“LA MAGNIFICA SEPTARIA” scritto dell’autrice del blog sulsentierodeicristalli.blogspot.com, la studiosa Eva Saroglia

Note del coordinatore Piero Pistoia

Ringraziamo la studiosa Eva Saroglia, se ci permetterà di mantenere il suo interessante articolo anche sul nostro blog in questo post, al fine di attivare quel processo di costruzione regolativo dell’oggetto Septaria, previsto dai nostri criteri di fare cultura, invariante a più dimensioni, cioè osservato da più punti di vista. L’altro punto di vista è esplicitato dall’articolo pubblicato su questo blog a nome dello studioso Massimo Magni.  In caso contrario può avvertirci alla mail: ao123456789vz@libero.it (la seconda lettera e la o di o-rologio).

Eva Saroglia

 

 

 

GIULIANO GHILLI, UN APPASSIONATO COLLEZIONISTA, dell’insegnante Maria Chiara Bianchi Burgassi; note del coordinatore P. Pistoia

 

NOTE DEL COORDINATORE
Articolo, al tempo Pubblicato sulla “Comunità di Pomarance” n.1 2006, che riproponiamo su questo blog, con note del coordinatore (NDC) Piero Pistoia, come ricordo  dello studioso della Natura e di altro, Giuliano Ghilli.
Foto di una ‘magica’ settaria, una pietra di origine e interpretazione complesse e piuttosto criptica, scattata da piero pistoia ad una mostra di Ghilli a Pomarance nel 2008, raccolta dallo stesso Giuliano sulle biancane e crete a calanchi alle pendici della Verna (Gr); il proprietario della pietra, Giuliano, è uno studioso oggi scomparso, grande conoscitore di rocce, minerali, fossili e dei luoghi di raccolta, in particolare in Val di Cecina, dotato di notevole Einfhunlung nella ricerca e nella scoperta. Vedere anche il post sui calcedoni di cui è autore di alcuni articoli ivi riportati. 

A ‘CACCIA’ DI SEPTARIE IN UN  POSTO DI RACCOLTA IN VAL DI CECINA (Buriano, Le Fogliare), 2009

A destra Giuliano Ghilli, con accanto l’accademico dott. P. Orlandi dell’Università di Pisa, prof. di Mineralogia e Gemmologia; all’estrema sinistra lo studioso e autore della foto Massimo Magni, di cui abbiamo pubblicato su questo blog recentemente l’articolata ricerca sulle Septarie della Val di Cecina; fra parentesi abbiamo pubblicato anche un altro punto di vista sulle Septarie scritto da una studiosa di cristalloterapia Eva Saroglia, alla ricerca di un ‘invariante culturale’ regolativo, come da nostro progetto (leggere premessa al blog); l’ultimo è un personaggio di rilievo del Gruppo Mineralogico di Cecina (Livorno) ed altro.

N.B. per tornare indietro dai linKs e continuare  a leggere il post dopo i links, cliccare sulla freccia in alto a sinistra!

Ma veniamo all’articolo; in prima istanza, per leggere le tre pagine dello scritto dell’insegnante Maria Chiara Burgassi cliccare in successione sui tre links seguenti:

 

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Successivamente, per facilitarne la lettura, con calma, previa ristampa dei tre files, cercheremo di inserirli, sempre in pdf, in uno solo, con una opzione dello scanner, ovvero di riportare per esteso l’articolo sul blog, scannerizzando di nuovo le tre pagine stampate, questa volta in JPG, da inserire in successione. La via della conversione dei testi da PDF a ODT modificabile, sembra poco affidabile nonostante le garanzie degli svariati convertitori e certamente non percorribile se esistono nel documento intermezzi diversi (es. foto) . Faremo dei tentativi e vedremo…

In base alla precedente nota, intanto cliccando sul link sotto, si legge l’intero articolo.

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Proviamo ora a riportare i tre files in jpg, inserendoli poi in successione.

 

COMMENTO ALLE POESIE DI IVANA ROSSI: MATERNITA’; POST APERTO; il punto di vista del dott. Francesco Gherardini professore di ruolo in Lettere nella Scuola Superiore.

