benedetto XVI a ricordarlo, scagliandosi contro la dittatura di quel relativismo assoluto e imposto dai media, dalla scuola, dalla modernità e dalla globalizzazione intesa come categoria di pensiero. Al contrario, oggi il relativismo è sostenuto pure da molti vescovi e sacerdoti, in questo modo il pensiero debole è diventato un nuovo comandamento, siamo passati dal “cogito ergo sum” al “dubito ergo sum” e all’incapacità di approfondire in coscienza qualsiasi argomento, dal senso della vita al concetto di verità e natura, fino al significato della sofferenza e al bisogno di Dio. Oggi è la tirannia del “secondo me” del “dipende” e del “bisogna vedere”, concetti fumosi che dominano incontrastati, la conseguenza è che ogni ricerca della verità risulta preclusa fino dalle origini, lasciando regnare il “liquidume” dell’indeterminatezza. Non posso discernere, e perciò non posso stabilire i confini e le differenze, tutto è basato sull’arbitrio e sulla maggioranza del consenso. È vero quello che è politicamente corretto e che pensa la maggior parte della gente, attraverso idee inculcate da pochi alla massa. Nulla è sicuro e nulla è conoscibile, ma tutto diventa materia di discussione soggettiva. La verità cambia in base alla latitudine e alla moda, la verità diventa un abito da indossare in base alle occasioni. Attenzione perciò, non pensiamo che il naufragar sia così dolce in questo mare di niente, relativo e indeterminato. Il bene e il male sono solo categorie mentali, modificabili dalla storia? Non credo, e la risposta è chiara, sotto i nostri sguardi distratti e assenti, assuefatti dagli orrori che devastano la quotidianità e che continueranno a stordirci, lasciandoci in balia del nulla a cercare risposte su qualche motore di ricerca, migrando da un consumo all’altro, da un capriccio a una precostituita certezza, bellamente servita già pronta.

Guido Mazzolini

Una ragione non guidata dalla Verità rischia di fallire molto presto, diventando superstizione e mitologia. Ecco che l’intelletto naufraga in un fideismo medioevale, ecco che oggi si torna a una politica apparentemente razionalista, ma in realtà nutrita di mitologie pseudo-scientiste e poco razionali. Diciamolo ad alta voce, la pandemia di Covid19 non fa più paura, ne stiamo uscendo, per ora la situazione è sotto controllo. Eppure continua il mito del pericolo utilizzato per aumentare la paura, limitare le libertà e fasciare le bocche con il consenso di tutti. Siamo davanti a un’emergenza costruita ad arte da conferenze stampa e da “poderosi” interventi massmediatici di un’informazione totalmente asservita al potere. È una retorica da vecchio impero, sdolcinata e fintamente populista. Il mito della pandemia che rischiava di sterminarci ha mostrato il suo vero volto. Si è parlato di una mortalità del 4 per cento, e anche qualcosa meno. I decessi sono stati causati da carenze sanitarie e da altre patologie, o peggio dalla mancanza di interventi efficaci e dalla penuria di posti in terapia intensiva. Si è creato il mito della paura, nutrito da un eccessivo allarmismo e da misure insensate, da forze dell’ordine che fermavano “criminali” accusati di fare jogging in spiaggia, e multavano poveri dissidenti sacerdoti, accusati di avere creato pericoli sociali all’interno di una chiesa.
Un altro mito è stato quello della scienza che ci avrebbe salvato la vita. Ma nessun virologo ha saputo dare delle certezze, solo pareri discordanti spesso giocati al rilancio e a chi la sparava più grossa. E il governo si è trincerato dietro questi pareri. Ci hanno convinto che serve un vaccino, e chi è contrario viene zittito e tacciato di attentato all’umanità. Si condanna il libero pensiero in nome di una scienza che libera non lo è più. Si sono stigmatizzate le opinioni diverse e il Parlamento è stato imbavagliato, l’opposizione avrebbe dovuto collaborare e mettersi prona, e tutto nel nome di una finta unità, di uno stare insieme che altro non è che la rappresentazione della peggiore massificazione. Il governo si è circondato di costosissimi “esperti” anche per capire cosa fare dopo il virus, e tutto per nascondere i ritardi e le incompetenze di chi non è stato in grado di decidere.
Siamo ormai alla fine della commedia, la vera emergenza comincia ora e non si chiama pandemia, si chiamo lavoro, povertà, crollo dei valori, e un senso strisciante di nichilismo che esce dalle sagrestie per arrivare dappertutto. Difficile fermare la penombra se non si riparte da quella forma di Verità che è Via e Vita, e va ricercata a tutti i costi, al di là dei miti e delle paure.

Guido Mazzolini

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE: MANICHEI ED IPERBOLI, LA MENTE NARRATIVA, FALSIFICAZIONISMO E SUA BREVE CRITICA; Tavole di verità, Fallacia nell’affermare il conseguente, Modus Tollens , Duhem e Quine; di Piero Pistoia; inserto: poesia ‘Indifferenza’ di Veracini

NBA Riccardo Fracassi è piaciuto questo post, come da mail all’Amministratore del 13-aprile-2018.

“OSCURI” PENSIERI SU CUI MEDITARE  di Piero Pistoia

Per leggere questi pensieri in .pdf  e quelli rivisitati cliccare in successione sui links per leggerne il contenuto; tornare poi indietro per leggere lo scritto successivo al primo link direttamente! fino al termine dell’articolo, cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

MANICHEI ED IPERBOLI3_ok di Piero Pistoia

Manichei ed Iperboli, revisione a cura di Piero Pistoia

Una revisione critica possibile del contenuto del link precedente

a cura di

Piero Pistoia

Una espansione, revisione e reinterpretazione critica, in positivo o in negativo, con successiva integrazione delle singole proposizioni del link precedente, volutamente iperboliche, attiverebbero per i comportamenti nella tribù degli umani, una serie alternativa di storie-guida alla Feyerabend (vedere, come un esempio paradigmatico di reinterpretazione, la poesia di Miloz in questo blog).
Infatti, in un Universo complesso, come affermava Egdar Morin “L’unico pensiero (argomentazione, giudizio, interpretazione), chiaro od <<oscuro>>, che viva, è quello che si mantiene alla temperatura della propria distruzione“.

Oggi, nell’era avanzata dei ‘computer’ e del ‘burocratismo’ dove la Verità appare unica,  la “Mente Narrativa“, di J. Bruner,  propria degli Umani, continua a rendere attive sempre più relazioni fra gli uomini, negoziando la sua ricerca, e più verità appaiono da dietro l’angolo. Per Bruner, come continua nella sua intervista Piero Lavatelli, nell’inserto LIBRI, la separazione fra mente e  corpo, proposta da Cartesio, al là di tutte le ubriacature ideologiche, sta perdendo forza di convinzione e si comincia a pensare che la realtà sociale non è esistente fuori da noi, ma dipende da noi, creata e negoziata da noi, “fatta della nostra carne e del nostro sangue”. Non c’è un unico “mondo reale” esterno ed indipendente da noi, dalla nostra mente, dai nostri linguaggi e dai nostri modelli simbolici con cui vengono costruiti i nostri mondi possibili. In generale, sembra una norma che, nel tempo della storia, quando le situazioni sociali (es., costituzioni di governi, guerre, migrazioni epocali…) si ‘cristallizzano’ sotto un’unica Verità (assenza di negoziazione),  si sprigioni un’esplosione di dolore e di ingiustizia nell’Universo, di cui si prende consapevolezza solo nel tempo futuro. “Abbiamo superato, da tempo, il rigido <<verificazionismo>>la nozione che il significato di qualunque cosa sia la sua unica e singola Verità. Il significato è un modo del connetterci, del negoziare, del riconciliare le nostre rispettive versioni del mondo al fine di trovare un modus vivendi nella diversità”. E ancora, L’uomo non è  “una specie di computer ad alta complessità e la società umana come un insieme di computer che operano congiuntamente a qualche programma comune chiamato <<società>>. La passata generazione ci aveva proposto il cane di Paulov, l’animale dai riflessi condizionati, come modello della natura umana. Stiamo ora scendendo più in basso, degradando il cane ad un computer? Mi sembra che dobbiamo rendere maggiore giustizia alle capacità intuitive dell’uomo, alla ricchezza del mondo delle reazioni umane, alla complessità della cultura”. Per la burocrazia è da dire con Bruner che essa è “antinarrativa per eccellenza; non c’è per essa che una Verità e tutti sono tenuti ad averne la stessa versione“, a favore di una nozione anti-soggettivistica di efficienza. Mandiamo al diavolo “lo sterile silenzio della nostra vita burocratizzata”!