COMMENTO ALLE POESIE DI IVANA del dott. prof. Francesco Gherardini

LE POESIE DI IVANA / MATERNITA’

Tre nipoti, l’ultimo tre mesi fa; da nonno ho ri-scoperto la stupefacente bellezza dell’evento della nascita di un bambino e della felicità , incommensurabile rispetto a qualsiasi altro evento , che ha portato ai suoi genitori (e ai nonni ) . Il viatico giusto- credo- per leggere e commentare le tre poesie di Ivana Rossi sul tema della maternità. Mi limiterò alla prima con pochi richiami alle altre due.
Nei primi sei versi colpisce la scelta della parola “presagio” ; la trovo straordinariamente pregnante: il verbo presagire [ deriva dal latino prae = avanti e sagire = penetrare con lo spirito , derivante da sagus=indovino , termine che non casualmente ritorna nella poesia al verso 11 ] dà l’idea del preannunziare, del predire, del profetare, della magia. Vengono in mente le mille domande di amici e conoscenti : la prima “sarà maschio o femmina? ” . Un tempo a queste domande si rispondeva con congetture, le più bizzarre, si guardava ad esempio alla forma della pancia per stabilire il sesso del nascituro. Oggi si risponde quasi immediatamente con la sicurezza delle sentenze di laboratorio e ben presto si vede ( e si fotografa ) il feto mentre naviga nel suo mare. La poesia di Ivana risale , credo, a una trentina di anni fa, quando ancora la tecnologia non cancellava la visione e il sogno. Al presagio si accompagna l’aggettivo “segreto” . Vocabolo e attributo concorrono a fornirci l’idea del tentativo da parte della futura mamma di immaginare, di ascoltare , di interpretare, di capire le variazioni del corpo, tanto più in caso di prima gravidanza, di pre- vedere il futuro tenendolo stretto nei propri pensieri , proprio come fa un indovino. In “Maternità 1” compare un’immagine sublime : “La gioia nel grembo si muove / come ape nel vento / come alga nel mare”.
A che cosa si riferisce il presagio, quale è il suo contenuto? “di chiari archi notturni”. Certo è difficile interpretare emozioni e sentimenti ineffabili, soprattutto da chi certe trepidazioni può viverle solo di riflesso (come un nonno). Si nota subito il contrasto chiari/notturni, un ossimoro apparente che lascia immaginare le notti insonni a disegnare il futuro; il vocabolo “archi” suggerisce più di un’immagine : la volta del cielo, il ponte tra gli uomini e il Creatore,il sentirsi parte integrante di un tutto, le volte immense delle cattedrali; in “Maternità 1” è “chiarità di infinito”. Dalla volta celeste giunge la luce che penetra ovunque (“contagia l’attesa”) . Alla prima lettura urta un po’ questo verbo (contagia) che esprime sempre in altri contesti un pensiero negativo, ma in fondo risponde bene a ciò che accade nella realtà: la notte spesa a pensare… i pensieri che si sviluppano nella mente della donna sono come una materia impercettibile e volatile, un virus meraviglioso e positivo, imbattibile , ineliminabile che impregna di sé ogni attimo dell’attesa (l’impazienza è incontenibile , anche quando è “tenue” ossia tenuta a bada, non ostentata) , al punto di essere avvertita come linfa vitale. Da sottolineare due termini particolarmente allusivi : linfa , un vocabolo che immediatamente richiama l’immagine del feto nel liquido amniotico e attesa, la straordinaria bellezza dell’attesa, in questo caso dell’attesa di una gioia, anzi dell’evento più bello della vita umana, dell’ esperienza più piena e più profonda. Si tratta di una sensazione simile a quella che esprime Leopardi nella lirica “Il Sabato del Villaggio”, ma tutta sotto una luce positiva.
La “luce” rende l’attesa attraente, emozionante, la prima nascita, la visione della culla, la delicatezza degli atteggiamenti , una nuova vita che nasce dentro e che si avverte dai battiti del nuovo cuore. Un evento straordinario e sorprendente (la prima volta). Impossibile da descrivere da chi non l’ha provato. Qui sta la superiorità delle donne, la loro fortuna rispetto ai maschi. Il rovesciamento della freudiana invidia del pene. Un concetto – credo – forse adombrato anche in un verso successivo dalla espressione “stupore di donna”.