Per leggere di più sugli epistemologi Feyerabend e Popper e sul mentalista americano  Bruner cercare queste parole sul nostro blog.
Inserire eventualmente qui l’ascolto della canzone di Guccini ‘Libera nos Domine’ da YouTube (rispettando naturalmente le leggi dell’editoria).

NON CI SPAVENTANO LE IDEE DA PIU’ PUNTI DI VISTA ANCHE OPPOSTI;

MA

UN  TIMORE INCOMBE: LA……

INDIFFERENZA

Poi tutto divenne uguale, né

cuore né fede né cielo

né mare, gli ultimi

uomini colpiranno duro

niente più sogni – dissero –

nel nostro futuro.

Roberto Veracini

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A proposito dei limiti sui concetti popperiani di verificazione, falsificazione e corroborazione, accennati  precedentemente, cerchiamo di sintetizzarli  di seguito insieme alla Tabella di Verità della proposizione logica o implicazione “H implica Q” (ovvero H -> Q).

1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q
(H-> Q)    H        Q
(1) vera    vera vera
(2) vera   falsa vera
(3) vera   falsa falsa
(4) falsa   vera falsa
Dove H sono le ipotesi prodotte dal soggetto e Q sono le conseguenti osservazioni sperimentali e i dati dell’esperimento
Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:
Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera
In simboli: [(H->Q)UQ]->H.
Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.
Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa, MODUS TOLLENS;

in simboli: [(H->Q)U(non-Q)]->non-H.
Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-

Per anticipare brevemente la argomentazione di Duhem e Quine sul superamento dei limiti del falsificazionismo popperiano a fronte delle ipotesi H e dei dati sperimentali Q, da approfondire tramite  i riferimenti ai posts, suggeriti nello scritto precedente, MANICHEI ED IPERBOLI, cliccare sotto e poi  tornare indietro cliccando sulla freccia in alto a sinistra.

FALSIFICAZIONISMO_critica in pdf

Ovvero leggere di seguito:

Per quanto riguarda il rapporto H → Q, nessun processo induttivo del positivismo sostenuto dalla logica, può portare da Q ad H (Fallacia nell’affermare il Conseguente); nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da Q, senza interventi del soggetto; nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il Modus Tollens popperiano, [(H → Q) U non-Q)] → non H], permette la falsificazione univoca (Duhem), data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non sappiamo cos’è che di fatto viene falsificato!), ecc.

Per quanto riguarda il versante dei dati sperimentali, la sicurezza di Q, il così detto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso Q non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili possono essere sostenute dallo stesso Q (Quine). (Leggere anche sul blog “La Teoria, La Realtà ed i limiti della conoscenza” del dott. Piero Pistoia).

Svariati percorsi razionali fanno attrito con il mondo!

Non c’è un solo punto da cui guardare il cosmo!

Quando ci sentiamo sicuri di un fatto è il momento di cambiare il punto di vista!

dott. Piero Pistoia

Testi consultati:

A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976

M. Pera ” Il mondo della scienza e noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

Vedere anche in questo blog “Insegnamento della Fisica“, parte IV e “Dalla “Scienza alla Narrazione” di P. Pistoia.

Piero Lavatelli “USIAMO LA TESTA”  intervista a J. Bruner, Inserto LIBRI

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”: i sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale; a cura del dott. Piero Pistoia

Curriculum di piero pistoia:

piero-pistoia-curriculumok (#)

Testo rivisitato da ‘Il Sillabario’ n.  3 1995

DALLA “SCIENZA” ALLA “NARRAZIONE”
I sintomi di un virus nella Conoscenza e nel vivere sociale
A cura del Dott. Piero Pistoia 

RIASSUNTO

Una critica affilata su fatti e processi nell’acquisizione di conoscenza ha condotto al mondo delle “narrazioni”,  dove le varie “tradizioni” devono  essere rispettate in quanto tutte essenziali, e ha soffiato ossigeno su un  vivere sociale reso asfittico dall’unica tradizione razionale.

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Nelle sue linee essenziali,  analizzeremo, insieme ad altro,  il processo  d’acquisizione di conoscenza con l’accademico Pera [1]. Fino a qualche tempo fa – e ancora oggi nella maggior parte degli ambienti culturali e didattici di ogni tipo e a qualsiasi livello (escludendo gli specialisti) – eravamo sicuri che l’episteme (la scienza) permettesse l’osservazione al di sopra e al di fuori (epi-stànai) del mondo, secondo convinzioni certe le cui radici si perdono lontane nel profondo della Grecia antica. Lo schema essenzialmente razionale, che riassume questa convinzione, considera due poli in interazione più o meno intensa connotata storicamente: da una parte l’osservatore o ciò che l’osservatore produce (l’ipotesi H) e dall’altra la natura indagata o i dati D che essa in qualche modo fornisce. Una serie di processi operativi, talora ritualizzati (metodi scientifici), “interposti” fra i due poli a guisa di interfaccia, avrebbero dovuto garantire il trasferimento cognitivo, cioè i metodi assiomatici, induttivi, ipotetico-deduttivi…

Ma una attenta riflessione critica sui meccanismi in gioco in queste interazioni a due termini, ancora ben lontana dai normali canali di comunicazione culturale – es., dal senso comune, ma anche dall’attività didattica e altro (si pensi alle argomentazione manichee di certi politici e sindacalisti, di certi storici, di avvocati, magistrati e giudici ..) – ha fortemente indebolito, in questi ultimi anni, le sicurezze, e introdotto in ogni passaggio, nei meandri della relazione H-D, come azione sui metodi e nell’esplicitazione di D, come azione sui protocolli, elementi soggettivi che sembrano ineliminabili alla ragione. Guai per chi rimane intrappolato nelle maglie dei  cicli perversi del sillogismo strumentale [5], cioè il linguaggio della scienza, delle leggi e dei codici, ma anche della malevolenza e della calunnia! “Prima di giudicare una persona cammina per tre lune nei suoi mocassini”, recita un saggio e antico detto Sioux. Questo sillogismo non è conforme neppure al falsificazionismo popperiano, che, pur indebolito, poteva rappresentare, per la libertà, la giustizia e la democrazia, una conquista non trascurabile in campo legale, sociale ed umano!

Così, per quanto riguarda il rapporto H-D, nessun processo induttivo [1], sostenuto dalla logica, può portare da D ad H (Popper), nessuna probabilità è derivabile per H a partire solo da D, senza interventi del soggetto, nessuna implicazione logica, anche se “vera”, come il modus tollens popperiano, [(H -> D) U non-D] -> non-H, permette la falsificazione univoca (Duhem) [2], data la presenza in H di ipotesi al contorno non esplicitate (non si sa cos’è che viene in effetti falsificato) ecc.. (1)

Per quanto riguarda poi il versante dei dati, la sicurezza di D, il cosiddetto protocollo sperimentale, basta dire che non solo la sua descrizione presuppone l’uso di un linguaggio per sua natura intriso di teoria, ma la costruzione stessa dell’informazione sul dato ha bisogno di aspettative e quindi di teorie e punti di vista più o meno esplicitati e lo stesso funzionamento dello strumento che lo raccoglie (compreso l’occhio o altro organo di senso) si basa spesso su teorie estremamente complesse e lontane dall’ambiente di osservazione e/o di misura. Lo stesso D non rimanda inoltre univocamente ad una sola teoria; più teorie incompatibili [2] possono essere sostenute dallo stesso D (Quine): svariati percorsi razionali “fanno attrito” con il mondo!