La seconda quartina è veramente pregevole: La vivida ansia si scioglie stupita / nel ritmo antico del tempo/
e inonda di pace il mio stupore di donna.L’impazienza, l’ansia non si può celare; ma quella certa agitazione si stempera e si supera quasi magicamente nel ritmo antico del tempo ; forse pensando che in fondo il miracolo della nascita , della vita, si ripete da secoli e che quello che ciascuna donna sta vivendo e che è meraviglioso, è stato già vissuto da milioni di donne nel corso della lunga storia dell’umanità. E arriva la pace, la serenità, quasi come un’onda improvvisa che travolge ogni altro pensiero , dilaga e placa l’ansia. Un po’ come “ e naufragar m’è dolce in questo mare” di leopardiana memoria.
Tiepidi fili / le tue carezze esitanti/ nel lieve respiro del ventre.
La poesia si sa è del poeta, ma anche del lettore che la interpreta ; in definitiva il testo assume, appena scritto e divulgato, una sua vita autonoma, tanto più se l’interpretazione letterale non è così agevole. A me pare che questi versi introducano la figura del compagno e mi sembrano accennare a un tipo di azione che ho visto tante volte in questi ultimi mesi prima della nascita del mio nipotino : il compagno che si avvicina alla donna gravida e che con estrema delicatezza (i fili) , titubante di fronte alla nuova vita che si distingue e si muove, le accarezza il ventre con le mani per sentire i movimenti del bambino e pone l’orecchio sul ventre per ascoltare i battiti del suo cuore, una carezza piena di amore per entrambi ,madre e figlio.
Racchiudo indifesa / la tenera gratitudine / dell’amore che cresce/ e indovino dolcezze impetuose/invisibili gesti furtivi/
palpitanti di carne/nella vita che nasce.
Anche questi versi si prestano a più di una interpretazione perché piuttosto criptici.
Racchiudo : questo verbo dà l’idea della volontà di proteggere la nuova vita in formazione, mentre l’aggettivo indifesa lascia pensare alla fragilità, alla debolezza, alla preoccupazione della puerpera di non farcela, di non essere all’altezza. L’amore che cresce? una circonlocuzione che può sostituire il vocabolo “ bambina”, la gravidanza ormai sta per terminare; ma associata all’altro termine “gratitudine” può invece essere più facilmente riferirsi al compagno. La nascita di un figlio in effetti generalmente rinsalda il rapporto amoroso tra i coniugi; l’amore coniugale cresce insieme col nascituro con il passare dei mesi di gestazione e in fondo si materializza nella nuova vita . Gratitudine in questo caso per l’ amore che il compagno le ha dato e che ha prodotto la nuova vita. Cfr. in proposito i versi in Maternità 2 “nel gioco dell’attesa/ il notturno ricordo/ tremante di fuoco” Ma la gratitudine potrebbe essere perfino indirizzata verso qualcosa di superiore, verso il Creatore per esempio , come accade in tante culture.Il nuovo nato come Dono del Cielo, del Signore.
Negli ultimi quattro versi ritorna la visione, il “presagio” (indovino= percepisco, immagino) che mescola ogni cosa: le dolcezze impetuose , traboccanti d’amore, lasciano pensare al desiderio di inondare di baci e carezze la figlia che sta per nascere che è carne della sua carne (palpitanti di carne), mentre gli invisibili gesti furtivi sono tenerezze che possiamo immaginare: gesti di affetto verso la bambina o verso il compagno ( in questo caso meglio si spiegherebbe l’uso dell’aggettivo furtivi, ovvero volutamente nascosti o non notati ). Ma la mia attenzione si è soffermata soprattutto sull’espressione “palpitante di carne” ; mi ha suggerito l’idea del battito del nuovo piccolo essere (lui sì indifeso) che si stacca definitivamente dalla madre, che era poco prima carne della sua stessa carne e che diventa un soggetto nuovo e autonomo, grazie a quel primo dolore che è il taglio del cordone ombelicale , la parte più traumatica – dicono gli psicologi- della nostra vita di esseri umani.

Dott. Francesco Gherardini

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LA SEPTARIA DELLA VAL DI CECINA: strana e magica pietra di origine litologica secondaria per ‘azione diagenetica’ da una tendenzialmente argillosa, scritto dello studioso Massimo Magni, Gruppo Mineralogico di Cecina (Li); a cura dell’editore Piero Pistoia

NOTE DEL COORDINATORE (NDC) piero pistoia

FOTO DI UN ESEMPLARE DI SEPTARIA

Autore della foto di anteprima, è Piero Pistoia (scattata ad una  mostra di Giuliano Ghilli nell’ottobre 2008). Vedere anche l’art.  sui calcedoni di cui Giuliano Ghilli è co-autore per una parte ed un breve  suo ricordo, sempre in questo blog,  a nome dell’insegnante Maria Chiara Bianchi Burgassi.

 

N.B. Per tornare indietro dai links e continuare a leggere il post, cliccare in alto a sinistra sulla freccia.

PER VEDERE L’ARTICOLO DI MASSIMO MAGNI CLICCARE SUI SEGUENTI LINKS:

In .pdf (pagine in successione)

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P.S. – In formazioni pressoché analoghe sono stati rinvenuti, nella zona ove attualmente è situata la centrale di ValleSecolo, ‘oggetti’ di composizione tendenzialmente calcarea approssimativamente circolari con il centro inferiore tendenzialmente ad imbuto a grande apertura, chiamati piatti del diavolo, di dimensioni limitate, intorno a 10 cm di diametro, di cui si allegano sei foto di un esemplare appartenente alla collezione di Massimo Magni. il quale, come prima ipotesi di lavoro, data la sezione quasi circolare, la concavità superiore e la sovrapposizione di strati, suggerirebbe un’origine da una lenta ‘percolazione’ particolare di acque carbonatiche, ancora da definire a fronte anche della geologia della zona.

INSERIAMO LE FOTO DEL PIATTO DEL DIAVOLO

 

 

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IL PERCORSO DI PENSIERO DI J. S. BRUNER: DAL COGNITISMO COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO, di Andrea Pazzagli

J. BRUNER: DAL COGNITIVISMO  COMPUTAZIONALE AL NARRATIVISMO
di Andrea Pazzagli

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Per leggere l’articolo in pdf cliccare sul link sopra

 

Art. rivisitato dall’inserto ‘Il Sillabario’ cartaceo.

CERCARE ANCHE LE PAROLE  ‘BRUNER’, ‘EPISTEMOLOGIA’  da questo blog, per trovare altri articoli ed informazioni sul Mentalismo Americano, Feyerabend, Popper ed altri, a cura dei docenti Piero Pistoia, Gabriella Scarciglia, Giacomo Brunetti.

 

RIFLESSIONI SUL FARE POESIA, di Paolo di Stefano, Giorgio Albertazzi, Paolo Fidanzi, Piero Pistoia, Roberto Veracini ed altri; a cura di Piero Pistoia

PREMESSA

Come premessa al post proponiamo la lettura di uno scritto a nome di PAOLO DI STEFANO…dal titolo “La poesia a Scuola?…” riportato dal Corriere della sera  del 21-03-2018, nella rubrica Analisi&Commenti.

IL PIACERE DI STUDIARE
La poesia a scuola? Bisogna impararla a memoria

L’unica possibilità per amarla e capirla è leggerla, leggerla, leggerla. E continuare a leggerla e a farsela risuonare nell’orecchio a bassa o (meglio) ad alta voce
 di Paolo Di Stefano

Oggi è la Giornata mondiale della poesia e non ci si stancherà mai di ripetere che sarebbe un incomparabile servizio non alla poesia ma all’intelligenza e persino alla felicità dei ragazzi (e poi degli adulti) tornare, nella scuola, a imparare a memoria i versi dei grandi poeti. Può sembrare un paradosso parlare di felicità in relazione a uno sforzo mnemonico, ma solo chi l’ha praticato può assicurarne la riuscita, come chi ha compiuto una scarpinata in montagna può garantire sul piacere fisico e mentale che se ne ricava. Più si approfondisce la poesia e più si capisce che è inutile e spesso nocivo fare grandi discorsi sulla poesia: l’unica possibilità per amarla e capirla è leggerla, leggerla, leggerla. E continuare a leggerla e a farsela risuonare nell’orecchio a bassa o (meglio) ad alta voce.
Provate: «Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro d’orto, / ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, frusci di serpi». Farsi belli (dentro e fuori) di quei versi, di quel ritmo, di quei suoni, di quella sintassi. Assaporare incredibili connessioni di senso, improbabili giri di frase e parole finalmente estranee al lessico quotidiano, e dopo averle assaporate e masticate, ingerirle, farle proprie, farsele girare in testa, dimenticarle o pensare di averle dimenticate per vedersele o sentirsele inaspettatamente affiorare a distanza di anni dal dentista, in sala d’attesa, in dormiveglia o in coda sull’autostrada. Quando mai si pronunceranno più nella vita parole, semplici ma non usuali, come «meriggiare», «rovente», «sterpi», «schiocchi»… Quando capiterà di pensare «né più mai…» al posto del solito, trito «mai più». La poesia a memoria è un regalo musicale per la vita che la scuola dovrebbe imporsi di elargire generosamente ai suoi ragazzi. Sperando che la Giornata mondiale della poesia a scuola non celebri le schede didattiche e la parafrasi. Né più mai…

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In riferimento allo scritto di Paolo di Stefano, leggere anche il post “Elogio della Ragione”.