A sostegno di questa breve sintesi sulla debolezza razionale dei processi di acquisizione di conoscenza, costruiti su due termini e riferiti alla scienza, riporto di seguito una carrellata di illuminanti passaggi individuati sempre dal docente M. Pera [3], che, a colpi di flasch, colgono le posizioni attualmente rilevanti sull’argomento. Si riscopre così l’ affermazione nietzscheana che “i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni” tradotto poi da Nerida in “non c’è fuori-testo”, da Hanson in “hypotheses facta fingunt”  o in “i fatti sono teorie di piccola taglia” (Goodman); “i fatti sono socialmente costruiti” (Latour); “ogni teoria possiede la sua esperienza” (Feyerabend); “i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi diversi” (Kuhn); “entro quadri concettuali diversi le stesse esperienze prendono la forma di fatti e prove diverse” (Polanyi).

E’ interessante notare come in molti scritti di autori di diverse discipline si rinviene spesso un percorso culturale analogo. Si veda per esempio lo sviluppo del pensiero dello psicologo e pedagogista J. Bruner: dal Cognitivismo “duro” degli anni ’60 (“Verso una teoria dell’istruzione”, Armando), attraverso “Saggi per la mano sinistra” e “Significato dell’educazione” (Armando), dove si afferma anche che differenti culture “vedono” il mondo con occhi differenti, si giunge a “La mente a più dimensioni” (Laterza) e infine a “La ricerca del significato” (Bollati Boringhieri), con riferimenti pedagogici alla co-educazione, interazione motivazione extra-cognitiva dell’apprendimento, ponendo più volte l’accento sulla valenza psicologica e pedagogica delle narrazioni.

Anche con interazioni a più poli (più teorie contro l’empirico) la conoscenza rimarrà inevitabilmente e tragicamente infondata. Ad analoghe conclusioni si arriverebbe se considerassimo come poli in interazione l’Io (osservatore) e la Natura. A differenza del discorso analitico su H e D, l’interazione Io-Natura rimanda a riflessioni su filosofie orientali e/o alla scoperta, nelle pieghe del rapporto, di confini-frattali senza possibilità di uscire fuori dal ciclo vizioso: Io-Natura-Io [4].

E’ da notare come questa esplosione ramificata di posizioni critiche abbia avuto come sorgente la revisione della struttura categoriale kantiana delle forme a priori. In particolare si pensi alla rivoluzione mentale scatenata dopo l’invalidazione del “sintetico a priori” kantiano, e la percezione che la geometria euclidea non era l’ unica geometria possibile del mondo.

Questa posizione nata all’interno di una meta-riflessione da parte delle stesse scienze umane, viene stranamente avvallata dalle ultime argomentazioni nate all’interno della scienza stessa.

Se l’Universo è disseminato di “turbolenze”, una piccolissima variazione delle condizioni iniziali, al tempo considerata insignificante, ovvero all’interno delle soglie dell’errore, potrebbe provocare soluzioni impreviste e imprevedibili con incidenza non trascurabile sul mondo fenomenico [5].

Una esatta prevedibilità in questi sistemi caotici (sensibili a minime differenze iniziali) presupporrebbe poter assegnare numeri reali alle misure delle grandezze che figurano nelle condizioni iniziali. Allora fattori sconosciuti di entità non misurabile, pur non potendo essere scoperti dai ricercatori, potrebbero causare grosse modifiche sui fenomeni. E ancora onde elettromagnetiche di energia inferiore alle soglie del misurabile potrebbero produrre ugualmente effetti vistosi. Così il mondo delle nostre misure a decimali finiti (cifre significative limitate) riguarderebbe una sezione estremamente piccola, semplice e addomesticata dell’Universo, anche se efficace nell’ambito della sopravvivenza umana (anche troppo!), perchè come affermava Vico (Verum Ipsum Factum), abbiamo “inventato” leggi per costruire un marchingegno che, in quelle particolari circostanze e in quei casi, estremamente ammaestrati nel tempo e nello spazio, della realtà, funzionasse, cioè fosse “vero” per noi (e spesso accade che neppure funzioni in quelli): si tratta di uno degli infiniti percorsi in un “reale” estremamente complesso e disordinato.

Quando Galileo diceva di voler cogliere nella complessità inesprimibile dell’esperienza solo percorsi semplici, le cui grandezze fossero esprimibili  con numeri a decimali limitati, voleva certamente affermare l’ambito estremamente limitato del mondo della “quantità”, unico mondo che la parte razionale della mente può capire e gestire, non essendo adatta ad affrontare l’oggetto nella sua complessità, oggetto certamente poco ordinato. E quando Galileo costruiva e interpretava gli oroscopi (e plausibilmente ci credeva, come tutti i suoi contemporanei, visto che sapeva “leggere” le influenze del cielo sulla vita) voleva significare appunto l’esistenza di una parte complementare al “semplice”, cioè la maggior parte del mondo (ci sono molte più nubi, alberi e cose simili che cristalli nel cosmo), che poteva venir colta in altri modi. E’ facile che Galileo non fosse un ingegnere-empirista, dedito continuamente a prove sperimentali, ma più plausibilmente un fisico teorico [6] che quasi mai ripiegava sull’esperimento, e che usava invece il teorema e il suo “principio di continuità” come prassi scientifica usuale.

Sulla stessa linea di pensiero, per il grande logico L. Wittgenstein esiste un immenso mare del mistico-magico che circonda oscuro e tempestoso la piccola isola del razionale, anche se poi di questo mare non se ne può parlare (indicibile), usando i linguaggi della ragione (primo Wittgenstein) e degli altri “giochi linguistici” possibili (isola), nessuno è plausibile, perchè non c’è realtà “lì fuori” (secondo Wittgenstein), anticipando le posizioni drammatiche attuali. E’ vero che gli elettroni esistono ed hanno carica negativa? Li abbiamo “individuati” con i nostri criteri, con i nostri requisiti etici, le nostre esigenze estetiche, nell’ambito del nostro linguaggio, proprio come i Greci antichi “individuarono” Afrodite!  E’ vero (Vico): esistono ed hanno carica negativa; però solo nel nostro mondo linguistico e culturale, dove il consenso rinforzato è l’unica condizione di verità, come lo fu per Afrodite.

E così il Progresso (meglio la parola più neutrale Modificazione ambientale) – cioè la capacità di sezionare e guarire i corpi aumentando la speranza di vita, di scoprire dietro pieghe spazio-temporali le particelle più strane che o prima o poi potrebbero servire per trasferirci ancora più energia a nostro uso e consumo ormai esponenziali (qualità e speranza di vita) ecc. – è tale solo rispetto ai nostri criteri manipolativi, operativi e tecnologici e ai valori su cui questi si fondano e quindi, in ultima analisi, ai nostri valori etici, politici ed estetici. Questi criteri sorti all’interno del nostro mondo, potranno garantirci al massimo questo nostro mondo, non “il Mondo” [3] ! In società “fredde” i valori sono altri e gli obiettivi si spostano, con l’importanza e la densità dei nessi, al fuori dell’io, nei loro cieli chiusi.

Quando i fatti, le prove, l’esperienza scientifica “costruita” in laboratorio, in base a precisi presupposti (esperimento), non sono più termini di confronto neutrali e la stessa falsificazione fallisce non riuscendo ad individuare ciò che di fatto viene negato, si perdono i riscontri oggettivi della razionalità e sparisce il criterio di demarcazione fra sapere razionale e gli altri (arte, metafisica, religione, magia s.l.). In altre parole sono le teorie a costruire i “fatti” e a fornire le prove.

Quando una teoria così diventa abbastanza organizzata tende ad auto-difendersi dall’eliminazione, prevedendo, attraverso la mente intrappolata del ricercatore (trappola di Wittgenstein), solo esperimenti favorevoli. Accettare una teoria scientifica invece di un’altra, allo stesso modo di accettare o no gli dèi, è solo funzione delle idiosincrasie della storia e non di qualche metodo razionale coniugato a prove empiriche. Scienza, religione, arte, magia s.l. sono tutte favole  che sono “vere” in senso vichiano all’interno dei loro mondi.