 

UNA BREVE RIFLESSIONE SULLA POESIA

di Giorgio Albertazzi

Ho chiesto spesso ai poeti perché scrivono versi, l’ho chiesto a Neruda ad Eliot, l’ho chiesto a Caldarelli, a Montale, a Gatto, a Luzi, che cos’è la poesia? Rispondono soltanto i poeti/critici o i poeti/letterati, parlando di ‘composizione’, di anapesti e spondei; i veri poeti non rispondono, si stringono nelle spalle sorridono, dicono tutt’al più una sola parola:”un ritmo…”.

Già perché il poeta è sempre selvaggio, ossessionato, ubriaco di vita e di morte; ma potrebbe essere allora semplicemente una possibile definizione romantica di “arte”, diciamo che la poesia è “insurrezione”, è connotazione di altro che la lingua di versi triti e pieni di decoro di molti decorosi poeti.

Partiamo quindi da Pound, come dice Sandburg. Perché si scrivono versi e si cantano nelle rivoluzioni e nelle ansie d’amore e di morte, che cosa sia quell’aurea che subito emana e prorompe dalla poesia autentica, quel magma, quel logos spermaticos. E dire versi con accenti giusti ed errati insieme, ma soprattutto cantare il ritmo, che viene prima del verso, eccetera.

Non è necessario capire, ma sentire sì: sentire è “provare” come diceva Benassi, il quale senza capire esprimeva il sound di “tutti i figli di Dio hanno le ali” come nessuno. E’ forse morta la poesia? E se è viva cerchiamola e cerchiamola ancora e diventeremo più belli e forse meno opachi. Niente vale di più di un verso di Penna o di Saffo in un certo momento della nostra vita.

Giorgio Albertazzi

ALCUNE BREVI RIFLESSIONI SUL FARE POESIA

di Piero Pistoia

CHE COS’E’ LA POESIA 

a cura di Paolo Fidanzi

A PROPOSITO DI POESIA

dott. Paolo Fidanzi

IL FERITO

di Roberto Veracini

(Un’idea della poesia)
Penso che tutti i poeti, finché tali, siano sempre in crisi
(E. Montale)

Il poeta è sempre ferito, si nutre della sua ferita, che non si rimargina
perché è la ferita del mondo: vive e rappresenta questa condizione fino in fondo e lo fa con gli strumenti che gli sono propri, i versi.

Per questo il poeta è anche il narciso, perché il peso di questa condizione è estremo e la ferita ha bisogno di incensi (veri o falsi) per essere sopportabile.

Ma il poeta è anche il disperato, quando la ferita si rivela insanabile e l’incenso svanisce, mostrando gli aspetti cupi e irrimediabili della realtà, la futilità delle cose e quindi dell’arte, che non basta più.

Il poeta è il sopravvissuto quando riscopre dalle macerie un segno ancora dell’esistenza e se lo porta con sé per sempre, perché tutto è ancora possibile, sempre.

Il poeta è il solitario del tempo, che riconosce e da cui è riconosciuto, ma tutto questo non appare, perché scoprire è meglio che far vedere, e il poeta vive del suo stupore e del modo in cui riesce a farlo sentire.

E comunque il poeta resta il ferito, cercato e abbandonato, osannato e deriso, e la sua ferita è il mondo, che rappresenta ma non sa capire, perché il poeta ha in sé l’orizzonte intero e il suo limite. Non necessariamente in quest’ordine.

Roberto Veracini

LA POESIA PER JOHN KEATS

La poesia dovrebbe suscitare meraviglia per un delicato e sottile eccesso e non per una singolarità, cioè colpire il lettore come una parafrasi dei suoi più alti pensieri, sembrando quasi reminescenza.

Come a dire (Piero Pistoia), la poesia risulta gradevole ad ognuno quando è conforme a ciò che abbiamo intuito o potremo intuire, non quando smentisce tutte le attese!