Altri popoli e razze da sempre hanno costruito altri mondi, diversi da quello artificiale e amorale dell’uomo bianco occidentale, su altri valori, principi, credenze e uniformità e queste strutture, non necessariamente razionali (dove il magico e il rituale giocano più che la logica e l’argomentazione critica), hanno funzionato da sempre, funzionano e se non interverranno aliene interferenze, continueranno a funzionare (sono “vere” in senso vichiano). Quei popoli sono infatti sopravvissuti secondo i loro ritmi e il loro senso della felicità (vivere 80 anni invece di 35, non significa un bene in assoluto!). Guarda caso, come abbiamo già accennato, il progresso operato dalla scienza è misurato con i valori interni allo stesso mondo in cui si dice che la scienza opera progresso!

Ci sono pregevoli culture umane, modelli di visione del mondo non derivate dalla scienza che, non solo sono capaci di far sopravvivere la specie riuscendo a controllare l’ambiente in massima armonia, ma costruiscono, a differenza della cultura occidentale, un uomo più completo all’interno, con un Io (non l’io singolo) più evoluto, consapevole e vigoroso, a fronte di una mera amplificazione sensoriale e percettiva sul piano simbolico, amorale nei confronti del resto dell’universo. In ognuno di questi mondi, senza onde nè codici, avvengono “miracoli” non dissimili per quei popoli a quelli basati sulla scienza per il nostro popolo. Gli spiriti, i Mani delle cose e gli stregoni o gli sciamani che li controllano, hanno potere effettivo sugli oggetti dell’universo anche se solo all’interno di questo cielo chiuso, come potere ebbe Afrodite sulle cose e sui cuori degli uomini, quando i greci credevano negli dei! Nello stesso modo funziona per noi il nostro mondo artificiale, disarmonico e sovrapposto alla Natura che, divenuto meno vincolato e più potente dal succhiare continuamente la vita alle altre specie ed energia all’ambiente,  spinge fino ai limiti dell’universo conosciuto il proprio rumore assordante e la propria spazzatura. Se il nostro mondo interferisce su uno degli altri il fragile meccanismo proprio dèi mondi in armonia con la Natura si rompe, i riti si inquinano, gli spiriti si nascondono, i Mani abbandonano le cose, i miracoli cessano e la struttura culturale non funziona più; l’unica via è affidarsi allora alle mani dell’invasore, perdendo la propria identità e i propri dèi, divenendo in pratica una sottospecie. Pionieri, colonizzatori, missionari, eroi scopritori, civilizzatori, antropologi e altra “ciurma” di questa sorta, se ne stiano a casa loro! E’ inutile: le loro tecniche non saranno in grado di arginare i danni da esse provocati! La foresta amazzonica si salva nel regno dell'”empatia”, del rispetto incondizionato, com’è nei costumi “totemici” delle popolazioni indie che l’abitano e non nel segno della “scienza” e del “calcolo”, dell’uso interessato com’è nei propositi “occidentali” di finalizzarlo alla sopravvivenza ad oltranza della nostra specie! Voler giudicare e misurare con idee e strumenti del nostro mondo valori e grandezze di un altro è mera utopia, presunzione e irresponsabilità: la furba Afrodite non si farà mai scoprire dagli strumenti dell’uomo razionale!

Non è allora fuori luogo la ricerca di modi alternativi [4] alla scienza nel cogliere il mondo, sui quali da secoli la nostra cultura non ha mai investito seriamente, limitandosi invece a criticare, punire e uccidere. Parlo della magia, della esperienza religiosa e mistica (esiste davvero il miracolo?), dell’esperienza empatica con l’oggetto osservato (filosofie orientali) ed è da sperare che funzionino in qualche modo al di là delle semplici “narrazioni” della scienza ufficiale!

Non è trascurabile, per terminare, il fatto che, dalle nostre parti, la tradizione dominante per eccellenza, quella razionale, sostiene oggi più che mai i gruppi di potere. Dopo 50 anni di sufficiente libertà un po’ per tutti, oggi c’è la tendenza a realizzare una società fortemente ordinata e programmata, dove tutto sia previsto e ogni azione vagliata e se non conforme punita, secondo una interna giustizia. Si tratta del virus della violenza della “società dell’organizzazione totale”, permessa da tutte le culture che si proclamano uniche e che, alla ricerca dell’essenza, eliminano continuamente il “caduco”; società che, come afferma G. Vattimo, sembrano essere legate a tutti gli essenzialismi metafisici, quelli più immediati del passato e quelli nascosti anche nelle pieghe del pensiero scientifico. Non c’è “una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” [6].

Lo stesso Caos Deterministico ci insegna che l’Universo è colmo di informazioni molto di più di quello che si credeva e tutte essenziali (di qui l’estrema difficoltà nel predire)!

Invece fra poco nessuno potrà più permettersi di oscillare intorno alla norma, o qualche volta di calpestare un’aiuola o fare una fotocopia in più di un articolo. L’uomo occidentale ormai disarmonico con la Natura, impaniato in migliaia di vincoli esosi, potrà percorrere solo pochissimi sentieri e il suo desiderio di libertà sarà fortemente frustrato. Se a questo aggiungiamo che sta perdendo legami anche con i suoi simili e si sente solo in mezzo agli altri, ben vengano maghi, psicologi, cartomanti, psichiatri, fattucchiere, preti di diverse religioni e pranoterapisti, pronti, a pagamento, ad ascoltare i problemi di vita di noi poveri diavoli. Non importa se le cose non funzioneranno (forse perché tradizioni incomplete, parziali, aperte), ma certamente serviranno a recuperare qualche momento di pace e speranza, completamente sconosciute in questa società  del cemento e del lungo tempo di vita, di banche e profitto e di ragionieri!

(Dott. Piero Pistoia)

Vers. rivisitata, Il Sillabario, n.3, 1995, VII

BIBLIOGRAFIA E NOTE

[1] M. PERA “Induzione e metodo scientifico”, Editrice Tecnico Scientifica,1978.

[2] A.V. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, 1976.

[3] M. PERA “Il Mondo la Scienza e Noi” da “Il mondo incerto”, Sagittari Laterza, 1994.

[4] P. PISTOIA “La Teoria, la Realtà ed i limiti della conoscenza” (in questo blog).

[5] E. BENCIVENGA “Oltre la Tolleranza”, Feltrinelli, 1992.

P. PISTOIA “Frattali, Logica e senso comune: considerazioni iperboliche” (in questo blog).

[6] A. KOYRE’ “Galileo e Platone” in “Le radici del pensiero scientifico”,  Feltrinelli, 1977.

[7] G. VATTIMO “La società trasparente”, Garzanti, 1989.

NOTE

(1) TABELLA DI VERITA’ DELL’IMPLICAZIONE: H implica Q

H-> Q     H        Q
(1) vera vera vera
(2) vera falsa vera
(3) vera falsa falsa
(4) falsa vera falsa

Dalla Tavola di Verità si evince che se l’implicazione è vera – il nostro caso – la verità di Q (righi 1 e 2) non ci dice nulla sulla verità di H che può essere vera o falsa indifferentemente. Ne deriva un’espressione logica scorretta, cosiddetta della FALLACIA NELL’AFFERMARE IL CONSEGUENTE, classica dei processi induttivi e della verificazione dei positivisti. Questa espressione scorretta ha la forma:

Se “H  implica  Q1,Q2…Qn”, è una affermazione vera e
se dall’esperimento od altro risulta che le Qi sono vere
——————————————————————-
H è vera

In simboli: [(H->Q)UQ]->H.

Se le implicazioni sperimentali Qi dell’ipotesi H sono vere non risulta affatto che H sia vera, neppure probabilisticamente, perché le Qi in effetti sono infinite.

Invece se l’implicazione è vera e Q è falsa (rigo 3) necessariamente anche H è falsa (MODUS TOLLENS); in simboli

[(H->Q)U(non-Q)]->non-H.

Se (H  implica Q) è una relazione vera,
se dall’esperimento od altro  risulta che un Qi è falso
————————————————————-
H è falsa